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Autore: lady hawke    27/04/2014    6 recensioni
E’ durante la prigionia di Loki che Vali, il suo secondogenito, è venuto al mondo. Ed è stato proprio lui, in un certo qual modo, a provocare l’ennesima fuga di un Dio incapace di essere un marito e un padre. E’ stata però Sigyn, Dea della Fedeltà, a cercare di trattenerlo e a cercare di regalargli un po’ di tempo per essere sereno e felice, riducendo tutti, inconsapevolmente, a diventare parte di un destino poco clemente.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Autore: Ladyhawke
Fandom: Thor
Titolo:  My words just break and melt
Personaggi: Loki, Sigyn
Riassunto:  E’ durante la prigionia di Loki che Vali, il suo secondogenito, è venuto al mondo. Ed è stato proprio lui, in un certo qual modo, a provocare l’ennesima fuga di un Dio incapace di essere un marito e un padre. E’ stata però Sigyn, Dea della Fedeltà, a cercare di trattenerlo e a cercare di regalargli un po’ di tempo per essere sereno e felice, riducendo tutti, inconsapevolmente, a diventare parte di un destino poco clemente.
Rating: Pg13
Word:  4700
Generi: Introspettivo
Avvisi: violenza, violenza e violenza. Presenza di immagini non proprio carine, io avverto.
Note:   Nella sua crudeltà sono molto fiera di questa storia. Pensavo a questo dal primo momento in cui ho iniziato a scrivere delle Loki/Sigyn, perché è una storia che ha del serio dramma dentro, e niente, è semplicemente giunto il momento di mostrarlo, in tutta la sua crudeltà e il suo orrore.
Beta: Gy, la cui pazienza è sempre troppa e a cui devo fare i miei ringraziamenti per questo ottimo lavoro.



 
Please don't let this turn into something it's not 
I can only give you everything I've got 
I can't be as sorry as you think I should 
But I still love you more than anyone else could 

All that I keep thinking throughout this whole flight 
Is it could take my whole damn life to make this right 
This splintered mast I'm holding on won't save me long 
Because I know fine well that what I did was wrong 

The last girl and the last reason to make this last for as long as I could 
First kiss and the first time that I felt connected to anything 
The weight of water, the way you told me to look past everything I had ever learned 
The final word in the final sentence you ever uttered to me was love 

We have got through so much worse than this before 
What's so different this time that you can't ignore 
You say it is much more than just my last mistake 
And we should spend some time apart for both our sakes 

The last girl and the last reason to make this last for as long as I could 
First kiss and the first time that I felt connected to anything 
The weight of water, the way you told me to look past everything I had ever learned 
The final word in the final sentence you ever uttered to me was love 

The last girl and the last reason to make this last for as long as I could 
First kiss and the first time that I felt connected to anything 
The weight of water, the way you told me to look past everything I had ever learned 
The final word in the final sentence you ever uttered to me was love 

And I don't know where to look 
My words just break and melt 
Please just save me from this darkness

Snow Patrol - Make this go on forever



Sigyn era sempre stata una donna di parola. Aveva promesso solennemente a Loki che sarebbe sempre scesa a trovarlo nelle prigioni, qualora le fosse stato possibile, e l’aveva fatto nonostante il pancione ingombrante, nonostante i tentativi di dissuaderla e nonostante l’angoscia che la colpiva ogni volta che scendeva quegli scalini verso la parte più buia e più profonda di Asgard. Loki non l’aveva incoraggiata in alcun modo, perché non era sempre così egoista come si pensava, e soprattutto perché non amava che si avesse compassione di lui. Sigyn, invece, era una creatura piena di compassione per gli altri. Ciononostante, Sigyn interrompeva la noia della sua condanna, portando luce e bellezza. Tante volte si ritrovava a pensare che avrebbe voluto baciarla fino a farle sanguinare le labbra, poiché era da molto, da quando era rimasta incinta, che non l’aveva più avuta per sé. Guardarla, seppure imperfetta, con le guance paffute e l’andatura goffa, era una tentazione indescrivibile. Eppure si tratteneva sempre, richiamandola ai suoi doveri di madre, ai suoi doveri verso Narfi.
