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Autore: Fabio93    11/05/2014    3 recensioni
La notte cola giù dal cielo con gocce spesse e fitte. Tre uomini chiacchierano dopo una bevuta: sono tre ranger, combattenti scelti e festeggiano un nuovo arrivato. Ma non sanno che, fra le ombre di quel vicolo deserto, una è più scura e pericolosa delle altre.
Genere: Azione, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ombre

 

 

 

La porta si aprì con un cigolio lamentoso sul vicolo deserto, fatta eccezione per la spazzatura maleodorante che vi era ammucchiata. I tre uomini uscirono tirandosi su il bavero della giacca ed incassando il collo nelle spalle: pioveva forte, come se la notte avesse voluto spegnere i fuochi di tutte quelle assurde luci artificiali che cercavano di scacciarla, ignare del fatto che le ombre trovano sempre una strada, una fessura in cui insinuarsi, o un vicolo in cui strisciare furtive.

I tre si misero al riparo di un balcone dei piani superiori, stretti l'uno all'altro con le spalle poggiate al muro. Uno dei tre si accese, non senza difficoltà, una sigaretta. La aspirò con gusto, trattenendone in petto il fumo caldo.

-Fa un freddo fottuto, stanotte.- disse, mangiandosi un po' le parole.

Troppa birra. O era stato il whisky?

-Sempre meglio del puzzo che c'era dentro. La odio, questa bettola, non capisco perché mi ci faccio sempre trascinare.-

-Lo sai benissimo, Kevin: perché qui l'alcol costa poco, e siamo lontani dalla centrale.- aspirò un'altra boccata, godendosi il contrasto fra il piccolo respiro caldo della sigaretta e l'umidità della pioggia battente -E poi oggi dovevamo festeggiare, dico bene?-

Si volsero entrambi alla loro destra, verso l'ultimo del terzetto: il più giovane, vicino alla porta d'ingresso del locale. Era alto, aveva le spalle larghe ed un fisico robusto sotto la giacca di pelle con cui cercava di proteggersi dal freddo. L'insegna al neon sopra la sua testa ronzava e sfarfallava, illuminando a tratti il suo viso da ragazzo, niente barba e capelli castani tagliati corti, per poi lasciarlo nuovamente al buio. Quest'ultimo ricambiò i loro sguardi con un sorriso ampio e un po' sbilenco: anche lui non si era trattenuto quella sera. Anche perché offrivano loro.

-Che ci dici, Micky? Com'è stato il tuo primo giorno da ranger?- gli chiese John, le parole che gli si impastavano in bocca: parlare era come voler dar forma ad un mucchio di farina umida.

Michael si strinse nelle spalle, alzando lo sguardo verso il cielo coperto e le punte nascoste dei palazzi, che li circondavano come una foresta di sequoie d'acciaio.

-Mah...mi aspettavo qualcosa...in più, di diverso.-

Gli altri due ridacchiarono, Kevin, il più vicino, gli assestò una generosa pacca sulla spalla.

-Tipo una sparatoria? Una scazzottata? Hai appena iniziato...avrai tempo di vederne, di queste cose, fino alla nausea, cazzo!- gli disse, con quel suo tono sempre un po' amareggiato, come se la vita gli avesse tirato un brutto scherzo senza che lui ne capisse il motivo.

Era più basso di John e Michael, ma era quello con più esperienza e non era un tipo da sottovalutare nemmeno in quel momento: mezzo sbronzo e senza la pistola d'ordinanza. Anche a turno finito, un ranger è sempre un ranger, e i loro distintivi, quelle stelle a cinque punte che portavano al petto, lo dimostravano. Micky era contento di essere stato assegnato a quei due per il primo periodo della sua carriera: avevano molto da insegnargli e lui era ansioso di imparare.

-Dacci un taglio, Kevin. Ragazzo, non pensare che si diventa tutti delle lagne come questo qui: ci sono anche un sacco di lati positivi nell'essere un ranger!-

-Sì, tipo la paga.- scherzò Michael e gli altri due ridacchiarono.

-E noi che ti credevamo un romantico pieno di voglia di fare! Invece sei come tutti: soldi, soldi, soldi...- Kevin scosse la testa, continuando a ridacchiare.

-Ma che pensate! Sicuro che ho voglia di fare...è che non sarebbe male potermi permettere una casa più grande di un ripostiglio, per me e la mia ragazza.-

-Oooh, ma lo vedi che è un romantico?- fece John, ammiccando.

-Sfottete, sfottete pure...-

-Non te la prendere, dai. È un bene essere romantici, alla tua età...- gli disse Kevin, guardandolo con uno sguardo particolarmente intenso, che lo mise un po' a disagio.

John buttò via il mozzicone, osservandolo precipitare come una piccola e solitaria cometa, fino ad affogarsi in una pozzanghera. Rabbrividì.

-Direi che è ora di andare a casa, fanciulli. Siamo all'inizio di un altro giorno, e chissà quante meraviglie merdose ci riserverà!- fece una risata roca e si staccò dal muro al quale era appoggiato.

