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Autore: Francine    21/04/2014    5 recensioni
«Sai, tu ed io siamo simili ed abbiamo un interesse in comune, anche se lo vediamo da due parti diverse. Non credi anche tu che dovremmo collaborare?»
«Sicuro. Solo che non vedo quale sia, questo interesse comune….»
Alberto ridacchiò.«Ma è Claudia, amore. Solo che tu vuoi distruggerla, io, invece, salvarla….»
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa storia è un’opera di finzione. L'ho ancorata ad un orrendo fatto di cronaca italiana per darle delle radici. Di sangue, ma pur sempre radici. Ogni riferimento a fatti realmente avvenuti e a persone realmente esistenti è quindi da considerarsi puramente casuale.


Sabato Pomeriggio



Roma, 19 Luglio 1980

La Biondina entrò nel bar. 
Terzo tavolo in fondo, sotto la foto di Berlinguer
, le aveva detto lui, e così lei fece, accomodandosi spalle all'entrata e accavallando con grazia le gambe sotto la superficie di legno scheggiato. Si accese una sigaretta e attese. Non capiva come mai avesse voluto incontrarla in quel posto, un bar piccolo e in eterna penombra, proprio dietro via delle Botteghe Oscure. Il Bar dei Comunisti, lo chiamavano, e adesso lei capiva il perché: alle pareti campeggiavano gigantografie dei politici che avevano militato sotto la falce e il martello, tessere del partito esposte come quadri in una pinacoteca, bandiere rosse e tutto il genere di memorabilia che può saltar fuori dal cilindro della classe operaia.

Sfigati, pensò lei scostandosi i capelli. Non capiva cosa ci stesse facendo in quel piccolo bar in penombra al centro di Roma, perché se per lei tutto quel circo era solo un puro e semplice attentato al buongusto, per lui era molto di più. Era la materializzazione di tutto quello che aveva osteggiato sin da bambino, almeno a detta dei ragazzi del quartiere.
E un comunista non diventa certo un poliziotto, si disse scrollando la cenere.
Trovarselo all’altro capo del telefono era stata una sorpresa già di per sé, visto che lei era certa al mille per mille che lui non avesse il suo numero; ma quello che più di tutto aveva fatto scattare la molla che l’aveva portata a quell’incontro era stata la nota di sottofondo nelle parole di lui. 
Avrei bisogno di parlarti di una cosa urgente. Possiamo vederci nel pomeriggio?, le aveva chiesto con un po’ d’imbarazzo, del tutto inspiegabile in uno che era abituato a lasciarsi alle spalle cuori in cocci e sospiri d’amore. Ed ora, eccola lì, ad aspettare l’ultima persona che mai avrebbe potuto immaginarsi d’incontrare con un sottofondo di curiosità che la stava rosicchiando pian piano. 
E se lo stesse facendo apposta?, si chiese, Se mi stesse facendo cuocere nel mio brodo fino a quando, macerata a puntino, io non gli risponda di sì, a prescindere?

Spense la sigaretta nel posacenere di vetro rosso e rimuginò, corrugando la fronte liscia. 
Alberto le aveva telefonato, lui che non aveva il suo numero, lui che mezzo quartiere diceva di conoscere ma che solo in pochi potevano vantare come amico, lui che era abituato a schioccare le dita ed avere donne scondizolanti ai suoi ordini.
Un’altra, al posto mio, sarebbe morta di felicità, pensò osservandosi sulle lenti degli occhiali da sole. Vestiti senza dare nell’occhio, si era anche raccomandato chiudendo la telefonata, e lei aveva obbedito, senza sapere bene il perché: una maglia gialla, un paio di jeans, scarpe da tennis bianche, un cerchietto a tenerle indietro i capelli sciolti e un velo di lucidalabbra rosa.
Perché ho accettato?, si chiese osservandosi la manicure.
Perché non sai cosa ti sarebbe successo in caso contrario, si rispose. 
Sì, Alberto era strano. Era fissato con un certo stile di vita, sì, ma non era solo questo. C'era qualcosa in quel ragazzo che lo rodeva da dentro, a livello viscerale, e che, consumandolo, lo spingeva ad andare avanti, dritto e indefesso sino alla meta. Qualunque essa sia. Daniela gliene tesseva sì le lodi, ma erano sempre velate da una nota di antipatia sottile, quella del genere che colpisce maggiormente le persone che condividono lo stesso ceppo familiare. E lei si ritrovava a dover ammettere che forse la sua amica non avesse poi tutti i torti a considerare toccato Alberto.
Forse sei ancora in tempo, si disse con la mano sui manici della borsa, ma non riusciva ad alzarsi da quella sedia. Era come se la curiosità le avesse piombato le gambe. Poi dei passi, una mano a sfiorarle la spalla e Alberto le apparve davanti, bello come il sole con quel sorriso da orsacchiotto coccoloso che doveva essere una specie di marchio di fabbrica.

