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Autore: millyray    13/04/2014    3 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO NOVE

Connie compiva gli anni quel giorno e così, alla sera, aveva deciso di dare una piccola festicciola invitando le poche persone che aveva conosciuto nella sua breve permanenza a Londra. La signora Hudson aveva cucinato una torta e alcuni pasticcini e ora si trovava nell’appartamento che aveva affittato a Sherlock e John insieme a Molly, Lestrade e Sally Donovan. Avevano appena finito di mangiare la pizza e chiacchieravano amabilmente del più e del meno. Gli unici che, però, mancavano all’appello erano Sherlock e Mycroft, il primo sparito, come suo solito, chissà dove e l’altro perché, come ormai era chiaro a tutti, non voleva avere troppi contatti con la ragazza. La signora Hudson trovava davvero ignobile da parte loro non presentarsi al compleanno della sorella e già si era preparata un bel discorsetto da fare ad entrambi quando li avesse visti. Connie invece non sembrava essersela presa tanto.

“E’ ora di mangiare la torta”, disse ad un certo punto la proprietaria della casa, alzandosi scattante dalla sedia.

“Non dovremmo aspettare Sherlock?” fece John, pulendosi la bocca con un fazzoletto. Gli dispiace che l’amico non ci fosse, avrebbe reso la serata più divertente. Gli dispiaceva ammetterlo, ma si divertiva a volte a sentirlo offendere.

“Tanto non verrà”, gli rispose Sally con una smorfia.

“Be’, si sta perdendo una festa magnifica”, aggiunse la signora Hudson, poggiando il suo capolavoro sul tavolo. Al vedere la torta, tutti i presenti si leccarono i baffi, persino il bambino in grembo a Connie che ancora non aveva iniziato a notarsi.

Proprio in quel momento, come se li avesse sentito, Sherlock spalancò la porta e fece il suo ingresso entrando come un’ombra scura e minacciosa. Si girò verso la cucina e inclinò il capo perplesso al vedere tutta quella gente.

“Alla buon’ora!” esclamò Lestrade, guardando il moro dall’alto in basso. Il consulente detective poggiò il lungo cappotto sulla poltrona e si accomodò al tavolo sull’unica sedia libera, quella che avevano tenuto per lui.

La signora Hudson aveva appena finito di mettere le candeline sulla torta, trent’uno per la precisione, e ora John l’aiutava ad accenderle.

“Dove sei stato, Sher?” chiese Connie osservando attentamente il fratello e notando che aveva gli occhi leggermente rossi.

“In giro”, rispose lui laconico, evitando il suo sguardo. “Avevo delle faccende da sbrigare”.

“Così importanti da saltare il compleanno di tua sorella?” lo rimbrottò la signora Hudson. Al che il moro mugugnò qualcosa di incomprensibile.

“Forza, Connie, esprimi un desiderio!” esclamò Molly eccitata. Connie decise di lasciare perdere il fratello per quella sera e puntò gli occhi sulla torta illuminata da tutte quelle candele. Per qualche secondo piombò il silenzio nell’appartamento, poi la ragazza gonfiò le guance e soffiò con tutto il fiato che aveva, spegnendo le candeline in un colpo solo. Gli invitati applaudirono e qualcuno scattò le foto.
E poi, naturalmente, ci fu il taglio della torta e tutti i presenti se ne servirono una bella fetta, facendo i dovuti complimenti alla cuoca.

“Perché non giochiamo a obbligo o verità?” propose la festeggiata, mandando giù l’ultimo boccone di torta. “Così vi conosco un po’ meglio”.

“E’ dal liceo che non faccio questo gioco”, disse Sally improvvisamente illuminatasi.

“Io mi astengo”, disse Sherlock, le braccia incrociate sul petto.

“Oh, avanti fratellino! Ti piaceva questo gioco da piccoli. Facevi sempre domande imbarazzanti a Mycroft”.

“Sì, ma Mycroft non c’è, quindi non mi diverto”.

“Ci divertiamo lo stesso”.

“Credo che mi asterrò anche io”, disse la signora Hudson. “Sono troppo vecchia per questo gioco”.

“Non dica sciocchezze, Signora Hudson”, la contraddisse Connie eccitata come una bambina. “Forza, iniziamo!” Percorse con lo sguardo tutti i presenti al tavolo due volte finché non si fermò su Molly. Questa, accorgendosene, tremò leggermente. Anche lei conosceva bene questo gioco e sapeva per esperienza che portava sempre a situazioni poco piacevoli. “Molly. Qual è il tuo film preferito?”

