13.
Not easily mended
« Così fu
quell’amore
dal
mancato finale:
così
splendido e vero
da
potervi ingannare »
[
Dolcenera – Fabrizio De Andrè
]
Febbraio del 2000,
Foresta di Dean
Gli
incantesimi fischiavano sopra le loro teste, e, per errore umano o deficienza
tecnica, spesso addosso alle teste – il cosiddetto fuoco amico. Così
si moriva di piombo patrio. In un frastuono scioccante, gli uomini rimanevano
abbandonati ai loro pensieri, costretti a trascorrere nella passività più
assoluta quelli che in molti casi erano gli ultimi istanti della loro vita.
In quell’orgia di
morte, c’era chi combatteva e chi scappava.
Ron lottava per un
amore che gli stava sfuggendo dalle dita troppo velocemente, e che voleva
fermare con un atto eroico che poi gli sarebbe costato il cuore.
Harry lottava per
dare al suo amore un mondo degno.
Neville lottava
per giustizia.
Voldemort, per vendetta.
Draco non lottava più,
perché il mondo aveva finito di esistere quando gli occhi di Hermione erano scivolati via dai suoi. Non lottava perché
sapeva qual era il suo destino, e qual era la cosa giusta da fare: la sua morte
avrebbe liberato quel mondo, e lei. E quindi correva, Draco,
occhi grigi e cuore in gola. Correva per non guardarsi dentro, per non vedere
un vuoto che fa paura.
E, a un universo
di distanza, anche se lui non lo sapeva, correva, Hermione,
sguardo spento e cuore grande. Correva per
riempire quel vuoto e non avere più paura.
***
« Va tutto bene, signor Weasley? Vuole fermarsi un attimo? »
La giornalista guardò l’uomo
anziano di fronte a lei con cipiglio impaziente, il sopracciglio inarcato in
una smorfia di fastidio che a lui non sfuggì.
Ron tornò al presente con uno sbuffo
di fastidio, sbattendo le palpebre e mettendo a fuoco la donna con le labbra
strette in un’espressione molto simile alla sua.
« Sì. No » borbottò, la voce
arrochita da una vecchiaia precoce che non aveva risparmiato il suo corpo né la
sua mente. I capelli rossi che un tempo lo marchiavano come appartenente alla
famiglia Weasley erano scomparsi, risucchiati dal
cranio lucido su cui erano comparsi i segni della vecchiaia: macchie di sole e
una ragnatela di rughe sottili che si estendeva su tutto il suo viso e lo rendevano
più simile a una vecchia tartaruga. Però, al di sotto delle palpebre cadenti e
delle folte sopracciglia grigie, i suoi occhi azzurri rilucevano ancora d’una
luce viva e intelligente.
« Ci stava raccontando del suo
ultimo incontro con la Granger e Malfoy.
Di come ha chiesto loro scusa » La donna poggiò le lunghe dita affusolate sul
ginocchio, velato da collant leggeri e sottili che lasciavano intravedere la
gamba ossuta, lasciata scoperta dalla gonna aderente ma corta che indossava. Le
unghie erano laccate di uno smalto grigio scuro che si intonava al colore dei
suoi occhi e Ron si concentrò solo su quel
particolare, che suscitava in lui ricordi dolorosi. Ricordi che era lì per
riesumare, una volta per tutte.
***
Ron guardò dentro quegli occhi grigi, e
sorprendentemente non vide paura, ma attesa. Immobile di fronte a Draco Malfoy, con il fiato corto
e la bacchetta stretta tra le dita, si era persino dimenticato che stavano
combattendo una guerra e che i suoi amici avevano bisogno d’aiuto. Era accecato
da una rabbia personale e non più segreta, che lampeggiava dagli occhi chiari e
che gli aveva impedito di ignorare quella fuga.
« Fallo » ringhiò Malfoy,
squadrandolo dall’alto in basso. A differenza dell’altro, non aveva una
posizione di guardia. Le braccia abbandonate lungo i fianchi e l’espressione
fiera e dignitosa di un Purosangue, sembrava non stesse aspettando altro che il
colpo mortale che l’avrebbe finalmente liberato dal peso opprimente di un amore
scomodo e mai voluto. «
Non aspetti altro, lo so. È per questo che mi hai portato qui, no? » Il ghignò che gli disegnò le labbra
sottile era tanto inquieto quanto malvagio. Era un ghigno assolutamente da Malfoy, ma Ron non poté fare a
meno di intravedere un lampo di paura, in quegli occhi grigi che continuava a
fissare.
« Sì » lo ammise con naturalezza, sibilando
quell’unica sillaba con odio marcio. « Ma se lo sapevi… perchè
sei qui? »
domandò, ancora in quella posa da combattimento, il corpo leggermente piegato e
proteso verso di lui e la bacchetta puntata dritta verso il suo petto. « Cosa vuoi dimostrare? » Il petto si gonfiava rapidamente al
ritmo sordo di un respiro irrequieto, e quell’ultima domanda, una pretesa che
non avrebbe accolto risposte a metà, venne soffiato via con tutta
l’arrendevolezza di un addio.