«Ciao», e Alberto era di fronte a lei, il sorriso simpatico e quell'aria da cucciolo inoffensivo che gli veniva tanto bene.
«Ciao», rispose lei. «Sai che a Cuba sono le sei del mattino?», domandò indicando col mento la parete di rimpetto alla loro, su cui campeggiavano tre grandi orologi da parete, con le scritte Roma, Cuba e Mosca.
«No. Davvero utile...», commentò lui con una punta di sarcasmo e un sorrisetto strafottente. Fece un cenno al ragazzo dietro al bancone e le chiese:«Che prendi?».
«Un caffè. Lungo. E al vetro, grazie», rispose lei.
«Una lattina di coca-cola ed un caffè lungo al vetro», ripeté al barista, il quale annuì e tornò indietro.
«Allora...», disse lei, non senza tradire una certa emozione.
«Allora... grazie per essere venuta...»
«Gloria», gli suggerì.
«Giusto. Gloria. Scusami, ma prima che mi entri un nome in testa...», disse mentre il barista posava sul tavolo un bicchiere, una lattina ghiacciata e il caffè di lei. 
Bugiardo, pensò Gloria alle prese con il dolcificante che teneva sempre in borsa. «Dimmi pure...», proseguì lei.
«Bene, Gloria. Tu ed io non abbiamo mai parlato granché, ma se ti ho disturbato è perché si tratta di una cosa seria. E ti ringrazio per avere accettato di vedermi a così stretto giro di posta.» 
Non illuderti, cocco. È solo curiosità. Pura e semplice, anche se devo ammettere che sei davvero un bel tipo visto così da vicino, pensò lei, sorridendo. «Beh, mi pare di aver capito che si tratta di una cosa importante, no? Solo che non capisco perché non me ne hai potuto parlare per telefono...»
«Anche i muri hanno orecchie, sai? Ho preferito incontrarti in campo aperto perché in caso contrario la cosa avrebbe destato qualche sospetto...»
«Sospetto?», chiese lei inarcando un sopracciglio. «Confesso di capire ancora meno di prima...»
Alberto si morse il labbro inferiore, strinse la lattina, l'aprì versandola nel bicchiere della Nutella che aveva davanti e la bevve in un solo sorso. «Si tratta di Claudia.»

E ti pareva?, pensò lei, notando le lacrime che facevano capolino agli angoli degli occhi blu del ragazzo. «Davvero? È una cosa seria?»
«Assolutamente.»
«Ma allora, scusa, perché ne parli con me? Perché non ne parli con lei o con quel fenomeno del suo fidanzato? Mia zia non fa che tesserne le lodi a chiunque incontra...»
«Perché è proprio lui, il problema», disse Alberto con un ringhio basso. 
Gloria rimase con il cucchiaino in mano, le labbra socchiuse dallo stupore. «Maurizio?»
«Esatto. Vedi, quel bastardo... quel bastardo la tradisce. Ovunque. Appena può. Con la prima gonnella che ha sottomano. E lei non vuole vedere...»
«Ah», commentò lei; le cose si facevano dunque interessanti. «E tu?»
«Io vorrei metterla di fronte a delle prove schiaccianti. E qui entri in gioco tu.»
«Io?», domandò Gloria prima di dare una sorsata al suo caffè.
«Sì. So che ti sto per chiedere di fare una carognata, ma è per il bene di Claudia...»
Sì, come no?, pensò lei posando il bicchierino sul tavolo. «Non so se ho voglia di starti a sentire fino in fondo, sai? Comunque sia... spara. Che dovrei fare?»
«Andare a letto con lui.» 