La ragazza sembrò rimanere un attimo perplessa a quella domanda, ma alla fine sospirò sollevata. Quella era una domanda a cui poteva rispondere facilmente. “Direi… Love Story”.

“Oh, troppo melenso”, fu il commento di Sherlock. “E inutile”.

“Io invece lo trovo un bel film”, gli rispose John, guardandolo un po’ storto.

“Ah sì?” Il detective pareva stranito.

“Sì. Intenso”.

“Se lo dici tu”.

“E qual è il tuo film preferito, Sherlock?” chiese allora Molly, interrompendo quello scambio di battute. L’uomo parve pensarci un po’. “Non credo di averne uno. I film sono inutili”.

I presenti sospirarono rassegnati. “Qualcuno faccia una domanda imbarazzante a Sherlock!” disse allora Sally che non vedeva l’ora di prendere in giro il collega e magari vendicarsi di tutte le volte che lo faceva lui.

“Io non rispondo a nessuna domanda”.

“Posso dire io una cosa imbarazzante su Sherlock”, esclamò allora Connie, ridacchiando già. Il fratello, dal canto suo, alzava gli occhi al cielo, ma non gli andava di rovinare l’entusiasmo della sorella.

“Spara!”

Connie ammutolì di colpo creando l’effetto dell’attesa. Poi sbottò: “In quarta liceo Sherlock è stato bocciato”.

Questa volta ad ammutolire furono tutti gli altri, rimasti a fissare la ragazza come se improvvisamente le fossero spuntate due teste. Poi, come un sol uomo, scoppiarono  a ridere. “Nooo! Non è vero”.

“E’ vero, invece!”

“Ma come?! Non eri un genio?” Adesso gli sguardi erano puntati tutti su Sherlock.

“Sì, ma gli insegnanti lo odiavano”, rispose Connie per lui. “Li contraddiceva sempre e diceva che erano stupidi”.

“Insomma, non eri tanto diverso da come sei adesso”, fece notare Greg.

Le labbra di Sherlock si piegarono in una smorfia infastidita ma non disse niente. Sembrava essere di poche parole quella sera stranamente e ancora non aveva offeso nessuno. In un’altra occasione forse qualcuno se ne sarebbe anche accorto, ma erano tutti brilli ed eccitati per farlo.
Improvvisamente, però, il detective si alzò facendo scricchiolare la sedia contro il pavimento e, poggiate le mani sul tavolo, si protese verso Connie puntando i propri occhi chiari in quelli di lei. Allora la ragazza si rese conto di aver appena provocato un drago che dorme.

“Perché non rispondi tu a qualche domanda?” ringhiò l’uomo. “Che cosa sei venuta a fare qui? Perché sei tornata? Cosa vuoi da me? E perché non te ne vai?”

Gli altri presenti restarono gelati sul posto, quasi paralizzati.

“Io non ti voglio qui e non ti vuole nemmeno Mycroft. Tornatene a New York o dovunque to voglia andare, è meglio. Stavo bene senza di te e posso continuare benissimo!”

Dopo di che calò il silenzio. Sherlock si ritirò e tornò a sedersi, come un attore che ha finito di recitare la propria parte e ora si riposava, tranquillo. John, Molly, Sally, Lestrade e la signora Hudson scorrevano con lo sguardo da uno all’altro, sconvolti e confusi. Volevano dire tante cose ma non sapevano da che parte iniziare.
Connie, dal canto suo, sembrava altrettanto scioccata. Era abituata alle provocazioni del fratello, aveva capito che la sua presenza lì non era tanto gradita, però non si aspettava che arrivasse a questo punto.

Si alzò lentamente dalla sedia e, guardando il fratello come fosse un insetto schifoso, sputò in tono gelido: “Se volevi vendicarti ci sei riuscito”. Poi, senza guardare nessuno, uscì dalla porta senza neanche prendere la giacca.

Soltanto allora gli invitati presero a muoversi e a guardarsi attorno imbarazzati, senza sapere che fare. Anche Greg si alzò dalla sedia e decise di seguire Connie. Molly si mordeva il labbro e Sally guardava il detective con espressione delusa e contrariata.

“Sherlock”, sospirò la signora Hudson, ma anche lei stavolta era rimasta senza parole.

