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Autore: Kuno84    31/07/2008    5 recensioni
Un breve dialogo tra Kagura e Hakudōshi, nell’imminenza del tradimento. "Sarebbe stata eliminata in ogni caso, per mano del gruppo di Inuyasha o quando comunque non fosse stata più utile alle trame di Naraku. Giunto tale momento, la sua esistenza si sarebbe dispersa nel nulla, come il vento che rappresentava con tanta fierezza. Nessuno si sarebbe ricordato di lei. E sarebbe stato come se non fosse mai venuta al mondo. […] Hakudōshi sapeva di essere diverso. Non era l’ennesimo strumento di Naraku. Lui era nato."
[ Storia vincitrice del "Premio IC" nel Multifandom Contest indetto da Emiko92 e Ro-chan. ]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hakudoshi, Kagura, Kohaku
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“CATENE”


A Inuyasha Fanfiction

by Kuno84





GENERE: Introspettivo.
RATING: Giallo.
PERSONAGGI: Hakudōshi, Kagura, Kohaku.
AVVISI: Lieve spoiler per chi ha visto solo l’anime.
NOTE: Eccoci, finalmente. Il mio debutto con questo manga, che ho rimandato per troppo tempo (attualmente, tutta la mia “produzione” pubblicata verte su Ranma ½). Forse il tema che ho scelto di affrontare è troppo difficile per un esordio, ma ho voluto tentare lo stesso quest’introspezione di due personaggi che sono tra i miei preferiti (non che il “terzo incomodo”, Kohaku, sia da meno). Spero di non averli resi OOC, e confido che in questo caso me lo facciate sapere, così da correggere quanto ho scritto.
Il breve racconto ha luogo poco prima dell’entrata in scena di Moryōmaru (e subito dopo che Kohaku ha rivelato le sue intenzioni a Kagura): a dirlo in termini tecnici, vorrebbe porsi come un "missing moment" tra i capitoli 337 e 338 del manga (tra i quali infatti c'è un improvviso stacco temporale). Mi sembra sia tutto. Buona lettura, e... fatemi sapere se vale la pena che continui a scrivere su Inuyasha!
^^'





Edit del 04/05/2009 - Questa storia si è classificata al quarto posto nel "Multifandom Contest - Storie edite e non" indetto da Ro-chan e Emiko92, vincendo pure (bontà di Roro) uno speciale Premio IC. Beh, chi l'avrebbe mai detto? XD



Il fanciullo albino fissava un punto indefinito dell’orizzonte.
Le nubi si stagliavano imponenti nel cielo bigio, così che solo a tratti qualche sparuto, pallido raggio di sole poteva timidamente affacciarsi sulle alte vette, senza peraltro illuminare molto: non sicuramente la costruzione che s’ergeva incastonata in un angolo velato della nuda roccia e che lo ospitava. 
L’ambiente era sempre così fosco da quelle parti. Hakudōshi si chiese distrattamente se Naraku avesse scelto di proposito quella zona tanto ostile per il suo ultimo nascondiglio, così da essere, barriere a parte, ancora meno rintracciabile del solito da parte dei suoi avversari. Sogghignò. Non era certo se stesso ciò che attualmente quell’hanyō intendeva nascondere. Nessuno poteva saperlo meglio di lui. 
Giocherellando con la lama affilata del suo naginata, considerò che la desolazione e l’immobilità da cui erano circondati lui e Kohaku (certamente il giovane sterminatore, seduto a poca distanza, spalle al muro, in silenzio e con sguardo assente, non contribuiva a ravvivare l’ambiente) gli trasmettevano l’impressione di trovarsi in un luogo senza tempo. Come se poi l’attesa non fosse già di per sé abbastanza lunga. Quel clima tuttavia non gli dispiaceva: non era l’idea di morte a infastidirlo, quanto il fatto di non esserne lui la causa. E la pazienza, ad ogni modo, non gli mancava. Il tempo, avvertito o no, continuava ad incedere con lo stesso ritmo: implacabile, infine, sarebbe giunto anche per lui (zac! la lunga falce decapitò un nemico invisibile) il momento dell’azione. 
Il vento si alzò all'improvviso. Hakudōshi alzò lo sguardo, senza notare che Kohaku lo aveva imitato. La mente del fanciullo albino era troppo occupata da un altro pensiero. Tra quelle cime non spirava un filo d’aria, normalmente. La rabbiosa folata che gli stava sconvolgendo la nivea capigliatura, dunque, poteva essere opera di una sola persona. A conferma delle sue supposizioni un puntino fece la sua apparizione tra le nubi, avvicinandosi a gran velocità fino a diventare una figura femminile accovacciata sopra un’enorme piuma apparentemente in balia della brezza. 
“Finalmente sei tornata”, disse Hakudōshi. 

