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Autore: AryYuna    21/04/2014    1 recensioni
[SPOILER NONA SERIE]
Ambientata da qualche parte dopo la 9x17 (e scritta PRIMA della 9x18).
Dean sapeva che c’erano delle conseguenze. Le aveva provate sulla sua pelle. Ma avrebbe accettato comunque.
Hurt/comfort
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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   Ci ho messo troppo a finire questa storia. Ho iniziato a scriverla prima di Blade Runners, ed era completa, aspettava solo di essere tradotta in inglese e postata. Ma poi ci sono state la 9x16 e 17 e… e ho cambiato tutto. E la storia è anche cresciuta a dismisura, per cui l’ho divisa in due parti. La seconda (più ricca - lunga - della prima) la pubblicherò tra qualche giorno :)
   Questa storia nasce dall’amore per Dean. E visto che sono una di quelle fan psicopatiche che amano dimostrare il proprio amore verso un personaggio
‘ciaccando suddetto personaggio per bene, ho deciso di cimentarmi in un genere nuovo: l’hurt/comfort. Chiaramente, l’“hurt” è Dean XD
   Noticine brevi varie:
   Ho fatto varie ricerche sulla Genesi e la storia di Caino e Abele secondo le religioni, sperdendomi tra l’altro per siti davvero strani e infastidendo la pazientissima Arial con le mie domande, ma ho finito per inventare tutto per il bene della fanfiction e dell’hurt/comfort. Dopotutto, la versione di Caino del telefilm non è quella dei Libri Sacri.
   Heatherfield - cittadina nominata nella storia - è il mio omaggio a
w.i.t.c.h., fumetto che leggevo e amavo tanto quando andavo alle medie, ma non esiste nella realtà.
   Non so come facciano certi fanwriter a scrivere cacce lunghe e dettagliate, piene di riferimenti alla mitologia di spn e non solo, con nemici credibili e storie complesse. Io non sono una di loro. Perdono ^^’
   È la mia prima h/c; ne ho lette a tonnellate e non vedevo l’ora di provare a scriverne una a mia volta; ma sappiate che le mie conoscenze medicina sono un misto di “Siamo fatti così”, episodi di “Scrubs” e “Grey’s Anatomy”, (troppe) fanfiction e un minimo di ricerche su google. Qualsiasi cosa leggerete in questa storia non è da ritenersi assolutamente una guida attendibile. Sul serio. Ho probabilmente scritto un mare di cazzate, e mi scuso con chi le riconoscerà come tali.
   
   Trovate questa storia in inglese qui
   
   Disclaimer: sfortunatamente SPN non mi appartiene. Se mi appartenesse… beh, tanto per cominciare significherebbe che avrei contatti con Jensen Ackles e Jared Padalecki (e a proposito, nel caso ve lo chiedeste, nemmeno loro mi appartengono, purtroppo), e poi non avremmo avuto quella parentesi cretina di Sam senz’anima, l’ottava serie sarebbe iniziata in tutt’altro modo e la nona… beh, diciamo che avrei tolto qualche puntata, ecco. Tipo sei o sette puntate.



Conseguenze



   « […] Sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà mi ucciderà»
   Ma il Signore gli disse: « Ebbene, chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte più di lui»
   Il Signore mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse.
   ~ Genesi 4:14-16


