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Autore: lyrapotter    31/07/2008    18 recensioni
ATTENZIONE, leggeri spoiler settimo libro all'interno.
«TED REMUS LUPIN! Alzati immediatamente. Siamo già in ritardo!». La celestiale voce della madre richiamò Teddy dal mondo dei sogni. «Ancora cinque minuti» borbottò ritirandosi sotto le coperte un'altra volta.
Quello che secondo me doveva accadere a Tonks e Remus nel settimo libro.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Da VII libro alternativo
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DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti. I nuovi personaggi, invece, provengono dalla mia mente malata.

AVVERTENZA: leggeri spoiler dal settimo libro, se qualcuno non ha ancora letto (anche se ne dubito!!!!!)

UNA NUOVA VITA

Dedicata a tutti coloro che come me avrebbero voluto un destino diverso per questi personaggi

Ricordava bene la Battaglia di Hogwarts. Merlino, se se la ricordava! Ricordava l’odore del sangue, i corpi stesi a terra (impossibile dire se morti o solo privi di sensi), i muri mezzo crollati, le maledizioni scagliate da dietro ogni angolo, i Mangiamorte che sembravano aumentare invece che diminuire, le loro risate divertite e le urla di terrore delle loro vittime. Ricordava di aver sostenuto più duelli in quelle due ore che in tutta la sua vita. Ricordava che più di una volta aveva evitato per un soffio il mortifero raggio verde dell’Avada Kedavra. Ricordava di aver visto i suoi compagni di lotta cadere sotto i colpi, di averli soccorsi e anche di essere stato soccorso a sua volta.

Ma più di tutto ricordava quella sensazione di terrore che gli attanagliava il cuore: per la prima volta in vita sua aveva davvero paura di non farcela, di non vedere la fine, di non tornare più a casa quella sera. Già, perché ormai non combatteva più solo per sé stesso: combatteva per la sua famiglia, per sua moglie, che aveva rischiato di perdere con il suo comportamento da stupido, e per il loro bambino, quel figlio che non aveva voluto, che aveva quasi abbandonato e che ormai amava più della sua stessa vita. Il solo pensiero di non rivederli più gli causava una fitta dolorosa: lo consolava il pensiero che almeno loro erano al sicuro, lontani da quel massacro. Non che fosse stato facile convincere Dora a non seguirlo: entrambi sapevano che poteva essere l’ultima volta che si vedevano. E lui non le avrebbe mai permesso di seguirlo nella battaglia dove probabilmente avrebbe trovato la morte. Non poteva permettersi di perderla; e il destino poteva essere abbastanza crudele da farlo sopravvivere anche alla moglie. No, se uno dei due doveva morire, sarebbe stato lui, di questo era certo!

La battaglia era ormai al culmine. Remus aveva perso il conto dei Mangiamorte che aveva messo fuori gioco, per non dire anche dei suoi compagni che aveva visto in terra, senza mai poter verificare se fossero ancora vivi o no. L’uomo si era rintanato in un cantuccio, dietro una statua mozzata della testa, premendosi forte il fianco sinistro, dove era stato colpito da una maledizione vagante. Fortunatamente, come poté constatare, era una ferita piuttosto superficiale. Dopo essersi medicato alla bell’e meglio, uscì dal suo nascondiglio e stava riavviandosi verso la Sala d’Ingresso, quando sentì un rumore sospetto alle sua spalle. Si scansò appena in tempo per evitare una Maledizione senza Perdono e si voltò. Il Mangiamorte gli puntava contro la bacchetta, con un ghigno malvagio in volto. Aveva perso la maschera, perciò Lupin non ebbe difficoltà a riconoscerlo: Doholov. Remus si mise in posizione di combattimento: quello era un avversario che non si sarebbe lasciato sconfiggere facilmente. Il Mangiamorte gli lanciò un’occhiata sprezzante.

«Ci nascondiamo come topi, Lupin? Non credevo fossi così smidollato!»

«Pensa per te, Doholov» gli gridò Remus di rimando. «Stupeficium!»

L’altro evitò senza difficoltà la maledizione, rispondendo con un «Crucio».