Poi, un giorno, Sigyn aveva smesso di comparire come un’apparizione misteriosa, e Loki ne aveva dedotto di essere diventato di nuovo padre. Questa volta aveva scelto il nome di Vali, per il bambino. Nessuno si era preso la briga di avvisarlo della novità, perché era un essere troppo odiato e troppo dimenticato, ma non dubitò per un solo istante dello stato di salute di Sigyn e Vali. Non sentì la sua mancanza, o meglio, si abituò a non sentirla, e sperò che questo convincesse la consorte a non mostrarsi più a lui, o almeno non i quei luoghi. Non aveva dato una durata alla sua prigionia, indeciso sul da farsi. Fuggire l’avrebbe allontanato da lei a lungo, restare l’avrebbe obbligato alla gabbia. Non sarebbe stato libero in ogni caso, e questo lo irritava. Se avesse potuto scegliere, avrebbe scelto l’oblio; una scelta facile e comoda; impraticabile, però, perché destinata a scontrarsi contro la costante, fastidiosa, incrollabile volontà di Sigyn di essere una moglie fedele.
Sigyn lo era e dal suo letto contava i giorni che la tenevano forzatamente lontana da lui. Aveva a malapena tempo per sé; Vali doveva essere nutrito e cullato, Narfi consolato e coccolato. Era diventato pauroso, dopo aver appreso della prigionia del padre, e chiedeva spesso di dormire con la madre. Era un capriccio che Sigyn gli concedeva senza difficoltà, nell’illusione che potesse davvero servire a qualcosa. Per la prima volta da quando si erano conosciuti non era stato Loki a definire i termini della loro lontananza, e saperlo così vicino e irraggiungibile la destabilizzava. Non doveva essere la sola, a trovarlo strano, e se ne accorse dal modo in cui tutti dicevano di volersi prendere cura di lei, la povera disgraziata consorte di un pazzo omicida. In passato avrebbe probabilmente creduto alle parole della gente di Asgard, ma aveva ormai imparato a conoscere le vere intenzioni delle persone, così come le aveva insegnato Loki, e capì che il vero scopo di tanta premura era controllarla.
In passato, un passato che ormai a stento riusciva a riconoscere come suo, Sigyn si sarebbe sentita una vittima di scelte altrui e di cattiveria altrui, ma non era più la ragazza spaventata che era stata, ed altri dipendevano da lei. Narfi e Vali, e di conseguenza Loki, le avevano donato forza e fermezza, perciò ignorò le malelingue e tirò avanti per la sua strada.
“Madre, non vuoi più vedere mio padre?” Narfi era un attento osservatore, incapace di non voler bene al padre, e di non preoccuparsi per lui. Aveva saputo cosa avesse fatto di Loki un prigioniero e aveva ribattuto con una logica inattaccabile, così simile al modo che aveva Loki stesso di parlare e di confondere. “Tutti i guerrieri uccidono.”
Aveva maturato a lungo quella domanda, e l’aveva posta non appena aveva visto la madre stare meglio. Da allora non aveva fatto che tormentarla, ponendogliela ogni giorno.
“Tornerò da lui non appena potrò lasciare Vali da solo per un po’.”
“Potrò scendere anche io?”
Sigyn scosse la testa. Per quanto desiderasse non mentire al suo bambino, non pensava fosse corretto mostrargli le prigioni e la decadenza di suo padre, ridotto ad essere un animale iroso e ferito. Lui non l’avrebbe voluto lì.
“No, tesoro.”
“Allora vacci tu, penso io a Vali.”
Sigyn sorrise e passò una mano sulla testa del figlioletto, fiera di lui. “Scenderò da lui, non temere.”
Eppure passarono i giorni e passarono le settimane, prima che Sigyn potesse accontentare il suo primogenito. Quando si decise, fu in una calda mattina estiva, mentre Vali dormiva beato, sorvegliato da un’ancella, mentre Narfi sedeva sul letto della madre, eccitato all’idea.
“Andrai da lui, alla fine.”
Sigyn ci andò, e fu felice di cogliere lo sguardo di Loki su di sé, quando egli la vide.
“Cosa ci fai qui, Sigyn?” Il suo tono era duro, quasi furente.
