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Autore: Melian_Belt    26/04/2014    5 recensioni
"Ho sempre guardato gli altri dall’alto in basso, disgustato dalla loro semplicità, dai loro aspetti banali, chi è questa creatura che in un momento di mia simile debolezza mi sta davanti?
Accenna un sorriso sulle labbra sottili, gentilezza ed eleganza solo nel modo in cui mi tende la mano guantata. Dev’essere l’alcool che mi fa sentire così in soggezione, che fa battere il cuore contro la cassa toracica, proprio a me che sono un’inarrestabile macchina da guerra, fatta per schiacciare gli altri sotto le scarpe."
Per chi mi conosce, prima ero Melian92! Buone feste a tutti!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La mia mano è stretta intorno alle sue dita fredde, un incastro che sa di ineluttabile. Lui non mi guarda, lo sguardo poggiato tra il muro e il pavimento, amovibile anche quando gambe occasionali si mettono in mezzo.

"Signor Sensi?".

Alzo lo sguardo sul giovane dottore, il cui busto sporge dalla porta.

"Sì".

"Tocca a lei".

Non rispondo, rivolgendo il viso su Richard. Anche lui si gira a guardarmi e poi, piano, si tira in piedi. Rimango sulla sedia, la colonna vertebrale sporgente conto il muro a buccia d'arancia.

Si sistema il bavero del cappotto, la maschera di calma di nuovo al suo posto.

"Vengo con te?".

Lui mi fissa con misurato tepore e poggia il dorso delle dita sulla mia guancia, nell'ombra dello zigomo duro: "Forse dopo".

Si tinge di un breve sorriso ed entra, la schiena una sagoma nera in movimento contro la luce chiara che riverbera tra gli stretti, bianchi corridoi della clinica. Oggi doveva piovere.

Poggio la testa sul muro e chiudo gli occhi, attraversato da una stanchezza attiva. Ho dormito poco in questi giorni, ma lo stesso non riesco a spegnere la testa e tutto il resto del corpo continua in questa lotta tra la vita e il riposo. In questo limbo tinto di surreale, sulla sedia dove prima stava Richard un sogno cosciente porta una creatura incappucciata di nero, dita scheletriche strette intorno alla falce. Somiglia tanto al dipinto che tramava nell'ombra del vecchio palazzo di nonna, quello che i cugini hanno svuotato in una notte d'inverno, lei ancora calda nel sudario.

Era un vecchio stucco del settecento, chissà ora quanti strati di polvere lo copriranno. Da bambino sono cresciuto passandoci davanti, non ci pensavo da anni. Non mi sorprende che sia venuto ora in superficie, ma al momento la mia testa è troppo sopraffatta perché la sorpresa possa scalfirla.

Chissà che fine ha fatto quella cugina dai capelli rossi?

Apro una fessura sul mondo, tenendo le palpebre a mezz'asta. Lascio cadere la testa sul lato, il collo languidamente inarcato. La porta dell'ufficio del dottore…è così silenziosa.

La guardo per dei lunghi minuti, intravedendo l'orologio in fondo al corridoio. È dall'alba che siamo qui, ma in poche ore ci hanno fatto una serie di analisi, dei tipi più diversi. È tutto molto privato, il titolare è una vecchia conoscenza di mio padre. Una persona stranamente decente, mi domando come faccia a trovare simpatico il vecchio. A pensarci, al di fuori della famiglia piace un po' a tutti.

Che gli uomini lo tengano in gran considerazione non mi sorprende, considerando il suo carattere da intrattenitore e l'età delle sue compagne. Le donne, non le ho mai capite. Un uomo simile, che si pone al centro del mondo come il sole. Eppure loro…

Il filo dei pensieri si rompe da solo e sospiro, passando una mano sul viso. C'è un bar qui sotto, potrei prendere un caffè più tardi. A pensarci, è da un po' che non fumo, me ne sono dimenticato.

Aver ora voglia di una sigaretta e di una bottiglia di gin mi fa sentire mediocre.

Metto le mani in tasca e trovo il telefono, con gli auricolari ancora attaccati. In genere passo molto tempo ad ascoltare la musica, se non riesco a prendermi un po' di tempo per farlo divento nervoso. Invece oggi non ci ho proprio pensato. Non è solo la mia quotidianità ad essere cambiata e me ne accorgo del tutto solo ora. Mi destabilizza un po', ho l'impressione di poggiare i piedi sul nulla.

