Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: StarFighter    19/05/2014    4 recensioni
E se la spada di Hans avesse frantumato in mille pezzi la statua di ghiaccio di Anna? Se l’inverno perenne scatenato da Elsa non si fosse fermato?
Una notte di tre mesi dopo, il fantasma di Anna fa visita, ad uno ad uno, alle persone che per lei hanno contato qualcosa, nella sua breve vita al di fuori delle mura del castello.
-Elsa: I can feel no pain.
In the ice or in the sun it’s all the same.
-Kristoff: And even though it’s different now, you’re still here somehow…
-Hans: I feel my heart is aching, though it doesn’t beat it’s breaking.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff
Note: OOC, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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THE GHOST OF YOU

Capitolo 1: I can feel no pain. In the ice or in the sun it's all the same...

Tre mesi. Tre lunghi mesi erano passati dal giorno dell’incoronazione della regina. Tre mesi di gelo e ghiaccio, che cresceva di ora in ora. Arendelle era in ginocchio, piegata dalla forza del gelido vento, che incessante spazzava il fiordo, e dalla neve che continuava a cadere imperterrita, coprendo come un sudario di morte ogni cosa. Gli abitanti erano rinchiusi nelle casette di legno, un tempo colorate ma che ora apparivano tutte uniformemente bianche, e non osavano avventurarsi per le strade ghiacciate per paura di fare la stessa fine della principessa. Elsa non aveva trovato rimedio a tutto quello. Non era riuscita a fermare quella tempesta che aveva creato senza volerlo…non riusciva a controllarla, ormai aveva vita propria.

Per lei, quei tre mesi, erano passati tutti come una lunghissima notte insonne. Da quando Anna era morta, a stento si era nutrita e i segni della stanchezza e del deperimento erano chiarissimi sul suo volto niveo, ormai scavato ed ingrigito: non aveva dormito per più di due ore a notte, ore in cui non faceva altro che sognare instancabilmente e in continuazione quella maledetta spada che mandava in pezzi la vita di sua sorella.

Quella notte non fece eccezione e quando si svegliò urlando, nel buio più totale, si portò una mano al petto, per evitare che il cuore fuggisse via impazzito. Ormai gli incubi la tenevano in pugno, facendole visita ogni notte e ogni giorno senza requie, appena chiudeva gli occhi, appesantiti dalla stanchezza e dalla privazione di sonno. Era distrutta nello spirito e nel corpo: sapeva che non sarebbe sopravvissuta molto ancora e sperava che con la sua morte anche la tempesta, che teneva stretto il suo regno in una gelida morsa, si sarebbe placata.

Come c’era da immaginarsi, l’aspetto della sua stanza rispecchiava perfettamente il suo tormento interiore: il vento, che aveva scatenato, aveva divelto le ante dell’armadio e le tende del suo letto erano a pezzi, sparse sulle lenzuola candide, coperte da una coltre di soffice neve. Nell’aria, alcuni fiocchi sostavano immobili, come se avessero fermato la loro turbinosa danza, nel momento esatto in cui la regina aveva aperto gli occhi. La situazione era peggiore delle altre volte: in precedenza aveva fatto volare qualche oggetto, aveva gelato il pavimento e le pareti, ma mai aveva avuto la forza di distruggere qualcosa.

Si strinse le braccia al petto, cercando un po’ di calore, cercando quel conforto che non sarebbe arrivato, dondolandosi nel buio, mentre un lampo impetuoso squarciava il cielo, illuminando a giorno la sua stanza.

Scese tremante dal letto e si avvicinò alla finestra. Lo spettacolo che le si profilava davanti non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello dei suoi incubi, era peggio: la neve bloccava le uscite delle case, intrappolando gli abitanti; il cielo plumbeo incombeva con grosse nuvole nere sulle teste dei suoi sudditi; gli alberi delle navi, imprigionate nel fiordo ghiacciato, svettavano su quella landa lugubre e desolata, come lapidi di un cimitero, testimoni della sua incapacità di controllarsi, mentre un vento furioso faceva volare via qualsiasi cosa gli si parasse davanti.

Poggiò le mani alla finestra e strinse i pugni, fino a far sbiancare le nocche: cosa poteva fare? Perché la tempesta non diminuiva d’intensità con il deteriorarsi della sua persona? Se avesse avuto l’assoluta certezza che si sarebbe placata con la sua morte, avrebbe aperto all’istante quella finestra e si sarebbe lanciata nel vuoto. Ma non aveva sicurezza di ciò, solo dubbi. Poteva solo stare a guardare il suo regno perire di stenti e freddo, mentre scompariva sotto metri di neve bianca, soffice e letale.

