#1.
Prologue or the wake up call of fucking o'clock
Quella
mattina mi svegliai alle martellanti vibrazioni della Primavera di
Vivaldi.
No,
non di certo l'originale trionfo classico esaltato da cultori e
non... ovviamente era una cover trash metal che il mio ragazzo aveva
provveduto
gentilmente
a
dedicarmi perché secondo lui ero
"fottutamente
noioso"
come
un filosofo ottantenne del settecento (sapete, nell'800 si
divertivano con le droghe e a suo avviso persino loro erano
più
interessanti di me).
In
un primo momento cercai con tutte le forze di mantenere il mio stato
di beata incoscienza ma dal momento che quel dannato dispositivo
infernale non ne voleva sapere di smettere di squillare, o
possibilmente implodere, mi trovai costretto ad allungare un braccio
fino al comodino e portai il cellulare all'orecchio.
Me
l'avrebbe pagata, chiunque aveva il coraggio di telefonarmi alle
sacrosantissime...
"Che
cazzo di ore sarebbero?"sibilai velenosamente senza azzardarmi
ad aprire gli occhi, temendo che le mie orbite potessero prender
fuoco. Giudicando dalla luce che arrivava alle mie palpebre doveva
essere mattina.
"Buongiorno
a te, Roxas. Sono le 9.30 e dal momento che non ti ho visto al campus
ho pensato di chiamarti" la voce dall'altra parte
dell'apparecchio trillò gioiosa e io non mi capacitai di
come
potesse esistere tanta felicità ad un'oscena ora del
mattino.
Purtroppo per me ero messo così male che in un primo momento
stavo
per chiedere alla persona chi cazzo fosse, poi la realizzazione mi
colpì come uno schiaffo in pieno volto... o meglio, come il
mal di
testa colossale che mi stava assalendo.
"Roxas,
ci sei?"
"Pence...
lasciami stare" mugugnai con voce impastata mentre mi coprivo
dalla luce con un braccio sugli occhi.
"Ho
capito... oggi non sei in vena di lezioni. Vieni solo a consegnare la
relazione?"
Ero
già pronto per attaccare il cellulare e ritirarmi ancora una
volta
nel mondo di Morfeo, quando quelle parole fecero scattare qualcosa
nella mia mente ancora
assonnata.
9.30...lezioni...relazione...
"PORCA
PUTTANA" vociai con molta finezza.
In
meno di un secondo mi misi a sedere e lanciai le coperte in aria. La
relazione! Cazzo, la relazione su cui avevo lavorato per le ultime
tre settimane. Se non l'avessi consegnata oggi non solo sarei stato
bocciato al corso di filologia, ma avrei anche perso
l'opportunità di entrare nella gloriosa cerchia elitaria dei
tirocinanti. Ormai ero cosi perso nei miei pensieri e in preda a uno
schifosissimo ritardo che, nel tentativo di alzarmi più in
fretta
possibile, mi aggrovigliai nelle lenzuola e caddi a terra di
pancia.
"Cosa
c'è,
Rox?
Sei inciampato?"
"Sì...
sì sono inciampato, non farci caso. Sono per strada!" mi
affrettai a mentire recuperando il cellulare dal pavimento, cercando
di riguadagnare pieno uso delle mie facoltà motorie.
"Okay.
Ti ho chiamato per chiederti di Olette...Sora ha detto che non sei
tornato per la notte, così ho pensato che ti sei trattenuto
da lei.
È così?"
Sgranai
gli occhi e mi accorsi che effettivamente quella in cui mi trovavo
non ricordava esattamente la mia stanza
"S-sì"
Gattonai
velocemente verso il letto e gettai uno sguardo nel suo interno
sperando vivamente di non trovare quello che la mia mente mi stava
allertando come un possibile codice rosso.
Olette.
Nuda. Nel letto in cui mi ero svegliato.
Gesù
Cristo nell'alto dei cieli!
"E
ovviamente sei andato tu sul divano vero? Non vorrei che con la scusa
dell'ospitalità lei ti abbia ceduto il suo letto.."
"Ma...ma
no che dici! Sono andato io sul divano!"esclamai con voce
stridula iniziando a sudare freddo e temere per la mia pelle.
Caro
Pence, qui il problema non è letto o divano ma ben altro,
ovviamente
questo non avrei mai potuto dirglielo.
"D'accordo.
Allora
ne parleremo da vicino"
Povero
me.