Draco espirò pesantemente e scosse il capo,
abbassando lo sguardo per un istante.
« Non voglio dimostrare nulla. Se sono qui, è per pura
vigliaccheria » Draco strinse i pugni, tanto forte da
conficcare le unghie nella pelle bianchissima di quelle mani affusolate, un
tempo delicate, ora costellate di cicatrici e calli, segno di una vita non più
tanto agiata. « Ho sperato fino all’ultimo che lei fosse mia. Ma quando è
arrivato il momento… » La mascella si irrigidì d’improvviso. Ron vide passare su quel viso appuntito e pallido tutta la
fatica di quel momento. « ho avuto paura » L’ammissione di Draco
era un sussurro tenue, appena udibile al di sotto dei fischi degli incantesimi
e degli scoppi della guerra, poco distanti.
« Paura dei tuoi sentimenti » Il giovane Weasley
si sentì in dovere di completare per lui, stringendo maggiormente la presa
sulla bacchetta, come avesse avuto la conferma che attendeva e si apprestasse a
portare a termine il suo scopo. Contro ogni aspettativa, però, alle sue parole,
Draco Malfoy rise. Di una
risata vuota, colma di amarezza e colpevolezza insieme.
« No » Gli occhi grigi di Draco
incontrarono quelli azzurri di Ron con intensità. Lo
sguardo profondo che gli rivolse era sincero e limpido. « Ho avuto paura di non
avere più il coraggio di morire »
***
Ronald Weasley era un uomo stanco e disilluso, la cui vecchiaia,
grigia e cupa, era trascorsa nella solitudine di un esilio volontario, spezzato
solo dalle parole dei suoi libri.
Dopo la guerra,
Ron aveva cominciato a scrivere. Prima, erano solo
lettere, destinate all’unico, grande amore della sua vita. Lettere mai spedite,
che Hermione non aveva mai ricevuto, né avuto la
possibilità di leggere. Poi, racconti. Infine, il romanzo che aveva segnato il
suo successo, consacrandolo a una vita di agi e ricchezze. Qualcosa che non
aveva mai avuto ma che aveva sempre desiderato, e di cui ora, davvero, non
sapeva cosa farsene. L’aveva capito quand’era troppo tardi, già esule in un
mondo che non lo voleva da tempo. Quando quell’incantesimo aveva spezzato una
vita di troppo, e il vortice dell’ingiustizia, della violenza e della colpa,
era stato troppo violento per poterlo fermare.
« Nella commedia
della vita non ci sono prove prima della recita: la prima stesura è sempre
quella definitiva, e ogni gesto, ogni parola assume un carattere conclusivo. »
La sua voce era roca e stanca, sembrava provenire da baratri profondi del suo
essere, abissi mai esplorati. « Le responsabilità non si possono cancellare » Una
pausa. Ron chiuse gli occhi e chinò debolmente il
capo in avanti, traendo un lungo, profondo respiro. Per un attimo, sembrò che
dormisse. La giornalista si mosse nervosamente sulla sua sedia, sporgendosi con
leggerezza verso di lui, fingendo con un gesto disinvolto di volersi mettere
semplicemente più comoda, quando in realtà stava solo controllando quel vecchio
strambo. « Ci sono pregiudizi più forti della generosità magnanima con cui Hermione ha accolto Malfoy al
nostro accampamento. C’è un'immaginazione, la mia, più forte di qualunque
dubbio » Ron riaprì gli occhi e li puntò, con severa
precisione, su quelli, confusi e perplessi, della giornalista. Lei sbatté le
palpebre e sostenne con fermezza quello sguardo, ma sul suo viso c’era una
traccia di timore appena percepibile, difficile da nascondere del tutto. « Poi
è stato troppo tardi per fermare la macchina dell’ingiustizia. La guerra è
arrivata a spazzare via il vecchio mondo con le sue rassicuranti ipocrisie, e
durante la ritirata Draco Malfoy
ha dovuto fare i conti con gli orrori della violenza, e con una voglia di
vivere sconcertante. La voglia di realizzare il sogno d’amore che gli è stato
rubato. Da me » Il sospiro con cui Ron pronunciò
quelle ultime sillabe aveva qualcosa di terribilmente lapidario, di conclusivo.
Infatti, dopo quell’ultima affermazione tacque, e la giornalista non ebbe il
coraggio di domandargli cosa tutto quello che aveva appena detto significasse.
Si limitò a tacere, e questo consentì all’anziano uomo di lasciar correre,
ancora una volta, i suoi pensieri a briglia sciolta.
***
« Tutta la vita che mi resta è il
terrore di morire »
La voce di Draco tremò per un attimo. Ron pensava che la sua confessione si fosse conclusa con
quell’ultima affermazione, che l’aveva lasciato tanto sconcertato quanto
confuso, ma c’era qualcosa sul viso dell’altro che gli impedì di controbattere,
in un primo momento.
« Perciò fallo, avanti!
» urlò forte, questa volta, spalancando le braccia come se volesse invitarlo ad
un abbraccio. In un certo senso, era così, ma non stava invitando lui, ma la
dolcezza di una morte che aspettava con fin troppa ansia.