Il cuore le martellava furioso nel petto e sentiva il sangue affluirle veloce alla testa. Respirò piano, a grandi boccate per cercare di calmarsi, per non peggiorare la situazione, ma fu tutto inutile. Nella stanza, i fiocchi di neve sospesi a mezz’aria ricominciarono a volare vorticosamente, imprigionandola nella sua piccola bufera personale.  Un verso disperato le sfuggì dalle labbra, mentre chiudeva gli occhi, per non vedere, per far finta che fosse tutto frutto della sua immaginazione, ma non funzionò, perché anche ad occhi chiusi riusciva a vedere la rovina che aveva abbattuto sul suo popolo, la maledizione che oramai non era più solo sua ma di tutta Arendelle.

Si aggrappò al davanzale, artigliando con le dita il freddo marmo, che sotto il suo tocco cominciò a gelare. Respirò ancora, preda della paura e dell’angoscia. Qualcosa, fuori dalla finestra attirò la sua attenzione. Dal cielo buio, attraverso i cirri cupi, filtravano lampi di luce viola e verdastra. Trattenne per un attimo il fiato, per capire cosa fosse quello strano fenomeno e, quando arrivò alla conclusione, gli occhi le si riempirono di lacrime: l’aurora boreale, riusciva a penetrare la cortina di nuvole, che impediva di vedere il cielo trapunto di stelle.

-“Elsa, il cielo si è svegliato! Dobbiamo giocare.”- una voce cristallina ruppe il silenzio della stanza.

Un brivido freddo le scese lungo la schiena, e gli occhi le si spalancarono per lo spavento, quando quella voce le giunse alle orecchie, accompagnata da una risata argentina. Si voltò di scatto, pronta a cogliere qualsiasi movimento in quella bufera, ma nulla. La neve continuava a cadere e a volteggiare in spirali impossibili, precludendo qualsiasi cosa alla sua vista. Stava impazzendo, non c’erano altre spiegazioni.

Accecata dalle lacrime e dalla bufera, cercò a tentoni la colonna del letto e vi si aggrappò con tutte le sue forze, facendosi male alle mani, facendo quasi entrare le unghie nel legno scolpito.

-“Elsa!”- di nuovo quella voce che la chiamava. No, non poteva essere, stavolta l’aveva sentita chiaramente: era la voce di una bambina.

Un guizzo di bianco improvviso si mosse nella coda dell’occhio, al limite del suo campo visivo, attirando la sua attenzione. Per un momento sperò di star sognando, sperò di essere intrappolata in uno dei suoi incubi e che di li a poco si sarebbe svegliata. La bufera si placò di colpo, lasciando cadere mollemente i fiocchi al suolo.

Aveva ragione, la voce che aveva sentito era quella di una bambina, ma non di una qualsiasi, bensì di Anna. Le stava davanti con i capelli raccolti in due codini disordinati e un sorriso enorme e bucherellato, mentre con le mani dietro la schiena si dondolava avanti e indietro. Era la Anna che aveva lasciato chiusa fuori dalla porta la prima volta, quella con cui aveva condiviso la stanza e notti piene di giochi con la neve.

Il respiro le si mozzò in gola e per un momento, che le parve infinito, osservò quella figura evanescente e opaca, che la fissava di rimando con sguardo interrogativo.

-“Andiamo Elsa, lo facciamo un pupazzo di neve?”- le chiese, sempre sorridendole.

Un verso di sorpresa, le uscì dalle labbra a quella richiesta. La bambina scomparve e il momento successivo un bussare ritmico alla porta la fece rinvenire dal suo stato di trance. Corse ad aprire ma come c’era da aspettarsi non c’era nessuno oltre la soglia. Ma l’eco della risata cristallina di Anna, vibrava ancora per i corridoi bui. Uscì fuori e cominciò a vagare senza meta, alla disperata ricerca della piccola Anna. Passò davanti alla sua camera, e si fermò di colpo. Posò una mano sul legno intagliato, apprezzandone la precisione dei disegni e fermandosi su un’incisione scura. La strofinò con l’indice: era una tacca che Anna aveva provocato andandoci a sbattere contro con la sua spada di legno.