Il duello si fece presto spietato: Doholov sembrava non avere intenzione di fermarsi fino a che l’avversario non fosse stato steso a terra. Inoltre aveva un vantaggio: era, o almeno sembrava, più fresco di Remus, che dopo un po’ cominciò a dare i primi segni di cedimento.

«Che ti prende, lupo mannaro?» lo schernì il Mangiamorte. «Già stanco?»

Remus lo ignorò: non valeva la pena di sprecare fiato per rispondere alla provocazione.

Lo scambio di incantesimi e maledizione si fece sempre più accanito: troppo tardi Remus si rese conto di essere stato, lentamente, ma inesorabilmente, spinto in un angolo. Merda! pensò, mentre Doholov lo Disarmava e gli puntava la bacchetta al petto. «Fine della corsa, Lupin, disse. «Salutami il tuo amichetto Black quando lo vedi! Avada…».

«Stupeficium». Il Mangiamorte cadde a terra privo di sensi e dietro di lui, Remus vide il suo salvatore. Capelli rosa, la bacchetta ancora puntata, una strana luce negli occhi, Ninfadora Tonks ricambiò il suo sguardo, per poi precipitarsi verso di lui e abbracciarlo stretto.

«Dora?» domandò Remus, sorpreso, spaventato e felice tutto allo stesso tempo. «Che cosa fai qui?».

La strega lo guardò negli occhi, dicendo con un sorriso: «Ti salvo la vita, mi pare ovvio!».

Il marito le scoccò uno sguardo di rimprovero. «Hai capito cosa intendevo. Dovevi restare da tua madre, con Teddy».

«Non potevo restare lontana» ribatté Tonks. «Teddy starà bene. E ora muoviamoci: ci sono dei Mangiamorte che aspettano solo noi!».

Fece per avviarsi, ma Remus la bloccò, la fece voltare e la strinse in un bacio appassionato. Quando si separarono, Dora gli rivolse un sorrisetto malizioso, chiedendo: «Ti sembra il momento per simili effusioni?».

«No» rispose l’altro. «Ma potrebbe essere l’ultimo. E dovevo ringraziarti per avermi salvato».

«Beh»osservò la strega, «se questo è il ringraziamento che mi darai per ogni volta che ti salverò la pellaccia, mettiti in pericolo più spesso».

«Oh, ma quanto siete carini!» li interruppe una voce malvagia alle loro spalle. Una voce che entrambi conoscevano bene. Si voltarono: Bellatrix Lestrange li fissava, un sorriso crudele a incresparle le labbra e uno sguardo folle negli occhi. «Io e te» disse, indicando Tonks, «abbiamo un conto in sospeso».

«Non vedevo l’ora» ribatté la giovane Auror, mettendosi in postura da combattimento.

«Lupin» aggiunse poi la Mangiamorte, «sono certa che troveremo il modo di tenerti impegnato». Fece un cenno alle sue spalle e poco dopo comparvero altri Mangiamorte. Remus fece un rapido conto mentale. Bene, pensò, dieci contro uno. Ce la possiamo fare. Questo fu il suo ultimo pensiero razionale: dopo fu un susseguirsi di incantesimi lanciati, maledizioni evitate e rapide occhiate in direzione della moglie, che a pochi passi da lui era stretta in un duello all’ultimo sangue con la malvagia zia. La cosa strana, notò Remus dopo un po’ che combatteva, è che i suoi assalitori, invece di diminuire, sembravano aumentare: per ogni Mangiamorte che metteva la tappeto, ce n’era un altro pronto a sostituirlo. E lui aveva sulle spalle già il duro scontro con Doholov.

E troppo tardi si accorse che di essere stato circondato: a un certo punto si trovò semplicemente bacchette puntate addosso in qualunque direzione si girasse. Doppia merda! Oggi non ne ho imbroccata una! Nello stesso istante in cui pensava questo, un grido lacerò l’aria, Remus si voltò di scatto, per vedere Tonks in terra, con Bellatrix che la sovrastava.