Gli altri due borbottarono il loro assenso e lo seguirono. La pioggia li avvolse subito sotto il suo pesante mantello ed in un attimo il mondo attorno a loro si fece confuso e distante, fatto di riflessi scroscianti e rumori attutiti. Perfino i loro stivali sull'asfalto si sentivano appena. Tutto era sfocato, privo di forma e la luce era scarsa: era il regno della notte, con tutta la sua patina di fascino e mistero disegnata sul mondo che di giorno credevano ordinario.

Si allontanarono a passi svelti dal locale, verso la strada principale. Il vicolo era lungo e stretto: un budello di cemento e acciaio illuminato a tratti dai lampioni, piccole isole di luce in quel caotico precipitare di buio dalle nuvole, come vernice da un dipinto.

-Signori...-

La voce giunse dalle loro spalle, stranamente chiara: bassa e suadente. Si girarono, trovandosi alle spalle nient'altro che pioggia. Incrociarono gli sguardi, perplessi: che si fossero immaginato tutto?

-Qua su.-

Micky alzò lo sguardo, schermandosi gli occhi con la mano destra. Sopra di loro c'era un lampione acceso, a gettar luce arancione e sporca. Sopra di esso, una sagoma indistinta, scura e ingobbita. A Michael venne in mente un grosso uccello notturno, ebbe chiara nella testa l'immagine di un grosso avvoltoio, che fra un attimo avrebbe dispiegato le ali e...e cosa? Sarebbe planato su di loro per divorarli tutti? Aveva davvero bevuto troppo, se pensava a quelle scemenze. E poi, in ogni caso, gli uccelli non parlano.

-Vi stavo aspettando.-

La forma si mosse, come l'ombra di una fronda d'albero ad un soffio di vento. Era difficile inquadrarla, con la luce che puntava dritta nei loro occhi.

-Di' un po': ma chi diavolo sei?- fece Kevin, muovendo un passo avanti.

Teneva una mano sopra gli occhi ed una al cinturone, dove di norma ci sarebbe stata la fondina della sua pistola.

Per un poco, ci fu solo il vociare delle gocce sull'asfalto.

Un vago senso d'inquietudine si insinuò fra i ranger. La sagoma era ancora lì, al limite del visibile, il limite fra ciò che l'occhio vede e quello che la mente immagina, ma non sembrava voler rispondere.

-Che ne dici di venire giù, così parliamo meglio?- provò John, ormai zuppo.

-...ok.-

La sagoma nera planò a terra senza un rumore, coprendo per un attimo la luce del lampione prima di atterrare. Avanzò verso di loro con passi misurati, lenti. Micky si irrigidì: la situazione era troppo strana, non gli piaceva per niente. E poi quel fottuto gelo gli stava entrando nelle ossa.

Lo sconosciuto fu infine abbastanza vicino perché potessero distinguerlo bene: era alto e sottile, portava un mantello nero che ne confondeva le forme e sulla faccia aveva una qualche maschera anch'essa nera. Dalla voce, si sarebbe detto un uomo, ma era impossibile dire alcunché semplicemente osservandolo.

-Dico, ma come sei conciato?- chiese John, avvicinandosi, guardò i compagni di sottecchi, come ad assicurarsi che fossero ancora vicino a lui – Si può sapere cosa vuoi?-

-Non ti avvicinare, John.- lo avvisò Kevin.

Teneva ancora una mano al cinturone. John si arrestò a qualche passo dall'uomo in nero.

-Voi siete ranger?- domandò quello, guardando un punto imprecisato davanti a sé.

I tre si scambiarono nuovamente occhiate confuse e vagamente allarmate.

-Sì, amico, siamo dei ranger. Adesso ci vuoi spiegare cosa...-

-Bene.-

Accadde tutto in un istante. L'uomo in nero si mosse con una velocità incredibile, la testa di John scattò all'indietro: il ranger allargò le braccia e cadde a terra di schianto. Michael fissò a bocca aperta il compagno steso sull'asfalto. Realizzò due cose negli istanti immediatamente successivi: l'uomo in nero aveva un bastone stretto in pugno, e lui era il bersaglio più vicino. L'aggressore balzò in avanti, verso di lui e, mentre alzava la guardia per difendersi, Micky ne riuscì a vedere la maschera: un corvo, dal lungo becco ricurvo e dagli occhi vuoti e lucidi come gocce di petrolio.

Il bastone sibilò come un serpente furioso a poca distanza dalla sua faccia. Schivò in basso, di lato, seguendo il proprio istinto ed arretrando per guadagnare spazio. Ma che cazzo stava succedendo?

Alla confusione subentrò la certezza di dover reagire. Cercò di colpire il corvo, ma i suoi pugni non fecero che frustare l'aria: la forma dell'uomo in nero era davanti a lui, attorno a lui, inafferrabile. Era come combattere contro una nuvola di fuliggine. D'improvviso un dolore lancinante e rovente gli esplose nel fianco destro. Si piegò in due, colpito, e cadde in ginocchio. Alzò lo sguardo: il corvo era sopra di lui, a fissarlo con quelle orbite inespressive ed enormi.

Sono morto, si disse, il mio primo giorno da ranger e sono già morto.