   Erano tornati al bunker quando era ormai notte. Il viaggio in auto era stato silenzioso: irritati per aver perso la Prima Lama poco dopo averla finalmente trovata e per essere stati fregati - ancora - da Crowley, Sam e Dean erano persi ognuno nei propri pensieri. Nemmeno l’onnipresente musica disturbava la pesante atmosfera di frustrazione che aleggiava nell’abitacolo.
   Giunti a Lebanon, Kansas, e al bunker degli Uomini di Lettere, Dean non parcheggiò accanto all’ingresso com’era solito fare, ma fece il giro per accedere al garage interno del rifugio. Non avrebbe rischiato che accadesse altro alla sua piccola.
   Sam non disse nulla; scese dall’auto quando suo fratello spense il motore e si avviò verso il corpo centrale del bunker con l’intenzione di andare a dormire: erano stati giorni lunghi e faticosi, in un periodo tutt’altro che facile, e aveva bisogno di stendersi su un materasso vero e chiudere gli occhi per ore. A metà garage, però, si accorse che Dean non lo aveva seguito. Era ancora fermo accanto alla macchina e fissava la fiancata danneggiata, uno sguardo perso negli occhi. Sam lo aveva spesso preso in giro per la sua ossessione per l’Impala, ma sapeva cosa essa significava per lui. Sapeva che non era solo una macchina.
   E sapeva cosa significava per Dean vederla rovinata - profanata - da Abaddon. Era ancora un altro motivo per odiare il demone, per desiderarla morta, per buttarsi in ricerche sempre più disperate. Per passare un’altra notte in bianco.
   Dean dovette accorgersi di essere fissato, perché alzò lo sguardo sul fratello.
   « Vedo che posso fare per rimetterla in sesto » disse solo prima di avvicinarsi all’armadietto in cui teneva gli attrezzi per prendere qualcosa - Sam ignorava cosa, visto che, per quanto ne sapeva, una macchina graffiata andava portata dal meccanico e basta.
   Il minore lo guardò per un momento, pensando se fosse il caso di fargli notare che erano entrambi stanchi e sarebbe stato meglio dormire invece di riparare auto, ma non sapeva come; peggio, sapeva di non averne il diritto: era stato lui a chiedere a Dean di mantenere i loro rapporti sul piano professionale, di e dirgli di andare a letto non era professionale, era da fratello.
   Sospirò. Era ciò che voleva, dopotutto; che Dean capisse il suo errore, che imparasse - per Sam, sì, ma anche per se stesso - a staccarsi da suo fratello, a lasciarlo libero di crescere. E a crescere a sua volta.
   Sam ignorò la vocina in fondo alla testa che gli ricordava lo sguardo devastato del fratello quando avevano parlato in cucina e attraversò il bunker diretto alla sua stanza.
   “La sua stanza”.
   Sam non l’aveva mai sentita la sua stanza. Sì, era la stanza in cui dormiva, in cui teneva i suoi vestiti e il portatile quando non gli serviva. Era la stanza in cui teneva il suo ipod e il diario da cacciatore. Ma non aveva mai sentito quella stanza come “la sua stanza”. Né il bunker come la sua casa.
   Era strano, a pensarci: Sam Winchester aveva odiato la vita da nomade fin da bambino, aveva sognato una casa e una routine normale per anni prima di scappare per Stanford, dove si era illuso di aver conquistato la tanto agognata normalità. E non era stata la ricerca di normalità che lo aveva spinto a restare in quel motel in cui aveva vissuto con Amelia? Ma Sam Winchester era cresciuto, aveva capito che la normalità fa male tanto quando il non avere una casa, se non di più. La normalità dà un senso di serenità che non esiste, non è proprio della vita. E viene strappato via dalla vita stessa: Jess era morta, Amelia era andata via.
   Non aveva mai sentito il bunker come casa perché non voleva una casa: aveva troppa paura di perderla, l’aveva già persa ogni volta che l’aveva trovata.
   Aveva osservato Dean arredare la propria camera, renderla sua. Lo aveva guardato appropriarsi con sguardo trionfante di un giradischi funzionante nell’area relax del bunker e portarselo in camera; lo aveva guardato con un sorriso divertito mentre cercava di capire il funzionamento di ebay e restare concentrato a mezzanotte davanti al portatile pronto a fare l’ultima offerta per l’asta online, accaparrandosi l’album originale dei Led Zeppelin che voleva. Non lo aveva rimproverato per quello spreco di soldi: ora che avevano il bunker, non dovevano più risparmiare i pochi soldi che guadagnavano truffando la gente nei bar più malfamati per pagarsi un motel; in più, se mai si fossero trovati in bisogno urgente di soldi, il rifugio degli Uomini di Lettere era un pozzo infinito di anticherie da rivendere.
   Ma non si era mai unito a lui. Il bunker era un luogo di lavoro, una base di partenza. Comodo, certo; ma non era una casa. Sam Winchester aveva smesso di cercare la normalità e si era arreso alla vita da cacciatore: era la vita in cui suo padre lo aveva cresciuto, in cui aveva imparato a parlare e a camminare; era la vita che lo aveva fatto sopravvivere, quando non aveva avuto più un motivo per vivere. Ed era la vita che avrebbe dovuto ucciderlo, finalmente, dargli la pace che meritava.
   Si tolse i vestiti e, rimasto in maglietta e boxer, si stese tra le lenzuola pulite e spense la luce. Si addormentò quasi subito.
   