«DORA!» urlò, disperato. Ma prima di poter fare un patetico tentativo di correre in suo soccorso, successero tante cose insieme: l’aria fu rotta da un boato, mentre l’intera parete e parte del soffitto saltavano in aria, i Mangiamorte furono investiti dall’esplosione e Remus fu colpito alla nuca, da qualcosa di duro. Sentì in lontananza un grido, poi fu avvolto dalle tenebre.

Fu l’emicrania a risvegliarlo, probabilmente. Un dolore sordo, che dalla base del cranio si propagava a tutta la testa. Remus aprì lentamente gli occhi, guardandosi intorno: riconobbe quasi subito le bianche e asettiche pareti del San Mungo. Non riuscì subito a connettere sul perché e il per come fosse finito in un letto d’ospedale. Poi ricordò: la battaglia a Hogwarts, il duello con Doholov, l’esplosione, Dora…Aveva appena pensato il suo nome che una voce gioviale e allegra lo apostrofò: «Ben svegliato, dormiglione!».

Remus girò il capo ed eccola lì, con i suoi capelli rosa, il suo volto a forma di cuore e il più abbagliante dei sorrisi.

«Dora!» esclamò, cercando di tirarsi a sedere. Se ne pentì subito: la testa gli mandò un'altra fitta e fu colto da una leggera vertigine.

«Stai giù» lo rimproverò teneramente la moglie. «I guaritori dicono che hai preso una bella botta. Ma presto starai meglio. A questo proposito» aggiunse poi, «mi spieghi come diamine fa un mago, circondato su tutti i lati da nemici agguerriti e pronti a dargli il colpo di grazia, a farsi mettere fuori gioco dal proverbiale mattone cascatogli in testa?».

«È questo che è successo?» chiese Remus, indeciso se mettersi o no a ridere.

Tonks annuì. «Il soffitto è crollato e ti è caduto addosso. Per tua fortuna, hai la testa dura!».

Entrambi risero. Solo quando si fu calmato, Remus notò che il braccio destro della moglie era fasciato e appeso al suo collo. «Che cosa hai fatto?» chiese agitato, balzando nuovamente a sedere.

«Sta buono» gli disse lei, rispingendolo indietro. «È solo l’ultimo regalino della mia cara zietta. Ma non preoccuparti, non è nulla di grave: presto sarò come nuova».

«E Bellatrix?»domandò Remus. «Che ne è stato di lei? Ricordo che ti aveva fatta cadere…».

«Molly» disse semplicemente Tonks. «Lei mi ha salvata. Ha ucciso Bellatrix».

«La nostra Molly?» ripeté meravigliato il licantropo. «Molly Weasley ha ucciso Bellatrix… Questo è decisamente un grande giorno». Poi fu folgorato da un altro pensiero: si diede dello stupido per non averci pensato prima.

«E la battaglia? Come è finita la battaglia?».

Tonks non rispose subito, tanto che Remus per un momento temette addirittura il peggio. Ma poi un sorriso le illuminò nuovamente il volto. «È tutto finito Remus. Voldemort è morto: Harry ha vinto».

Quelle parole colpirono l’uomo con la violenza di una frustata. Finito! Era davvero tutto finito! Quella guerra assurda che aveva segnato gran parte della sua vita era davvero terminata: gli sembrava perfino impossibile. E subito il suo pensiero volò a tutte quelle persone che purtroppo non erano lì a festeggiare con lui: pensò a Lily e James, pensò a Sirius, a Silente, ad Alastor…Provò addirittura uno slanciò di pietà per Peter, il traditore.

Tonks capì cosa lo stesse turbando. Gli sorrise e disse: «A proposito, c’è una persona che vorrebbe vederti, sai?». Si alzò e andò alla porta, chiamando qualcuno. Poco dopo, Andromeda Tonks comparve sulla soglia, reggendo tra le mani un piccolo fagottino. «È ora che questo piccolino stia un po’ con i suoi genitori» disse la donna.

Lentamente Remus si tirò a sedere e prese tra le braccia il bambino che Andromeda gli porgeva. Tonks si strinse a lui, mentre insieme guardavano il figlio addormentato. Remus sorrise: «Questa vittoria è per te, Teddy».