Sherlock, invece, decise che era ora di levare le tende e velocemente andò vero la sua stanza, senza dare spiegazioni a nessuno.

 

“Stai bene?”

Connie, seduta sull’ultimo gradino davanti alla porta d’ingresso, con la coda dell’occhio vide Greg sedersi accanto a lei. Era venuto a consolarla? Non aveva bisogno di essere consolata, non avrebbe certo pianto. Però le faceva comunque piacere che le tenesse compagnia.

“Sì. Direi di sì”, sospirò la ragazza, fissando una macchia sul tappeto.

“Non ascoltarlo. Sherlock è uno stronzo e davvero non so come fai a sopportarlo. Non merita una sorella come te. È perfido e non ha rispetto. Non ha sentimenti”.

“Non è vero”, lo contraddisse Connie con voce debole, senza voltarsi a guardarlo. “Non è vero”, ripeté. “Non è perfido. Vi sbagliate tutti su di lui, non è come mostra di essere”.

Ma come faceva quella ragazza ad essere così… buona o forse ingenua? Lo perdonava sempre, infine e l’avrebbe fatto anche questa volta. Eppure Sherlock non se lo meritava, non questa volta. Ma magari aveva ragione lei, forse c’era qualcosa che gli altri non vedevano.

“Forse però dovrei stargli lontana un po’”, aggiunse dopo un po’, malinconica.

“Be’”, iniziò allora il detective. “Se ti va puoi… puoi venire da me. Ho una stanza degli ospiti. Sempre se ti va, eh”.

Solo allora Connie si voltò verso Greg, sorridendogli dolce. “Va bene. Lasciami prendere le mie cose”.

 

“Sherlock?” chiamò John entrando cautamente nella stanza dell’amico. Lo trovò seduto sul bordo del letto, le spalle che davano alla porta, la luce spenta e la stanza illuminata solo dalla debole luce del lampione fuori.
Il dottore gli si avvicinò cautamente, come se temesse di scatenare di nuovo la sua ira.

“Perché hai detto quelle cose? E’ tua sorella e…”. John non sapeva esattamente che dire. Sherlock era stato cattivo, certo, ma… voleva provare a capire anche lui, prima di saltare a conclusioni affrettate, ma era sicuro che il detective non gli avrebbe detto niente. Era sempre stato un mistero e da quando era arrivata Connie il mistero si era infittito ancora di più e questo gli dava sui nervi. Soprattutto ora che aveva capito di essere innamorato di un uomo che di certo non lo ricambiava.

Si sedette sul letto anche lui, a poca distanza dall’altro. Poi si protese per vederlo meglio in viso e sentì come uno schianto nel proprio petto. Sherlock aveva un’espressione tormentata, la più tormentata che gli fosse mai capitato di vedere sul viso di qualcuno, un’espressione capace di intristire anche la persona meno sensibile.

“Sherlock”, pronunciò il suo nome come a volerlo assaggiare. Gli pose una mano sul braccio per fargli sentire la sua presenza e si avvicinò un po’ di più.
E in quel momento, proprio in quel momento, il detective si voltò verso di lui e, approfittando del fatto che era decisamente più alto, lo travolse buttandolo di schiena sul letto. Poi, reggendosi sulle mani, si chinò su di lui e poggiò le proprie labbra su quelle di John. Questi si trovò ad accogliere la sua lingua prepotente senza quasi potersi opporre e, in realtà, neanche avrebbe voluto. Ma per un attimo pensò di star sognando. Non poteva essere che Sherlock lo stava baciando, era assurdo… e perché lo baciava?
Eppure era lì. Sentiva il suo fiato che sapeva di sigaretta, il suo buon odore e quei capelli… quei capelli in cui aveva affondato la mano erano così soffici e…

“Scusa”, soffiò il detective a pochi centimetri dalle sue labbra. John non si era nemmeno accorto che si erano staccati. “Vattene”.

E l’ultima cosa che John vide prima di lasciare l’amico nella sua solitudine, furono i suoi chiarissimi occhi tormentati, cerchiati da profonde occhiaie rossastre.  

 

 

MILLY’S SPACE

Ed ecco finalmente una svolta tra John e Sherlock. Che dite? Non è peccato se lasciate recensioni, eh, non vi mangio.
Ho bisogno di sapere se vi piace o no, altrimenti è inutile continuare.

Un bacione a tutti,

M.

  
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