   Ci erano volute ore, ma alla fine Dean era riuscito a riparare quasi del tutto il danno alla fiancata. Erano le cinque del mattino quando alzò lo sguardo dalla sua amata Impala e si alzò ripulendosi le mani su uno straccio e roteando il collo per rimettere in moto muscoli rimasto troppo a lungo nella stessa posizione.
   Era stanco. Ultimamente non dormiva più di un paio d’ore per volta, e ora era sveglio da quasi due giorni ininterrottamente. Eppure non poteva riposare: doveva trovare Abaddon, farla a pezzi con la Lama.
   La Lama.
   Dean chiuse gli occhi. Ricordava la sensazione provata quando Magnus gliel’aveva messa in mano, l’improvvisa fitta al braccio nel punto in cui era il Marchio di Caino, la sorpresa, il calore. La voglia di usarla. Ricordava ciò che aveva sentito quando finalmente l’aveva usata per decapitare l’uomo che aveva osato fare del male a Sam. Ricordava il potere, la furia, l’odio provato alla vista di Crowley, l’eccitazione all’idea di usare quell’arma anche su di lui. Non esisteva più nulla intorno a Dean, in quel momento: c’era la Prima Lama stretta nel suo pugno, c’era il suo obiettivo a pochi metri di distanza.
   Quando la voce di Sam si era fatta strada in mezzo alla nebbia che aveva offuscato tutti i suoi sensi al di là del ristretto tunnel che andava dalla Lama alla sua prossima vittima, era stato come risvegliarsi. Aveva lasciato cadere la Lama come se ne fosse rimasto scottato - e in un certo senso era così. Dean non aveva mai provato una sensazione simile. Una parte di lui ne era spaventata. L’altra… non vedeva l’ora di stringere la Prima Lama tra le mani una seconda volta.
   E questo lo spaventava ancora di più.
   Come risvegliato dal ricordo, il Marchio di Caino diede una fitta di dolore e Dean si riscosse. Era stupido pensare alla Lama e a ciò che gli era accaduto quando l’aveva usata: non aveva scelta, avrebbe dovuto usarla comunque per uccidere Abaddon. Non poteva permettere che quel demone restasse vivo.
   Posò gli attrezzi e passò una mano tremante sulla carrozzeria della sua piccola, come una carezza della buonanotte a colei che gli era sempre stata vicina, a colei che non lo aveva mai tradito, nonostante fosse rimasta ferita più e più volte per lui, poi uscì a grandi passi dal garage e andò diretto nella sua stanza. Sbuffò tristemente tra sé chiudendosi la porta alle spalle. Un anno prima, si era tanto impegnato a personalizzare la sua stanza, a renderla sua: dischi in vinile, un giradischi funzionante come non ne esistevano se non nelle collezioni private, l’unica foto che aveva di sua madre, riviste e armi. Tutto ciò che era Dean.
   Ora la stanza era tornata spoglia e asettica. Dean aveva smesso di conoscere il significato di “casa” quando aveva quattro anni, e si era illuso di poter finalmente ritrovare, lì nel bunker degli Uomini di Lettere, quella sensazione di sicurezza che aveva provato da bambino; ma, come insegnano a scuola, “casa è dove ci sono mamma e papà, casa è dov’è la tua famiglia”. E la sua famiglia era morta - o lo aveva rinnegato - quindi a cosa serviva mettere qualche disco e una foto dell’ultima volta in cui la sua vita era stata serena? Aveva tolto tutto e lasciato solo le armi, perché era il luogo di riposo di un cacciatore.
    Si sfilò la giacca e la abbandonò sulla sedia accanto alla scrivania vuota e sedette sul letto con ancora indosso gli stivali; prese il portatile e si mise al lavoro.
   Aprì un sito dopo l’altro alla ricerca di notizie di eventi paranormali, presagi che potessero indicare la presenza di demoni - di Abaddon. E, intanto, il Marchio continuava a bruciare. Il dolore in realtà non spariva mai del tutto, era sempre presente come un sottofondo che si acutizzava ogni tanto senza apparente motivo. Come se il Marchio volesse ricordargli che era sempre lì. Come se ce ne fosse bisogno: soprattutto dopo quello che era successo la notte prima, dimenticare il Marchio era impossibile.
   Ad essere sinceri, a volte Dean si sarebbe preso a testate da solo per la sua impulsività: avrebbe accettato il Marchio qualunque ne fosse stato il costo, vero, ma permettere a Caino di dirgli cosa comportasse non sarebbe stata un’idea così cattiva. In attesa di Crowley e della Prima Lama, si era messo a fare ricerche ovunque - tra i libri degli Uomini di Lettere, su internet, persino sul diario di suo padre - ma non era riuscito a trovare nessuna informazione sul Marchio di Caino: il libro della Genesi lo citava solo di sfuggita, le interpretazioni degli “esperti” erano tutt’altro che soddisfacenti e, soprattutto, nessuno sembrava a conoscenza della versione dei fatti datagli da Caino.
   E ora che aveva impugnato la Lama, gli interrogativi non facevano che aumentare, mentre la risposta si faceva sempre più spaventosa.
   Ma non importava, non importava. Doveva uccidere Abaddon, e quello era l’unico modo.
   Forse si addormentò. Forse chiuse gli occhi solo per qualche minuto. Quando li riaprì, decise di alzarsi e prepararsi un caffè e tornare a cercare presagi di demoni, e le sue ossa si lanciarono in un coro di scricchiolii da fare invidia a un ottantenne - meglio darsi da fare ora, visto che a ottant’anni lui non ci sarebbe mai arrivato, vero? - per essere state ferme così a lungo, ma una doccia calda avrebbe risolto il problema.
   Se tutti i problemi si potessero risolvere così facilmente.
   
