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Autore: Namixart    19/04/2014    1 recensioni
Martina ha solo quindici anni, ma quando il suo migliore amico, Carter, scompare senza lasciare traccia, cade in una grave crisi di depressione. Perde il suo cuore e diventa un Nessuno dell'Organizzazione XIII.
Ma nessuno sa che Namixart, numero XV, Scintilla di Fiamme Oscure, non è ciò che sembra.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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La città era insopportabilmente afosa. Non c’era da stupirsi, dato che si trovava nel deserto, ma Nami e Sora, abituati a climi ben diversi, non erano in condizioni di razionalizzare.
- Mi sto sciogliendo, Nami! - boccheggiò Sora, disperato.
- Anch’io, credimi! - replicò la sorella, crollando all’ombra di una bancarella.
Così facendo, urtò il banco e fece cadere una mela. Sora si accasciò accanto a lei e raccolse distrattamente il frutto.
Pessima mossa.
- Ehi, tu! Razza di ladruncolo! Cosa credi di fare, eh? Quando si ha a che fare con i ladri c’è solo una cosa da fare… - ringhiò un omaccione minaccioso, schioccando le nocche.
- … Acchiapparli? - esclamò Nami, scattando in piedi e afferrando il fratello per una manica.
I gemelli iniziarono a correre tra la folla del mercato, facendosi largo a suon di gomiti, con il mercante che stava loro alle calcagna, finché non si sentirono sollevare per i colletti e trarre in salvo sul tetto di una casupola.
- Ve la siete vista pessima, ragazzi. Quel tizio, Habib, non scherza mai. - rise il loro salvatore, scrutando la strada.
Era un ragazzo. Aveva la pelle un po’ più scura di quella di Nami, capelli nerissimi e vivaci occhi dello stesso colore. Indossava un gilet viola e dei pantaloni larghi bianchi e rattoppati in più punti. Sulla testa era appoggiato un minuscolo copricapo rosso, probabilmente tipico del luogo.
Il ragazzo si voltò e li guardò per la prima volta in faccia, sorridendo.
- Comunque, io sono A… Sora! - esclamò, sbalordito.
- No, io sono Sora! - replicò stancamente lui, alzando lo sguardo.
Non appena vide il tizio che stava loro davanti, spalancò la bocca e gridò:
- Aladdin! -
- Non dirmelo, Sora, ti prego. - borbottò Nami, leggermente stufa di tutti gli amici che il fratello ritrovava.
- Ah, già. Lei è mia sorella, Namixart. - presentò Sora, felice.
- Piacere. A cosa devo la vostra visita? - chiese Aladdin, sedendosi.
- Cerchiamo dei nostri amici. - rispose Nami.
- Beh, qui non c’è nessuno. Le voci girano, ad Agrabah, avremmo saputo subito dell’arrivo di stranieri. A meno che… ma non è possibile. -
- Fa niente. Come va con Jasmine? - chiese Sora.
Aladdin si scurì in viso.
- L’hanno rapita. È stato l’unico straniero in città, un tizio strano. Non ho mai visto il suo volto, perché indossa sempre un soprabito nero. Però so che combatte con delle carte magiche. Se siete amici suoi, beh… - disse Aladdin, in modo molto esplicito.
- È l’Organizzazione! Noi li combattiamo. Cosa vuole da voi? - sbottò Sora.
- Ha detto che vuole che sia il Genio a salvarla. L’ha portata alle rovine nel deserto. -
- Cosa? Il Genio? - esclamò Sora.
- Chi è? - chiese Nami.
- Un essere soprannaturale che aveva il potere di esaudire tre desideri per ogni suo padrone, finché non l’ho liberato. È il mio migliore amico, e sto facendo veramente fatica a trattenerlo. Io ci ho provato un paio di volte, ma quel tizio ha sollevato sempre delle tempeste di sabbia assurde. -
Sora e Nami si scambiarono un’occhiata.
- Andremo noi. Non fare domande, se torniamo tutti interi ti spiegheremo ogni cosa. - disse Nami, alzandosi in piedi.
- Ma… -
- Fidati di noi. - rincarò Sora, balzando fuori dalla finestra, seguito a ruota dalla sorella.
I due ragazzi raggiunsero le porte della città molto velocemente, grazie alle indicazioni della gente. Ma quando uscirono da Agrabah, si ritrovarono nel mezzo del nulla. Letteralmente.
Non si vedeva niente per chilometri e chilometri, solo sabbia e vento.
Sora si afflosciò a terra.
