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Autore: Flaesice    23/04/2014    2 recensioni
Penelope Penthon è una ragazza bella, sfacciata ed intraprendente; una ragazza che non si è mai arresa alle difficoltà della vita, che si è fatta da sola ed odia i pietismi.
Nel suo mondo non esistono le mezze misure: tutto deve essere necessariamente o bianco o nero, giusto o sbagliato.
Ma nella vita - prima o poi - si è sempre obbligati a scontrarsi col grigio, ed è proprio allora che tutte le certezze crollano e bisogna mettersi in discussione.
E' ancora una ragazzina quando per gioco decide di sedurre un suo compagno di scuola, il riservato Nathan Wilkeman, per poi allontanarlo definitivamente.
Il destino li farà incontrare cinque anni dopo nella meravigliosa Los Angeles; Penelope sempre più votata al suo stile di vita, ma Nathan?
Decisamente più esperto e meno impacciato cercherà di prendersi una piccola rivincita per il passato, ma si sa che la passione non è un'emozione facile da gestire nemmeno per una come Penelope.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo IV

Cinque anni dopo...

  Aprii la porta del mio ufficio situato al 24esimo piano di un grattacielo nel pieno centro di Los Angeles, vi entrai e – come sempre - mi avvicinai alla finestra.
Lo skyline mozzafiato che si parava dinnanzi ai miei occhi comprendeva una serie di edifici di pari dimensioni di quello in cui mi trovavo, un cielo azzurro ed un sole lucente che faceva risplendere i suoi raggi lungo le foglie delle enormi palme che invadevano tutta la città.
L’aria condizionata era già a temperatura perfetta per contrastare il caldo asfissiante della California, mi accomodai sulla grande poltrona dietro la mia ampia scrivania e feci un mezzo giro sorridendo soddisfatta.
Diedi avvio al computer, inserii la password e con la pen drive per trasferire sull’hard disk i file a cui avevo lavorato la sera precedente a casa.
Ero una graphic design di successo e adoravo il mio lavoro.
Subito dopo la fine del liceo avevo deciso di trasferirmi a Miami da mia madre per seguire un corso di formazione ma soprattutto per fuggire da Newark, dal clima umido e dal tempo perennemente cupo.
In appena due anni ero riuscita ad ottenere la specializzazione ed avevo subito trovato un impiego nella meravigliosa Los Angeles.
Il mio lavoro consisteva nell’occuparmi di marchi pubblicitari o di inserti giornalistici, oltre che gestire un sito di web design.
Il mio capo, Bill Rooter, non mancava mai di farmi notare che fossi la più creativa e brillante tra i miei colleghi, insieme ad altre due figure che non mancavano certo di originalità: Caroline e Josh.
Colleghi, miei amici, oltre che fidanzati tra loro.
Improvvisamente un tocco alla porta mi fece sussultare, senza attendere una risposta vidi entrare proprio il mio principale.
«Buongiorno Mr. Rooter» mi alzai e gli porsi la mano sorridente.
Bill mi sorrise a sua volta. Nel suo metro e settantacinque e con il fisico asciutto ottenuto grazie ad una serie di allenamenti giornalieri, dovevo ammettere che era veramente un bell’uomo.
«Buongiorno a te, Penelope. E’ tutto ok?» domandò cordiale.
Se c’era una cosa di cui non potevo lamentarmi era proprio il clima di tranquillità che regnava negli uffici dove lavoravo, una pace rotta solo da piccoli disguidi con alcuni colleghi a causa della loro invidia e competizione nei miei confronti; persone che ignoravo totalmente e che nonostante tutto erano tenuti a portarmi rispetto essendo la prediletta del capo.
Da ragazzina ero una tipa competitiva, pronta a tutto e abituata a primeggiare; negli anni le cose non erano di certo cambiate, soprattutto sul lavoro.
Tutto sommato potevo ritenermi più che soddisfatta della mia vita.
Avevo ventitré anni, un lavoro che mi piaceva e che mi fruttava un buono stipendio, convivevo con la mia migliore amica di sempre, passavo le mie serate tra locali vari e di tanto in tanto frequentavo qualche bel ragazzo senza alcun impegno.
Sì, potevo davvero dire di avere la situazione sotto mano.
