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Autore: Flaesice    09/05/2014    1 recensioni
Penelope Penthon è una ragazza bella, sfacciata ed intraprendente; una ragazza che non si è mai arresa alle difficoltà della vita, che si è fatta da sola ed odia i pietismi.
Nel suo mondo non esistono le mezze misure: tutto deve essere necessariamente o bianco o nero, giusto o sbagliato.
Ma nella vita - prima o poi - si è sempre obbligati a scontrarsi col grigio, ed è proprio allora che tutte le certezze crollano e bisogna mettersi in discussione.
E' ancora una ragazzina quando per gioco decide di sedurre un suo compagno di scuola, il riservato Nathan Wilkeman, per poi allontanarlo definitivamente.
Il destino li farà incontrare cinque anni dopo nella meravigliosa Los Angeles; Penelope sempre più votata al suo stile di vita, ma Nathan?
Decisamente più esperto e meno impacciato cercherà di prendersi una piccola rivincita per il passato, ma si sa che la passione non è un'emozione facile da gestire nemmeno per una come Penelope.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo V

Posteggiai l’auto nel parcheggio privato della agenzia: scesi ed attivai la chiusura centralizzata.
Il sole mi colpì in pieno viso accecandomi un istante, sistemai la giacca sbottonandola sul davanti e ravvivai i capelli con una mano.
L’appuntamento che avevo fissato, dopo il colloquio avuto la settimana precedente con Bill Rooter, era per le dieci in punto; quello sarebbe stato il mio primo giorno di lavoro per la ‘BR Design’ la cui sede centrale si trovava nella meravigliosa Los Angeles.
Ero arrivato fin qui grazie ad un susseguirsi di eventi. Dopo la fine del liceo avevo deciso di iscrivermi al college per studiare architettura, ma circa un anno dopo avevo capito che non era quella la mia aspirazione. Così avevo lasciato tutto per seguire un corso di grafica a New York ed in meno di un anno e mezzo ero riuscito ad ottenere la specializzazione; subito dopo ho iniziato a lavorare per una piccola agenzia e con un paio di occasioni fortunate ero approdato a Los Angeles.
Mi recai all’interno dell’edificio fermandomi dinnanzi la postazione di segreteria attirando l’attenzione di una moretta tutta curve intenta a battere al computer.
«Buongiorno Miss...» presi una pausa per leggere il nome sulla targhetta «...Mozby, sono Nathan Wilkeman» mi presentai.
«Oh, Mr. Wilkeman» disse scrutandomi qualche istante, le sorrisi nel mio solito modo e soltanto dopo poco parve ridestarsi «Miss Penthon la sta aspettando, la chiamo subito»
La guardai perplesso ma rimasi ugualmente in silenzio. Miss Penthon. Penthon.
Quel nome non mi suonava del tutto nuovo.
«Penelope, sono Johanna. C’è qui il graphic design che aspettavi» disse in tono professionale, mentre i motori del mio cervello si azionarono tutti insieme simultaneamente.
Penelope Penthon.
Possibile si trattasse proprio di lei? Sarebbe stato proprio un bello scherzo del destino.
Cercai di non pensarci troppo, tornando a rivolgere la parola a Johanna e scambiando qualche battuta alla quale rise con un po’ di entusiasmo più del necessario.
Tipico delle donne.
Ad un tratto sentii qualcuno schiarirsi la voce alle mie spalle e sussurrare un “Eccomi”.
Quella voce.
Johanna prese la parola «Oh Penny, ti presento Nathan Wilkeman»
Mi voltai ed il sorriso che avevo sul volto si spense per lasciare spazio allo stupore, il mio cuore accelerò appena il suo battito nel vedere la persona che era dinnanzi a me;
la stessa persona con cui cinque anni prima avevo perso la mia verginità oltre che la testa, la stessa persona che mi aveva preso solo come un gioco, lo sfizio di una giornata.
La sua bellezza ancora più marcata dal tempo trascorso, straordinariamente sensuale con quel sorriso furbo che ricordavo perfettamente.
Cercai di ricompormi e nascondere il turbine di emozioni che mi vorticava dentro, sorrisi spontaneamente fingendo di aver dimenticato «Piacere» dissi semplicemente «Nathan Wilkeman»
Forse era stupido da parte mia fingere di non averla riconosciuta, ma in quel momento sembra la cosa più giusta da fare.
 Penelope Penthon. Quella Penelope Penthon; sorrisi tra me.
Non riuscivo a crederci, era davvero una cosa incredibile.
La ragazza che in passato avevo sempre ammirato da lontano, troppo discreto per avvicinarla; lei sempre così desiderata e al centro dell’attenzione.