- E adesso? -
- Ragazzi! - chiamò la voce di Aladdin, alle loro spalle.
- Non dovresti essere qui. - disse Namixart, voltandosi.
Il ragazzo scosse la testa.
- Come volete, ma voglio aiutarvi. Vi presento Tappeto! - esclamò, spostandosi di lato e rivelando il loro aiuto.
Era un tappeto dai disegni orientali viola, blu e dorati, con delle nappe d’oro che agitava in un timido gesto di saluto.
Esatto, perché era animato. Sora e Nami non dettero segni eccessivi di stupore, dopotutto avevano chiacchierato con soprammobili viventi.
- Lui sa dove sono le rovine, vi ci porterà in un lampo. - spiegò Aladdin.
- Grazie mille! - esclamò Sora, stringendo entusiasticamente la nappa a Tappeto.
I ragazzi salirono su di lui e spiccarono il volo, con un ultimo cenno di saluto a Aladdin.
- Se l’Organizzazione riesce a trasformare il Genio in un Heartless, siamo fritti. - commentò Sora, durante il viaggio.
- Basterà semplicemente impedirglielo, come sempre. - replicò Nami, con un sogghigno.
- Guarda, quelle devono essere le rovine! - esclamò poco dopo il ragazzo, indicando un ammasso di costruzioni di pietra distrutte.
- Sì, e laggiù c’è il tizio in nero. Forza, andiamo a dargli una lezione. - fece Nami, lasciandosi cadere dal Tappeto su una duna di sabbia.
Sora la raggiunse qualche minuto dopo, borbottando di “doti da saltatori evidentemente non genetiche”.
- Andiamo, su! - rise Nami, incamminandosi verso il punto dove poco prima si stagliava nitida la sagoma dell’uomo incappucciato. Solo che non c’era più.
- Ma dove…? -
- Questa mano l’ho vinta io, sarà per un’altra volta! Scarta una carta! - esclamò una voce dietro di loro.
Nami si voltò appena in tempo per vedere un’ombra che incombeva su di lei, prima di precipitare nel vuoto.
 
 
- Scarta una carta! È la trovata più sleale che abbia mai visto! - esclamò Nami, scocciata, mentre arrancava nel buio della camera sotterranea in cui era capitata.
- Chi c’è? - chiese una voce femminile, spaventata.
- Mi chiamo Namixart. Chi sei? - rispose Nami, accendendo un fuocherello su una mano.
La ragazza era chiaramente di sangue regale, a giudicare dall’abbigliamento raffinato, un completo leggero turchese e un diadema in tinta. Era molto bella, con occhi neri e capelli lunghissimi dello stesso colore.
- Ma tu sei… Vattene! Sei con lui! - gridò, rifugiandosi nel buio.
- Se ti riferisci al simpaticone nerovestito, mi ha tolta di mezzo dal combattimento con un trucco sleale, non siamo assolutamente in combutta. Devi credermi. -
- A chi vuoi darla a bere? Ti ho già vista ad Agrabah! Vestita esattamente come lui e con altri della vostra stessa risma. -
Nami sospirò. Fantastico. Doveva averla scorta durante il suo periodo nell’Organizzazione.
- Tu sei Jasmine, vero? Aiuterebbe se ti dicessi che sono la sorella gemella di Sora e ho incontrato Aladdin? - disse, lasciandosi cadere a terra.
- Sora? Aladdin? - esclamò Jasmine, scattando in avanti.
- Provalo. - disse, con voce sommessa e diffidente.
Nami evocò il suo Keyblade.
- Il Keyblade… Ti credo. Non sceglierebbe mai qualcuno di cattivo. -
- Magari fosse vero… - borbottò Nami a voce bassissima.
- Adesso che facciamo? Hai un piano per scappare di qui? - chiese Jasmine.
- Vorrei tanto, ma temo che dovremo aspettare e sperare nella vittoria di mio fratello. -
La principessa rispose con una smorfia e si mise a sedere, ricominciando a disegnare distrattamente con un dito nella sabbia. Nami la imitò, tutti i sensi attenti al minimo segnale di pericolo.
 
 
Roxaura scrutò il suo avversario. Quel ragazzo le era decisamente familiare, anche se non riusciva a capire chi fosse. Sembrava non vedere la luce, anche soffusa come quella che lo illuminava in modo lugubre, da secoli, perché sembrava fare molta fatica a tenere gli occhi, marrone scuro e cerchiati di nero, aperti. Aveva capelli neri lunghi fino alle spalle e spettinati, ulteriore indice della trascuratezza in cui sembrava vivere. Era pallido come un fantasma e magrissimo, a malapena riusciva a sostenere il peso della sottile spada nera che portava. Indossava una maglia azzurra strappata in più punti e i jeans che indossava non erano in condizioni migliori.