Ron serrò la presa sulla bacchetta, ma non sembrava ancora
intenzionato a pronunciare l’incantesimo fatale. Nell’arrendevolezza di Draco
c’era qualcosa di sbagliato, e infinitamente altruista.
« Ti
svelerò un filtro potentissimo, senza formule magiche né unguenti: se vuoi
essere amato, ama » pronunciò quelle
parole a bassa voce, come se fossero il canto del cigno di un uomo che, lui lo
sapeva, non aveva meritato quella vita e meritava quella morte. Per mano sua,
perché gli aveva strappato un amore che lui non avrebbe mai potuto capire.
Era cieco, Ronald Weasley, in quel
momento. Era un ragazzino geloso e impulsivo che non riusciva a vedere la
grandezza di quel gesto, seppur ne intravedesse un lembo. Perciò alzò la
bacchetta, la puntò sul suo petto e aprì la bocca per pronunciare quella
maledizione, temuta, odiata, ora preziosa alleata.
Ma nell’aria risuonò una voce che non era la sua, un
incantesimo che non era quello che lui aveva pensato. E un attimo dopo, Draco Malfoy giaceva a terra
riverso in una pozza di sangue, gli occhi grigi in orbite vuote, lo sguardo
spaurito e le labbra livide.
***
« Perciò ho scritto. Perciò ho voluto raccontare, nel mio ultimo
romanzo, “Espiazione”, questa storia:
quella di Draco e Hermione.
Che poi, è anche la mia »
Il viso della giornalista si aprì in un sorriso di
compiaciuta soddisfazione. Il dubbio dei suoi occhi si diradò e lei annuì
convinta, certa di aver centrato il punto della situazione, salvo poi
ricredersi quando l’uomo riprese la parola.
« Ma l’effetto di tutta questa sincerità era così disumano che
non riuscivo davvero più a immaginare quale ne sarebbe stato lo scopo » Ron assottigliò gli occhi, come se
si stesse sforzando di mettere a fuoco qualcosa. La fronte, macchiata dalle
tracce dell’età e segnata da rughe d’esperienza, si corrugò appena.
Lo stesso fece quella della giornalista, più
bianca e distesa perché lei era ancora nel fiore degli anni.
« Della sincerità? » domandò, un po’ incerta, sporgendosi appena verso Ron per cercare di incrociare il suo sguardo, al di sotto
delle palpebre cadenti e delle sopracciglia folte.
« Della sincerità » L’uomo annuì,
schioccando le labbra mentre ripeteva quella parola, il cui sapore non aveva
ancora identificato, nonostante gli anni passati a ricercarne il significato. « O della realtà » ammise poi,
perché si rese conto che in effetti quella parola sarebbe stata più esatta.
Fece una breve pausa, durante la quale respirò a fondo. Il torace si espanse,
accogliendo aria fredda, come un coltello nei polmoni. Sapeva che era arrivato
il momento di dire la verità: era per quel motivo che aveva accettato
l’intervista. « Perché, in effetti, io fui troppo vigliacco per
andare da Hermione, quel giorno » Lanciò la bomba e poi
tacque un istante, perché quell’ammissione gli era costata più di quanto lui
stesso osasse immaginare. Parole che fluirono con fatica dalle sue labbra,
lasciandogli la bocca impastata e la gola secca. Con la coda dell’occhio, vide
la giornalista accigliarsi, perciò si apprestò a proseguire, prima che lei lo
interrompesse. Prima che fermasse il fluire libero dei suoi pensieri e delle
sue colpe, quella voglia di confessione che aveva il diritto e il dovere di
concludere. « Non andai mai da lei, quindi la scena in cui le
parlo è immaginaria. È inventata » La bomba
esplose sul viso della giornalista, le cui sopracciglia si inarcarono tanto da
scomparire al di sotto della frangetta bionda che le velava la fronte. La sua
bocca piena, tinta di un rosso acceso, si arrotondò in un’espressione stupita.
Era il momento. Lo sapeva, lo aveva aspettato da
anni, dal giorno di quella battaglia maledetta.
« E infatti non sarebbe mai potuta accadere. Perché… » espirò stancamente, non per prendere fiato ma per darsi
forza. « Draco Malfoy morì per mano di un Mangiamorte,
il giorno di quella battaglia. E io non ebbi mai la possibilità di chiarire con
Hermione, perché lei rimase uccisa quello stesso
giorno, poche ore più tardi, in un agguato all’accampamento »
Silenzio. Il silenzio vuoto e
assordante di una verità a lungo taciuta. Draco e Hermione erano stati fantasmi presenti nella sua vita per
troppo tempo; era giusto liberarli, dare un congedo degno a quelle due anime
che lui aveva impedito di amarsi. Nel momento stesso in cui lo disse, avvertì
una leggerezza mai percepita prima. E seppe, con assoluta certezza, che i due
amanti erano liberi, adesso.