Colei che cinque anni prima si era trasformata nella mia ossessione dopo quel pomeriggio insieme quando avevo finalmente scoperto la gioia di poter stare con una donna. Era stato un momento magico, lei aveva preso in mano la situazione per aiutarmi con la mia inesperienza ed io ne ero rimasto irrimediabilmente affascinato.
Nonostante tutto ero riuscito a superare l’enorme delusione derivata dalla sua reazione il giorno dopo, ero andato avanti con la mia vita come avrebbe fatto qualsiasi ragazzo della mia età, ma ora, riaverla dinnanzi a me più bella che mai, poter  guardare i suoi occhi vispi ed intensi, il suo sguardo furbo, le sue labbra morbide e carnose aperte in un sorriso sorpreso, era comunque qualcosa che inevitabilmente mi faceva un certo effetto.
«Piacere Nathan. Chiamami pure Penelope» disse dopo un attimo di smarrimento, recuperando come sempre la sua lucidità.
Era sempre stata così: forte e tenace, addirittura calcolatrice.
Quasi impossibile coglierla impreparata.
Quello che più mi era piaciuto di lei erano la spigliatezza e la naturalezza con cui riusciva a districarsi anche nelle situazioni in cui le altre persone si sarebbero trovate in enorme imbarazzo.
Come quando mi aveva scaricato senza troppi preamboli, rammentai.
«Prego, se vuoi seguirmi» aggiunse indicandomi l’ascensore, entrambi salutammo Johanna prima di allontanarci.
Non appena fummo soli i suoi occhi nocciola mi inchiodarono, dal modo in cui mi fissava sapevo che di lì a poco avrebbe tirato in ballo l’argomento; era tipico del suo carattere affrontare tutto e alla svelta.
Per quel poco che l’avevo conosciuta, per tutte le voci che per anni erano girate tra i corridoi della scuola e per il suo modo di porsi, non era difficile capire il perché Penelope fosse sempre in grado di tenere in mano la situazione.
«Insomma Nathan, proprio non ti ricordi di me?» chiese.
Come previsto.
Proseguii con la mia recita, se potevo prendermi anche solo una piccola soddisfazione sarebbe stata quella di non darle a vedere come fosse rimasta impressa nei miei pensieri.
Le sorrisi appena, aggrottando la fronte «Dovrei?»
Ma certo che mi ricordo.
Come avrei potuto dimenticare quel concentrato di bellezza ed intelligenza?
Il pensiero di quella pelle liscia e vellutata che avevo sentito scivolare sotto i palmi, delle sue labbra incandescenti che avevano leccato ogni centimetro di corpo, di quegli occhi allo stesso tempo espressivi e misteriosi mi avevano fatto compagnia per molte notti.
All’epoca Penelope era soltanto una ragazza con un’esperienza tale da far invidia a parecchie altre donne, mentre io ero un giovane serio e riservato con un vuoto totale per tutto ciò che riguardasse la “questione donne” .
«Beh...noi due...» temporeggiò.
 Dal guizzo nei suoi occhi capii che stavamo pensando entrambi la stessa cosa, quell’unica volta in cui avevamo fatto sesso.
«Abbiamo frequentato la stessa scuola a Newark. Penelope Penthon, l’ultimo anno abbiamo seguito il corso di recitazione insieme» disse spiegandosi meglio.
Allargai il mio sorriso fingendo stupore «Ma certo, Penelope. Perdonami, ma proprio non ti avevo riconosciuta. Quant’è piccolo il mondo»
“Fottuto bugiardo con un futuro da attore” mi dissi.
«Già, veramente piccolo. Quindi anche tu hai deciso di diventare un graphic design»
Non era una domanda, ma un’affermazione. Per un istante mi parve si sentisse a disagio, ma probabilmente era solo una mia impressione.
Se Penelope era sicura di se a diciotto anni, questi cinque anni che erano trascorsi non potevano aver fatto altro che ingigantire il suo ego.
Ci scambiammo un paio di battute di cortesia mentre la nostra salita proseguiva lenta verso i piani alti. Continuai a guardarla per tutto il tempo, il meraviglioso fisico fasciato da un sensualissimo tailleur non aveva abbandonato le sue forme tonde e sode, i vaporosi capelli d’ebano che le incorniciavano il volto ed il solito sorriso scaltro erano una tentazione irresistibile.
Arrivati al piano si premurò di farmi fare un giro completo degli uffici, presentandomi ai vari colleghi.