Lo schiaffò partì, centrando in pieno la guancia sinistra di Alberto. «Vaffanculo! E non azzardarti più a chiedermi una cosa simile, stronzo!», ringhiò lei alzandosi.
«Aspetta», disse Alberto trattenendola per un polso. «Non ti interessa Claudia? Non hai a cuore il suo futuro? È pur sempre tua cugina...»
«Lo so!», sibilò Gloria liberandosi dalla stretta. «Ma sai una cosa, amico? Io la detesto, lei e quell'aria da madonnina baciapile che si ritrova. Aiutarla... séh! Sai che ti dico? Non muoverò un dito per farle vedere con che razza di stronzo si accompagna! Figuriamoci! Pare che sia l’unico uomo sulla faccia del pianeta e che abbia scelto proprio la principessina! Beh, se lo tenga! E sai un'altra cosa? Sono davvero contenta di sapere che...» 
«Allora posso farla finita coi piagnistei!», l'interruppe lui asciugandosi le lacrime. «La coca-cola fa effetto subito, ma come pizzica...» 
Gloria rimase di stucco. Che stava succedendo? «Eh?», disse solo, fissandolo.
«Stai facendo casino. Siediti», le ordinò Alberto. Le gambe di Gloria si mossero da sole, e lei si ritrovò di nuovo faccia a faccia con lui. A volte Alberto mi fa paura, le aveva detto una volta Daniela, ed era questo che le suggeriva ora quel sorriso inoffensivo. Paura. Pericolo.
«Brava bambina...», le disse accarezzandole una guancia. «E adesso fai la brava fidanzatina, avvicinati a dammi un bacino...»
«Sei scemo?»
«No. Siamo due fidanzatini che hanno appena fatto pace. Allora, amore, me lo dai questo bacino o no?»
«E tu pensi che io...»
«Tu hai attirato l'attenzione con quella piazzata. Adesso tu rimedi. E spicciati...»
«Non penserai che io...», ma Gloria non terminò la frase; qualcosa, nello sguardo di Alberto le disse che, per il suo bene, era meglio che facesse quanto le era stato ordinato. Senza discussioni. Si sporse in avanti, un rapido contatto di labbra, freddo e rapace, poi il sorriso di Alberto che si allargava sul suo viso e non sembrava promettere nulla di buono. 

Alberto sorrise e le catturò un polso tra le mani, accarezzandole l'interno con un pollice con movimenti circolari e lenti. «Bene, bene, bene... Tu ed io andremo d'amore e d'accordo, sai?»
Gloria non rispose. Si limitò a scoccargli uno sguardo d'odio e a sbuffare aria dal naso.
«Sei una ragazza fantastica, Gloria. Dico davvero, sai? Pochissime avrebbero avuto il coraggio di fare ciò che hai fatto tu. Oh, magari quasi tutte l'avrebbero pensato, ma da qui a dirlo... Accidenti, questo sì che si chiama avere carattere!»
«Lo prendo come un complimento….»
«E lo è. Assolutamente», rispose lui. «Sai, tu ed io siamo simili ed abbiamo un interesse in comune, anche se lo vediamo da due parti diverse. Non credi anche tu che dovremmo collaborare?»
«Sicuro. Solo che non vedo quale sia, questo interesse comune….»
Alberto ridacchiò. «Ma è Claudia, amore. Solo che tu vuoi distruggerla, io, invece, salvarla….»
«Quindi hai deciso di spezzarle il cuore?»
«Le medicine più buone sono quelle amare, non lo sai?», rispose Alberto col suo sorriso da faina. «Sì, Claudia soffrirà, ma è meglio che accada adesso che più in là. Adesso può rifarsi una vita, ma dopo?»
«Esiste il divorzio in questo paese, sai?»
«Io vorrei evitarle di passare per quel calvario, magari anche con dei figli. Perché? Perché non può essere felice adesso
«Perché quella scema di mia cugina ama il suo fidanzato al punto che sarebbe capace di ammazzarsi se scoprisse tutti gli altarini, non ci hai pensato?»
«Oh, ma a questo penserei io… Le starei accanto, le offrirei la mia spalla e lei, alla fine, si accorgerebbe di me…»
«Con amici come te, chi ha bisogno di nemici?»
«Lo prendo come un complimento…», disse lui.
«Taglia corto, per favore.»
«Agli ordini», rispose Alberto con un sorriso sghembo. «Vedi, mia cara, noi due siamo simili, perché anche io detesto mio cugino.»
«A-ah…»
«La situazione è semplice. Io amo Claudia. Ma Claudia ama quello stronzo di Maurizio. Ora, se lui l'amasse anche solo un decimo di quanto la amo io, mi farei da parte e augurerei loro una vita lunga e figli maschi.» Su questo ho i miei dubbi, pensò Gloria annuendo, come se la cosa l'interessasse. «Però, Maurizio è uno stronzo, ricordi? E tradisce lei, che lo ama come se fosse l'unico uomo sulla faccia di questo fottuto pianeta...»
Siamo gelosi, eh, Luis Antonio? «E quindi? Che vuoi tu da me?»
«Al tempo, bambolina, al tempo. L'unica cosa da fare con quella testona di tua cugina è quella di sbattere sotto al suo delizioso nasino delle prove inoppugnabili. Ai giorni nostri, queste prove si chiamano foto...»
«Ma io non penso che tuo cugino sarà così idiota da farsi beccare da me con le mani nel vasetto della marmellata... giusto?», commentò lei.
«Infatti. Lo vedi che sei intelligente?», rispose Alberto sorridendole. «Per questo noi daremo una mano alla fortuna.»
«E comincio a capire in che modo...»
«Non ti preoccupare. So benissimo che anche tu hai le tue esigenze, ma fidati di me. Ne uscirai pulitissima», le garantì lui. 
Piuttosto mi fiderei di un crotalo incazzato, pensò lei socchiudendo gli occhi. «Ok. Che dovrei fare, esattamente?»
«Andare a letto con lui. Mio cugino adesso si trova a Brindisi. Fa parte della Brigata San Marco, il nostro eroe. Dovrebbe tornare a casa alla fine del mese, i primi di Agosto al massimo. Tu salirai sul suo stesso treno, che al novanta percento sarà un notturno, e lo sedurrai. Poi, toccherà a me.»
«Che scatterai le foto e le sventolerai sotto il nasino di Claudia?», chiese Gloria. «Ma lo sai che le verrà un infarto vedendo lui insieme alla sottoscritta?»
«Taglierò il tuo viso, mia cara. Basterà che si veda bene lui con un paio di chiappette addosso... et voilà
«Non si vedrà la mia faccia? Nemmeno per sbaglio?»
«No», disse lui guardandola fisso negli occhi. Sembra sincero, pensò lei.«Controlleremo le foto assieme, se questo può rassicurarti. A me basta distruggere lui.»
«Ma se lui dovesse riconoscermi?»
«Tu conosci Maurizio?»
«Non proprio», rispose lei. «L’ho visto una volta sola, un paio di anni fa, al mare. Neppure credo si ricordi di me…»
Non ci giurerei, commentò Alberto tra sé e sé. Si fece scuro in viso e abbassò lo sguardo, poi chiese: «Sicura? Maurizio è via da tre anni. Però è vero, accidenti, potrebbe averti visto. Tu sei amica di Daniela, no?»
«Sì», annuì lei.
«Il mondo è un po' troppo piccolo per i miei gusti... Però, tu non frequenti casa di mia zia, o sbaglio? Non ti ho mai vista lì...»
«No, è vero, evito di andarci. Tua zia è... pallosa. Senza offesa, eh...»
«No, no, hai perfettamente ragione, è una rompicoglioni d’antan...», disse lui. «Mi sembra non ci siano problemi, allora...»
Gloria tacque, poi raccolse il coraggio a quattro mani e chiese:« Perché io? Sì, insomma, perché non affittare una puttana e far fare il lavoro a lei?»