“Obbedisco al desiderio di nostro figlio, Narfi. Desiderava che vi vedessi, perché teme che possiate sentirvi solo.”
Loki rimase immobile, sorpreso. “Narfi dovrebbe essere arrabbiato con me.”
La Dea sorrise appena. Era la prima volta dopo molto tempo che Loki la vedeva così serena, nonostante la barriera che li divideva.
“Niente scalfisce la fede che nostro figlio nutre per voi.”
Loki non seppe se considerarlo un fattore positivo. Avrebbe preferito essere detestato da suo figlio? Avrebbe reso indubbiamente le cose più semplici, e gli avrebbe facilitato molte decisioni. Non indagò e non chiese. Non era un enigma che aveva voglia di risolvere in quel momento. “Hai abbandonato Vali, per essere qui.”
“Vali è in buone mani, sorvegliato da suo fratello. Io tornerò presto da lui.”
“A differenza di me, è questo che intendi? La rabbia di Loki esplose improvvisa, perché era incapace di gestire quella situazione così tranquilla. Non sapeva cosa lo irritasse di più, se la presenza della moglie, l’affetto di Narfi o il fatto di essere rinchiuso lì. Si avvicinò a Sigyn con aria indemoniata, quasi volesse colpirla, e a lei non rimase che arretrare di un passo, dispiaciuta. Era così difficile dire qualcosa che non fosse sbagliato, agli occhi del Dio degli Inganni.
“Mi mettete in bocca parole non mie.”
“E allora perché sei qui? Cosa vuoi tu da me? Che cosa pensi di poter ottenere da un Dio prigioniero, in catene, presto vittima dell’oblio?” Sigyn capì che era la prigionia a renderlo così. La noia continua, l’inattività, l’incapacità di poter immaginare atrocità da perpetrare. Era rinchiuso per il bene degli altri, ma a lui faceva così male.
“Io non potrei mai permettervi l’oblio, siete sempre nei miei pensieri.”
“Menti, donna!” ringhiò ancora Loki, frustrato. Avrebbe preferito averla lontana, saperla altrove.
“No, mio signore,” Sigyn rispose sicura. “Non mento, e ciò che io voglio per voi è che siate libero, perché qui state morendo.” Abbassò la testa, pensando al da farsi, e poi parlò ancora. “Fuggite, se potete.”
“Se avessi potuto, Sigyn, perché sarei ancora qui?”
Non si parlarono più, perché avrebbero potuto esserci ascoltatori attenti perfino lì, ma Sigyn sapeva che Loki era rimasto lì per lei, per assicurarsi che lei stesse bene, e Loki sorrise, perché sapeva che nessuno si sarebbe aspettato questo, da lui, ed essere inaspettato era tutto ciò che aveva per il momento. Sigyn si inchinò e si congedò in silenzio. Salì le scale sorridendo, perché presto Loki sarebbe stato libero, che Asgard lo volesse o meno.
 
E Loki fuggì, in piena notte, un po’ di tempo dopo. Sigyn, che di tanto in tanto aveva continuato a scendere da lui, aveva capito che i tempi erano divenuti maturi solo dallo sguardo del marito. Aveva passato la serata in uno stato di agitazione, in attesa, e durante la notte il sonno non era venuto. Al suo posto era però comparso Loki, sorridente e inquietante. Sigyn fu scossa dai brividi non appena lo vide, e ne fu euforica.
“Narfi e Vali?” le chiese.
“Dormono, mio signore. E voi, qual è la vostra meta, ora?” Loki non le rispose, ma si avventò su di lei.
L’aveva desiderata così a lungo che era disposto a trattenersi ad Asgard un po’ di più. Sigyn era consapevole del rischio a cui entrambi si stavano esponendo, ma l’idea che lui si esponesse non per sé, ma per lei e lei sola, le fece dimenticare ogni altra cosa. Lo strinse a sé, mentre la baciava fino a morderla, facendole quasi male.
“Finiranno per trovarvi,” sospirò perché era giusto dirlo, anche se non l’avrebbe lasciato andare presto.