-“Su Elsa, andiamo!”- la voce di Anna la chiamò e mentre si voltava vide la sorellina sparire dietro l’angolo.

-“Dove mi stai portando, Anna?”- chiese al nulla, mentre scendeva le scale. Se in quel momento qualcuno della servitù l’avesse vista in quello stato, con la treccia sfatta, con la camicia da notte e i piedi scalzi a correre per i corridoi, l’avrebbe di certo ritenuta pazza.

Non le rispose, ma con una risatina acuta sparì dietro una porta. Elsa si fermò, osservando bene dove il fantasma della sorella l’aveva condotta: la sala del trono, lo stesso posto dove da piccole giocavano assieme, il posto in cui una notte di tanti anni prima l’aveva colpita per sbaglio, rischiando quasi di ucciderla. Prese un respiro profondo e poi afferrati i battenti, spalancò l’uscio sul buio e il silenzio della sala vuota. Mosse alcuni passi nell’oscurità: “Dove sei Anna?”- sussurrò piano, temendo di essere sentita dai pochi abitanti del castello.

-“Elsa!”- esclamò la bambina, ridacchiando e attirandola al centro della sala -“Fa la magia! Fa la magia!”-

Il respiro le si bloccò in gola a quelle parole ed indietreggiò di un passo: “No, Anna. I-io non posso.”- soffiò fuori, guardando la bambina con gli occhi spalancati dal terrore: non avrebbe rivissuto gli avvenimenti di quella maledetta notte.

-“Ti preeeeego! Non succederà nulla.”- la supplicò il piccolo fantasma, mettendo il broncio.

Elsa si ricompose e quasi le venne da ridere a quella vista: quando erano piccole, Anna riusciva sempre a spuntarla, mettendo su quell’espressione da cucciolo indifeso, e lei da brava sorella maggiore acconsentiva ad ogni suo capriccio.

La piccola dondolava le braccia lungo i fianchi, guardandola con un sorrisino furbetto: sapeva che Elsa sarebbe crollata se le avesse fatto la faccina triste.

Le mani della regina si mossero veloci tra loro, formando un piccolo globo di luce bianca e soffusa: “Sei pronta?”- le chiese abbassandosi alla sua altezza.

La piccola Anna annuì con forza.

Elsa scagliò in alto la sfera di luce, che esplose, diffondendo migliaia di finissimi fiocchi di neve perfetti nell’aria. Restò a guardarli per un secondo, prima che le risate di gioia della sorellina attirassero la sua attenzione.

-“È stupendo!”- la bambina correva tra i fiocchi, che volteggiavano lenti fino a posarsi al suolo, creando uno spesso strato di neve.

Elsa la vide fermarsi e scomparire per un istante e poi ricomparire al suo fianco: “Vieni anche tu.”- la esortò trascinandola con sé nella sua folle corsa in quel mare di bianco.

Anna rideva ed Elsa rideva a sua volta, prima piano, poi sempre più forte, finché le loro risa non riempirono l’opprimente silenzio che aleggiava da troppi mesi su quelle stanze spoglie e gelide, piene di ricordi mancati.

La bambina improvvisò un girotondo, poi corse tra la neve, che continuava magicamente a cadere, con le braccine alzate, cercando di afferrare i batuffoli bianchi. Quando sembrava che ne avesse uno a portata di palmo, stringeva il pugno e poi lo riapriva, costatando tristemente di non averlo preso. I fiocchi scivolavano attraverso le sue manine evanescenti, continuando la loro caduta libera fino al pavimento.

Elsa la osservò, con il sorriso che pian piano abbandonava le sue labbra, con la consapevolezza di quello che aveva davanti: un fantasma. Ma non uno qualsiasi, lo spettro di sua sorella, della sua dolce sorellina.

Anna era morta.

Fu come se in quel preciso istante avesse metabolizzato quella notizia, come se il suo cervello non avesse voluto registrarla. Brividi freddi cominciarono a scuotere la sua esile figura, mentre il respiro accelerava e gli occhi le si inondavano di lacrime calde e salate.

Si lasciò cadere in terra, sotto il peso di quella tragedia che si portava sulle spalle da tre lunghi mesi: Anna era morta, lei era sola. Era tutta colpa sua.

Si prese il viso tra le mani, lasciando scivolare via le lacrime, che tessevano tele cristalline sulle sue guance. 