Alberto sorrise, le lasciò il polso e tirò fuori dalla borsa che portava con sé dei documenti ospedalieri. 
«Perché le puttane costano, e perché tu non puoi dirmi di no, mia cara.»
Gloria guardò quelle carte, poi alzò il viso su di lui, bianca come un lenzuolo. «Come hai fatto a...»
«Come ho fatto è un mio segreto, amore. Posso solo dirti che ho riscosso un favore. Dare e avere, mia cara, e, se non erro, ti servono dei soldini. O sbaglio forse? Ebbene, posso pensarci io, almeno in parte. E tu, in cambio, mi farai questo favore. Su... che cosa ti costa, dopo tutto? Dicono che mio cugino a letto ci sappia fare... Magari ti diverti pure, che ne sai?»
Gloria tacque, fissò le carte e strinse la mascella. «In che misura contribuiresti alla causa?»
Lui rise. «Ottima perifrasi... dico sul serio», disse prendendo una penna e scrivendo qualcosa su un tovagliolo, che poi piegò e porse alla ragazza.
Gloria lesse la cifra e sgranò gli occhi. «Stai scherzando?»
«No.»
«Ma... sai quanti sono questi soldi?!»
«Un anno di stipendio, tesoro», replicò, come se stesse scegliendo di quale colore comprarsi un paio di calzini. «Ma per Claudia, questo è altro...»
«E tutto pur di strapparla a tuo cugino? Però! Questo sì che è amore!», commentò Gloria, andando con lo sguardo dal viso di Alberto alla cifra scritta e viceversa. Per questa cifra, me lo faccio anche dieci volte, pensò.
«Metà come anticipo, e il resto a lavoro ottenuto.»
«Niente rimborso spese?», chiese lei, domandandosi se non stesse tirando un po' troppo la corda.
«Troverai una stanza prenotata a tuo nome a Brindisi. Pensione completa. Eccoti il biglietto del treno, di sola andata.» 
«Non per questa volta, però. »
«Perché?», chiese lui alzando il mento. «Hai preso appuntamento dal parrucchiere?»
«No», rispose lei sospirando, come a dire: per chi mi hai preso?. «Se non sbaglio, Claudia dovrebbe scendere per risalire insieme a lui. Me lo raccontava giorni fa per telefono.»
«Sì, ma tuo zio non le darà mai il permesso, lo so io e lo sai tu. Comunque sia, tu stai pronta a partire, ogni volta può essere quella buona. Per tutti i dettagli, mi farò vivo io. Questo è l’indirizzo di un dottore fidato, semmai dovessi averne bisogno. In questa busta», disse sventolandogliela sotto il naso, «ci sono metà dei tuoi soldi. Allora, che mi dici?»
«Quando devo partire?» 