« Così, Hermione e Draco non riuscirono mai a passare del tempo insieme, come
avrebbero desiderato e meritato, come da allora io ho sempre sentito di aver
impedito » La voce di Ron, già
roca e tramante, si spezzò. Nonostante la consapevolezza che quella verità
doveva essere rivelata, il dolore era ancora troppo forte, troppo vivido. Erano
passati tanti anni, ma la sofferenza era stato un vulcano attivo, in costante
eruzione, per tutto il tempo.
« Ma allora… » La giornalista sembrava sinceramente confusa,
tanto che si guardò intorno, come a voler cercare nei presenti un aiuto, un
appiglio. « Perché nel suo romanzo ha scritto che i due
amanti si ricongiungono? » Le dita affusolate della donna si artigliarono ai
braccioli della poltrona di velluto su cui lei si era accomodata all’inizio dell’intervista.
Ron abbassò ancora una volta lo sguardo su quello
smalto grigio scuro, un colore del tutto diverso da quello degli occhi di Draco, così nebulosi e torbidi che capirli sarebbe stato
impossibile. Lo era stato, per lui, che solo nella vecchiaia e nella solitudine
aveva avuto il tempo di maturare e comprendere cosa davvero fosse l’amore –
cosa fosse quell’amore in particolare, soprattutto.
« Ho voluto dare loro quello che avevano perso nella vita » spiegò con semplicità, come fosse la cosa più ovvia del
mondo. Un tenue sorriso gli arricciò le labbra sottili, tese al di sopra di
gengive quasi vuote. « Non è stata debolezza, o evasione, ma un atto
finale di gentilezza. Io ho restituito a Draco e Hermione la giusta felicità »
***
Ron si
piegò sul corpo di Draco, con la fronte corrugata
dall’orrore. Non osò sfiorare le ferite grondanti di sangue, che macchiavano i
vestiti lerci e sudici. La pozza scarlatta in cui il ragazzo era riverso
continuava ad allargarsi sempre di più, e tutto ciò che lui riusciva a fare era
guardare quella purezza abbandonare il suo corpo, pallido e stranamente minuto,
in quella posizione da bambola abbandonata.
Draco
boccheggiò, le labbra spalancate nel tentativo di far entrare aria nei polmoni
bucati da una maledizione crudele. Sembrava stringere tra i denti parole troppo
gelate perché si potessero sciogliere al sole. Aprì e chiuse la bocca più
volte, nel tentativo di esprimere ciò che aveva dentro.
« Io lo sapevo che in questa guerra sarei morto » La sua voce
era un sussurro fievole, distante, sembrava provenire da un tempo e un mondo
diverso. Un mondo felice, lo stesso che lui, poi, molti anni più tardi, avrebbe
dipinto nel suo romanzo. « Io volevo
morire, per liberarmi della maledizione di un amore mai voluto » Draco chiuse gli occhi. Ogni parola sembrava una fatica
immensa, per lui. « E invece non avevo capito che tutto ciò che dovevo fare,
era carpire l’ultimo raggio di bellezza della vita, prima della fine. E l’ho
fatto » Draco Malfoy riaprì
gli occhi e sorrise. Le iridi grigie si puntarono verso il cielo, e Ron vide riflesse, in esse, le nuvole cineree di un cielo
che esisteva solo dentro quel ragazzo morente. Una lacrima sfuggì dall’angolo
dell’occhio destro, gli accarezzò la tempia e scivolò in basso, precipitando
nel vuoto fino al suolo.
Così morì Draco Malfoy,
con il sorriso sulle labbra e gli ultimi battiti del cuore rivolti alla donna
che aveva sempre amato. La fissità dei suoi occhi era tanto macabra quanto
bellissima, perché nell’eternità della morte il suo volto si era fermato, per
sempre, nel sorriso dell’accettazione. Quando era diventato adulto, sulla
soglia della morte, Draco aveva capito che Hermione non era solo ergastolo, ma soprattutto espiazione.
Quando era morto, Daco aveva trovato la pace di un cammino senza uscita.
***
Lo studio in cui Ronald Bilius Weasley, nei suoi ottantanove anni pregni di dolore e
colpa, aveva srotolato quella storia smerigliata e perfetta, salvo poi
inquinarla con la confessione finale che era tutto falso, inventato, era
avvolto da un silenzio muto. La giornalista che lo aveva intervistato lo
fissava con un educato distacco, cercando, sul suo volto, una minima traccia di
menzogna, o forse di follia, per spiegare l’assurdità di quella realtà che,
davvero, non riusciva ad accettare.
C’era qualcosa di incredibilmente sbagliato nella versione
reale di una verità a lungo taciuta e che riemergeva ora, dopo anni, chiedendo
un tributo da pagare. Eppure, c’era qualcosa di terribilmente giusto, anche.