Mi
affrettai a chiudere la chiamata affermando di dover entrare in
metropolitana e, alzandomi alla svelta, intoppando ancora un paio di
volte nelle lenzuola, tirai un paio di imprecazioni sottovoce.
"Hai
un bel culetto, lo sai?" la voce femminile alle mie spalle mi
fece voltare e soltanto all'insistente sguardo color nocciola posato
su un punto basso della mia persona, mi fece accorgere della mia
totale nudità.
Arrossii
violentemente e scappai con tutta velocità nel salotto, non
prima di
aver raccolto i miei vestiti.
Ero
in ritardissimo, dovevo sbrigarmi. Senza neanche degnarmi di darmi
una rinfrescata in bagno, iniziai a indossare i miei indumenti
sgualciti che la sera prima dovevo essermi sfilato in preda a una
qualche foga sconosciuta, giudicando dal modo in cui erano gettati in
giro.
Ed
ecco che altri ricordi iniziavano ad affiorare: tanta birra e i
riscaldamenti tremendamente caldi, Olette era felice e le sue gote
erano arrossate.
"Che
cosa abbiamo fatto..." il tono di consapevolezza della ragazza,
appoggiata allo stipite, diede aria ai miei pensieri e subito sentii
un senso di panico pervadermi lo stomaco.
"Credo
che abbiamo alzato il gomito ieri" dissi come un dato di fatto
mentre andavo alla ricerca dei miei beni personali.
"Dobbiamo
dirglielo" Olette sussurrò portandosi una mano alla bocca.
Mi
voltai di scatto verso di lei, la tracolla ormai trovata in spalla e
skate sotto braccio. Un'espressione di puro orrore si formò
sul mio
volto "No 'Lette!" esclamai subito "Non...non
possiamo, cavolo! Non è successo niente, il nostro
è stato un
grosso e stupido errore e ora ci metteremo una bella pietra sopra..."
continuai ora con più lentezza per farle assimilare le
parole.
"Ma
io mi sento in colpa" tentò di protestare lei ma io alzai
una
mano e le feci gesto di fermarsi.
"Ora
non c'è tempo, stasera se vorrai avremo tutto il tempo di
sentirci
delle merde e ne parleremo, ora però devo scappare!"
"Rox
i miei..." cercò di dire ma ancora una volta la bloccai e mi
avvicinai di corsa alla porta d'ingresso, facendo contatto visivo con
lei invece che dove mettevo i piedi.
"Niente
ma, mi raccomando non parlare con Pence in mia assenza!"
"No,
Rox! attenzione ai miei-" non fece in tempo a finire che ci fu
un tonfo sordo e mi ritrovai a faccia a terra e un profondo e acuto
dolore iniziò ad irradiarsi dal mio bassofondo "...pesi"
È
normale che una persona lasci i propri pesi per fare fitness in giro
per casa senza alcun ritegno?
Evidentemente per gli altri sì.
"Dannazione!"
Non
le diedi neanche il tempo di dire qualcosa che ero già
giù per le
scale, senza perder tempo a chiamare l'ascensore o a lasciar passare
prima gli anziani dal portone. Schizzai come una furia sul mio skate
verso casa.
Dovevo
sbrigarmi, il tempo stringeva e se non avessi fatto in tempo avrei
fottuto tutta la mia intera esistenza, a partire dal mio impegno
universitario a finire ai rapporti sociali. Fortunatamente Olette
abitava abbastanza vicino casa mia, quindi non mi ci sarebbe voluto
molto a raggiungere il mio appartamento.
Si
dice che la vita di teenager non possa far tanto schifo: c'è
l'università, ci sono gli amici, una casa propria lontano
dal nido
familiare e, se si è fortunati, c'è pure l'amore.
Beh
ovviamente non è stata presa in esame la vita di Roxas
Cooper.
Avete
presente quella sgradevole sensazione di inferiorità
guardando dal
basso verso l'alto qualcosa o qualcuno?
Forse
no, ma arrivare all'età di 19 anni, 3 mesi e 14 giorni ed
essere di
5 cm più
basso della simpatica vecchietta ricurva della porta accanto o del
proprio gemello, quello sì che è un problema. Se
a questo
aggiungiamo la lunga fila di figure di merda e casini alle spalle,
allora il soggetto è inquadrato.
"Buongiorno
signora Smith" provai a salutarla, perplesso dalla strana
occhiataccia che mi stava lanciando da quando eravamo entrambi
entrati nell'ascensore del palazzo in cui vivevamo.