   I loro problemi, però, sembravano destinati solo ad aumentare: alcuni giorni - e nessun progresso - dopo, Sam aveva trovato una caccia a Milton, Illinois, e ne era tornato annunciando che Abaddon stava costruendo un esercito di demoni rubando e corrompendo anime innocenti.
   Era stata come una doccia fredda e aveva avuto l’effetto di portare Dean a ricerche sempre più frenetiche: doveva trovare Abaddon, farla a pezzi. Era l’unica cosa che contava.
   Sam si era unito a lui nelle ricerche, cercando ogni tanto di fare da Grillo Parlante e di convincerlo a fare una pausa per mangiare e dormire; ma, se un tempo avrebbe forse funzionato, ora semplicemente mancava tra di loro la confidenza che rendeva una cosa simile possibile. C’era troppa tensione tra di loro perché i tentativi di Sam fossero visti come dettati dall’affetto, troppe azioni e parole tra di loro che non sarebbe stato mai più possibile cancellare.
   Il terzo giorno post Milton, Sam comparve in cucina intorno alle otto, vestito e coi capelli in ordine e trovò il fratello seduto col portatile di fronte a una tazza di caffè. Gli rivolse un cenno di saluto, a cui Dean rispose educatamente senza distogliere gli occhi dal computer, ma poi si fermò a studiarlo per qualche secondo. Il maggiore indossava vestiti puliti, ma aveva la barba non fatta, cerchi scuri intorno agli occhi, l’espressione vuota anche se lo sguardo era attento e concentrato sul computer. Sam avrebbe voluto chiedergli se aveva dormito, ma sapeva che era inutile.
   « Cosa guardi? » chiese invece.
   Dean non alzò la testa, ma voltò il portatile verso di lui per mostrargli ciò che aveva trovato. Sam diede una scorsa allo schermo: era un forum sul soprannaturale, e l’ultimo post riguardava una possibile minaccia a Heatherfield.
   Era fragile, come pista.
   « È attendibile? » chiese Sam.
   « Vale la pena di controllare. È vicino ». Tutto pur di fare qualcosa, di muoversi, di agire.
   « E potrebbe avere a che fare con Abaddon? »
   Dean annuì. Era una speranza fragile, ma Sam capiva da dove venisse quella proposta. Si versò il caffè e lo bevve in silenzio riflettendo. « D’accordo » disse poi portando la tazza al lavandino per sciacquarla e metterla nella lavastoviglie insieme al resto del carico da lavare.
   
   Heatherfield, Kansas era una di quelle cittadine di poche anime in cui tutti si conoscono fin dalle elementari e finiscono per sposare la loro fiamma del liceo. Si trovava a poco più di un’ora di macchina da Lebanon andando verso sud.
   Da una settimana, l’idilliaco paesino era molestato da eventi inspiegabili che avevano spinto una coppia a scrivere un appello online su un sito dedicato al soprannaturale. I due non sembravano aver ottenuto molto dal loro tentativo, ma la loro apertura mentale - o l’essere troppo creduloni, a seconda delle interpretazioni - rendeva per una volta il lavoro dei Winchester più semplice: niente finti distintivi dell’FBI, niente storie di copertura, potevano presentarsi come acchiappafantasmi. Magari non proprio in questi termini.
   Rose Withers aprì la porta con un sorriso forzato sul volto e fece accomodare i due ragazzi in salotto, dove il marito Ronald strinse loro la mano. La donna offrì loro educatamente qualcosa da bere e iniziò a raccontare: sei giorni prima, mentre era nel cortile sul retro a innaffiare i fiori, aveva notato intere aiuole morte, nonostante il giorno prima fossero piene di fiori rigogliosi. Aveva ignorato la cosa, ma poi, un po’ ovunque in città, avevano iniziato a morire fiori e piante di ogni genere, e anche il bestiame delle fattorie intorno era stato decimato. Ronald disse loro di aver fatto delle ricerche online e di aver scoperto alcuni siti sul soprannaturale che insegnavano a riconoscere i segni del passaggio demoniaco. Ne aveva quindi portato le prove allo sceriffo perché richiedesse l’aiuto delle unità speciali dell’FBI.