Dentro quello studio, con le tende pesanti che filtravano la luce e i quadri
curiosi appesi alle pareti, ma ancora di più nello sguardo finalmente vivo di
quell’anziano la cui mano tremava al solo ricordo di ciò che stava rivivendo
dentro di sé, c’era qualcosa di più sottile, e mentre la giornalista rammentava
immagini che non aveva mai vissuto in prima persona perché troppo giovane per
ricordare una guerra che aveva avuto la fortuna di non vedere, entrambi lo
capirono: quello che sembrava, davvero, incredibile e atroce era che sembrava
tutto troppo bello. C’era un’ipertrofia irragionevole di esattezza
simbolica, di purezza del gesto, di spettacolarità, di immaginazione. Nell’immagine di quei due amanti che solo durante la guerra
capiscono il loro amore, e che però non riescono a viverlo appieno perché la
vita strappa loro la possibilità di un’esistenza felice insieme, c’è troppa
maestria drammaturgica, troppa finzione. Una finzione che non si ritrovava
nemmeno dentro le pagine scritte di quel libro a cui Ronald Weasley
ha dedicato la sua intera esistenza. La Storia non era mai stata così. Il
mondo non aveva mai avuto il tempo di essere così. La realtà non va a capo, non
concorda i verbi, non scrive belle frasi. Noi lo facciamo, quando raccontiamo
il mondo. Ma il mondo, di suo, è sgrammaticato, sporco, e la punteggiatura la
mette che è uno schifo.
Se ne resero
conto entrambi, nello stesso momento, con sgomenta sorpresa.
« Perché la
storia che vedo è così perfetta? Perché è già perfetta prima che la racconti
lei, nello stesso istante in cui accade, senza l’aiuto di nessuno? » La domanda
della giornalista era, per la prima volta, priva di pregiudizi. Lo sguardo di
compatimento con cui lei fissava il vecchio dall’inizio dell’intervista era
stato sostituito da un reverenziale rispetto che rasentava l’adorazione, e Ron non tardò ad accorgersene. Chinò il capo, emettendo un
lungo sospiro sordo. Tacque per lunghi minuti, e la donna credette
semplicemente che stesse cercando una risposta, dentro di sé, una ragione, un
motivo, qualsiasi cosa giustificasse l’assurda bellezza di quel pezzo di
storia.
« Insomma, è
come… come un libro. La storia che lei ha appena raccontato, quella vera… » La
giornalista sentì l’impellente bisogno di riempire quel silenzio vuoto. Il suo
cuore in tumulto non giustificava l’aspettativa o l’urgenza con cui pretendeva
una risposta. « Draco e Hermione
che muoiono, l’uno per l’altra, in una guerra ingiusta, senza avere il tempo di
condividere nemmeno un attimo della loro vita insieme. E lei lo ha fatto
accadere, è così, giusto? È per questo che ha scritto questo romanzo, Espiazione » La donna allungò la mano
ben curata. Le sue dita, laccate dello smalto grigio scuro, si chiusero attorno
alla copertina di cartone di quel libro, e Ron ebbe come
l’impressione che la sua mano creasse una morsa attorno al suo cuore.
Si aspettava
una frase del genere, e nemmeno lo ferì.
È per questo che ha scritto questo romanzo?
« Dicono che il sacrificio sia la misura
dell’amore » Ron non rispose, perché aveva già dato
la sua spiegazione, che ancora non era nemmeno esatta, o completa, per meglio
dire. « Se è così, allora adesso capisco che lui la amava davvero, come io non
avrei mai saputo fare » Schioccò le labbra con un moto di fastidio che sorprese
persino se stesso.
« Ma lei non lo ha mai saputo, vero? Lei non ha
mai permesso ad Hermione di sapere la verità su
quell’amore. Lo ha solo potuto immaginare, avvertire sulle labbra con quel
bacio fugace, ma poi… » Sembrava esserci cattiveria, nell’insinuazione della
giornalista. Tuttavia, sul suo volto non c’era traccia di malvagità: al
momento, quel bel volto, giovane e nel pieno della vita, pareva solo curioso,
ansioso di conoscere la verità di un amore che aveva sconfitto perfino la
guerra, uscendone ammaccato ma in fondo vincitore, perché aveva superato il
tempo e le avversità e aveva potuto vivere la sua bellezza nella finzione di un
libro.
« Si sbaglia »
***
L’attesa
della fine era quanto di più logorante e insopportabile lei potesse immaginare.
Hermione non riusciva a darsi pace. Da quando aveva
visto gli occhi grigi di Draco scomparire nel buio di
un’alba spietata, la giovane strega non era riuscita a fermarsi un attimo. La
sua mente lavorava al ritmo incessante di una fantasia divorante e crudele
quanto quella guerra per cui stavano combattendo, e nulla era riuscita a domare
il suo senso d’angoscia, quell’indefinita sensazione che c’era qualcosa di
lasciato in sospeso, nella sua vita.
Non lo
capì fino a quando non entrò nella tenda di Neville. Nella penombra di quel
padiglione, tutto sembrava muto e immobile. C’era una pace palpabile, piacevole
quasi. Era tutto esattamente come lui l’aveva lasciato, come lei ricordava: il
disordine, l’odore di muffa e terra, la brocca d’acqua accanto alla branda
sfondata. E poi, nel buio, quel bagliore lattescente, l’iridescenza di un
ricordo destinato a sfiorire, a essere perduto, ma che lei, per caso o per
fortuna, aveva trovato, prima della fine.