Lei
non rispose, mi indirizzò un suono gutturale poco amichevole
e
storse il naso.
Perfetto,
anche la nonnetta voleva darmi del filo da torcere.
Fortunatamente
arrivammo subito al terzo piano e mi congedai da lei con gran
velocità, affermando di essere in ritardo spaventoso per
l'università. Entrai in casa incespicando nei giocattolini
idioti di
cui era cosparso il pavimento e subito fui accolto festosamente da
una matassa di peli color caffè latte dallo stupido nome di
Chelsea
bun
(solo
quell'idiota di mio fratello poteva dare il nome di un dolce ad una
povera bestia...un po' come se io chiamassi mia
figlia
Peperonata).
Aggrottai
la fronte e con una gamba la scostai da parte, ignorando tutte le
feste che quel cane spastico faceva ogni volta che mi vedeva. Per
certi versi mi ricordava mio fratello, erano scemi alla stessa
maniera e non volevano saperne in nessun modo del mio rifiuto nei
loro confronti... dopotutto come si dice, il cane riflette il proprio
padrone. Con questo non voglio dire di odiare i cani, odiavo
spasmodicamente solamente tutte le cose allegre e calorose.
Feci
una corsa nella mia camera, dove afferrai malamente la pila di fogli
dalla mia scrivania e con altrettanta velocità ripercorsi la
strada
a ritroso per uscire ancora una volta. Solo per fortuito caso mi
ritrovai a lanciare un'occhiata al mio riflesso nello specchio e
lì
lo notai. Un esteso marchio rosso sul collo, ricordo dell'attacco a
sorpresa che avevo subito la sera prima da Olette. Allora
quello
era
il motivo per cui la signora Smith mi aveva guardato male.
Che
figura di merda.
Mi
coprii con una sciarpa e iniziai a correre come un povero disperato
per tutta la strada fino a raggiungere la stazione della
metropolitana. Da Victoria a Bloomsbury, dove si trovava la mia
università, ci avrei impiegato una quarantina di minuti, io
ne avevo
solo quindici a disposizione.
Avrei
dovuto consegnare quella relazione a tutti i costi.
"Accidenti!"
il mio urlo stizzito riecheggiò nella strada semi deserta
quando con
lo skate avevo preso una pietra e mi ero esibito ancora una volta in
una scenografica caduta.
Io
e Olette eravamo amici di infanzia, sebbene lei fosse di qualche anno
più grande di me, e condividevamo la stessa cerchia di
amicizie. Da
un paio d'anni lei si era messa con questo ragazzetto un po' in carne
che frequentava la mia stessa università, si chiamava Pence
ma per
me era testa
d'ananas
a
causa della sua capigliatura particolare e, a parte la sua aria
trasognata, era un tipo davvero forte.
Un paio di mesi fa Olette uscì incinta e quindi i due
avevano annunciato il loro fidanzamento
ufficiale, tutto andava magnificamente e io ero davvero felice per
loro, purtroppo però ci fu un intoppo e qualche settimana fa
Olette abortì spontaneamente. Le cose hanno iniziato ad
andare di
male in
peggio tra i due e da quel momento si erano presi una sorta di pausa
sotto
richiesta di lei, e in quanto migliori amici dei due io e Hayner
avevamo cercato di fare il possibile per entrambi. Quello di cui ero
stato protagonista assieme a Olette la notte passata era stato solo
un grande, madornale malinteso, e se Pence o Hayner avessero saputo
qualcosa la mia giovane e promettente esistenza sarebbe terminata
seduta stante.
La
scena potete immaginarvela: Olette triste, Olette che si lascia
consolare dal suo migliore amico davanti un film strappalacrime,
Olette che si ubriaca, Olette che gli salta addosso animata da
ancestrali istinti
ricreativi
(e
forse anche riproduttivi?). E io da buon amico ho tentato il
possibile per scrollarmela di dosso - ovviamente a questo punto vi
direte
"Cavolo
questo è proprio gay"...
beh non è del tutto errato. Le cose stanno così,
sono bisex e la storia della mia
scoperta sessuale rientra tra le figure di merda che compongono il
mio bagaglio di esperienze.