Bologna, 9 Agosto 1980

Maledetto bastardo! 

Claudia piangeva. Sembrava fosse l’unica cosa in grado di fare, come un girasole che segue la luce e finisce per bruciarsi. Il duomo amplificava il suo dolore, i fiori appestavano l’aria estiva col loro aroma dolciastro e l’incenso sarebbe rimasto attaccato ai vestiti Dio solo sa per quanto tempo. 
Claudia piangeva, ancora e ancora e ancora contro la sua giacca, un singhiozzo sommesso e regolare, le spalle fragili rivolte al feretro coperto dalle corone rossonere, il tricolore, la sciabola e il berretto dell’alta uniforme. Non ce la faceva a posare lo sguardo alla cassa dove le avevano detto si trovava il suo Maurizio.
«È colpa mia», ripeteva ogni tre per due. «È solo colpa mia.»
Era una scena straziante quella che si svolgeva un paio di banchi alle spalle della famiglia della vittima. Piangevano tutti, anche quell’arpia della mamma di Claudia, che confortava la figlia accarezzandole la testa.

Zia Giulia, non l’aveva ammessa al loro stesso banco, era come se ce l’avesse con lei perché era solo colpa sua se Maurizio si trovava in quel posto in quel momento disgraziato. 
Zia Giulia non piangeva, no. Era diversa, lei. Era una donna forte, lei. Era una donna ferita, lei. Non voleva perdersi un solo istante della cerimonia, attenta che si prestasse a suo figlio ogni riguardo possibile, come se fosse l’unica vittima dell’attentato. Come se gli altri non esistessero. Come se fossero dei semplici ed inutili comprimari.

Accidenti a te, pensava Alberto accarezzando la spalla di Claudia. Sì, adesso lui aveva campo libero con lei; anzi, si ritrovava ad avere un’autostrada a sei corsie che l’avrebbe condotto al suo cuore tramite quei tortuosi processi mentali che affollano il cervellino delle ragazze. Era tutto previsto. Quello che Alberto, però, non poteva assolutamente prevedere era che qualche pazzo piazzasse una bomba nella sala d’aspetto della Stazione di Bologna, e che suo cugino si trovasse a passare lì davanti proprio nel momento in cui il detonatore compiva il suo lavoro. E Alberto era ben conscio del fatto che, in quelle condizioni, Maurizio avrebbe esercitato un ascendente su Claudia tale che lui sarebbe stato per sempre l’eterno secondo. L’attentato aveva catapultato nell’empireo degli eroi quello che sarebbe dovuto diventare un bastardo da cancellare con un colpo di spugna. E sapere che le cose sarebbero andate molto, ma molto diversamente, se non ci avesse messo lo zampino, era quello che rendeva Alberto furioso, per non parlare dei soldi che Gloria era stata lesta ad incassare.

Contanti, niente assegni, aveva chiesto lei, e lui fesso l’aveva accontentata, prelevando da una filiale di Venezia il resto della cifra pattuita. In un altro momento avrebbe anche riso, ma la beffa era troppo cocente. E in più, Gloria sembrava divertirsi dietro i grandi occhiali da sole e il viso acqua e sapone, senza nemmeno prendere atto del valore del loro gesto.
Alberto serrò la mascella; avrebbe voluto scavalcare i banchi e le teste imparruccate, prendere a calci quella bara, distruggere a morsi la bandiera, i fiori e tutto il resto, e gridare, gridare forte il suo odio, la sua rabbia e la sua frustrazione… ma poi? Che cosa avrebbe detto, poi? Come si sarebbe giustificato? 
Scusate, mi sono presi i cinque minuti?
Sì, così poi mi esorcizza il vescovo in persona, pensò. No. Non poteva dare in escandescenze. Non adesso, almeno. Adesso doveva essere la roccia su cui Claudia avrebbe potuto trovare un appiglio in quel momento di dolore, e negli anni a venire. Doveva tenere duro. Resistere. Resistere. Resistere. Avrebbe fatto il matto da solo, più tardi, magari pisciando sopra la lapide di quello stronzo di Maurizio. Sì, questo pensiero rendeva già più sopportabile tutta quella pagliacciata, il puzzo asfissiante dei fiori e i piagnistei di Claudia. 
Maledetto bastardo… Spero tu stia bruciando all’inferno, stronzo, pensò mentre scambiava un segno di pace con Gloria. Claudia piangeva.