Hermione aveva già visto un ricordo, prima d’allora. Lo
riconobbe subito, con una sorpresa sgomenta e incerta. La bottiglia dentro cui
galleggiavano quei fili d’argento era opaca, macchiata di fuliggine e polvere,
ma il chiarore e la bellezza di quella luce era palese persino nel buio. La
raccolse con dita esitanti, sfiorando il vetro smerigliato e spento con
ossequio. Notò solo in un secondo momento il lembo di pergamena stropicciato e
sporco su cui Neville aveva appuntato, con la sua grafia imprecisa, da
ragazzino cresciuto troppo in fretta, un’unica parola.
Guardalo.
***
« Non amava Draco. Non
era innamorata di lui, non avrebbe mai potuto esserlo » Ron
parlava con voce stanca e antica. In quella voce tremula, corrotta dalla
vecchiaia e dal dolore, la giornalista riuscì a riconoscere la traccia
invisibile della rabbia e del rancore, una sfumatura leggera, una tinta opaca
che lui aveva cercato di coprire con colpi di vernice decisi ma imprecisi. « Ma
si era innamorata di quello che ha visto. Di quei ricordi che Neville le ha
regalato, perché l’amore di Draco Malfoy
non andasse perduto. Perché lei sapesse quanto era puro, quel sentimento. Per
redimere la vita di un ragazzino arrogante che non aveva meritato nulla, nella
vita, ma che era riuscito a meritare lei, alla fine » Non si capiva se provasse
più collera nei confronti di Draco, di Hermione, o di Neville. Sembrava aver accettato
quell’amore, la sostituzione feroce con cui la donna della sua vita lo aveva
rimpiazzato, ma ora, in quell’attimo, la giornalista si rese conto che il
dolore della perdita era ancora vivido in lui. « Hermione
si era innamorata dell’amore che Malfoy provava per
lei ».
La giornalista si passò la lingua sulle labbra
rosee e piene, abbassando lo sguardo con un movimento di ciglia e tacendo per
un attimo.
« Allora, l’Espiazione
di cui parla nel suo romanzo… è quella di Draco Malfoy? È riuscito, con il suo amore, a redimere i peccati
di una vita? » domandò con cortesia, puntando gli occhi scuri sul viso
dell’anziano. Ron non ricambiò quello sguardo, però:
le sue iridi, velate da un’ombra opaca che pareva il riflesso della sua
vecchiaia ma era, in realtà, solo il riflesso doloroso del ricordo, erano fisse
in un punto non ben precisato della sua mente.
« Sì » annuì l’uomo, con voce roca. « Ma è anche la mia, di espiazione » Una pausa. Un respiro
profondo, come per farsi forza. « Il problema, in questi anni, è stato questo:
come può uno scrittore espiare le proprie colpe quando il suo potere assoluto
di decidere i destini altrui lo rende simile a Dio? Non esiste nessuno, nessuna
entità superiore a cui possa fare appello per riconciliarsi, per ottenere il
perdono. Non c’è nulla al di fuori di lui. È la sua fantasia a sancire i limiti
e i termini della storia. Non c’è espiazione per Dio, né per il romanziere,
nemmeno se fossero atei »
***
Quando Hermione riaprì gli occhi, si accorse, senza riuscire a
provare stupore per questo, che stava piangendo. Le ci vollero diverse ore per
venire a patti con una realtà che aveva in fondo già intuito, ma che vedere con
i suoi occhi, in modo così incontrovertibile da diventare vero, aveva provocato
in lei sentimenti contrastanti.
Uscì dalla tenda di
Neville con passi lenti, senza rendersi conto che le sue mani tremavano.
Neville si sarebbe sempre rimproverato quel particolare – le mani di Hermione che tremano, tanto da non riuscire a tenere
saldamente la bacchetta; per sempre, si sarebbe pentito di quell’attimo in cui
aveva depositato quei ricordi sul tavolo cigolante di una tenda ammaccata,
esattamente come Ron si sarebbe poi pentito di un
gesto fatto con gelosia e cattiveria, ma nell’innocenza – nell’illusione – del
giusto.
Solo lo schiocco della
Materializzazione di Ron riuscì a riportarla alla
realtà, ma era una realtà talmente finta e distante, avvolta dalla nebbia
vorace del dolore e dell’angoscia, che lei non la percepì distintamente. Era
una percezione intermittente, una sequela di immagini fisse e mozziconi di cose
perdute, cancellate, mai arrivate ai suoi occhi. Una percezione sincopata. Solo
alcuni sprazzi di quella concretezza che sembrava un sogno le giunsero agli occhi:
non il sangue che imbrattava i vestiti del suo migliore amico, ma il respiro
spezzato che gli squassava il petto; non le urla spaventate intorno a sé, ma il
tremore delle sue mani; non le urla di avvertimento di Ginny,
ma gli occhi di Ron.
Hermione non li dimenticherà mai: quelli sono
gli occhi di un uomo. Hanno dentro rancore e goffaggine, imbarazzo e dolore,
colpa e soddisfazione. Hanno dentro la risposta che Hermione sa
già.
«Devo dirti una cosa, Hermione»
Fece appena in tempo a sentire quelle parole. Poi, Hermione
non sentì più nulla.