"Professoooooreee"
arrivai correndo nel corridoio della facoltà, evitando gli
studenti
e sventolando la mia relazione nella speranza di fermare il vecchio
insegnante che a giudicare dall'ora aveva già terminato la
lezione
"Professor Nelson! Mi aspettiiii"
Dovevo
aver fatto così tanto casino che quest'ultimo si
girò con
espressione a dir poco scioccata, urlando qualcosa a proposito di un
attacco terroristico imminente. Una volta che lo ebbi raggiunto in
extremis e lo ebbi calmato, gli spiegai in maniera
molto
fantasiosa
il
motivo del ritardo e gli riuscii a consegnare la relazione fuori
tempo massimo ma ovviamente qui c'è di mezzo Roxas Cooper e
quindi non
poteva mancare almeno un inconveniente, di qualsiasi natura esso si
trattasse.
"Signor
Cooper, mi dispiace molto che i suoi genitori siano stari rapiti da
un gruppo di indigeni durante la loro missione umanitaria in Congo.
Purtroppo però i posti per il tirocinio sono terminati
giusto poco
fa e non posso fare molto"
"Ma...
ma..." biascicai paralizzato, non sapevo se piangere o urlare
dalla disperazione ma in entrambi i casi non ci avrei fatto una bella
figura "Professore... io... io ho faticato tanto per quel
posto"
"Lo
so e per questo ne sono desolato, lei è anche l'unico
studente del
primo anno ad aver frequentato il corso e sarei stato
davvero
felice
se si fosse unito a noi ma purtroppo è arrivato troppo
tardi"
Mantenni
le sembianze di un vegetale per una buona parte della mattinata,
lezioni comprese. Non riuscivo davvero ad accettare il fatto di aver
perso il posto a causa di uno stupido ritardo! Stupido tirocinio,
stupido professore, stupido Pence, stupida Olette, stupido
Roxas...stupido Roxas! Senza quel tirocinio alla Biblioteca Nazionale
non sarei mai potuto entrare a far parte degli
esclusivi circoli letterari e filologici e la mia vita avrebbe perso
ogni valore!
"Suvvia
Rox non fare quella faccia" Pence mi sventolò una mano
davanti
agli occhi, avrei detto che era genuinamente preoccupato per me se
sul naso non avesse avuto un paio di femminilissimi occhiali da sole
a farfalla.
"Tu
non capisci..." sospirai affranto appoggiandomi ad una panchina
"E levati quei cosi... sei ridicolo"
Lui
sobbalzò e indicò gli occhiali "Parli di questi?
Sono di
'Lettie... mi manca tanto" le ultime parole furono aggiunte con
un tono decrescente, poi mi lanciò un'occhiata "Come sta?"
Pur
di non rispondere a quella domanda mi sarei voluto trovare volentieri
al posto dei miei genitori nelle mani degli indigeni in Congo come
nella mia fantasia "Beh" temporeggiai grattandomi dietro il
collo.
"Allora?"
"Sta..."
guardai il cielo leggermente nuvoloso sopra di me nella speranza di
trovare un suggerimento scritto su qualche nuvola ma ancora nessun
segno "Sta bene direi... così e così" azzardai
tornando a
guardare il mio amico che annuiva ad ogni parola che pronunciavo
"Penso che abbia bisogno di un po' di tempo ancora"
"Va
bene... tutto quello che vuole per farla stare bene" quella
risposta davvero mi rincuorò e stavo quasi per rilassarmi al
pensiero del temporaneo pericolo scampato "Però vorrei
parlarci. Magari stasera"
Strabuzzai
gli occhi e per poco non mi affogai con la mia stessa
saliva.
"NO!"
Pence
mi guardò perplesso "Come no?"
"Eh...
oggi no... voleva... sì, voleva accompagnare Sora a fare il
pedigree
a Chelsea bun!"
"Oh...
domani?"
"Palestra"
"Dopodomani?"
"Lezione
di uncinetto"
"Olette
lavora a maglia?" mi guardò sconcertato e io mi ritrovai a
scrollare le spalle sinceramente preoccupato per tutte le stronzate
che stavo sparando per non cacciarmi nei guai "Allora... credo
che sarà per un'altra volta?"
Io
annuii nella speranza che quella conversazione finisse al
più
presto. Pence si trattenne a parlarmi ancora un po' quando alla fine
lo interruppi affermando che Hayner mi aspettava per il pranzo,
così
lo salutai e feci per andarmene ma mi trattene per un'ultima
volta.
"Ah,
Rox?"
"Hm?"
"Era
il tirocinio di filologia del signor Nelson?"
Risposi
affermativamente con un cenno del capo.