Roma, 20 Febbraio 1982

Gloria non capiva. Era ancora sottosopra per la sbronza della sera prima, e guardava la schiena nuda di Alberto lasciare la camera da letto e piegare verso la cucina.
«Alberto?», chiamò, puntellandosi su di un gomito.
«Che c’è?», si affacciò lui, un asciugamano tra le mani.
«Che ore sono?», chiese lei. Le appariva logico cosa avessero potuto fare un uomo e una donna per ritrovarsi sotto le lenzuola, ma non riusciva ricordare che giorno fosse e in che modo fosse finita lì. 
Con lui.
«Le sei e mezzo del mattino», rispose lui. «Caffè?»
Gloria mugugnò qualcosa, si tolse dei coriandoli dai capelli e si avvolse un lenzuolo attorno al corpo. «Ma perché?»
«Perché ci dobbiamo svegliare, ecco perché», rispose lui riempiendo d’acqua il tamburo della moka. «Dobbiamo parlare con Claudia, ricordi?»
«No», disse lei. Sembrava una bambina che faceva i capricci, e se non avesse saputo che razza di vipera fosse, Alberto l’avrebbe trovata anche tenera. Una di cui si sarebbe potuto innamorare.
Non essere idiota, pensò inserendo il tamburo. «Ne abbiamo parlato l'altro ieri, ricordi? La festa in discoteca?»
«Che giorno era?»
«Giovedì grasso», rispose lui versando il macinato. «Ci siamo divertiti in discoteca.»
«Aspetta…», disse lei, appollaiandosi sulla sedia come avrebbe fatto una gallina sulla scaletta del pollaio. «Io e te non avevamo un appuntamento, ieri. O sbaglio?»
«No, non sbagli», rispose avvitando la caffettiera. «Ci siamo incontrati in pista, abbiamo ballato, abbiamo bevuto… e poi siamo finiti qui.»
«Ed è stato solo un errore, perché in realtà tu ami Claudia e non accadrà mai più, per cui è meglio se mi rivesto e telo…», concluse Gloria.
«No», disse lui. «Non è stato un errore. Diciamo che non era previsto, ecco tutto. E non c’è bisogno che teli, come dici tu, perché dobbiamo parlare a Claudia. Non te lo ricordi più?»

Gloria aggrottò le sopracciglia. Ricordava la musica, le luci in pista e Alberto che ballava strusciandosi addosso a lei, ma nient’altro. Avevano parlato? E quando? Certo, non mentre mi palpava il sedere, pensò.
«Un riassunto non me lo faresti? Sai com’è, sono un po’ confusa…»
«Immagino», commentò Alberto prendendo le tazzine. «Sai perché l'altra sera ero in discoteca?»
«Festeggiavi giovedì grasso?»
«Perché ero da solo...»
«Non si va a rimorchio al braccio di una sventola… o sbaglio?»
Alberto sbuffò e poggiò di malagrazia le tazzine sul tavolo.
«Dovevo andarci con Claudia. L’avevo convinta a festeggiare. Ad uscire da casa. Ad allontanarsi dalla foto del povero martire almeno per una sera. Ma poi, quando la vado a prendere, indovina che mi dice?»
«Che non se la sente…», risponde Gloria.
«Già. E che era appena tornata dal cimitero. Ci va ogni due giorni, perdio!»
Gloria si sistemò il lenzuolo attorno alle spalle. «Uh, non me ne parlare! Zia è disperata, non riesce a convincerla a guardare avanti…»
«Dobbiamo parlarle, Gloria.»
«E dirle che? Che ce la siamo spassata alla faccia sua? Non credo che…», ma s’interruppe quando Alberto sferrò un pugno ad un’anta della cucina.
«Gloria… Gloria io sono un tipo calmo, ma ultimamente perdo le staffe con fin troppa facilità, e non vorrei, credimi, che a rimetterci fossi tu.»
«Che fai? Mi minacci? Non ti conviene mio caro. »
«Sei mia complice, Gloria. Siamo sulla stessa barca, lo sai, sì?»
«Io non direi», rispose portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sì, sono andata a letto con Maurizio e tu mi hai pagato per farlo, ma tu lo sai che me la caverei comunque, passando per la povera fanciulla presa per il collo, vero? Io ero con l’acqua alla gola e per paura, timore e bisogno, ho fatto una cazzata. Lo stronzo che ne ha approfittato saresti sempre e solo tu.»
Bisogno? Di rifarti il naso? «Non esagerare…»
«E perché? Non è forse vero? Non hai scelto me perché non potevo dirti di no, all’epoca?»
Alberto si passò le mani tra i capelli, tirandoli leggermente all’indietro. «Senti. Ricominciamo daccapo, vuoi? Beviamoci in santa pace il caffè e poi parliamo. Come due persone civili. Va bene?»
«Sarà meglio», rispose Gloria. 

