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Autore: 1984    16/04/2014    1 recensioni
Nimue ha solo una chiave, una semplice ed innocua chiave, donatele da una strana vecchietta.
E grazie a quella chiave la sua vita cambierà per sempre.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dalek, Doctor - 10, Master - Simm, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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O mio dio. Apro un occhio e guardo la sveglia rossa sul comodino improvvisato: 10.56. E' mattina e qualcosa di peloso mi ha toccato la mano che ora sfiora il pavimento. «Oh mio dio», urlo. Cosa diavolo può essere stato? Mi sporgo a testa in giù e scruto con lo sguardo sotto al letto. «Un gatto! Ma... che diavolo ci fai qui sotto?». Quello mi guarda, tremante. Non mi pare di aver notato niente di strano ieri sera. Poi sento la brezza leggera proveniente dalla finestra aperta. Scendo dal letto e mi sporgo fuori. Le fronde di un'alta quercia toccano praticamente il davanzale della finestra, ed ecco come si spiegherebbe l'entrata del gatto in camera mia. A meno che non ci fosse già da prima, ma escluderei quest'ipotesi a priori. Il gatto porta un collarino rosso con un campanellino d'argento tintinnante, e poi è estremamente pacifico, lo prendo in braccio senza troppa difficoltà e quello inizia a fare le fusa.
Scendo in cucina, dove trovo mia madre intenta a leggere un nuovo libro dalla copertina giallo canarino. «Mamma», dico per attirare la sua attenzione.
«E quello da dove spunta?», dice alludendo al gattone che tengo tra le braccia.
«Era in camera mia».
«In camera tua?», alza un sopracciglio. «Ecco spiegate le urla».
«Già. Si deve essere arrampicato su per l'albero che sfiora la finestra di camera mia», aggiungo.
«Beh, non mi pare un gatto randagio, non è un collarino quello?».
Annuisco e poso il gatto per terra.
«Tuo padre è allergico al pelo di gatto, non farglielo vedere». Non credo che non facendogli vedere il gatto si risolverà qualcosa.
«Non bisognerà portarlo ai veri proprietari?».
«E tu sai chi sono?», alza lo sguardo.
«No, ma non può essere arrivato da lontano».
«Prova con i vicini, allora», e rincomincia a leggere.
E' un quartiere piccolo e ci sono circa una decina di villette come la nostra. La più vicina ha un grande giardino non curato, dall'aria triste.
«Okay, io vado a vestirmi e se mai i vicini mi uccidessero, sappi che la colpa è tua, ma ti ho voluto bene». Annuisce, assente.
E' inquietante cambiarsi mentre un gatto leggermente sovrappeso ti fissa con i suoi grandi occhi, ma non ho avuto il cuore di chiuderlo in bagno. Una cosa bella è che è facile distrarlo, così lo faccio giocare con uno spaghetto di uno degli scatoloni.
Poi lo prendo in braccio e quello, senza fare troppe storie, si aggrappa con gli artigli al mio vecchio maglione. Non ho mai avuto animali, se escludiamo una lumaca.
La ghiaia della stradina che conduce alla villa affianco alla nostra scricchiola sotto la suola delle mie vecchie scarpe da ginnastica. Man a mano che mi avvicino alla villetta non solo non posso fare a meno di notare quanto appaia trascurato il giardino, ma anche la casa stessa con l'intonaco che si sbriciola e il tetto di un colore indefinito: tra l'azzurro sbiadito e il marrone scuro.
Il gatto sta buono buono per tutto il tragitto. Non ho mai tenuto in braccio un gatto in vita mia, il suo corpo massiccio ma flessuoso è coperto da un pelo fulvo particolarmente luccicante che mi scivola fra le dita. Arrivata davanti al portone di casa, mi faccio coraggio e busso.
Toc, toc.
Nessuna risposta.
Busso di nuovo.
Toc, toc.
Al quarto tentativo sento una  voce acuta provenire dall'interno esclamare: «Cosa succede? Cosa succede?».
Il portone si spalanca cigolando e mi trovo davanti a una vecchia tutta raggrinzita con una tuta rosa addosso che la fa somigliare a un'inquietante essere alieno uscito da chi sa dove.
«Salve», la voce mi tremola un po' così mi faccio coraggio e continuo. «Sono la figlia dei nuovi vicini. Io e i miei genitori ci siamo trasferiti qui ieri sera e... beh, stamattina ho trovato in camera mia quest...»
«Ercole!», esclama la vecchia, strabuzzando gli occhi.
«Ho trovato... Ercole, sì, ecco, e credo che sia suo, no?»
«Ma certo che no! Non mi sognerei mai di tenere un gatto in casa. Hai idea di quanti germi porti l'accumulo di polvere? L'accumulo di polvere causato dai peli di gatto, intendo!».
No, non ne ho la minima idea, e se non si decide a smettere di urlare, il gatto finirà per cadere terra e scappare. «Va bene, sì, portano un sacco di malattie», annuisco per farla zittire. «Ora mi può dire chi è il padrone di questo gatto?».
«Ercole è della signora Gill», dice come se io conoscessi la-signora-Gill. Poi continua: «Abita proprio di fronte a casa mia».
«Va bene, allora grazie mille e arrivederci».
«Guarda che non portano malattie, ma germi!», urla la vecchia mentre mi allontano.
 