"Potrei
provare a mettere una buona parola con il professore... sai lui
è
mio zio di secondo grado e tu sei davvero un buon amico, vorrei
sdebitarmi"
Mi
sentii davvero una merda durante il tragitto sullo skate da
Bloomsbury a Camden Town. In realtà a pranzo non avevo
nessun
appuntamento galante ma volevo solo sfuggire all'insorgere di
ulteriori problemi e avere un po' di tranquillità, da quando
mi ero
svegliato quella mattina non avevo fatto altro che correre ed essere
perseguitato dalla sfiga, tutto quello che mi serviva erano solo
staccare la spina e magari un po' di coccole. Così per
sentirmi meno
in colpa con Pence decisi di fare il bravo fidanzato e passare da
Subway a prendere il pranzo: per il mio ragazzo il suo panino
preferito con le polpette e per me una bustina di fette di mela e un
cookie.
"Ehi
Rox!"
Quando
mi chiusi la porta alle spalle quelle furono le prime parole che mi
sentii rivolgere e subito sorrisi, sentendo lo stress e l'agitazione
accumulate durante la giornata sciamare via all'istante.
"Hayner"
trotterellai
con
un gran sorriso sul volto
fino
al bancone dietro al quale era seduto.
"A
cosa devo la visita? Oggi non ti aspettavo" ridacchiò
allungandosi per rubarmi un bacio a fior di labbra.
"Non
posso fare il bravo fidanzato?" mugolai mettendo su un finto
broncio.
"Quello
che vuoi... non posso resistere al tuo faccino da schiaffi" rise
scombinandomi dolcemente i capelli "E vedo che hai portato anche
il pranzo, un altro motivo per cui non potrei rifiutarti"
Feci
un sorriso a trentadue denti e gli passai la busta di carta.
Io
e Hayner stavamo insieme da quasi un annetto ormai anche se la nostra
storia non era accettata di buon grado da mio fratello Sora. Hayner,
più grande di me di tre anni, proveniva dai bassifondi di
Camden e
aveva sempre vissuto una vita poco
rispettabile
secondo
gli standard della mia famiglia, e, dal momento che viveva
lì era
scontato che frequentasse punk, metallari e gente strana in
abbondanza... dopotutto quello era anche il tipo di clientela verso
cui era indirizzato il suo negozio di musica alternativa. Come ci
eravamo conosciuti era una bella domanda ma quello che tutti si
chiedevano era cosa accomunasse uno come me con un tipo del genere.
Altra bella domanda.
"Hai
delle occhiaie molto sexy" spezzò il silenzio Hayner
addentando
il panino.
"Lieto
che siano di tuo gradimento" mormorai invece io senza
distogliere l'attenzione dalla mela che stavo
spilluzzicando.
"Seriamente,
fai un po' paura. Si può sapere cos'hai? Solitamente ti
rinchiudi
nei meandri più oscuri di quell'università e non
emergi dalle sue
tenebre fino alle 5 più o meno"
"È
che..."
alzai
lo sguardo e sospirai pensieroso ma poi scossi il capo e tornai di
nuovo alla mia mela "Niente... problemi vari"
Lui
si avvicinò con il volto e mi guardò accigliato
"Devo
preoccuparmi?"
Mi
affrettai a scuotere il capo e tornai a mangiare in religioso
silenzio, in realtà ci pensai qualche minuto e poi diedi
aria ai
miei pensieri.
"Hayner?"
"Mmh?"
Abbassai
lo sguardo, leggermente nervoso per quello che stavo per dire
"C'è
un mio caro amico..."
"Hai
cari
amici?"
interloquì subito lui con ironia non dandomi il tempo di
terminare,
io lo fulminai immediatamente con lo sguardo e ripresi a
parlare.
"Dicevo...
c'è un mio caro amico
dell'università"
aggiunsi marcando le ultime parole e Hayner ridacchiò "Che
ha
una migliore amica che considera come una sorella. Questa migliore
amica ha deciso di prendere una pausa dal proprio fidanzato e per
svagarsi inizia a frequentare di più gli amici, tra cui
questo
mio
caro
amico.
Però un giorno i due si ubriacano e lei finisce per assalire
questo
povero ragazzo che non è consenziente... sai, non fanno
quelle
cose... però lei è peggio di una zecca in calore"
lanciai
un'occhiata ad Hayner che sembrava cercare di realizzare la storia
nella sua mente e inspirai profondamente "Uhm... se tu fossi il
ragazzo di questo mio caro amico.... tu cosa faresti?"