- Maestro, ma… - iniziò, titubante.
Lo avrebbe fatto a pezzi, sembrava così malridotto.
L’ologramma del Maestro pestò un piede, facendo risuonare il suono per tutta la sala. Era un ambiente spoglio, quattro pareti nere illuminate da altrettanti bracieri posti agli angoli. Un’arena.
- Silenzio. Lui si allenerà con te. Diventerete entrambi dei combattenti fortissimi. Non voglio sentire storie, capito? - disse il Maestro, con uno sguardo che prometteva fulmini e saette in caso contrario.
- Va bene, va bene… Posso almeno sapere il nome? - borbottò la ragazza.
- Il suo nome… - il Maestro scoppiò a ridere sommessamente. - Te lo dirà lui quando se lo ricorderà. - ghignò, svanendo.
- Beeene… Io sono Roxaura, e tu…? - disse Roxaura, rivolgendosi per la prima volta al ragazzo.
Lui alzò la testa e la guardò con occhi tristi.
- Io… non lo so. - mormorò il ragazzo.
- Va bene. Ti posso chiamare… Mark, per ora? - chiese lei, gentilmente.
“Mark” annuì.
- D’accordo. In guardia! - esclamò Roxaura, puntando il bastone contro la spada dell’altro.
Lui guardò l’arma come se la vedesse per la prima volta, poi, molto lentamente, la alzò e rivolse la punta contro la ragazza.
- In guardia! - esclamò Mark, incerto, ma deciso a combattere.
- E andiamo. - disse Roxaura, prima di lanciarsi all’attacco.
 
 
- Come sono andato? - chiese Mark, dopo l’allenamento.
Roxaura ci era andata molto, molto leggera con lui, ma era chiaro che con un po’ di allenamento sarebbe diventato molto forte.
- Benissimo, dico sul serio. Diventerai davvero bravo come ha detto il Maestro. -
Mark aggrottò la fronte.
- “Maestro”? È così che si chiama? -
- Beh, sì. Non te l’ha detto? -
- Nessuno parla con me da… parecchio. Tu sei la prima, Roxaura. - pronunciò il suo nome come se cercasse di imprimerselo nella mente.
- Da quanto, esattamente? -
- Non lo so. Non so nemmeno come sono arrivato qui. - mormorò Mark.
- Beh… penso che potremmo riuscire a farti tornare la memoria. È una promessa. -
- Davvero? -
- Certo! Siamo amici, giusto? -
- Amici… Hai ragione. - disse Mark, sfoderando il primo sorriso del giorno.
 
 
- Naaamiii! Sorellina, dove seiii? - chiamò la voce cantilenante di Sora, rimbombando nella sala sotterranea.
Namixart sbuffò.
- Sora! Siamo qui! - gridò in risposta.
- Non vi vedo! -
- Avevo intuito. - sbuffò ancora Nami, accendendo il solito fuocherello nella mano.
La tenue luce gettata dalla sua magia illuminò il volto di Sora a poca distanza da lei e Jasmine.
Aveva la faccia stravolta di chi ha combattuto parecchio e l’aria scocciata che caratterizza lo svantaggiato in una battaglia assolutamente non leale.
- Ehi! Jasmine! Stai bene? - esclamò, scorta la principessa.
- Sora! Grazie, sto a meraviglia. Dov’è Aladdin? - chiese.
- Non l’abbiamo lasciato venire. Luxord, il tizio dell’Organizzazione, l’avrebbe fatto a fette. -
Jasmine fece una smorfia di disapprovazione, come a sottolineare che Aladdin avrebbe potuto mangiarselo a colazione, Luxord, ma non disse nulla.
- Come usciamo di qui? - chiese Namixart.
- C’è un condotto, più avanti, che porta direttamente in superficie. - rispose Sora, iniziando a fare strada.
Le ragazze lo seguirono, alla luce della piccola fiamma di Nami.
Pochi minuti dopo riemersero, cosparsi di sabbia dalla testa ai piedi, ma illesi. La luce durò pochi istanti, perché la loro visuale fu invasa da una marea blu urlante.
- JASMINE! SORA! RAGAZZA-CHE-NON-CONOSCO! - gridò l’essere, stritolando tutti e tre in una morsa d’acciaio.