-“Elsa?”- la voce della piccola Anna la richiamò, tremante.

Non riusciva a risponderle, non ne aveva la forza. Non l’aveva fatto durante quei tredici anni in cui lei aveva bussato incessantemente alla sua porta e non l’avrebbe fatto nemmeno ora, deludendola per l’ennesima volta.

-“Elsa”- un leggero spiffero di vento le scostò i capelli, quando lo spirito le si avvicinò –“n-non è colpa tua.”- proferì con voce lieve.

 -“Si, invece.”- le rispose con la voce rotta dai singhiozzi, continuando a coprirsi il volto con le mani -“Tu sei morta, per colpa mia.”-

-“No.”- protestò, alzando la voce -“Non sei stata tu ad alzare quella spada contro di me.”- la sua voce era cambiata, diventando più adulta.

Elsa la spiò attraverso gli spiragli tra le dita: ora aveva davanti la Anna della sua incoronazione, la sorella che si era meravigliata quando l’aveva salutata; quella che le aveva presentato tutta speranzosa il verme che l’avrebbe tradita; la Anna che l’aveva rincorsa su per una montagna innevata sprezzante del pericolo; quella che aveva mandato via, colpendola al cuore; quella che aveva visto disintegrarsi davanti ai suoi occhi.

Le mani scivolarono via dal suo viso, andandosi a stringere convulsamente l’una all’altra sul suo grembo.

Prese fiato: “Io ti ho colpita, per colpa mia sei diventata una statua di ghiaccio. È a causa mia se di te non rimane nulla, se non una lapide con un nome ed un epitaffio.”- le disse tenendo lo sguardo basso, incapace di incrociare quello della sorella.

-“Oh Elsa, di me rimane molto più di quello che pensi.”- la rassicurò, cercando di poggiarle una mano sulle spalle. La ritrasse subito, rendendosi conto di non poterla toccare.

-“Cosa?”- le chiese la regina, alzando gli occhi umidi su di lei.

-“Io sono attorno a te.”- pronunciò quelle parole in un soffio. Elsa non riusciva a capire, la sua mente cercava di elaborare il significato di quelle parole, senza riuscirci.

-“Il mio corpo si è dissolto nell’aria, diventando parte di tutto ciò che ti circonda.”- le spiegò, intuendo la sua confusione –“Sono nell’aria che respiri, nell’acqua che bevi…”- cercò di sfiorarle una guancia, facendo tremolare le dita ad un millimetro dalla sua pelle -“sono in ogni goccia di pioggia che ti bagna il volto, in ogni fiocco di neve che sprigioni dalle tue mani.”- le sorrise mestamente.

Elsa aprì il palmo della mano e raccolse uno dei fiocchi ghiacciati che continuavano a cadere su di loro: lo osservò bene, nella conca della sua mano, era così piccolo e fragile, ma pur sempre perfetto, capace di sopravvivere alla più violenta delle tormente, un po’ come Anna che era riuscita ad andare avanti in tutti quegli anni, nonostante tutto.

-“Riesci a vedermi? Riesci a scorgere una parte di me in quel piccolo capolavoro di ghiaccio?”- le chiese.

Elsa continuò a fissare il fiocco di neve nella sua mano, mentre la vista le si offuscava di nuovo di lacrime: annuì, chiudendo la mano su quella sua fragile creazione.

-“Come farò ora che tu non ci sei più? Cosa riuscirà a tenermi sotto controllo? Per tutti questi anni sono riuscita a tenere a bada i miei poteri per paura di farti ancora del male, ma ora che tu sei…”- singhiozzò rumorosamente, non riuscendo a proferire quella parola ad alta voce- “ niente potrà fermare tutto questo. Ho maledetto Arendelle e tutto il suo popolo e non vi è alcuna possibilità di scampo.”-

-“Elsa guardami, per favore.”- le intimò con voce dolce ma autoritaria –“Tutto questo non è una maledizione, anche se lo può sembrare. Ricorda che questo tuo grande talento è più grande di ogni tua paura.”-

-“Ma..”- cercò di protestare.

-“Elsa, lo so. Io non sono più qui…qui!”- disse indicando il pavimento –“ Scusa, lo so è difficile da capire, ma ascolta: sarò sempre qui”- le disse indicando il suo cuore -“e qui, nei tuoi ricordi.”- le disse sfiorandole la testa.