***
« È caduta a terra con la stessa leggerezza con
cui ha vissuto » La voce di Ronald Weasley era secca,
antica, sembrava provenire da un momento a lungo dimenticato. « Mi piacerebbe
poter dire che aveva sulle labbra lo stesso sorriso di Draco
Malfoy, ma sarebbe una menzogna. Non credo che abbia
provato dolore, non si è nemmeno accorta di quella Maledizione arrivata alle
sue spalle all’improvviso, ma non aveva raggiunto la pace dell’accettazione, e
non era ancora pronta ad andare via, questo lo so » Il respiro che gli gonfiò
il petto, anche se nessuno poteva saperlo, era del tutto uguale a quello con
cui lui, tantissimi anni prima, aveva guardato negli occhi Hermione
bevendo la sua ultima scintilla vitale. Avrebbe dovuto farlo Draco, aveva pensato allora, e lo pensava anche adesso,
mentre guardava la giornalista, solo che la senescenza gli aveva consegnato
anche una certa poeticità, maturata nei suoi scritti, che gli aveva permesso di
capire che c’era un motivo se lui era stata l’ultima persona che entrambi
avevano visto. Come una specie di ciclo che si chiude. « Doveva vivere con Draco, prima di andare via. Ecco perché ho scritto questo
romanzo » Sul volto antico di Ronald Bilius Weasley, comparve, per la prima volta, un sorriso. Amaro,
ma sincero.
« Mi piace pensare che non sia leggerezza né
desiderio di fuga, ma un ultimo gesto di cortesia, una presa di posizione
contro la dimenticanza e l’angoscia: permettere ai miei amanti di sopravvivere
e vederli riuniti alla fine. Ho regalato loro la felicità, ma non sono stato
tanto opportunista da consentire che mi perdonassero, non proprio, non ancora.
E se avessi il potere di evocare la loro presenza: Draco
e Hermione, ancora vivi, ancora innamorati, seduti accanto,
a sorridere insieme tenendosi per mano? Non è escluso. Ora basta però, devo
dormire »
Tutte le
note (che ho dimenticato di inserire alla fine dei capitoli):
Capitolo I :
- La Bugattola è una malattia di mia invenzione. Non viene mai
citata nei libri della Rowling, per cui è da ritenersi di mia proprietà.
- Emmeline Vance è un membro
dell’Ordine Fenice dai tempi della Prima Guerra Magica.
- Si vive insieme, si muore soli, il
titolo del capitolo, è una frase tratta dal telefilm Lost.
Capitolo II:
- Dedalus Lux ed Elphias Doge sono
personaggi di J.K. Rowling: il primo è un membro dell’Ordine della Fenice, il
secondo un caro amico di Silente.
Capitolo III:
- “Tutte le strade portano a te” è il
titolo di una canzone di Ligabue
Capitolo IV:
- La
squadra d’inquisizione è il corpo speciale formato dalla Umbridge
in Harry Potter e l’Ordine della Fenice,
e formato da molti Serpeverde tra cui anche Draco.
- Gli occhi sono ciechi, bisogna cercare con
il cuore (Da “Il Piccolo Principe”, di Antoine De Saint-Exupéry)
- Il cuore muore di morte lenta. Perdendo ogni speranza come foglie.
Finché un giorno non ce ne sono più. Nessuna speranza. Non rimane nulla. Se un
albero non ha né foglie né rami, si può ancora chiamarlo albero? (Da “Memorie di una
Geisha”, di Arthur Golden).
- Non vistosa; non del genere che ti giri a guardarla. Più
semplice. Ma aveva qualcosa che ti accalappiava, niente da dire, ce l’aveva.
Come una specie di limpidezza, di trasparenza. (Da “Barnum 2”, di
Alessandro Baricco)
- Il termine Mudblood è riportato in inglese perché
lo ritengo più appropriato della (errata) traduzione italiana “Mezzosangue”
Capitolo
VI:
- I Gervoni Maculati
citati da Luna sono una mia invenzione.
Capitolo
VII:
- Il capitolo è ispirato alla canzone “Sei” dei Negramaro. Alcune scene tra Draco
e Hermione riprendono, in prosa, le parole della canzone
- “Ecco da cosa nasceva
quella sua sensazione prossima alla felicità. Forse non era poi così debole
come aveva sempre creduto; dopotutto, ci si misura rapportandosi agli altri,
non esiste alternativa. E, di quando in quando, in modo assolutamente
involontario, arriva qualcuno e ti insegna qualcosa sul tuo conto” (Da “Espiazione”,
di Ian McEwan)
- “I se e i ma sono la patente dei falliti, Malfoy. Nella
vita si diventa grandi nonostante” (Da
“L’ultima riga delle favole”, di Massimo Gramellini)
Capitolo IX:
- “Esiste una rabbia che non ha niente a che
vedere con la cattiveria. È il ruggito di chi cerca di nascondere le proprie
fragilità” (di P. Felice)
- Le “Cinque
Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla
Trasfigurazione degli Elementi” sono quegli oggetti che non possono in alcun
modo essere trasfigurati o evocati, nemmeno con la magia (cibo, amore, vita e
informazioni; la quinta non è mai citata nei libri, si presuppone sia il
denaro). Per maggiori informazioni vi rimando a Wikipedia.