Ad un tratto mi ricordai di Mr. Rooter che era ancora lì, in attesa di una mia risposta. «Sì Signore, tutto bene. Spero altrettanto a lei»
«Alla grande Miss Penthon» mi sorrise ancora e non potei fare a meno di pensare che nonostante i suoi quarantacinque anni di età non avesse proprio nulla da invidiare ad un ragazzo della mia età.
L’unico segno tangibile che potesse dimostrare il fatto che non fosse più un giovincello erano i suoi capelli lievemente brizzolati, che tra l’altro lo rendevano più affascinante.
Nei suoi completi su misura di alta sartoria e con lo charme che lo contraddistingueva non c’era da stupirsi che fosse rimasto scapolo.
Dopotutto perché prendere un impegno con un’unica donna quando ogni sera poteva divertirsi con una diversa?
Lo stimavo. Oltre che il suo successo sul lavoro era la sua filosofia di vita ciò che davvero mi attraeva.
Potevo dire che eravamo davvero simili, e forse era questo il motivo delle particolari attenzioni che mi riservava.
Non potevo nascondere di aver creduto che - qualche volta - il suo interesse nei miei confronti andasse oltre un semplice rapporto lavorativo, però non ne avevo conferma dato che in quasi tre anni di collaborazione non si era mai spinto oltre qualche battutina allusiva e qualche occhiata provocatrice.
«Volevo ricordarti che oggi arriverà quel nuovo graphic design di cui ti ho parlato, quello che si occuperà della gestione dei siti web»
«Sì, lo ricordo Mr. Rooter»
«Bill, Penelope. Ti avrò detto un miliardo di volte che puoi tranquillamente chiamarmi Bill»
Già, un miliardo di volte. Eppure chissà perché pensavo che Bill fosse troppo confidenziale, diversamente dal solito ci tenevo a mantenere la giusta distanza.
Anche se la mia vita era improntata al divertimento più sfrenato, sul lavoro avevo un comportamento integerrimo. Era l’unica cosa a cui tenessi sul serio.
«D’accordo Mr. Ro...Bill» mi corressi.
«Bene» sorrise soddisfatto poi guardò il suo orologio «Arriverà tra una mezz’ora circa. Voglio che tu gli faccia fare il giro degli uffici e gli presenti un po’ i colleghi. Gli farai vedere quale sarà la sua postazione e di cosa si dovrà occupare» spiegò in tono estremamente professionale.
«Certamente Bill, ne sarò lieta»
«Perfetto!» Rooter fece per uscire dalla stanza, poi si voltò un’ultima volta «Ah, Penelope?»
«Sì?»
«L’ho affidato a te perché so che sei una tosta, ma anche lui è un tipo in gamba» mi puntò un dito contro come a voler intensificare il significato del suo avvertimento.
La porta si richiuse alle sue spalle, mi soffermai a pensare sulle ultime parole di Bill: “E’ un tipo in gamba”.
Mi ritrovai a sorridere, di sicuro Bill non si era mai sbagliato sulle impressioni e quindi sarebbe stato bello avere un rivale con cui avere un po’ di sana competizione.
Ripresi il mio lavoro, concentrandomi a tal punto che quando il telefono del mio ufficio squillò sobbalzai e dovetti aspettare qualche secondo prima che il ritmo del mio cuore tornasse regolare.
«Penthon» risposi.
«Penelope, sono Johanna»
“Già, chi altri potrebbe avere una voce così irritante?” dissi tra me.
«C’è qui il graphic design che aspettavi» m’informò.
«Oh certo. Arrivo subito» chiusi la comunicazione.
Mi alzai ed indossai la giacca del mio tailleur, attivai la password al pc ed uscii.
Presi l’ascensore e, mentre attendevo che lentamente arrivasse al primo piano, iniziai a guardarmi nel grande specchio che occupava gran parte della parete frontale all’entrata: mi ravvivai i capelli e con le dita corressi uno sbaffo di matita sull’occhio.
L’ascensore si riaprì qualche minuto dopo, attraversai il corridoio che conduceva alla hall fino a quando di spalle non intravidi la figura del mio futuro collega.
Era alto, le spalle larghe erano evidenti al di sotto della giacca del completo blu che indossava, i capelli che ricadevano sulla nuca fino al colletto della camicia erano biondicci e spettinati.
Vidi il volto estasiato e civettuolo di Johanna che cercava di intrattenerlo, e conoscendo il carattere della mia “amica” capii che doveva essere più bello di quello che potevo immaginare per scuoterla fino a quel punto.