“Farò in modo che non accada” rispose parlandole all’orecchio, mentre le sue mani vagavano sotto l’abito della sua sposa. Sigyn lo baciò ancora, consapevole che sarebbe potuto passare molto tempo prima che le si ripresentasse l’occasione di riaverlo così vicino a sé, di possederlo così. Loki era così sfuggente per natura che non erano solo la fuga e l’esilio che la preoccupavano. Si lasciò aprire il vestito, prima di lasciarsi cadere sul letto, pensando che il tempo l’aveva così cambiata… aveva ancora paura di suo marito, della sua rabbia, delle sue furie, della sua cattiveria. Non era capace di essere gentile nemmeno in quel momento, non era capace di essere per davvero delicato; le stringeva i polsi con forza perché aveva la necessità e il bisogno di dominarla, e lei lo lasciava fare, perché non era capace di pretendere molto altro, ma lo morse anche lei e con forza come una belva, perché da lui aveva imparato ad essere un animale selvatico, non sempre posata, non sempre impeccabile. Era ancora dentro di lei, quando Sigyn fece la sua preghiera.
“Restate con me.”
Loki alzò un po’ la testa, per guardarla negli occhi. “Non posso.”
“Fino all’alba. Dormite con me, per una notte sola, mio signore.” Gli accarezzò una guancia, e Loki le baciò il palmo della mano.
“Perché dovrei?”
“Perché non vi ho mai chiesto niente.” Era vero, e Sigyn, completamente arrendevole sotto di lui, era così bella da rendere molto difficile non accontentarla. Loki affondò il viso sulla spalla di Sigyn e concesse: “Solo fino all’alba.”
E fino all’alba rimase, con Sigyn stretta a lui, come se temesse che lui potesse magicamente svanire da un momento all’altro. Loki rimase sveglio e all’erta, attento a cogliere rumori sospetti o strani movimenti. Era probabile che nessuno ancora si fosse accorto che lui non era più in cella. Per la prima volta nella sua vita, ebbe voglia di rimanere per davvero, non a lungo, ma solo per un po’, come aveva fatto quando Narfi era piccolo. Ci furono poi i vagiti di Vali, e Sigyn si alzò, assonnata e coperta solo da una vestaglia, per placarlo.
“Anche questo è vostro figlio.” La Dea glielo mostrò con orgoglio, cullandolo. Era un bambino piccolo, anche lui con i capelli neri e brillanti occhi grigioverdi che tendevano a brillare nell’oscurità della stanza. Fissò il padre con grande curiosità.
“Non è mostrandomelo che resterò più a lungo.”
“Lo so” rispose lei, triste, abbassando lo sguardo su Vali. Vide però la mano di Loki posarsi sulla guancia del bambino, e poi sulla sua. Scese fino al mento e glielo sollevò appena, perché potesse guardarlo negli occhi. Gli occhi di Loki, in contrasto con i suoi gesti, erano inespressivi e freddi.
“Addio, Sigyn.”
“Vi aspetterò, mio signore.”
“Lo so.” La baciò ancora, si rivestì e se ne andò, lasciando Sigyn a piangere, sola, con Vali stretto al petto. Era mattina, quando scattò l’allarme e tutti si misero a cercare il Dio degli Inganni, ma Sigyn riposava sotto le coperte, bisognosa di recuperare ore di sonno, e sognando di non essere sola in quel letto così grande. Quando le fu dato l’annuncio che Loki era svanito e introvabile, annuì con aria molto seria e dispiaciuta, ma segretamente soddisfatta. Non pensò, non volle pensare al male che avrebbe potuto fare a piede libero, ma si limitò a sperare che non facesse male a se stesso.
L’assenza di Loki fu lunga, e lo fu in termini di anni. Sigyn non ebbe notizie di lui, e nemmeno le attese. Narfi e Vali crebbero accanto a lei, sempre simili al padre fisicamente, e caratterialmente opposti. Vali sentì parlare del padre da lei, dal fratello maggiore e dalla corte, e si fece l’idea di un uomo terribile e spaventoso, da ammirare da lontano. A Sigyn non rimase altro da fare che restare in fiduciosa attesa, certa del fatto che lui sarebbe tornato da lei. Non sapeva come, non aveva idea di come avrebbe fatto a non farsi imprigionare, ma sapeva semplicemente che avrebbe trovato il modo, come sempre. Continuò la sua vita, lasciando agli altri il fastidio di chiedersi perché fosse così serena. I più sospettavano, sbagliando, che la Dea della Fedeltà fosse certa che non avrebbe mai più visto il suo sposo, e che per questo fosse felice. Lasciò che lo pensassero, perché era un’idea rassicurante, chiedendosi come avrebbe potuto essere d’aiuto al suo sposo.