La moka borbottava sul fornello acceso. Alberto spense il gas, versò il caffè per entrambi, lo zuccherò e le porse la sua tazzina. Bevvero in silenzio, l’aria che profumava di caffè fresco e il ronzio del frigorifero a riempire la loro bolla ovattata.
Gloria tenne la tazzina tra le mani, ad assorbire quanto più calore possibile, poi alzò la testa verso di lui e gli disse: «Avanti, spara. Che vuoi che faccia per te?»
Alberto l’osservò perplesso. «Dov’è la fregatura?»
«Nessuna fregatura», rispose Gloria. «Tu vuoi qualcosa da me, io vorrò qualcos’altro da te. Si chiama dare e avere, mio caro. Tutto qui.»
«E che cosa vorresti, ancora? Soldi? Distruggere Claudia ancor di più?»
Gloria ridacchiò. «Acqua. In tutt’e due i casi», spiegò. «I soldi non mi mancano, grazie a Dio, e non sono più la ragazzina sprovveduta di qualche anno fa. Quanto a Claudia, mi sembra abbastanza conciata male, non c’è bisogno di infierire ancora. Non è divertente.»
«Quindi? Che vuoi da me?»
Gloria sorrise. Adesso le parti si sono ribaltate, eh, stronzo? Non fai più il gradasso, ora che ti servo per salvare la principessina? «Siamo due persone di buonsenso, troveremo un accordo…»
«Che genere di accordo?», chiese Alberto, con la voce macchiata dalla preoccupazione.
«Mah, non so. Potremmo... anzi, potresti farmi un piacere. Uno piccolo, piccolo…»
«Ok, spara. Cosa vuoi?»
«No, no, mio caro. L’ho chiesto prima io. Vediamo di cosa hai bisogno tu, così da non chiederti qualcosa di sproporzionato…»
Vipera, pensò Alberto, ma ormai era in ballo e doveva ballare pur con quell’aspide attorcigliato al collo.
«Come sei gentile…», disse prendendo una sedia e piazzandola davanti alla sua. Si appollaiò anche lui, mise le mani sulle ginocchia di Gloria e le disse: «Ricordi la storia delle foto?»
«I negativi li ho io», rispose lei, memore di averli distrutti meno di un’ora dopo che Alberto glieli aveva consegnati tra le mani.
«Sì. Sì, lo so», rispose lui, sapendo di averle dato i negativi della gita a Ostia dell’anno prima, quando zia Concetta era quasi affogata a riva. «Noi abbiamo messo in atto quella storia per far vedere a Claudia quanto fosse bastardo Maurizio, ricordi?»
«Sì. Hai scattato tu le foto e le hai tagliate in modo che non mi si potesse riconoscere. Quindi?»
«Quindi, io voglio comunque farle vedere che razza di stronzo fosse Maurizio. Ma senza mettere in mezzo le foto.»
Gloria scosse la testa, si tirò indietro con la schiena e disse: «Non capisco. Che vorresti fare, esattamente?»
Alberto sorrise. «So di starti chiedendo molto, ma saprò renderti il favore. Dovresti dire a Claudia di quella notte sul treno.»
Gloria sgranò gli occhi celesti. «Sei impazzito? Ma come, dovevi mostrarle delle foto in cui non mi si vedeva, e adesso devo andare da lei e dirle, “Ehi, bella, come va? Ah, adesso che ci penso, mi sono scopata il tuo ragazzo, sai?”?»
«Sì. Ovviamente non in questi termini, ma sì.»
«Tu sei impazzito», disse Gloria alzandosi di scatto. «Ma sai che casino succederebbe?»
«Vuoi forse che Claudia se ne resti a piangere tutta la sua vita di fronte alla tomba di… di…»
«Maurizio. Maurizio. Ma. U. Ri. Zio. Dillo, il suo nome. Non ti mangia mica, sai?», rispose Gloria. 
«Beh, io non voglio!», replicò Alberto tirando dritto. «Voglio che sia felice!»
Io no. Non voglio che sia felice. Deve restare così com’è. Sola. Abbandonata. Disperata.«Con te?» 
«Sì, con me! Che male c’è? Non credi che possa renderla felice?»
«Sì, come no! Secondo me…» la cornificheresti dopo nemmeno un mese, pensò Gloria, senza concludere la frase. Poi si bloccò. Nel suo cervellino irrequieto si era mosso qualcosa. Un’illuminazione, come quando ci si trova nel buio pesto e qualcuno accende una lampadina proprio davanti ai nostri occhi. 
«Che c’è?», l’incalzò Alberto. «Hai cambiato idea?»
«Sì. E no.», rispose Gloria sedendosi. «Ma tu la ami davvero Claudia?»
«Sì», disse lui. «Ma conoscendoti, non credo che questo ti commuova…»
