Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: StarFighter    11/04/2014    6 recensioni
AU_Anna è al suo primo anno di college alla NYU ed è alla disperata ricerca di qualcuno che le faccia compagnia alla scoperta di tutti i divertimenti che New York ha da offrirle. Ma per quanto si sforzi, non riesce ad instaurare un rapporto d'amicizia con chicchessia: la sua coinquilina, Merida, a stento le rivolge la parola e i suoi compagni di corso si ignorano l'un l'altro. L'unica che potrebbe iniziarla ai piaceri della città che non dorme mai, è sua sorella Elsa, che vive lì da molto più di lei; ma Elsa, che non vede da tre anni, si rifiuta di incontrarla, adducendo scuse su scuse.
Anna non sa spiegarsi il suo comportamento e quando la sua vita prende la piega che si aspettava, decide di volerla lasciar perdere. Ma il destino la conduce da lei, rivelandole i suoi 'sporchi piccoli segreti', e Anna non sarà più tanto sicura di voler scoprire i piaceri nascosti di New York city.
(Crossover con altri film Disney).
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Jack, Frost, Kristoff
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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CAPITOLO 1: A chance to change my lonely world

 

New York al tramonto era qualcosa che riusciva ancora a sorprenderla, nonostante la Grande Mela fosse diventata la sua nuova casa da almeno quattro mesi: il Sole si stava tuffando dietro quel mare di grattacieli e cemento armato, facendo risplendere le infinite distese di vetro come cristalli d’ambra. Ma nonostante l’oscurità stesse progressivamente avanzando dall’Oceano, le milioni di luci che pian piano stavano prendendo vita, facevano apparire le strade come in pieno giorno: una fiumana di gente si affrettava da un capo all’altro delle immense avenue; i tipici taxi gialli sfrecciavano per quanto possibile nel traffico, perennemente imbottigliato. Non c’era posa per la città e per i suoi abitanti, se n’era resa conto dal primo momento: quando era arrivata la prima volta alla Central Station era rimasta disorientata dall’infinità di persone che le passavano accanto senza degnarla di uno sguardo, ognuna persa nel proprio microuniverso personale. Era partita con il sogno di vivere una grande avventura nella città più famosa del mondo, la città che non dorme mai, quella stessa città che aveva da offrirle tutto e niente. Aveva fantasticato tante volte di voler andar via da casa, vivere la sua vita, libera dalla costante e asfissiante presenza dei suoi genitori, lontano dall’aria provinciale della piccola cittadina del Colorado dov’era nata e quando finalmente era stata accettata all’NYU, il suo sogno si era realizzato: aveva messo otto stati tra sé e il suo passato. Avrebbe avuto quello che aveva sempre desiderato, nuove amicizie, una laurea in una prestigiosa università e, tempo permettendo, ci sarebbe stato anche spazio per una grande storia d’amore, come quelle delle commedie romantiche che tanto la facevano piangere. New York le sembrava lo scenario ideale per la sua nuova vita. Ma dopo il primo mese di permanenza, aveva cominciato a sentire la mancanza di qualcuno con cui parlare o fare una passeggiata sulla quinta strada; insomma, era in una megalopoli con migliaia di divertimenti e party ad ogni angolo, ma non aveva nessuno con cui godere di tutto quello. Era davvero sola e in quattro mesi non aveva fatto grandi passi avanti, se si escludeva la comparsa della sua nuova coinquilina Merida, una scozzese psicopatica che dormiva con un arco appeso sul letto, e la ragazza della tavola calda dove andava a fare colazione ogni giorno da almeno due mesi, Ashley.

Ma non aveva mai instaurato un vero rapporto di amicizia con loro due, nonostante fosse la persona più socievole del mondo: Ashley era una ragazza un po’ più grande di lei così dolce e carina, con cui scambiava volentieri quattro chiacchiere; ma non rimaneva mai molto tempo in sua compagnia, perché troppo pressata dalla proprietaria del locale, che le urlava dietro ordini su ordini. Merida invece era una causa persa in partenza: i loro dialoghi si limitavano ai semplici saluti. A volte la sua coinquilina la portava sull’orlo della sopportazione, molte volte avrebbe voluto urlarle contro che avrebbe dovuto tenere le sue cose nei posti a loro designate, che avrebbe dovuto lasciare la biancheria sporca nel cesto apposito, non in giro per l’appartamento, che rivolgerle la parola più di una volta al giorno non l’avrebbe uccisa, e cosa più importante, avrebbe dovuto dirle quando un bene di prima necessità finiva, non farglielo scoprire in ritardo, come quando aveva trovato il cartone del latte vuoto nel frigo. Avrebbe voluto ammazzarla. Ma non le aveva mai detto nulla di tutto ciò, troppo preoccupata per la sua incolumità.