Ebbe però un’intuizione l’estate dopo, quando decise di partire con poche ancelle e di lasciare il grande palazzo di Asgard, sede di Odino e delle altre divinità, per raggiungere uno dei palazzi che era stato della sua famiglia, lontano da tutti e vicino al mare. Là i bambini sarebbero stati tranquilli e sereni; là Loki avrebbe potuto mostrarsi senza rischi. L’intuizione fu giusta.
Erano lì da poco più di due settimane due settimane, quando Sigyn incontrò Loki sulla spiaggia dove stava accompagnando i bambini. Alla vista di quello sconosciuto, Vali gridò e si nascose dietro la madre, ma Narfi, riconoscendolo, gli corse incontro, fermandosi a pochi passi da lui. Sigyn, invece, sorrise.
“La mia sposa impara bene” disse, mentre con la mano accarezzava la testa di Narfi, che rimase sconvolto, poiché era la prima volta che il padre lo toccava. Anche la donna vide quel gesto, e ne fu felice, perché significava che Loki non aveva più timori sull’essere padre. Ci volle tempo per convincere Vali, invece. Strinse l’abito blu della madre, quando Loki si avvicinò, e continuò a farlo quando Sigyn gli disse che l’uomo che aveva davanti era il padre, e che non aveva nulla da temere, da lui. Fece capolino con la testa solo dopo qualche minuto, e lo fissò con estremo sospetto.
“Tu non ci sei mai” attaccò, con le guance gonfie. “La mamma ti aspetta sempre.”
“Lo fa perché è la Dea della Fedeltà.” Loki diede una risposta razionale, e Vali rimase immobile, sorpreso.
Lasciò che Narfi lo prendesse per un braccio e lo portasse a giocare, perché la madre e il padre dovevano rimanere soli.
“Dov’è stato il mio signore?”
“Lontano come mai prima.”
“Avete mai pensato a noi?” chiese Sigyn.
“Sì.” Alla donna bastò, e non chiese nient’altro. Temeva di sapere, e Loki le aveva consigliato spesso di rimanere nell’ignoranza. Da buona moglie ubbidiente, Sigyn l’aveva ascoltato. L’aveva abbracciato stretto, ignorando che i figli li stessero spiando, sorridenti.
Dovendo rimanere in clandestinità, per Loki era difficile poter essere un marito e un padre presente, ma quando Sigyn congedava le ancelle, dando loro i compiti più vari, il Dio degli Inganni poteva palesarsi con le sue sembianze e imparare a conoscere i suoi figli.
“Hanno magia, dentro di loro” spiegò a Sigyn una sera.
“Entrambi?”
“Sì.”
“Era questo che cercavano, ad Asgard, quando li osservavano?” Sigyn si mise in allerta, come se dovesse temere per loro.
“Non necessariamente, li preoccupa che sia io ad insegnare loro come usarla.”
“E lo farete?” Loki posò lo sguardo su di lei, e ne lesse i dubbi e le paure. Poteva comprendere la sua preoccupazione di madre, ma non poteva lasciarla sperare.
 “Sono i miei figli, Sigyn. Non li ho generati per lasciare che siano ad immagine di qualcun altro.” Sigyn annuì a testa bassa, senza rispondere. Si chiese se lei e il mondo sarebbero stati pronti a tre creature come Loki, e se il suo sposo fosse stato un bambino dolce come erano i suoi. Faticava a credere che una personalità potesse essere sconvolta a tal punto e, sopra ogni cosa, temeva che Narfi e Vali sarebbero stati degli infelici e degli insoddisfatti come il loro padre, sempre a rincorrere cose che non avrebbero ottenuto mai, ignorando quello che avevano vicino. Loki aveva ignorato lei e i bambini così a lungo… non gliene faceva una colpa, perché conosceva i limiti del Dio, ma li considerava in prospettiva e temeva.