UNDICI ANNI DOPO

«TED REMUS LUPIN! Alzati immediatamente. Siamo già in ritardo!». La celestiale voce della madre richiamò Teddy dal mondo dei sogni. «Ancora cinque minuti» borbottò ritirandosi sotto le coperte un'altra volta.

Tonks per tutta risposta gli tirò via il lenzuolo, dicendo: «No, tu ti alzi adesso. Il treno parte tra poco più di un’ora e tu devi ancora lavarti, vestirti e fare colazione».

Quelle parole fecero levare il ragazzino come un petardo: se ne era completamente dimenticato. Era il primo settembre: stava per partire per Hogwarts. «Volo a preparami, mamma!» disse schizzando fuori dal letto e precipitandosi nel corridoio, per andare a scontrarsi contro il padre, che veniva a vedere che stavano facendo.

«Ahio! Fa piano, figliolo. Vuoi uccidere qualcuno? » borbottò Remus, massaggiandosi il petto li dove il figlio undicenne l’aveva colpito con una craniata.

«Scusa papà!» esclamò il ragazzino, correndo a via senza nemmeno guardarlo in faccia e andando a chiudersi in bagno, non prima di aver buttato fuori senza troppa gentilezza la sorellina di nove anni.

«Maleducato!» esclamò inviperita la ragazzina, mentre i suoi capelli viravano dal biondo cenere a un pericoloso rosso scarlatto. Presagendo il pericolo, Remus le si avvicinò e le disse: «Non badarci, Siria: tanto adesso te lo levi dai piedi fino a natale».

La ragazzina si ammansì subito. «Non vedo l’ora, papà» disse prima di saltellare via.

Tonks uscì dalla camera del suo primogenito in tempo per vederla sparire giù dalle scale. Remus sorrise alla moglie. «Le do al massimo una settimana prima che cominci a sentire la mancanza del fratello».

«Io anche meno» ribatté Tonks, accarezzandosi il pancione da settimo mese di gravidanza. «Teddy, vedi di muoverti, o perderai il treno sul serio!» gridò, rivolta alla porta chiusa del bagno. I due coniugi si avviarono poi di sotto, in cucina, dove una tribù di quattro ragazzini, tutti dagli sgargianti capelli colorati, stava facendo rumorosamente colazione.

«Ehi, Sam, quelli sono i miei cornflakes».

«Sylvia per favore, mi puoi passare il latte?».

«Uffa, Al si è mangiato tutte le frittelle».

«Se tu sei lenta, sorellina, non è colpa mia!».

«Ragazzi, per favore. Potreste mangiare in silenzio tanto per cambiare?» li rimproverò Tonks, prima di lasciarsi sgraziatamente cadere su una delle poche sedie libere. «Il prossimo lo fai tu» aggiunse poi, guardando in tralice il marito.

«Vedrò cosa posso fare» fu la pacata risposta di Remus. Dopo cinque gravidanze, aveva ormai imparato che doveva sempre evitare di contraddire la moglie in preda alle sue tempeste ormonali. «E quanto a voi quattro…La mamma ha ragione: cercate di passare almeno cinque minuti senza litigare per qualcosa».

«D’accordo, papà» dissero quattro voci in coro.

In quel momento suonò il campanello. «Al, va a vedere chi è per piacere» disse Tonks. Il ragazzino di sette anni e vivaci capelli verde mela si mise in bocca l’ultimo enorme boccone si frittelle e si alzò, ubbidiente.

«Quel bambino ha un buco nero al posto della stomaco!» borbottò Sylvia, sei anni, ancora ingrugnata per non aver avuto la sua porzione di frittelle.

«E dai, non mettere quel broncio, piccola» disse Remus sorridendo alla figlia. «Se vuoi ti preparo altre frittelle…».

«Ma scherzi!» esclamò Tonks. «Siamo in ritardo, tra poco dobbiamo uscire e Teddy non si è ancora degnato si scendere».

L’ultima parte la disse alzando il tono di voce in modo da farsi sentire anche al piano di sopra.