«Infatti. Non mi tange minimamente», disse Gloria con molta calma. «Però, sincerità per sincerità, io credo che lei non sarà mai felice. Non perché tu non sia un bravo ragazzo, capiamoci. È lei a essersi fissata con quel campione di Maurizio…»
«Non me lo nominare…», disse Alberto. «È la mia condanna, maledizione a me e a quando…» 
Non terminò la frase, limitandosi a mordere le nocche della mano destra. 
«Che dovrei fare? Che cosa dovrei dirle esattamente, Alberto? Tu vuoi fare questo tentativo. E va bene. Facciamolo. Però, dobbiamo studiare con cura le parole da dire a Claudia. Sennò, rischiamo di peggiorare la situazione.»
Ha senso, pensò lui guardandola dritto negli occhi. «Io… io…»
«Facciamo così», disse Gloria prendendogli le mani. «Io adesso aiuto te, poi tu aiuterai me. Ok? Quanto vuoi distruggere tuo cugino?…»
«Voglio cancellarlo dalla sua esistenza. Totalmente. Senza appello. Senza possibilità di riabilitazione.»
Gloria s’immerse nei suoi pensieri, poi disse: «Dovremo andarci giù pesante.»
«Ho già una mezza idea sul come fare.»
«Sarebbe a dire?»
«Ti ha forzata. Vi siete incontrati alla stazione di Brindisi, lui tornava a Roma, tu te ne andavi per i cazzi tuoi, lo hai riconosciuto, avete fatto il viaggio insieme per paura che ti succedesse qualcosa, e poi ti ha fatto la festa.»
«Così io, passo per la santarellina e lui per il bastardo ignominioso. Mi piace. Però, genio… perché me ne uscirei solo adesso, dopo un anno e mezzo?»
«Semplice. Perché non ce la fai più a vedere Claudia che si sta rovinando la vita per un simile pezzo di merda…»
«Lì per lì non ho parlato per la paura, la vergogna e un altro paio di minchiate simili, ma adesso la musica cambia… Sì, sembra che regga. Si può fare», concluse lei avvolgendosi nel lenzuolo.
«Perfetto. Allora mi faccio una doccia, tu ti rivesti e andiamo da Claudia.»
«Non così in fretta, amore», disse lei afferrandogli un polso. «Non così in fretta.»
Alberto si sedette e la fissò. «Che c’è? Ah, già… non abbiamo parlato del tuo compenso…»
«Uh, che brutta parola! Contropartita mi piace di più. E no, non è per questo, anche se è vero che non l’abbiamo ancora delineata.»
«Che vuoi, allora?»
«Far sì che non sembri tutto combinato. Ieri sera ti sei incazzato? Rispondimi sinceramente.»
«Ero furioso. »
«Bene. Se ieri sera tu e lei discutete, e magari volano anche parole grosse…»
«Ho solo alzato un po’ la voce!», l’interruppe con un tono più acuto di un’ottava.
«… non puoi uscirtene con questa storia oggi. Puzzerebbe di marcio come un pesce di Piazza Vittorio, lo capisci?»
Ha ragione, ammise con se stesso Alberto. «Quindi?»
«Quindi, adesso noi lasciamo passare una settimana, meglio due, e poi le diamo la notizia», disse Gloria, cambiando la parola mazzata all’ultimo momento. «Nel frattempo, studiamo cosa dirle e come dirglielo fin nei più piccoli dettagli, così da essere preparati e raccontarle una bella storia che regga e non abbia punti deboli. Per me e per te.» E così, intanto, mi studio bene in che modo potrai essermi utile, bello mio.
«Una settimana…»
«Hai aspettato un anno e mezzo. Sette giorni in più che differenza vuoi che facciano? E poi in questo periodo potrei avere avuto modo di passare da te e confidarti questo fardello…»
«A me? Siamo forse amici?»
«No. Ma non posso certo aprirmi prima con Claudia o peggio ancora con Daniela, non credi? È una questione… delicata, e potrei aver bisogno del supporto di qualcuno che ha conosciuto la bestia e che ha spalle forti…», disse lei accarezzandogli la pelle nuda. «E tu hai le spalle forti, vero, Alberto?», gli domandò graffiandolo leggermente con le unghie corte.
«Aggrappati e vedrai…», le propose, cingendole i fianchi.
Gloria non se lo fece ripetere, e si issò su di lui. «Allora, è deciso? Aspetterai una settimana?»
«Aspetterò», disse Alberto.
«E ripeteremo la storiella anche davanti a zia Giulia e a Danielina?», propose leccandogli il collo.
«Perché no?»
Gloria sorrise. Due piccioni con una fava. «D’accordo, campione. Torniamo a letto. Che stiamo aspettando ancora?»
 
   
 
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