Il futuro si prospettava nebuloso, ma anticipò tutti, e Loki stesso, quando questi venne scoperto e catturato, quattro giorni dopo.
Sigyn sospettò di tutte le sue ancelle, perché non riusciva a credere che qualcuno avesse davvero potuto mettere in scacco Loki, ma non ebbe prove, e non poté agire. Pensò, come pensò Loki, alla prigionia, ma entrambi si ritrovarono sorpresi nel dover diventare parte di un processo.
Era stato Odino a volerlo, un Dio stanco di dover rincorrere un figliastro irriverente, crudele e completamente pazzo. Un Dio deciso a infliggere una punizione definitiva. Loki fu scortato in catene al centro della sala del trono da Thor, un Thor in imbarazzo e confuso, a sua volta sorpreso dall’idea del padre. Sigyn fu accompagnata tra le prime file ad assistere, mentre i bambini furono portati lontano, a godersi un’estate che volgeva al termine e a chiedersi che ne sarebbe stato del padre.
“Comincio ad essere stanco delle tue fughe e delle tue malefatte, Loki.”
Loki era lì, al centro dell’attenzione, in ginocchio e in catene, ma apparentemente con una grande voglia di scherzare. Non aveva rispetto per nessuno, lì dentro, perché prendersi tanta pena ad esser seri?
“Pensate a me, colui che compie tutta quella strada.”
“Ti prego, Loki” bisbigliò Thor, quasi pregandolo; la stessa preghiera di Sigyn, silenziosa in un angolo. Pregò che il suo signore non peggiorasse una situazione critica e dolorosa, pregò e pregò in vano.
“È ora di smettere di scherzare, Loki, ed è ora che venga posta una prigione da cui tu non possa fuggire.” Odino si alzò in piedi.
“Quale prigione? Non siete mai riuscito a trattenermi, padre.” Schernì il Padre degli Dei, Loki, lo schernì con gioia, perché non era disposto a interpretare nessun ruolo, in quella recita.
“Una da cui tu non possa fuggire, una che ti impedisca di uccidere ancora. Quanti morti su Midgard, su Jotunheim, su Vanaheimr e sugli altri mondi? Quanti ancora, Loki?”
“Che possano tutti morire, finché io non riuscirò ad avere Asgard, finché voi e la vostra stirpe non sarete estinti.”
L’unico occhio di Odino brillò in maniera sinistra, e Loki pensò che fosse ira.
“Mi porti a una decisione difficile, Loki, io che un tempo ti ho chiamato figlio
“Che sia, potente Odino, che sia; che per una volta prendiate una decisione con la vostra volontà, e non per coincidenze.” Odino chiuse l’occhio per un momento, e poi tornò sul suo trono.
“Che Vali sia trasformato in lupo, e che sia chiuso con Narfi in una stanza. Che Vali venga abbattuto a fatto compiuto, e che gli intestini di entrambi siano le tue catene, Loki. Che tu possa essere maledetto e incatenato ad una roccia, che un serpente possa corroderti con il suo veleno fino alla fine dei tempi. Questo io comando, Loki, cosicché tu possa capire cosa significa subire le decisioni del Padre degli Dei.”
Calò il silenzio nella sala del trono, e Loki, in ginocchio e in catene, alzò lo sguardo su Sigyn. Sigyn era bianca e pareva di cera, e lui non riuscì a trovare niente da dirle. Si guardarono spaventati come bambini, soli e consapevoli che nessuno avrebbe speso parole per lui. Loki distolse lo sguardo da quei bellissimi occhi pieni di dolore e pensò a che fare, ma fu Sigyn a precederlo.
“No.” Lo disse, e poi lo urlò forte. “No, per favore no! sporse in avanti, come a voler raggiungere lo sposo, e fu trattenuta. “Non i bambini, non loro!”
Si divincolò e si lasciò cadere in ginocchio. “Sono bambini e sono innocenti. Non hanno le colpe del loro padre, sono solo bambini e sono piccoli.”
Odino si voltò verso di lei. “Prenditela con Loki, è lui che ha scelto questo destino per loro.”
“No” insistette Sigyn, decisa a non obbedire mai più a nessuno. “No. Usate me. Usate me! Che siano i miei capelli, i miei intestini, le mie vene! Usate me, ve ne prego.”