   « Lo sceriffo mi ha riso in faccia, ma io so di avere ragione » disse Ronald.
   Dean alzò un sopracciglio come a dire cosa ti aspettavi? e Sam gli diede una discreta gomitata. Rose sembrò notarlo, ma sorrise ugualmente.
   « So che sembra folle, all’inizio lo sembrava anche a noi. Ma i segni ci sono stati tutti: interferenze elettromagnetiche, capre morte… » Si interruppe, e il suo sguardo divenne improvvisamente triste.
   « Signora Withers? » disse Sam.
   La donna scosse la testa e il marito le circondò le spalle con un braccio.
   « Nostra figlia, Lizzie, è scomparsa. Ieri pomeriggio. Era in camera sua, l’ho vista salire dopo pranzo, ma quando l’ho chiamata qualche ora dopo non mi ha risposto. L’ho cercata, ma quando sono entrata la camera era vuota e la finestra aperta e… »
   « Guardate voi stessi. Non abbiamo toccato nulla » completò Ronald vedendo che la moglie non riusciva a continuare.
   I due fratelli si scambiarono uno sguardo e salirono al piano di sopra. La camera della ragazza somigliava a centinaia di altre camere di adolescenti: pareti rosa pallido, fotografie di lei con le amiche, poster di attori e cantanti, peluche sul letto, libri di scuola, uno zaino accanto alla scrivania. Ma capirono subito a cosa si riferissero i genitori: c’era un distinto odore di uova marce, e sul davanzale della finestra c’era polvere gialla. Sam, si avvicinò per toccarla.
   « Zolfo » disse confermando i loro sospetti.
   « Perché rapirla? A cosa serve una ragazzina ad Abaddon? »
   « Non sappiamo se c’entra Abaddon » rispose Sam.
   Dean non voleva nemmeno prendere in considerazione l’idea: aveva bisogno di fare passi avanti nella ricerca. « E perché non uccidere i genitori? Perché rapirla dalla sua camera come un maniaco qualsiasi? »
   « Rapire la ragazza dalla sua stanza dà meno nell’occhio che sterminarne la famiglia » ipotizzò il minore ripensando a quando Azazel lo aveva rapito dal negozio in cui era entrato da solo: aveva aspettato che scendesse dalla macchina piuttosto che uccidere Dean e portare via Sam, come aveva fatto quando aveva preso Ava.
   Dean annuì, convinto.
   Scesero nuovamente in salotto e salutarono i Withers con la promessa di fare tutto il possibile per ritrovare Lizzie.
   Girarono per la cittadina, notando le aiuole morte e gli alberi secchi. Fecero qualche domanda discreta ai passanti, ma nessuno sembrava troppo preoccupato da qualche fiore appassito.
   « Chissà che schifezza chimica ci avranno messo » rispose un vecchietto scuotendo la testa.
   Arrivarono in fondo alla strada principale trovando altre aiuole morte.
   « Dobbiamo capire cos’avesse di speciale la ragazza. Cosa può volere un demone da un normale essere umano? » rifletté Sam.
   Si trattava di lavoro, era permesso parlare di lavoro.
   Dean fece spallucce.
   « Quando la troveremo lo scopriremo ».
   « Sapere perché l’abbiano rapita ci aiuterà a trovarla » gli fece notare il fratello pazientemente.
   Dean non rispose - se perché ci stesse pensando o perché lo stesse ignorando non era chiaro. « Guarda le aiuole » disse dopo un po’ indicando quella più vicina a loro. Sam alzò un sopracciglio interrogativo. « Ce ne sono varie intorno alla casa dei Withers, ma non nell’altra direzione ».
   « È come se disegnassero un percorso » completò Sam annuendo.
   « Che porta fuori città ».
   