La yasha scese dal suo singolare mezzo di trasporto e d’incanto la piuma si rimpicciolì, permettendole di portarsela tra i capelli con un gesto brusco. In quel momento, il vento si era arrestato di colpo. 
“Non è un crimine andare un po’ in giro. Naraku non ci ha affidato alcun nuovo incarico, per ora, no?”, replicò con prontezza forse eccessiva e con fare stizzito, tentando di cancellare quella smorfia troppo simile a un sorriso beffardo, che aveva lievemente alterato i lineamenti del moccioso. 
Tuttavia non riuscì nel suo intento. 
“Guarda che non ti ho mosso alcun rimprovero”, osservò l’altro scandendo lentamente le parole. “Abbiamo per caso la coda di paglia, Kagura?” 
Le pupille della yasha si colorirono di un rosso più acceso del consueto. Quel dannato ragazzino! Lo divertiva così tanto prendersi gioco di lei? Se avesse potuto, lo avrebbe ridotto a brandelli in quel preciso istante. Ma si trattenne. Già nella contea del fuoco aveva avuto modo di sperimentare, a sue spese, due cose: innanzitutto che quel bambino arrogante appariva immortale, indistruttibile per quanto lo si facesse a pezzi, esattamente come l’essere altrettanto altezzoso da cui era stato generato. In secondo luogo che Naraku la controllava in ogni momento ed era pronto a punire qualunque sua trasgressione. Il suo cuore, ancora nelle mani di quel dannato, ne sapeva qualcosa. 
Si trattenne, dunque. E la sua mente si sforzò di comporre una risposta soddisfacente, che non insospettisse troppo il moccioso. Aveva sprecato parecchie ore, quel giorno, vagando con i cristalli del demone-montagna Gakusanjin in cerca della pietra Fuyōheki, e dunque del bambino di Naraku, ma senza successo: doveva almeno evitare che fosse, ora, proprio questa sua escursione a tradirla. 
"È che gli spazi chiusi mi opprimono”, disse infine. “Ma è inutile che parli di questo con te. Siamo troppo diversi perché tu possa comprendere.” 

Hakudōshi assottigliò lo sguardo. Una parte di lui fu divertita dallo sdegno mostrato dalla sua interlocutrice. L’altra se ne risentì profondamente. Quella misera femmina credeva davvero che lui non comprendesse? Che non ne fosse in grado? Niente di più errato. 
Ogni gesto, ogni movenza di Kagura lasciava trasparire il suo irrefrenabile desiderio di indipendenza. Nulla di strano, per un demone del vento. E il vento era così fastidioso, pensò Hakudōshi, notando che i suoi capelli erano ancora in disordine per via della raffica di poco prima. Il vento portava con sé un disordine, una vitalità che gli davano noia. Se ne fosse stato capace, avrebbe squarciato quelle folate personalmente con la propria arma. 
Sorrise. Davanti a sé aveva un bersaglio più facile. E che, prima o tardi, sarebbe dovuto essere eliminato. Troppo evidente era il marchio del tradimento in quella yasha. Perché Naraku non si era ancora sbarazzato di un elemento tanto inaffidabile?... Tutto sommato, credeva di capire anche questo. Lui e Naraku non ragionavano esattamente allo stesso modo. Naraku era generalmente più noioso, completamente preso a preservare se stesso: i suoi nemici si limitavano a constatare le morti e le sofferenze che causava e per questo lo consideravano “malvagio”, ma di fatto quel mezzodemone non si muoveva se non si trattava di porre in essere qualcosa di conveniente per la propria persona. Non agiva gratuitamente. Insomma, non sapeva divertirsi come lui. Avrebbe avuto tanto da insegnargli. Eppure… probabilmente ambedue condividevano lo stesso piacere nei confronti di Kagura, riguardo al tenerla ancora in vita. 

Chissà, magari Naraku stava cominciando a imparare. Era così divertente lo spettacolo delle catene che trattenevano quella femmina, di lei che cercava vanamente di divincolarsene. Era quella Kagura l’unica a non comprendere la sua situazione. Un animale feroce chiuso in gabbia non pensa che a liberarsi. Non riesce a immaginare le conseguenze della libertà tanto agognata. Non sa intuire che, quando la gabbia gli verrà aperta, ciò sarà solo per sopprimerlo. 

“Cos’hai tanto da fissarmi, adesso? Cosa c’è, ancora?!” 
La voce rabbiosa, appena tremante, di Kagura ruppe il silenzio formatosi da troppi secondi. Quel tempo, Hakudōshi l’aveva speso a guardarla intensamente. Ciò non prometteva nulla di buono. La yasha del vento deglutì con evidente nervosismo, in attesa della risposta alla sua domanda: il proprio orgoglio avrebbe voluto impedirlo, ma l’istinto la portò a incrociare lo sguardo con quello di Kohaku; il giovane taiji-ya non rispose a quell’involontario appello, ma il sudore freddo che aveva preso a bagnargli la fronte rivelava altrettanta preoccupazione. La loro alleanza si era formata da così poco tempo e già il moccioso generato da Naraku aveva scoperto le loro intenzioni? Kagura avrebbe dato qualsiasi cosa per conoscere i suoi pensieri. 
“Oh, nulla di particolare”, disse finalmente il fanciullo albino. “Stavo solo meditando sulle tue parole. E devo ammettere che, riguardo a una cosa, hai ragione.” Attese teatralmente qualche istante prima di concludere con freddezza: “Io e te siamo molto diversi.