Quando fui alle sue spalle riuscii a sentire la sua risata, allo stesso tempo profonda e leggera, senza spiegarmi il motivo avvertii una strana sensazione, che ignorai.
Mi schiarii appena la voce per attirare la loro attenzione senza però interrompere maleducatamente la conversazione che aveva tutta l’aria di essere davvero divertente.
«Eccomi» dissi rivolgendomi a Johanna.
L’uomo che mi dava le spalle si voltò educatamente e quando lo vidi quasi rimasi impietrita.
NON.PUO’.ESSERE.
«Oh Penny, ti presento Nathan Wilkeman» disse Johanna sorridendo ed indicandolo con un gesto della mano.
Wilkeman.
Nathan Wilkeman.
Proprio quel Nathan Wilkeman? No, era impossibile.
Quello doveva essere uno strano scherzo del destino, o forse una candid camera.
«Nathan lei è Penelope, la nostra migliore graphic design» nella sua voce una punta di invidia mentre mi presentava.
“Sei fortunata che io sia così sorpresa per quest’incontro, altrimenti avrei trovato certamente il modo di metterti in imbarazzo, ochetta” riflettei.
Continuai a fissarlo come un ebete.
Dio quant’era bello. Cioè, lo era sempre stato, ma adesso…
Adesso era un uomo con la ‘u’ maiuscola.
I tratti gentili del bel ragazzo diciottenne che ricordavo erano stati sostituiti da altri più marcati, virili.
Tutto in quel corpo sembrava gridare ‘sesso’, e nonostante fossi abituata a rapportarmi con ragazzi estremamente belli non potevo negare che in lui ci fosse un qualcosa in più; un qualcosa per cui avrei volentieri mandato a puttane l’ultimo briciolo di pudore rimastomi per scoparmelo seduta stante.
L’espressione che vidi sul suo volto parve farmi capire che si ricordasse di me invece, proprio mentre stavo per salutarlo informalmente, con un movimento disinvolto mi porse la mano «Piacere. Nathan Wilkeman»
Gli stinsi la mano poco convinta, possibile che non si ricordasse di me?
Cavolo, avevamo frequentato la stessa scuola per tanto tempo, soltanto cinque anni prima eravamo stati…avevamo fatto...
Oddio che situazione imbarazzante, persino per una come me.
«Piacere Nathan. Chiamami pure Penelope» gli dissi pensando quanto tutto questo fosse ridicolo «Prego, se vuoi seguirmi» gli indicai l’ascensore e salutai Johanna che ancora guardava Nathan estasiata.
Se non si fosse data un contegno al più presto magari si sarebbe trovata con due rivoli di bava ai lati della bocca.
Idiota!
Premetti il tasto di chiamata dell’ascensore, entrammo entrambi e stemmo in silenzio fino a quando le porte non si richiusero. Finalmente soli.
«Insomma Nathan, proprio non ti ricordi di me?» chiesi senza troppi giri di parole.
Meglio chiarire tutto alla svelta, dopotutto che male c’era?
Data la sua reazione iniziale credevo si fosse ricordato, invece poi aveva fatto finta di nulla. Qualcosa non mi quadrava.
«Dovrei?» mi chiese assottigliando lo sguardo, quasi soffocai alla vista di quegli occhi verdi.
Sempre così intensi, così diversi da quelli di altri milioni di persone.
Proprio non mi spiegavo cosa avessero di tanto speciale, ora come allora.
«Beh...noi due...»
Abbiamo fatto sesso qualche anno fa, sono io che ti ho tolto la verginità, ‘Do you remember?’ pensai sarcastica tra me.
«Abbiamo frequentato la stessa scuola a Newark. Penelope Penthon, l’ultimo anno abbiamo seguito il corso di recitazione insieme» mi limitai a dire.
Ci pensò su qualche secondo, poi mi sorrise  «Ma certo, Penelope. Perdonami, ma proprio non ti avevo riconosciuta. Quant’è piccolo il mondo» le sue parole sembravano cordiali, quelle che si dicono due amici quando si rincontrano dopo tanti anni, eppure i suoi occhi sembravano tradire qualcosa di diverso.
Già, dopotutto noi non eravamo mai stati veri e propri amici. Potevo dire che c’era stata una breve, brevissima liaison. Nulla più.