   « Hai un piano? » chiese Sam per rompere il silenzio che si stava facendo soffocante nell’abitacolo dell’Impala.
   Era un po’ triste dover discutere il piano d’azione, quando si erano sempre trovati bene improvvisando. Ma non era una buona idea affidarsi al caso, ora, visto quanto poco sembravano pensare in sincrono.
   « Abbiamo il coltello di Ruby e i proiettili con la trappola del diavolo intagliata. Io entro con la pistola, tu mi copri le spalle. Troviamo la ragazza e interroghiamo i demoni. Se non parlano, li facciamo fuori ».
   Non importava che Sam fosse un cacciatore più che capace e un uomo adulto, non importava nemmeno che fosse proprio quell’istinto di protezione di cui Dean non riusciva a fare a meno la causa principale della frattura tra di loro: Dean Winchester non avrebbe mai permesso al suo fratellino di entrare per primo in una stanza prima di averne valutato il pericolo.
   « E se la ragazza non c’è? »
   « Chiederemo ai demoni anche questo » fu la risposta secca. Sam ebbe un flash improvviso di se stesso che esorcizzava demoni coi suoi poteri dopo averli torturati per sapere dove si trovasse Lilith - e a questa immagine si sovrappose quella di Dean privo di sensi e ricoperto di sangue tra le mani di Alastair, accanto ad una trappola del diavolo interrotta e un tavolino ingombro di strumenti di tortura. Ebbe un brivido e scosse la testa per scacciare le due immagini moleste.
   Nella campagna che si apriva davanti a loro scorsero un capannone. Intorno, la vegetazione era morta.
   « È grande » notò Sam.
   « Ci divideremo » rispose prontamente Dean; a quelle parole, suo fratello si voltò verso di lui accigliato, ma Dean continuò, senza vederlo « Tu prendi la pistola - e il tuo cervello da secchione che sa a memoria gli esorcismi - e io il pugnale. Chi trova la ragazza chiama l’altro ».
   Aveva senso, strategicamente: erano entrambi ferrati nell’uso delle armi - lo erano da un’età in cui i ragazzi normalmente giocano a baseball o iniziano a studiare uno strumento musicale - ma, nonostante la stazza minore, Dean era certamente il più letale con un’arma da taglio. Senza contare che - e Dean sperò che Sam non facesse questo secondo collegamento - un coltello significa dover essere sufficientemente vicini al nemico per farlo fuori, e quella vicinanza permette al nemico in questione di essere ben più pericoloso.
   Sam tornò a guardare la strada senza dire nulla. Parcheggiarono l’Impala abbastanza lontano dal capannone perché dall’interno non sentissero il rombo del motore. Si avvicinarono in silenzio, Dean armato della pistola, Sam del pugnale di Ruby. Si scambiarono uno sguardo e un cenno sulla porta, poi Dean entrò per primo, la pistola puntata, mentre Sam gli copriva le spalle - come avevano concordato; come avevano sempre fatto.
   Non c’era nessuno. Dall’anticamera quadrata, arredata con una scrivania e una sedia da cui scappava l’imbottitura, partiva un unico corridoio, di fronte a loro, che piegava a destra dopo pochi metri. Lo percorsero mantenendo le stesse posizioni fino ad un bivio. Imprecando contro la loro sfortuna - e, dannazione, dovevano trovare il modo di replicare la Colt ammazza-demoni - Dean fece segno a Sam di scambiarsi le armi e dividersi come avevano deciso. Sam non era troppo contento di quello sviluppo: insieme erano più forti, e anche se era parte del piano che lui stesso aveva accettato, l’idea di non poter avere suo fratello sott’occhio non gli piaceva. Dean indicò l’orologio per ricordargli che era passato già troppo tempo da quando la ragazza era presumibilmente stata rapita, e più tempo fosse passato meno possibilità avrebbero avuto di trovarla viva. Sam, riluttante, consegnò il pugnale a suo fratello e prese la pistola, osservando poi Dean svoltare a sinistra. Con un sospiro - e la preghiera che non andassero storte troppe cose nel loro piano tutt’altro che dettagliato - si incamminò per l’altro corridoio.
   Sperare che qualcosa non vada male è il modo ideale per farla andare peggio, si disse Sam quando, all’ennesima svolta - come diavolo era stato costruito quel capannone? - vide due demoni camminare per il corridoio. Fece per prendere il cellulare e chiamare Dean per fargli sapere che aveva trovato i demoni, quando i due si accorsero di lui e Sam dovette premere il grilletto. Non ebbe il tempo di interrogarli, perché gli spari richiamarono ben presto altri tre demoni, e al giovane Winchester non restò che bloccarli il più in fretta possibile con le trappole del diavolo intagliate nei proiettili. Stava per chiamare Dean quando un pensiero lo colpì: se ben cinque demoni potevano permettersi di passeggiare tranquilli per il corridoio, quanti altri dovevano essercene a guardia dell’ostaggio?
   E perché diavolo hanno rapito quella ragazza?
   La risposta gli arrivò in una forma tutt’altro che piacevole quando un sesto demone accorse richiamato dal trambusto.
   La ragazza rapita.
   