Kagura si rilassò automaticamente. Hakudōshi non si lasciò sfuggire questa reazione prima di voltarsi, come sdegnato, da un altro lato. Era così patetica. Almeno quel Kohaku conservava, in un certo senso, la sua dignità: ridotto a un burattino senz’anima, quell’umano era tuttavia immune da emozioni che lo indebolissero. Kagura, al contrario, se ne lasciava dominare. Tutti i suoi sforzi non facevano che sottolineare con maggiore intensità la miseria della sua condizione. Una pedina. Una pedina insignificante. 
No, non valeva la pena sbarazzarsene. Sarebbe stata eliminata in ogni caso, per mano del gruppo di Inuyasha o quando comunque non fosse stata più utile alle trame di Naraku. Giunto tale momento, la sua esistenza si sarebbe dispersa nel nulla, come il vento che rappresentava con tanta fierezza. Nessuno si sarebbe ricordato di lei. E sarebbe stato come se non fosse mai venuta al mondo. 
Non era la prima e non sarebbe stata nemmeno l’ultima. L’elenco delle emanazioni dell’hanyō, da quanto aveva appreso, era piuttosto nutrito. Il loro destino era e sempre sarebbe stato il medesimo. Jūrōmaru, Kagerōmaru, Goshinki, Kanna... e Kagura. 
Non lui. Hakudōshi sapeva di essere diverso. Non era l’ennesimo strumento di Naraku. 
Lui era nato
Così, forse era questo il vero motivo per cui l’immagine di Kagura tra le catene lo dilettava tanto. Gli ricordava, momento per momento, quanto fossero differenti. Lei non se n’era tuttora resa conto, ma presto, molto presto, lui stesso gliel’avrebbe dimostrato. Hakudōshi decise che il destino della yasha del vento, tutto sommato, sarebbe stato altro da quello delle anonime emanazioni di Naraku. Le avrebbe fatto dono della consapevolezza.
Aveva ancora tante cose da dimostrare, a dire il vero, ma Kagura veniva certamente per prima in ordine di importanza. Era stabilito: scoccata alfine la propria ora, quella stolta femmina avrebbe ricevuto l’onore di venire tagliata in due proprio per mezzo della sua lama (al pensiero di poter ricambiare la cortesia di cui era stato fatto oggetto nella contea del fuoco, Hakudōshi squarciò nuovamente l’aria) e avrebbe compreso, una volta per tutte, la realtà delle cose. 
Lo sguardo agonizzante di Kagura, che sprofondava daccapo nell’oblio senza fine, avrebbe incrociato un’ultima volta il suo, svelandole che lui, Hakudōshi, era libero dalle catene che gravavano su di lei: era vivo. E che lei non smetteva di esserlo in quell'istante, per il semplice fatto di non essere mai esistita. 
Certo, non era ancora il momento della verità. Ma sapeva attendere e, cosa che non guastava affatto, aveva una certa voglia di continuare a giocare
Si levò in piedi. Tornò a fissare la sua interlocutrice. 
“Lo sai, Kagura?” accennò, con tono lievemente beffardo. “Nemmeno a me piace troppo stare al chiuso. Penso che andrò anch’io un po’ in giro.” 
L’altra accennò a seguirlo. 
“Tu no”, la fulminò con lo sguardo. “Credo tu abbia preso troppo sole, per oggi. E se esageri, finirai per scottarti.”
La yasha si arrestò di scatto, stringendo i denti con rabbia. 
“Sarai tu ad accompagnarmi, Kohaku”, si voltò verso il taiji-ya, chiamandolo a sé con un cenno. “Andiamo.” 
Kohaku si alzò, ripetendo meccanicamente con un filo di voce: “Andiamo?” 
Hakudōshi non colse la sottile ansia che animava il ragazzino umano. Era intento a pianificare le prossime mosse. Non vi era fretta, la pazienza non gli mancava... ma... le poche parole scambiate con Kagura lo avevano invogliato ad affrettare appena i tempi, e compiere il primo passo verso l’azione.
“Sì”, gli rispose dunque, stringendo le palpebre. “A caccia.”
Il giovane sterminatore esitò appena. Poi si avvicinò, lasciandosi inglobare dalla barriera del fanciullo albino. 
Pochi istanti più tardi, entrambi si libravano nell’orizzonte, oltre il grigio delle nubi. 

Kagura li guardò allontanarsi, invasa da innumerevoli dubbi senza risposta. 


*******

Da un’altra parte, immerso nell’oscurità più nera, il volto pallido di Naraku osservava ogni cosa. 
E sorrideva. 



Hanyō = mezzodemone. 
Naginata = il nome dell’arma di Hakudōshi. Da Wikipedia: “Il naginata è un'arma ad asta giapponese di solito costituita da una lunga lama ricurva ad un solo filo, che si allarga verso l'estremità, montata grazie ad un lungo codolo su un'asta di varia lunghezza, ma in genere più breve di una lancia. Ricorda i ‘falcioni’ del medioevo europeo”.
Taiji-ya = sterminatore di demoni.
 

 

 

   
 
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