Kevin piombò sull'uomo in nero come una furia, tempestandolo di pugni e allontanandolo da Micky.

-Fottuto pazzo bastardo! Che cazzo hai fatto?! Che cazzo hai fatto?!- gridò, continuando la carica.

Il corvo cercò di colpirlo con quel bastone scuro e lungo, forse di metallo. Kevin incassò il primo colpo, che lo raggiunse alla spalla sinistra, la seconda volta riuscì ad afferrarlo e a strapparlo dalle mani del corvo con una spinta. Il nemico cadde a terra, ma si rialzò prontamente: ora era di nuovo lontano, e Micky faceva fatica a scorgerlo. Il dolore si era un poco attenuato, si rimise in piedi con cautela.

-Dannato stronzo, non ti muovere!- ordinò Kevin al corvo -John? John, stai bene?-

Nessuna risposta. Kevin aveva gettato la monetina nel pozzo senza fondo e il tonfo non era arrivato. Michael guardò John, ancora steso a terra, immobile e un senso di nausea iniziò a salirgli per la gola. Probabilmente era morto. Immaginò, e fu quasi come vederlo, il sangue scorrere via dal grumo di carne che era ciò che rimaneva della faccia del suo compagno. Lo vedeva allargarsi sotto di lui in una pozza oleosa e tiepida. Gli si rivoltò lo stomaco, e si costrinse a smetterla: dopotutto poteva essere semplicemente svenuto, giusto? Riportò lo sguardo sulla sagoma nera che era il loro avversario, che nel frattempo non si era mosso. Oppure se n'era andato? Difficile dirlo, nonostante la luce del lampione: l'oscurità si accalcava loro attorno come drappi neri smossi dal vento, un sipario cangiante e impenetrabile.

-È vero quello che si dice di voi ranger- riecco la voce, il loro ospite non se n'era andato -Siete duri da mandare al tappeto. È un peccato che dobbiate morire.-

Qualcosa tagliò il buio, un paio di riflessi argentei e accesi, come spicchi di luna fra le nuvole di tempesta. Fissando quei bagliori cromati, che parevano risplendere di luce propria, Michael capì subito di cosa si trattasse: un paio di revolver, dalla canna lunga e sottile. Anche Kevin non ci mise più di un secondo a capire, si lanciò in avanti, brandendo il bastone del suo stesso nemico. Il corvo sparò, centrandolo al petto, ma non bastò nemmeno a rallentarlo. Micky pensò che potesse farcela: era a ormai pochi passi da lui, ancora uno e...

Altri due spari, le ginocchia di Kevin esplosero con un rumore molle, spugnoso, e lui piombò a terra di faccia. Fece appena in tempo ad abbozzare un grido di dolore, prima che l'uomo in nero lo finisse con un proiettile in testa.

Un silenzio vibrante scese sul vicolo, come se l'eco degli spari avesse svuotato la strada di ogni rumore. Perfino la pioggia sembrava in trappola di una quiete attonita e sconvolta. Michael rimase paralizzato dall'orrore, dall'insensatezza e dall'ineluttabilità degli eventi. Un terrore gelido, totale, lo inchiodava sul posto, incapace di distogliere gli occhi dalla sagoma dell'uomo in nero, sempre appena visibile, non fosse stato per le sue maledette pistole, e ora una di esse gli era puntata contro.

Un altro sparo.

Zanne roventi gli affondarono nel ventre, Micky cadde a terra con un gemito strozzato e con l'impressione che una belva incorporea ma famelica stesse banchettando coi suoi intestini. Si portò le mani alla ferita ed in un attimo furono viscide di sangue. Era stato colpito. Dio, in che stato era, là sotto? Dove finiva quel dolore lacerante, non sentiva nulla: le sue gambe erano come scomparse. Capì che stava per morire e, assieme a quella consapevolezza , venne il corvo. All'improvviso torreggiava su di lui, il volto nitido e inespressivo, le pistole fumanti ancora strette nei pugni guantati.

-P-perchè?- riuscì ad articolare.

Aveva in bocca un sapore metallico e nauseabondo. L'uomo in nero inclinò la testa, come se non capisse.

-È stato divertente.- rispose.

E gli puntò la pistola in faccia.

La mente di Micky corse indietro nelle proprie memorie, come in una fuga disperata verso luoghi sicuri. Un giardino in primavera, la sua casa da bambino, la grande città di notte piena di stelle artificiali e colorate come gemme, la sua ragazza. Un sorriso che splendeva come il sole. E tutto, tutto fu risucchiato via in un vortice di tenebra, tutto in un attimo privo di significato.

Tutto, e d'improvviso più nulla.

 

 

 

 

 

Ed eccoci alla fine di tutto. Che te ne pare? Sì, è una storia insensata e forse neanche tanto bella, ma sono felice di averla scritta. Il mio rubinetto letterario è stato chiuso troppo a lungo e sono contento di aver ripreso, non mi pare neanche malaccio come risultato. Ma tu che ne dici? Spero che la storia ti sia piaciuta, grazie per averla letta: lascia una recensione, se ti va!
Alla prossima!
   
 
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