Notai subito il modo in cui la guardavano e come le si rivolgevano; era rispettata da tutti, da qualcuno anche odiata, e questo non faceva altro che confermare i miei sospetti.
Penelope non era affatto cambiata, forse peggiorata negli anni con la sua aria di superiorità.
Nonostante io stesso in passato fossi stato soggiogato dal suo carattere ritrovandomi poi offeso ed umiliato, non potevo fare a meno di ammirarla.
Così caparbia e sicura di sé, se esisteva uno stereotipo di donna con i cosiddetti attributi sicuramente portava il suo nome: Penelope Penthon.
Terminato il tour, dopo avermi mostrato anche la mia postazione di lavoro, mi invitò a seguirla nel suo ufficio.
Non mi meravigliai nel vedere che fosse più grande di tutti gli altri, ben arredato anche se un po’ spoglio. Niente quadri o foto di famiglia in bella mostra, soltanto una grande scrivania di legno massiccio, due poltrone di pelle, una pianta finta nell’angolo ed ovviamente un computer ultima generazione.
L’ambiente poteva rispecchiare perfettamente la sua personalità: elegante, curato, ma ermetico e inattaccabile.
Tutto intorno a lei pareva gridare libertà. Non era una tipa da sentimentalismi, lo sapevo bene, e le cose con cui si circondava non facevano altro che confermare tutto ciò che pensavo.
Mi invitò ad accomodarmi e quando presi posto lei si poggiò coi fianchi alla grande scrivania, standomi a pochi centimetri di distanza.
Nell’incrociare le gambe tra loro la gonna del tailleur si sollevò appena, per un attimo pensai a quanto sarebbe stato bello poter sollevare quell’indecente lembo di stoffa per  perdermi tra le sue cosce.
Magari avrei potuto ripagarla con la stessa moneta, seducendola ed abbandonandola in un batter d’occhio, non prima però di averle regalato il miglior orgasmo di sempre.
“La generosità prima di tutto” era il mio motto.
Soppressi i miei pensieri prima che l’amichetto che avevo nei pantaloni decidesse di dare spettacolo di se, esibendosi in tutta la sua fierezza. Non era il caso dare scandalo nel mio primo giorno di lavoro.
«Allora a quanto ho potuto capire sei una sorta di pupillo del capo» ipotizzai con un mezzo sorriso cercando di cambiare il corso dei pensieri.
Nella sua espressione cordiale notai un lampo di sfida, quasi cercasse di marcare il suo territorio.
«Ah si? E cosa te l’avrebbe fatto credere?»
“Colpita nell’intimo”pensai.
«Il fatto che sei stata incaricata di mostrarmi gli uffici, presentarmi i colleghi, e quell’aria di riverenza con cui gli altri ti trattano» spiegai semplicemente.
«Diciamo solo che il ruolo che ricopro me lo sono meritato. Adesso se vuoi scusarmi ho da lavorare, e anche tu puoi cominciare a fare il tuo lavoro. Per qualsiasi problema non esitare a chiamarmi»
Cavolo, proprio nervosetta la ragazza.
Mi alzai e lei alzò lo sguardo sprezzante verso di me; nonostante la sovrastassi con la mia statura non riuscivo ad avvertire nessuna distanza tra noi.
Penelope  sapeva come tener testa ad un uomo, in tutti i sensi, ed il fatto che fosse una vincente le conferiva ancora più fascino.
«A presto, Penny»
Marcai volutamente il suo soprannome ed il mio ego si gonfiò appena nel vedere i suoi occhi sgranarsi appena.
Forse quella grande donna con le palle non era del tutto immune al mio fascino, doveva esserci una falla in quella corazze e se l’avessi trovata forse avrei potuto togliermi qualche piccolo sfizio.
Ero proprio pazzo a pensare di vendicarmi dopo tutti gli anni passati, dopotutto non poteva essere colpa di Penelope  se all’epoca  mi ero sentito tanto umiliato; lei era stata solo se stessa, il problema vero ero io con il mio ideale dell’amore puro e incondizionato.
La mia, però, non sarebbe stata una vera e propria vendetta. Mi piaceva più  considerarla una piccola lezione alla stronza che era dentro di lei per farle capire che non poteva  sempre scegliere di fare il bello ed il cattivo tempo.
Sicuramente ci sarebbe stato da divertirsi e potevo dire che il gioco valeva la candela, quindi…Perché no?
La guardai un’ultima volta prima di uscire dall’ufficio, il suo sguardo non vacillò nemmeno per un secondo. Quando richiusi la porta alle mie spalle nella testa avevo un unico pensiero: il mio nuovo lavoro si sarebbe rivelato piuttosto gratificante.
   
 
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