Lui
inarcò un sopracciglio e mi scrutò per un lungo
istante "Beh...
considerando che lei gli si è buttata addosso e lui non era
consenziente credo... credo che bisognerebbe fare una bella lavata di
testa alla ragazza, penso che la colpa sia sua"
Tirai
un sospiro di sollievo ma fui costretto a ritirarlo quando l'altro
continuò a parlare.
"Però
d'altra parte il mio ragazzo me la pagherebbe molto cara
perché io
sono un tipo geloso e possessivo e non voglio vederlo in situazioni
ambigue con altri che non siano me" aggiunse con un tono
fintamente angelico e io subito mi sentii prendere dal panico...
sapete, Hayner nel tempo libero faceva karate.
"Io...
io non ti tradirei mai, lo sai vero?" chiesi allarmato.
Lui
sorrise e mi diede una pacchetta sul capo "Certo che lo so, sei
così buono e innocente che non faresti mai del male ad una
mosca"
Risposi
al suo sorriso e poi parlai ancora una volta, questa volta in cerca
di una conferma fiduciosa"E tu mi tradiresti mai?"
Hayner
non mi rispose subito, rimase a scrutarmi a lungo, secondi per me
interminabili dove l'unico suono che riuscivo a sentire era solo il
cuore che mi batteva forte nelle orecchie.
"Ma
certo che no" abbozzò un sorrisetto e si voltò
verso il muro
dietro di sé "Anzi ci sarebbe una persona con cui ti
tradirei"
Io
battei le palpebre "Chi?" chiesi in un sussurro quasi
impercettibile.
"Come
chi?" Hayner ridacchiò e da uno scatolone a terra
iniziò a
prendere dei poster e dello scotch per attaccarli al muro "Axel
Ramirez"
"E
chi sarebbe?"
"Te
l'ho detto mille volte, è il cantante dei Pyromniac... ed
è anche
un gran pezzo di figo" si voltò verso di me e
iniziò a ridermi
in faccia.
A
quella risposta non sapevo se ridere o piangere, se rassicurarmi
della sua fedeltà oppure iniziare a preoccuparmi. Chinai il
capo e
tornai alle mie fette di mela mentre lui tornava al suo lavoro,
purtroppo però la calma non durò molto che il mio
cellulare prese a
squillare e io mi preparai psicologicamente quando lessi il nome sul
display.
"Sora"
constatai.
"Ciao
Rox, come va?
È
da tanto che non ci sentiamo, tu non ti degni mai di farmi una
chiamata eh?" la voce del mio malaugurato gemello per poco
non
mi perforò un timpano.
"Ci
siamo visti ieri pomeriggio a casa, ti ricordo che viviamo insieme.
Ora vai dritto al sodo" esclamai già spazientito dalla sua
voce
allegra.
"Come
sei noioso Rox, te l'hanno mai detto?"
"Sì,
sempre" dichiarai immaginandomi mio fratello che dall'altra
parte metteva il broncio, alzai poi lo sguardo e notai Hayner che
seguiva con interesse la mia conversazione. Diceva che si divertiva a
vedermi interagire con mio fratello, io invece avrei voluto
strozzarlo.
"Comunque
ho due notizie, una buona e una cattiva... quale vuoi sentire per
prima?"
Puntellai
sul bancone e sbottai infastidito "La cattiva" sapendo già
che per me non ci sarebbe comunque stato niente di positivo in
entrambe.
Ci
fu una breve pausa.
"Ho
fatto un incidente con l'auto... ho pagato il carro attrezzi e la
riparazione con tutti i nostri risparmi"
Mi
ci volle qualche istante per realizzare l'accaduto e una volta
compresa la gravità della situazione sbarrai gli occhi e
spalancai
la bocca a quella notizia, incapace di proferire parola. Mio
fratello, sapendo di avermi sconcertato non poco, si
affrettò così
a continuare "La bella
notizia è che ha chiamato Cloud e ci
ha
invitati a passare l'estate a Beverly Hills per
festeggiare l'uscita del suo nuovo film!" ancora nessuna
risposta da parte mia
"Si parte tra una settimana"
Non
attese che io dicessi qualcosa, appena finì di parlare si
affrettò
subito ad attaccare, evidentemente sapeva già che una volta
a casa
me l'avrebbe pagata cara. Molto cara.
"SORAAAAAAAAA"
il mio urlo furibondo riecheggiò per tutto il quartiere e
dintorni.