«Già, veramente piccolo. Quindi anche tu hai deciso di diventare un graphic design» dissi pur di intrattenere una qualche sorta di conversazione.
Senza capirne il motivo mi sembrava che la situazione fosse alquanto imbarazzante e, dato che l’imbarazzo era un’emozione che provavo di rado, non sapevo bene come gestirla.
Arrivati al piano feci fare a Nathan il giro degli uffici, gli presentai i colleghi con cui avrebbe collaborato, ognuno dei quali si occupava di un settore diverso di grafica.
Per tutto il tempo non feci altro che osservarlo, curiosa.
Mi incantai a guardarlo mentre dispensava a tutti i suoi sorrisi mozzafiato, scambiava battute intelligenti e qualche commento professionale.
Non potei fare a meno di notare il fascino che esercitava su tutte le donne, anche su quelle di una certa età, sposate e con tanto di figli a carico.
Gli mostrai la sua postazione di lavoro e quando gli ebbi spiegato i punti base da osservare lo invitai a seguirmi nel mio ufficio.
«Prego accomodati» dissi indicandogli una sedia, mi poggiai coi fianchi alla grande scrivania in legno chiaro - che era la mia postazione di lavoro - e portai le braccia incrociate al petto.
«Grazie» nel prendere posto alzò lievemente il pantalone sulle cosce.
Notai le gambe muscolose, per qualche istante indugiai sul rigonfiamento dell’inguine messo in evidenza dal tessuto tirato in quel punto ed immaginai quanto sarebbe stato bello sentire quel fisico – adesso più maschio e possente - sopra e dentro di me.
La sua voce mi strappò ai miei porno-pensieri.
«Allora a quanto ho potuto capire sei una sorta di pupillo del capo» chinò lievemente la testa di lato per scrutarmi, un mezzo sorriso gli aleggiava sul volto.
«Ah si? E cosa te l’avrebbe fatto credere?» inarcai un sopracciglio.
Non sei arrivato nemmeno da mezz’ora e già supponi,Wilkeman. Sta al tuo posto.
«Il fatto che sei stata incaricata di mostrarmi gli uffici, presentarmi i colleghi, e quell’aria di riverenza con cui gli altri ti trattano» disse in tono sveglio e un po’ saccente mentre nello spiegare la sua mano tracciava cerchi nell’aria.
Dio quelle mani, le sue dita lunghe… Cazzo però, ci aveva preso.
«Diciamo solo che il ruolo che ricopro me lo sono meritato» una punta di arroganza incrinò la mia voce «Adesso se vuoi scusarmi ho da lavorare, e anche tu puoi cominciare a fare il tuo lavoro. Per qualsiasi problema non esitare a chiamarmi» lo congedai.
Si alzò sovrastandomi col suo metro e novanta di altezza, mi porse ancora una volta la mano mentre quel sorriso furbo che si ripercuoteva nei suoi occhi non intendeva lasciarmi tregua.
«A presto, Penny»
Marcò volutamente sul mio nome, e nel sentirlo provai una fitta allo stomaco.
Sapevo cosa volesse significare, ricordavo perfettamente quando cinque anni prima gli avevo chiesto di chiamarmi in quel modo.
Questo significava che lui ricordava perfettamente quel che era successo, e dal modo in cui mi guardava probabilmente gli avrebbe fatto piacere rinnovare l’esperienza.
Beh di certo non mi sarei tirata indietro perché stavolta le cose erano cambiate; Nathan era evidentemente cambiato.
Mi sedetti sulla poltrona in pelle bianca dietro la scrivania ed accavallai le gambe in cerca di un po’ di sollievo, cercando di non farmi distrarre dal mio lavoro.
Ripresi ad esaminare alcuni dei miei progetti anche se mi sentivo inevitabilmente esaltata, mi poggiai pesantemente allo schienale e risi tra me pensando al bel regalino che il destino mi aveva fatto.
Bene Wilkeman, a cinque anni di distanza cominceremo il secondo round.



***
Buonasera ragazze, volevo spendere due parole su questo capitolo. I primi tre sono stati più una introduzione alla storia vera e propria che inizia adesso e spero di farvene vedere delle belle.
Inoltre mi hanno fatto notare che l'immagine del banner non si apre, volevo sapere se anche voi avevate problemi a visualizzarla. Grazie, Ice :*
 
   
 
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