   Dall’altra parte del capannone, Dean non aveva ancora incontrato nessuno quando udì gli spari.
   « Sammy » mormorò facendo per tornare indietro, ma due demoni gli si avvicinarono alle spalle. Il cacciatore ruotò abilmente su se stesso per pugnalarli col coltello di Ruby - maledizione, avrebbe dovuto trovarne uno e tenerlo vivo per chiedergli dove fosse Abaddon - ma ne arrivarono presto un terzo e un quarto. Udì altri spari, ma non ebbe il tempo di fare nulla prima che uno dei nuovi arrivati gli bloccasse il braccio armato e l’altro tirasse fuori un coltello a sua volta per colpirlo.
   Dean riuscì a distrarre il demone che lo teneva prigioniero piegandosi improvvisamente in avanti e a liberare il braccio quel tanto che gli bastò per lanciare il coltello verso il secondo che avanzava, freddandolo prima che potesse fargli del male, ma il bastardo che lo bloccava dalle spalle non lo lasciò; si limitò a strattonarlo all’indietro verso la scala che portava all’area principale del magazzino, un’enorme stanza rettangolare in cui erano impilati scatoloni di cartone ammuffito e sbarre di metallo che erano servite a chissà cosa un tempo. Dean si divincolò e scalciò, ma il demone si girò su se stesso per lanciarlo giù per la scala di metallo; il cacciatore rotolò per qualche gradino, ma poi riuscì a fermare la sua caduta afferrando la ringhiera.
   Furioso, si rialzò, mano sulla fiaschetta di acqua santa che teneva nella giacca, e iniziò a scendere gli scalini rimanenti di spalle, guardandosi intorno alla ricerca di eventuali pericoli; la stanza, però, era vuota. Riportò lo sguardo sul demone che aveva cercato di farlo rotolare per le scale; nella sua mano, il coltello di Ruby.
   « Figlio di puttana » imprecò tra sé Dean.
   Giunto ai piedi della scaletta, considerò rapidamente le sue possibilità: la scelta più ovvia era attaccare il suo avversario con l’acqua santa per distrarlo e cercare di riprendere il coltello. Il problema era che il demone possedeva al momento un tizio alto quanto Sam e largo il doppio - solo per questo è riuscito a bloccarmi, decise il Dean - e anche se sapeva bene che la forza di un demone non dipendeva dall’ospite, Dean non aveva intenzione di tentare un corpo a corpo contro un armadio umano.
   La seconda possibilità che gli venne in mente era scappare, ma non si sarebbe lasciato sfuggire quell’occasione di avvicinarsi ad Abaddon, e comunque la scaletta sembrava l’unica via d’accesso a quella stanza.
   Cercare qualcosa con cui distrarre il demone, con cui ferirlo, almeno? Sapeva bene che le uniche armi in grado di provocare danni alla creatura che si era impossessata dell’armadio umano erano il coltello di Ruby - e quello di Crowley, a pensarci bene - e la dispersa Colt. Si pentì di non aver portato più proiettili con la trappola del diavolo, gli sarebbero stati comodi al momento, ma lagnarsi non gli sarebbe stato d’aiuto.
   Acqua santa sia, allora.
   Svitò il tappo della fiaschetta prima di tirarla fuori dalla tasta interna della giacca e con un movimento fluido la prese e gettò l’acqua in faccia al demone prima che questo potesse accorgersi delle sue intenzioni e fare un passo indietro; non lasciò andare il coltello, ma gridò di dolore portandosi la mano libera al volto ustionato. Dean lo assalì prima che potesse riprendersi, bloccandogli il polso armato e piegandogli la mano perché la lama puntasse verso lo stomaco.
   Non riuscì ad affondarla. Il demone, infuriato, ricorse ai suoi poteri per togliersi di dosso il cacciatore - era ovvio che prima o poi qualcuno lo avrebbe fatto, non potevano essere tutti così stupidi da dimenticare il vantaggio principale che avevano sugli esseri umani - e bloccarlo contro il muro; avanzò lentamente verso di lui, il coltello sollevato, lo sguardo omicida. Richiamati dal trambusto, o forse dal grido del loro compagno, altri due demoni accorsero nella stanza.
   Pur in netta minoranza - senza contare che era bloccato contro la fottuta parete - Dean non smise di fissare negli occhi il demone armato.
   « Che aspetti, scimmione? Mi hai inchiodato al muro, hai il mio coltello. Hai persino due amichetti a darti una mano, in caso fossi troppo idiota per farlo da solo » lo sfidò. « Abaddon è così disperata da reclutare i demoni più idioti? O forse non lavori per lei? » Ormai non aveva nulla da perdere, e magari avrebbe avuto qualche risposta, così - o il demone avrebbe perso la concentrazione.
   Certo, credici.
   Non aveva sentito altri spari, segno che Sam aveva eliminato tutti i demoni che gli erano venuti contro - o che… no, non era possibile, Sam era vivo - e che magari stava in quel momento venendo da lui, ma scartò l’idea: erano solo partner di lavoro, erano lì per lavoro, e il lavoro non era ancora finito, la ragazza non era stata ancora salvata. Sam sarebbe andato alla ricerca dell’ostaggio.
   Stranamente, l’idea di morire non lo preoccupava; non come aveva fatto l’idea di perdere Sam, sei mesi prima.
   “Non mi hai salvato per me. Lo hai fatto per te. Perché non sopportavi l’idea di restare solo”.
   Mentre guardava il suo avversario sollevare il coltello, accaddero tre cose: Dean sentì un dolore lancinante trafiggergli il braccio destro, il potere del demone lo lasciò andare e un grido lacerò l’aria.
   Dean cadde in ginocchio, e riuscì appena a scorgere i tre demoni sul pavimento davanti a lui - morti? - prima di sprofondare nelle tenebre.
   