“No, figlia mia. Non posso.” Odino parlò con voce dolce e fu crudele, esattamente come Loki, come se fosse davvero suo padre.
“Non potete? Voi prendete la decisione, io sono innocente quanto loro, io scelgo di prendermi la punizione, così come scelsi di tenere Loki come marito. Lasciate che sia io a scegliere. Per favore, mio signore.” Sigyn piangeva, piangeva come aveva fatto altre volte per Loki, ma era la prima volta che lui la vedeva, e ne fu sconvolto. Tenne la testa bassa per non vederla, per non guardare quanto cercasse di cambiare cose che non potevano essere cambiate, per non vederla prostrata a terra a causa sua. Se ci fosse stata Frigga, lì, forse sarebbe stato diverso, e forse non si sarebbe giunti a questo. Ma Frigga non c’era e lui continuò a sentire la voce di Sigyn, poco più che un pigolio tra i singhiozzi, mentre Thor, dietro di lui, cercava di essere all’altezza di una situazione assurda, attorniato da una corte muta e silenziosa, piena di pena per una donna a cui era toccato un destino infelice, ma ancora troppo piena di odio per Loki per esserle di aiuto.
Non v’era clemenza, in Odino, e niente sembrò in grado di scalfirlo. Loki ascoltò le preghiere di Sigyn per quelle che gli parvero ore, e niente si incrinò in Odino. Il Dio degli Inganni non aveva forse fatto lo stesso negli altri mondi? Non era stato duro e crudele senza ragione? Odino sembrava voler dimostrare questo, e Loki si sentì realmente mostruoso, mentre Sif sollevava Sigyn di peso per portarla via, prima che a lui stesso toccasse la stessa sorte.
Sigyn non ebbe modo di reagire ancora, di pregare, di supplicare. Aveva tenuto la fronte appoggiata sul pavimento, aveva cercato di sacrificare se stessa, ma non era servito. Era confusa, quando la portarono via, e quando Sif le fece bere uno strano intruglio la lasciò fare.
“Vi aiuterà a riposare.”
“Mi terrà buona e placherà le vostre colpe.”
“Non posso discutere gli ordini del Padre degli Dei.”
“Non puoi perché non sono i tuoi figli, Sif.”
La guerriera tacque e attese che la pozione facesse effetto. Asgard non era mai stata così silenziosa, e Sif la trovò inquietante.

Sigyn dormiva, mentre Vali veniva trasformato in una belva e aizzato contro il fratello, dormiva mentre Vali veniva abbattuto come una preda, e mentre i due fratelli venivano trasformati in catene per il padre. Dormiva un sonno senza sogni, sereno e riposante. Ma quando si svegliò, durante l’alba di due giorni dopo, la realtà le rovinò addosso come una valanga, lasciandola quasi senza fiato. Pensò e pianse. Pensò all’ultima carezza che aveva dato loro, ai loro capelli morbidi come seta, alle loro voci. Si chiese se avessero avuto paura, e quanto dovevano aver sofferto. Pensò poi a Loki, pensò ai suoi occhi pieni di scuse e di colpe, e pensò che non meritava di rimanere da solo.
Nell’alba gelida e crudele come Odino, Sigyn scelse di abbandonare Asgard per sempre, per raggiungere Loki ai confini del mondo. Scese nelle scuderie, prese un cavallo e lo sellò, cercando di essere il più silenziosa possibile, certa che in ogni caso nessuno sarebbe venuto a fermarla. Perché avrebbero dovuto farlo? Per impedirle cosa?
Si legò i capelli, si allacciò il mantello e si mise in sella per correre via, lontano dal dolore, lontano da quelle stanze piene di ricordi. Via, come aveva fatto Loki per anni, infinitamente più saggio di lei.
Corse e corse per boschi e valli, mentre il sole si faceva alto nel cielo, corse con il solo vento a farle compagnia; le schiaffeggiava il viso bagnato di lacrime, le gonfiava il mantello verde, le sollevava i capelli biondi. Un compagno dispettoso e onnipresente. Corse fino al mare, dove le mareggiate erano alte e tremende per impedire a viaggiatori curiosi di sconfinare là dove non avrebbero dovuto. Loki l’aveva fatto, sfidando il mare e superando l’ostacolo. Galoppò sulla spiaggia, obbligandosi a non pensare che era là che Loki aveva accarezzato i suoi figli, che là l’aveva abbracciata.