La porta si apre e io mi tiro su, avanzando di un passo prima che l'assistente del dottore mi intercetti.

"Può entrare".

Faccio un impercettibile cenno del capo ed entro, togliendo le mani dalle tasche.

Antonio si alza, il camice in sintonia con il candore della barba perfettamente curata. Mi tende la mano ruvida con un movimento delle labbra che non è proprio un sorriso: "Simone, siediti".

Richard mi rivolge un tenue sorriso, le dita strette in grembo. Sembra quasi piccolo. Prendo la sedia e la avvicino un poco, mettendo di proposito il ginocchio vicino al suo.

Antonio si schiarisce un poco la voce e prende un respiro per il naso, gli occhi che scivolano su una serie di fogli messi uno vicino all'altro sulla scrivania.

"Abbiamo parlato con Richard. Ora che sa qual è la situazione, abbiamo deciso come procedere con la cura".

Spio Richard con la coda dell'occhio. Non vuole dirmi molto, a quanto pare. Non insisto, anche se qualcosa di amaro si deposita sul fondo della lingua. Lui continua a rivolgersi al dottore, ma sa che lo sto guardando.

"Cominciamo subito con una chemioterapia, più intensa possibile. Così da poter operare entro la fine del mese. Solo allora potremo sapere quanta parte dello stomaco andrà rimossa".

Mette insieme i fogli e li chiude in una cartella bianca. La chiude con un bollino e la porge a Richard, che la prende con mano instabile. Guarda l'oggetto con le labbra tese in una linea di disagio e si isola, non badando a noi. Alzo lo sguardo e incontro quello di Antonio, che cerca di comunicarmi in silenzio. Dopo qualche attimo, si toglie gli occhiali.

"Richard, posso parlare un attimo con Simone?".

Gli occhi blu si spalancano di muta sorpresa, ma annuisce. Si alza con evidente fatica, mostrando il pallore del viso nel pieno della finestra. Quando passa, poggia brevemente la mano sulla mia spalla. Si ferma sul vano della porta, la mano della maniglia: "Grazie di tutto. Arrivederci".

Antonio sorride: "A domani".

Con un cenno del capo, chiude la porta.

"È raro vederti con amici, Simone".

Scrollo le spalle, rimanendo in silenzio. Forse sa, forse non sa, ma non mi interessa. Non ho mai nascosto di non avere preferenze sessuali, ma nemmeno ho mai avuto relazioni ufficiali.

Poggia meglio la schiena sulla poltrona marrone-rossastro, rigirando gli occhiali, su cui il sole crea fastidiosi giochi di luce.

"È un uomo molto riservato. Spero ti permetterà di aiutarlo".

E che tu lo aiuterai. Sento le parole che non dice, anche qui non aggiungo nulla.

"Non sarà un percorso facile. Faremo tutto il possibile, ragazzo".

Lo fisso mentre fa per alzarsi e accompagnarmi alla porta. Lo fermo, parlando per la prima volta: "Quali sono i numeri?".

Dopo essersi fermato per un lungo istante, solleva le gambe anziane ma stabili: "Presto per dirlo".

Annuisco, sentendomi un terzo giocatore in una partita in cui ne bastano due. Viene dal mio lato della scrivania e poggia una mano calda sulla mia spalla.

"Salutami tuo padre. Ci vediamo presto".

"Sì, grazie".

Richard è la prima cosa che vedo. Senza badare a tutto il resto, stringo il braccio intorno al suo, sentendo parte del suo peso poggiarsi stancamente contro di me.

"Devo passare a casa. Se vuoi ti lascio prima, così riposi".

Sorride, il profumo del suo dopobarba mi avvolge il collo. "La vedrei volentieri casa tua".

Usciamo nel parcheggio e prendo una piena bolla d'aria, i polmoni stancati da tutte quelle ore nella clinica. Si ferma e io con lui. Le sue dita mi tengono piano la nuca e mi bacia sulla bocca, un tocco di bruciante calore contro le nostre labbra fredde. Non so perché, ma mi lascia intontito. Questa cosa della malattia mi ha preso così tanto…che ho dimenticato Richard. Mi da un buffetto sulla guancia infreddolita: "Sorridi di più. Va bene?".

Sorrido senza sforzo, anche se non con tutta la gioia del mondo. Il suo braccio si stringe intorno alle mie spalle, stringendomi contro il suo fianco. Mi poggia un bacio tra i capelli. Mi ero dimenticato persino che fosse più alto di me. Che strana cosa la mente.

  
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