   Sam rimase pietrificato per alcuni lunghi secondi quando vide il presunto ostaggio comparirgli di fronte con gli occhi completamente neri. Riuscì a riscuotersi appena in tempo e a sollevare la pistola per fare fuoco. La ragazza cadde in ginocchio, fissandosi il petto nel punto in cui era penetrato il proiettile, confusa.
   « Perché siete qui? » fu tutto ciò che riuscì a chiedere il ragazzo, ma i cinque demoni lo guardarono con un ghigno carico d’odio. “Lizzie” scosse la testa. « Vi ho chiesto perché » ripeté Sam, ma la ragazza continuò a sorridergli con quell’aria da maniaco. « Potrei rispedirvi all’Inferno da dove venite. Exorcizamus te, omnis immundus spiritus, omnis satanica potestas… »
   I sei demoni si contorsero per il dolore, i ghigni spariti dai loro visi, ma nessuno di loro supplicò né rispose. Sam strinse i pugni.
   « C’entra Abaddon? » chiese interrompendo l’esorcismo. Doveva ottenere una risposta. « La lotta tra lei e Crowley? » “Lizzie” fece una risata bassa, soddisfatta. Animale. E Sam capì: era una trappola.
   Avrebbero dovuto arrivarci prima: i genitori disperati che chiedevano aiuto online, il rapimento, il percorso di fiori morti, la puzza di zolfo per tutta la casa… non aveva senso. Ma se aggiungeva alla lista il fatto che Abaddon sapeva che i Winchester erano alla ricerca dell’unica arma in grado di ucciderla…
   Recitò l’esorcismo più in fretta che poté, poi si voltò e iniziò a correre nella direzione da cui proveniva, pregando di fare in tempo, pregando che Dean non avesse incontrato guai - ma li aveva incontrati, era sicuro, altrimenti sarebbe accorso ad aiutarlo al primo sparo, perché nonostante tutto ciò che Sam gli aveva detto, Dean non lo avrebbe mai abbandonato solo di fronte al pericolo - pregando che stesse bene.
   Giunse al bivio in cui si erano separati e sentì il cuore sprofondargli nello stomaco quando udì il grido inumano che proveniva dall’altro corridoio. Lo imboccò correndo e si bloccò alla vista dei tre cadaveri accanto ad una porta che dava su una scala di metallo… ai piedi della quale era Dean, in ginocchio, la mano sinistra stretta intorno al braccio destro, il volto contorto dal dolore.
   Di fronte a lui, tre demoni caddero al suolo, chiaramente morti.
   E come se qualcuno avesse staccato la spina, il viso di Dean si distese e anche lui crollò su un fianco.
   « Dean! »
   Sam corse giù per le scale, gettandosi in ginocchio accanto al fratello, premendogli due dita sul collo pregando di trovare il battito. Sospirò di sollievo quando percepì il pulsare lieve sotto le dita ed esaminò il corpo del fratello alla ricerca di fratture, ferite.
   « Dean? » cercò di svegliarlo, ma lui non rispose. E… era più pallido di quando si erano divisi mezz’ora prima nel corridoio o era una sua impressione?
   Gli passo le dita tra i capelli corti, cercando ferite o rigonfiamenti, gli aprì delicatamente le palpebre e fu confortato nel vedere le pupille reagire alla luce dei neon.
   Si concesse un momento per guardarsi intorno, confuso. Erano stati i demoni, coi loro poteri? E come avevano fatto, se quando Sam era arrivato erano stramazzati a terra? Tra le mani del più grosso dei tre c’era… il coltello di Ruby?
   Sam voltò di scattò la testa verso Dean e un’ondata di gelo lo investì: Dean era stato disarmato; si era ritrovato solo contro tre demoni, senza il coltello, senza una maledetta pistola coi proiettili modificati, senza Sam a coprirgli le spalle.
   Non avremmo mai dovuto dividerci, di disse Sam, pentito di non essersi opposto al piano di suo fratello.
   Eppure, Dean ce l’aveva fatta: aveva ucciso i tre demoni da solo - senza armi?
   Una cosa per volta.
   Per prima cosa dovevano andare via di lì: Abaddon sarebbe presto venuta a raccogliere il frutto dei suoi piani. Cercò ancora una volta di svegliare Dean, chiamando il suo nome, scuotendolo, ma non ci riuscì. Ed era una sua impressione o la sua pelle sembrava calda?
   Tirò fuori il cellulare dalla tasca e selezionò il numero di Castiel.
   « Cas? Sono Sam. Ascolta: ho bisogno che tu venga al bunker più in fretta che puoi. È per Dean… »
   Non ebbe bisogno di dire altro; Castiel gli promise che sarebbe arrivato il prima possibile e chiuse la telefonata. Sam sperò che Cas non fosse troppo lontano, e con un sospiro si rimise il cellulare in tasca per cercare un soluzione al problema presente: come portare fuori di lì suo fratello privo di sensi. Benché più basso di lui di quasi dieci centimetri, Dean era tutt’altro che minuto, e salire le scale, percorrere il lungo corridoio e la distanza che separava il capannone dall’Impala portandolo in spalla non sarebbe stato facile.
   Prese il coltello di Ruby dalla mano del demone e se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans, tentò inutilmente un’ultima volta di svegliare Dean e si mise all’opera. Manovrò il fratello in una posizione comoda per caricarselo in spalla, alzandosi lentamente tenendolo in equilibrio. Si voltò, cercando di non sbandare troppo, verso la scaletta e, tenendo la pistola puntata con la mano libera, iniziò il lungo percorso a ritroso.
   Giunse all’Impala senza incontrare altri demoni, e aprì la portiera di dietro per adagiare con delicatezza il fratello sul sedile, piegandogli le gambe per farlo stare tutto intero nella macchina; poi salì al posto di guida e mise in moto.
   
   
   Devo imparare a dividere le storie in capitoli già nella mia mente, altrimenti mi trovo a dover cercare un punto decente per interrompere e mi trovo una seconda parte di cinque pagine più lunga della prima. Uffa.
   La frase tratta dal tf è presa dalla puntata 9x13.
Aspetto con ansia i vostri commenti! :D
   
   
   
   

   
 
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