-“Quali ricordi, Anna? Ne abbiamo così pochi…”- si lamentò Elsa distogliendo lo sguardo.

-“Beh, conserva quei pochi che hai come il più prezioso dei tesori. E poi te ne costruirai altri, andrai avanti per la tua strada, io diventerò solo un ricordo lontano del tuo passato.”-

Elsa provò a ribattere ma Anna la interruppe: “Ci riuscirai, io so che puoi farlo. Non importa cosa è stato, dovrai guardare solo avanti, non dovrai più voltarti indietro. Il futuro ti riserva tanto, Elsa, credimi io lo so.”-

-“Come fai a saperlo?”- le chiese scettica.

-“Cose da fantasmi.”- la liquidò con un gesto della mano –“Ascolta, devi solo imparare ad amare il tuo potere, ad amarti per quello che sei.”-

-“Non potrò mai amare quello che ti ha uccisa.”- constatò la regina.

-“Elsa, devi farlo! Impara ad amarlo come amavi me. Perché tu mi amavi, insomma mi volevi bene, vero?”-

-“Certo che si!”- proruppe indignata la regina.

-“Ottimo”- Anna si alzò –“Io sarò sempre qui con te Elsa, anche se non riuscirai a vedermi, quindi cerca di rigare dritto.”- disse in tono serio, alzando l’indice come per ammonirla. Poi scoppiò a ridere e Elsa si beò di quel suono melodioso, cercando di imprimerlo bene in mente: sapeva che non l’avrebbe rivista più.

Anna smise di ridere all’improvviso, tornò seria, mentre si voltava indietro, a scrutare qualcosa nel buio: “Devo andare. Mi stanno aspettando.”

-“Aspetta, chi?”- Elsa si alzò di scatto, allungò un braccio per trattenerla, ma le passò attraverso. Entrambe osservarono il punto in cui la mano della regina avrebbe dovuto toccarla.

-“Mamma e papà.”- disse sorridendo –“Loro sono fieri di te, a dispetto di quello che puoi pensare tu.”

Le lacrime cominciarono a ricadere copiose dai suoi occhi lapislazzuli, senza che lei avesse alcun potere per fermarle.

-“Io non posso farcela da sola. Ti prego, non andare.”- la supplicò, facendo un passo verso di lei.

-“Si ce la farai. Dopotutto, sei sempre stata tu la più forte tra noi due.”-

Non riusciva a smettere di singhiozzare come una bambina. Anna le si avvicinò piano: “Sorridi Elsa, altrimenti non potrò andarmene…sapevi che sarebbe successo.”- le disse con un sorriso triste.

Anna le afferrò la mano e riuscì inspiegabilmente a toccarla, per la prima volta. Elsa spalancò gli occhi e la strinse subito in un abbraccio.

Pian piano la sorella si staccò, finchè solo le punte delle loro dita rimasero intrecciate, poi si allontanò per sempre. Per un attimo, nel buio della sala, ad Elsa sembrò di scorgere le sagome diafane dei suoi genitori che le sorridevano.

Sorrise a sua volta, cercando di essere forte, come le aveva detto la sorella. Poi Anna le rivolse un ultimo sguardo e scomparì.

In quel preciso istante le imposte delle finestre si spalancarono con un rumore assordante facendo entrare l’aria gelida della notte. Corse ad affacciarsi e un soffio freddo le scompigliò giocosamente i capelli.

Si mantenne alla balaustra e guardò il regno che si estendeva oltre le mura.

Un sussurro trasportato dal vento la fece sorridere, mentre la tempesta si placava sopra Arendelle: “Lascialo andare, Elsa.”

NdA: salve gente! Se siete arrivati fino in fondo vi ringrazio di cuore, perché vuol dire che, almeno spero, questa “cosa” non vi ha fatto totalmente schifo XD Anyway, lo so che devo aggiornare le altre mie due long e me ne esco con il primo capitolo di una raccolta di oneshot, ma quando le idee mi premono in testa devo farle uscire, altrimenti scoppio ;) spero non mi stiate maledicendo.

Comunque l’idea è partita da questa fanart che ho trovato in giro su Tumblr, ma di cui purtroppo non ricordo l’autore. Non so se sul fandom già esiste una storia del genere, se è così fatemelo sapere e provvederò ad eliminarla o almeno a modificarla.

Ancora grazie e ci si legge alla prossima shot!


   
 
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