Durante una delle tante telefonate settimanali, la madre le aveva consigliato di stringere amicizia con i suoi colleghi di corso. Le aveva detto che ci avrebbe provato, ma i suoi tentativi erano miseramente falliti: nessuno sembrava essere interessato a fare amicizia in quel posto, le loro vite scorrevano come tante rette parallele incapaci di trovare un punto di contatto. Era una situazione scocciante e pesante, a cui non aveva ancora trovato soluzione.

Anche ora che si trovava schiacciata nella metro, tra centinaia di persone, si sentiva sola. Mai come in quel momento avrebbe avuto bisogno di qualcuno con cui parlare, con cui sfogarsi: aveva appena chiuso una chiamata e la rabbia che le aveva lasciato addosso le parole della sua interlocutrice, ancora la scuoteva. Stringeva forte la sbarra della metro per tenersi ferma, mentre lo sferragliare ritmico e metallico delle rotaie la calmavano pian piano: cosa si aspettava? Perché avrebbe dovuto ricevere una risposta differente rispetto ai mesi precedenti? Ancora si ostinava a non volerla vedere, ma perché?

-“Elsa, dimmi solo perché?”- l’aveva supplicata.

-“Lasciami in pace Anna...”- glielo aveva sussurrato quasi, ma quelle parole l’avevano colpita come un pugno nello stomaco.

Non s’incontravano da tre anni e sentiva terribilmente la mancanza della sua unica sorella, l’unico legame con il passato che avesse in quella città. In tre anni aveva ricevuto solo sporadiche chiamate e cartoline di New York imbiancata dalla neve, per Natale. Non era mai tornata a casa per le feste o in estate, non aveva mai accennato ai suoi studi o alla sua situazione finanziaria. Anche lei frequentava la NYU, ma nella sede di Brooklyn: ogni tanto aveva fatto un salto per chiedere di lei e le avevano indicato il numero del suo appartamento. Aveva bussato fino a farsi male alle mani e poi una ragazza le aveva aperto, ma non era Elsa, era una certa Megara, la sua coinquilina, una tipa altezzosa, che le aveva intimato infastidita di togliersi di mezzo, che Elsa non c’era e che non sarebbe tornata prima di sera.

-“Ritenta, sarai più fortunata la prossima volta!”- le aveva detto con voce piatta.

L’aveva salutata sgarbatamente e poi aveva atteso all’esterno dell’edificio il ritorno della sorella, ma quando il freddo della notte ormai le era entrato fin nelle ossa, di Elsa non s’era vista nemmeno l’ombra.

Era tornata sconfortata al suo piccolo appartamento e aveva trovato Merida che giocava alla PS, con una fetta di pizza in bocca e i piedi poggiati sul tavolino da caffè davanti a lei. In un altro momento le avrebbe detto di mettersi composta, ma non aveva nemmeno la forza per arrabbiarsi: si era rinchiusa in camera sua a piangere e non ne era uscita se non il mattino successivo, con gli occhi gonfi e rossi.

Uscire dal vagone della metro era sempre un’impresa e quella sera non fece eccezioni: spintonò per uscire e si guadagnò una sfilza di occhiatacce e imprecazioni che si lasciò alle spalle, troppo sconfitta nello spirito per potervi prestare anche la minima attenzione.

Per fortuna l’appartamento era a pochi passi dalla fermata della metro e non dovette indugiare molto ancora tra le strade grigie del quartiere. Scivolò come un fantasma tra i corridoi della struttura, non facendo molto caso alle decine di studenti che chiacchieravano davanti alle porte degli appartamenti, lanciandole occhiate strane: doveva essere davvero uno spettacolo pietoso, pensò.

Aprì la porta e la richiuse con un sospiro, sperando che Merida non avesse fatto nulla per farla arrabbiare ulteriormente. Le stanze erano stranamente silenziose, di solito a quell’ora la scozzese era sempre in piena attività.

-“Sono tornata.”- gridò con poco entusiasmo, al nulla. Niente. Nessuna risposta o nessun rumore che rivelasse la presenza della ragazza. Si diresse in camera sua e gettò la borsa a terra; si buttò a peso morto sul letto e scalciò via le scarpe che le avevano massacrato i piedi per l’intera giornata. Sentì la porta d’ingresso sbattere e poi dei rumori concitati provenire dalla camera della coinquilina. La vide, o meglio, vide la sua chioma rossa fiammeggiante passare davanti alla sua porta semiaperta e poi fermarsi e tornare indietro.