- A…aiuto! - fece Sora, mezzo soffocato.
- Aiuto? Chi ha chiamato aiuto? Genio pronto al salvataggio! - gridò ancora, lasciandoli cadere a terra.
- Genio! - esclamò Jasmine, in tono di rimprovero.
Fu solo allora che lui si calmò e riuscì a… no, non a ricomporsi, perché s trasformò in un essere umano dalla pelle blu, vestito da maggiordomo.
- Io sono il magnifico Genio della Lampada, in che posso servirvi? - si presentò pomposamente, inchinandosi.
- Ehi, Genio, come va? - chiese allegramente Sora, ripresosi dallo stritolamento.
- Mai stato meglio, ragazzo mio! Ma dimmi, chi è questa ragazza che ti accompagna? - chiese, con uno sguardo malizioso rivolto a Nami.
- Namixart, è mia sorella. - la presentò Sora, evidentemente ignaro delle allusioni del Genio.
- Onoratissimo, milady! - esclamò il Genio, trasformandosi in una sorta di principe che le fece il baciamano.
Namixart non sapeva se ridere o meno, quell’essere era troppo strano.
- Comunque, dov’è Al? - chiese il Genio, ricomponendosi.
- Jasmine! - gridò il suddetto ragazzo, sbucando di corsa da dietro una duna.
- Aladdin! - esclamò la principessa, correndo verso di lui e abbracciandolo.
Il Genio si nascose teatralmente una lacrima di commozione, tra le risatine sommesse dei gemelli.
A un tratto si udì un leggero ma fastidioso trillo, proveniente dalla tasca interna della giacca di Sora.
Il ragazzo estrasse il piccolo telecomando collegato alla Gummiship e gli diede un’occhiata.
- Nami, guarda qua. - disse, passandolo alla sorella.
Sul display erano mostrati i vari mondi, ma la Fortezza Oscura aveva qualcosa di strano. La città era circondata da una cortina di fumo nero, che ormai Nami associava alle mistiche apparizioni dell’Organizzazione.
- Dobbiamo salutarci, mi sa. - disse Sora con aria imbarazzata, rivolgendosi ad Aladdin, Jasmine e al Genio.
- Di già? - esclamò la principessa.
- Perché dovete sempre scappare da qualche parte? Non passate mai un po’ di tempo con i vostri amici! - esclamò il Genio, apparentemente ferito, scoppiando a piangere.
No. Esplodendo letteralmente in grosse gocce blu con la sua faccia sopra.
- Problemi con gli Heartless, il solito. Ma richiedono la nostra augusta presenza per ripulire i borghi dalla feccia oscura. - disse Sora, gonfiando il petto.
- Dobbiamo andare. - tradusse Nami, sorridendo e acchiappando il fratello per il colletto.
- Te la sei studiata, vero? - gli sussurrò poi, mentre salivano sulla Gummiship.
- Ovvio che sì! E tu hai rovinato tutto! - borbottò Sora, con un finto broncio che fece scoppiare a ridere Nami.
- Muoviti, fratellino. Alla Fortezza hanno bisogno di noi. - disse, voltandosi un’ultima volta a salutare gli amici di Agrabah.
- Nami, ti dispiace se dormo un po’ e guidi tu? - chiese Sora, con malcelata complicità.
Nami spalancò gli occhi, come una bambina piccola.
- Mi stai davvero lasciando ai comandi? - chiese, incredula.
- Sì, ma se ti schianti te la faccio pagare. - ridacchiò Sora, sistemandosi nella poltrona per dormire.
- Fidati di me, fratellino. - esclamò lei, fiondandosi ai comandi e sfregandosi le mani.
- Ecco, se fai così non mi fido per niente. - commentò il ragazzo, con un mezzo sorriso.
 
 
[Angolino autrice]
Ehm...
*Si fa microscopica sotto lo sguardo accusatore dei suoi lettori (immginari o meno)*
Stavolta ho una scusante! Lo giuro! Il mio computer non ha più accesso a internet, quindi non sono riuscita a pubblicare (e anche quello da cui sto scrivendo non è mio)!
Tornando al capitolo, chiedo perdono per l'indecentemente poco spazio dedicato al mondo di Agrabah. In realtà era tra quelli che avevo escluso dalla storia ma una mia amica mi ha minacciato di morte se non l'avessi inserito (tra l'altro non le piace nemmeno KH, sono io che la stresso con le mie storie, ma vabbé), quindi eccomi qua.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, quantomeno.
Alla prossima (il prima possibile, spero),
Nami :3
  
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