Il problema di aver perso così tanto tempo è che ora ho il maglione tutto rovinato. E il gatto ha incominciato a miagolare istericamente. Attraverso velocemente la strada e busso al portone bianco della villetta. Al primo squillo un cane inizia ad abbaiare, il che fa infuriare ancora di più il gatto e mi porta a domandare come possano mai vivere un cane e un gatto nella stessa casa senza tentare di sbranarsi a vicenda.
«Arrivo subito!», urla qualcuno dall'interno dell'appartamento. E' una voce femminile, molto più calma e rassicurante di quella della vicina. «Oh, Achille, smettila subito! Fai il bravo, così, giù, resta lì e non tentare di assalire nessuno».
Una signora tutta capelli bianchi cotonati e occhiali ricoperti di strass fa capolino dalla porta laccata. «Oh, e tu chi sare... ma quello è Ercole! Oh, Ercole, ma dove ti eri cacciato?».
«In camera mia, l'ho trovato sotto al letto», sorrido. Immagino che perdere un animale leggermente sovrappeso metta in ansia ogni buon padrone di questo mondo.
«Ah, Ercole, la signora e il signor Harrison sono morti da un anno, è inutile continuare a intrufolarsi in casa loro», la sua voce è improvvisamente cambiata, sta parlando al gatto come si parlerebbe a un neonato.
«E tu cara, vieni, non stare lì impalata», dice prendendo il gatto affettuosamente tra le braccia.
Il cane mi annusa sospettosamente appena poso piede in casa – una casa che sembra uscita da una rivista di casalinghe, non che io ne abbia mai letta una, ma mamma ha scritto un bel po' di articoli circa la difficoltà della donna negli anni '50.
«Allora, tu sei la figlia dei nuovi vicini, no? Se vuoi un po' di tè... ecco qui, tè all'arancia», dice versandone un po' in una tazza finemente decorata. «Siediti, siediti pure... Achille, togliti subito da lì, su, sei grande e grosso, non puoi metterti sul divano... devi scusarlo, sai, è solo un bambinone viziato...».
Annuisco sorridendo. Certo che io capisco, sicuro.
Assaggio il tè che però è freddo. Poso la tazza sul piattino di ceramica e la posiziono sul tavolino di legno che si trova davanti al divano su cui sono seduta.
E' una casa davvero deliziosa, fin troppo deliziosa.
«E' da ieri sera che sto cercando Ercole, sapevo che c'erano grosse probabilità di trovarlo in casa tua, lui andava sempre a dormire dai signori Harrison perché lo rimpilzavano di cibo, però non volevo disturbare, non la sera del trasloco... non ho nemmeno chiesto come ti chiami... Che gran maleducata sono! Come ti chiami, tesoro?»
«Oh, non si preoccupi, io sono Nimue». Perfetto, ora ci manca solo che le stringa la mano per sancire un accordo di lavoro. Riafferro la tazzina.
«Nimue, davvero un nome particolare», sorride, ma i suoi occhi tradiscono quel sorriso forzato. «Beh, mi sa che ti ho rubato un po' troppo tempo e non vorrei trattenerti ancora per molto... solo...», si alza e si avvicina a una vetrina curata e tirata a lucido, proprio come il resto della casa.
Velocemente afferra un oggetto e me lo porge «Ecco qui. Prendila e non perderla assolutamente di vista, al momento opportuno tutto ti sarà  più chiaro, stanne certa, cara... Nimue».
È oggetto così normale e comune che non capisco tutta questa cerimoniosità da parte di una sconosciuta nei miei confronti.
Sorrido, ma  il mio sorriso risulta più forzato di quello della vecchietta che ho di fronte, allora mi allontano, ma finisco con lo scontare una sedia riccamente decorata con fiori e colombe.
La signora Gill mi si avvicina, sconvolta, così sconvolta che gli occhi le hanno incominciato a lacrimare. 
«Oh, sei così giovane...», sussurra, mentre mi allontano dalla villa, la chiave di ferro stretta tra le mani.
 
   
 
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