- “C’è un prezzo da pagare per una vita di
falsità” è una frase tratta da una canzone che ho ascoltato nel periodo in
cui scrivevo quel capitolo e che ora, ovviamente, non ricordo >.<
Capitolo XI:
- “Un
alfabeto diverso da quello della sua vigliaccheria”, riadattata, da “Il
cantico dei Drogati”, di Fabrizio de André.
- “A
[Draco], invece, pareva che la sua vita si sarebbe
svolta tutta in una stanza priva di porta.” (da “Espiazione”, di Ian McEwan)
- “È che a
volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note.
E le emozioni”
- “Così fa
il destino: potrebbe filar via invisibile, e invece brucia dietro di sé, qua e
là, alcuni istanti, fra i mille di una vita. Nella notte del ricordo ardono,
quelli, disegnando la via di fuga della sorte. Fuochi solitari, buoni per darsi
una ragione, una qualsiasi” (da “Castelli di rabbia, di Alessandro Baricco)
- “Aspettare senza sapere era una
delle più grandi incapacità delle sue vita, e lei non sopportava di essere
incapace in qualcosa. Perché, nell’attesa, aveva avuto lo spazio, già prima
d’allora, per costruire enormi impalcature di significato, e dieci minuti dopo
farle crollare, per sua stessa mano. Poi, riprendere da un punto qualunque,
correggere il tiro di qualche centimetro per rendere la costruzione immaginata
più solida; salvo poi vederla crollare di nuovo. Hermione non
sapeva aspettare e non voleva farlo, perché sapeva che nell’attesa i mostri
prendono forma e si ingigantiscono, mangiano le ore per crescere; sapeva che
alla fine l’avrebbero mangiata viva.” Anche questa frase l’ho trovata da
qualche parte, e l’ho riadattata, ma ovviamente ho dimenticato di appuntare la
fonte.
Capitolo XII:
- I dialoghi
sono ripresi dal film “Espiazione”.
- “La misteriosa
circostanza per cui le cose del nostro passato continuano ad esistere anche
quando escono dal raggio della nostra vita, e anzi maturano, portando frutti
nuovi ad ogni stagione, per un raccolto di cui non sappiamo più nulla. Non potè fare a meno di pensare alla persistenza illogica della
vita” (Da “Questa storia”, di Alessandro Baricco – leggermente modificata)
Capitolo XIII:
- “Ti svelerò un filtro potentissimo, senza
formule magiche né unguenti: se vuoi essere amato, ama” (di Ecatone)
- “Sembrava
stringere tra i denti parole troppo gelate perché si potessero sciogliere al
sole” (Da “La guerra di Piero, di Fabrizio de André, riadattata)
- “La realtà non
va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi. Noi lo facciamo,
quando raccontiamo il mondo. Ma il mondo, di suo, è sgrammaticato, sporco, e la
punteggiatura la mette che è uno schifo.” (di Alessandro Baricco, in una
nota sull’11 settembre)
- Le parole che Ron rivolge
alla giornalista sono riprese dal romanzo “Espiazione”. La storia si chiude
esattamente con le stesse parole del libro di McEwan.
- Easily torn, not easily
mended è una frase molto significativa tratta
proprio da “Espiazione” (ma dai?). Letteralmente significa “Si rompe facilmente, ma non si aggiusta
altrettanto facilmente”. La traduzione italiana è assolutamente inefficace,
non rende la bellezza e la significatività (?) di questa frase che io ritengo
meravigliosa.
Tutta la storia è ispirata al romanzo di McEwan, di cui consiglio vivamente la lettura a chiunque
non l’abbia ancora fatto. Chi lo conosce, dal libro o dal film, sa già che
questa storia sarebbe andata a finire così, probabilmente. Vi chiedo scusa. Lo
so che sono sadica e terribile, che non è giusto e che non doveva andare così,
ma in fondo avevo già avvertito che non era una storia adatta ai deboli di
cuore e davvero non sono riuscita a trattenermi, perché quando ho ripreso in
mano il romanzo “Espiazione”, questa storia è nata da sola e non avrei potuto
farla andare diversamente, a meno di non infangare il nome di uno Scrittore
come McEwan.
Chi mi conosce, sa che il lieto fine non è proprio una
mia prerogativa. E, come in “Cenerentola”, credo davvero che questo sia il
finale migliore.
Colgo l’occasione per chiedere perdono per i ritardi
infiniti a cui vi ho costretti, so che hanno inficiato sulla godibilità e
piacevolezza della storia.
Ringrazio tutti i lettori che hanno seguito,
ricordato, preferito e soprattutto recensito questa storia, e che continuano a
seguirmi. Le vostre parole mi riempiono il cuore.
Per un po’, credo che non pubblicherò nulla, per
mancanza di tempo e perché non voglio costringere nessuno ad attese infinite.
Ma continuo comunque a scrivere (con i miei tempi, certo) e presto, lo
prometto, pubblicherò qualcosa. E avrà un lieto fine, promesso <3
Per il linciaggio, mi trovate qui.