Chiuse gli occhi, stanca: non aveva voglia di scoprire cosa stesse macchinando quella testa calda.

-“Ehi! Tutto bene?”-

Sobbalzò colta di sorpresa: da quando in qua, Merida le chiedeva come stava?

-“S-sono solo stanca, grazie.”- mugugnò.

-“Sicura? Perché non hai una bella cera.”-

-“Senti, non è serata, chiaro? Quindi se devi prenderti gioco di qualcuno va altrove!”- le disse col tono di voce più acido che avesse mai usato in vita sua, inchiodandola con lo sguardo.

-“Qualcuno è stato morso da una vipera, a quanto vedo. Sai in casi come questi l’antidoto ideale è una buona dose di svago. Hiccup da una festa stasera, che ne dici, ti va di venire?”-

La fissò per un minuto buono, senza parole: Merida le aveva appena rivolto la parola di sua spontanea volontà, le aveva detto una frase con più di tre parole e l’aveva invitata ad una festa…qualcosa non andava, forse era morta in un incidente della metro oppure si era addormentata sul letto. Si tirò su a sedere e si schiarì la voce: “Perché me lo stai chiedendo? Noi non siamo amiche, giusto? Di solito a stento mi saluti e ora salta fuori addirittura un invito! Cosa hai rotto? Su, avanti puoi dirmelo, prometto di non arrabbiarmi.”- si fece una x sul cuore.

-“Non ho rotto niente! Ma per chi mi hai presa, per una poppante? Era solo per essere gentili; insomma so di non essermi comportata al meglio in questi mesi e volevo farmi perdonare: la scelta era tra un invito ad una festa o una cena preparata da me. Ma la cena sarebbe stata un tantino ambigua, non credi?”-

Continuava a non risponderle.

-“Senti se non ti va, puoi tranquillamente rimanere qui a macerarti nella tua depressione. Non sono problemi miei, ma sappi che sei vuoi parlare sono qui, nella stanza accanto alla tua o schiacciata sul divano a fare zapping.”- Merida aveva fallito, ma almeno lo aveva fatto tentando.

-“Perché?”- quella parola le sfuggì di bocca, mentre la scozzese le girava le spalle.

-“Perché, cosa?”- le rispose scocciata.

-“Perché proprio adesso, insomma perché aspettare tanto per instaurare uno straccio di rapporto?”-

-“Semplicemente perché sei la mia coinquilina e lo rimarrai per almeno altri sette mesi; e perché per quanto tu possa essere fastidiosa a volte, non mi va di continuare ad ignorarti. Siamo entrambe sole e lontane da casa: morale della favola potremmo diventare amiche.”- Merida si avviò nella sua camera e la lasciò lì a riflettere su quello che le aveva detto.

Quella pazza l’aveva lasciata senza parole. Forse qualcosa era cambiato quel giorno; forse il karma la stava premiando per averla sopportata ogni giorno di quei quattro lunghi mesi; forse la vita le stava aprendo una nuova porta davanti, dopo che sua sorella gliel’aveva bellamente sbattuta in faccia. Forse, forse…se avesse accettato l’invito, quella sera la sua vita sarebbe cambiata! Forse era la svolta che avrebbe cambiato il suo solitario mondo fatto di libri, corse per arrivare in orario a lezione, metro piene di persone e sere spese a guardare i vecchi episodi di ‘una mamma per amica’.

Saltò giù dal letto e corse nella camera della rossa, trovandola intenta a rovistare nei cassetti: “A che ora hai detto che è questa festa?”-

 

 

 

NDA: piccolo esperimento senza pretese che mi è saltato in mente una notte che non riuscivo a dormire. Ovviamente è un AU/crossover, ce n’è bisogno su questo fandom. Il piano iniziale era quello di inserire tutte le disney princess, ma mi sono resa conto che sarebbe un po’ difficile gestire così tanti personaggi, ma vedrò di inserirne quante più possibile. Anzi se avete idee su una vostra principessa preferita, vi esorto a scrivermele, così da creare una AU in comunità…non sarebbe una cattiva idea!XD Ashley, la ragazza della tavola calda, è Cenerentola, giusto per chiarire.

La trama comunque è ancora in pieno cambiamento quindi per ora il rating è arancione, ma potrebbe diventare rosso…non lo so.

Coooomunque, nn so che dirvi se non grazie x essere passate…ci si becca in giro! Amen.

   
 
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