Quando raggiunse la grotta dove sapeva che l’avrebbe trovato, si fermò e fermò le sue lacrime. Nessuno avrebbe avuto bisogno di vederla piangere, e i suoi occhi rossi e gonfi erano così stanchi da non poterne sopportare altre. Smontò da cavallo e lo lasciò libero di tornare a casa o di trovarsene una nuova. L’animale era sudato e stanco, perciò rimase lì, a fissare la ladra che l’aveva rapito, mentre lei seguiva i lamenti di Loki fin dentro alla grotta, fin dentro all’inferno.
“Mio signore…” si lasciò sfuggire. Loki era lì, di fonte a lei, legato ad una roccia. Sopra di lui un enorme serpente faceva colare veleno su quello che era stato il volto del marito, ormai corroso e putrescente. Sembrava sciolto, colato verso il basso, corrotto.
Loki, cieco da un occhio, la notò a fatica, riconoscendo la voce della sua sposa.
“Vattene, Sigyn, non c’è niente per te.”
“Mio signore, io…”
“Vattene. Almeno tu, vattene” implorò come lei aveva fatto nella sala del trono, con la stessa voce e lo stesso dolore.
Sigyn abbassò lo sguardo sui polsi di Loki e ne riconobbe le catene. La nausea la invase e dovette farsi molta forza per non vomitare.
“Non posso, qui c’è tutta la mia famiglia, mio signore.”
Ed era vero. Erano tutti lì, fatti a pezzi, in un modo o nell’altro, distrutti dalla natura di Loki, dalla crudeltà di Odino e dalla debolezza di Sigyn.
“Sigyn, c’è solo sofferenza, qui.” La voce di Loki tremava per il dolore, incrinandosi come non aveva mai fatto. Era solo il veleno a renderlo così? O era il pensiero dei suoi figli, le catene che finalmente l’avrebbero trattenuto?
“C’è quello che mi avevate promesso la mia prima notte di nozze.” Singhiozzò, Sigyn, perché si sentì crudele a dirlo, perché fu certa che mai Loki avrebbe voluto ferirla così tanto. “Ma io sono sollievo, e non vi lascerò ora, non ti lascerò, ora.”
Non gli aveva dato del voi, per la prima volta da quando si erano conosciuti, e i brividi dati dal bruciore della carne si sommarono a brividi diversi, nel Dio degli Inganni.
“Ne sei sicura?”
“Non ho nient’altro, ormai. Mi hanno tolto quasi tutto ciò che ho amato.”
“Desideravo vivessero, Sigyn, desideravo vivessero.”
“Lo so.”
Sigyn prese la ciotola che aveva legato in vita e che aveva usato per bere. Si arrampicò sulla roccia ignorando il serpente e la paura. Ignorando la stanchezza e il dolore, ignorando i resti dei suoi figli. Giunta sulla sommità, sporse un braccio e con la ciotola intercettò il veleno, impedendo che colasse sul volto del consorte. Il suo sollievo fu immediato e subito la sua pelle cominciò anche a guarire. Sigyn gli accarezzò il volto, ignorando il bruciore del veleno acido che corrodeva la sua mano.
Loki chiuse gli occhi, e sorrise. Il suo volto deturpato restituì a Sigyn un’immagine d’orrore, ma famigliare.
“Non meriti questo, Sigyn.”
“Io ho scelto, Loki. Resterò qui, con chi amo e ho amato, attenderò la fine dei tempi con te.”
Tenne la mano vicino a Loki e rimasero così, vicini, a contare lo scorrere del tempo, pensando al dolore che si erano causati, alla crudeltà di cui erano stati artefici e vittime. Loki sapeva di stare condannando Sigyn ad attese e ancora attese, lei che aveva sempre creduto di vederlo tornare, che gli aveva dato fiducia quando non avrebbe dovuto. Loki sapeva, e non riusciva a non pensare che era felice di avere almeno lei.
Rimasero in silenzio, pensando ai figli perduti, pensando a come avrebbero fatto a riconquistarli, alla fine dei tempi.
 
  
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