«Zio Harry! ». La voce di Teddy risuonò dal salotto. Subito anche i tre piccoli Lupin ancora in cucina schizzarono fuori, per accogliere il loro più che gradito visitatore. Remus e Tonks li seguirono poco dopo trovando Harry nell’ingresso, circondato da tutta la tribù che gli faceva festa. Il piccolo Sam gli era letteralmente saltato in braccio.

«Ehi, ragazzi» li salutò il Bambino-che-è-sopravvissuto. «Ma gli date da mangiare a queste piccole pesti? Non per altro, mi hanno assalito come se volessero divorarmi!».

«Ciao, Harry» lo salutò Remus. «Non preoccuparti, mangiano pure troppo! Ragazzi, per favore!».

I quattro ubbidirono, mettendosi buoni. Sorridendo, Harry rimise in terra Sam. «Comunque, ho portato la macchina del Ministero. Se siete pronti, possiamo andare».

«Grazie, Harry» gli disse Tonks, poi tornò a rivolgersi al primogenito. «Hai preso il baule?».

Il ragazzino mise su una faccia perplessa. «Il baule? Ah sì, quel baule…Ops!». Si fece piccolo piccolo, mentre Dora lo guardava come se volesse strozzarlo.

«Su, su, niente di grave» intervenne prontamente Harry. «Forza, andiamo di sopra: ti do una mano». Teddy gli sorrise riconoscente, mentre andavano di sopra.

«Grazie, zio Harry. Credo che la mamma volesse uccidermi. Mica l’ho fatto apposta».

Harry sorrise al suo figlioccio, mentre entravano nella camera da letto. «Nessun…oh, cavolo!». La stanza era un vero macello: quasi non si vedeva il pavimento. «È scoppiata una bomba qui dentro?» chiese con un sorrisetto divertito.

«Ehm, sai com’è…non ho mai voglia di mettere a posto, così…».

«Ho capito» lo interruppe Harry. «Sei sicuro di essere figlio di Remus? » gli chiese poi, mentre tirava fuori la bacchetta e cominciava a far entrare senza troppa logica le cose nel baule. Nel giro di cinque minuti, la camera fu pulita e il baule pieno.

«Spera di aver preso tutto. Al massimo potrai farti spedire dai tuoi quello che hai dimenticato. Ma se vuoi il mio consiglio aspetta almeno un paio di giorni, se non vuoi ricevere una lunga lettera di rimproveri da tua madre».

«Sul perché e il per come fare le cose in orario è meglio che ridursi all’ultimo…mmmm, forse doveri impararla questa lezione».

«Forse» gli sorrise Harry. «Baule locomotor» aggiunse poi, prima di avviarsi fuori dalla stanza, seguito da figlioccio e baule.

«Eccoci qua, disse una volta tornati al piano di sotto. «Possiamo andare».

Il viaggio fino a King’s Cross fu relativamente tranquillo: Harry guidava una macchina presa in prestito dal Ministero, chiacchierando con Tonks e Remus seduti al suo fianco, mentre sul sedile posteriore erano stipati i cinque ragazzini. Quando dopo circa mezz’ora, parcheggiarono davanti alla stazione, Tonks rivolse uno sguardo di fuoco ai figli.

«Vedete di comportarvi in maniera civile» li avvertì, «altrimenti stasera andrete tutti a letto senza cena!». Dopodiché fece si voltò e fece per aprire la portiera. Prima di scendere tuttavia aggiunse: «E Alastor, se pensi che non ti abbia visto fare quelle smorfie, ti sbagli di grosso!».

Senza ulteriori incidenti, arrivarono sani e salvi fino al binario nove e tre quarti. Dopo aver aiutato Teddy a sistemare il baule, la famigliola si riunì sulla banchina per salutarsi.

«Bene» disse Dora, abbracciando il primogenito, «vedi di fare il bravo, impara tante cose e scrivici».

«Mamma!» borbottò il ragazzino, imbarazzato. «Lasciami, non sto mica partendo per la guerra, vado solo a scuola!».

Tonks gli sorrise, lasciandolo andare. «Hai ragione. Ormai sei un ometto».

Anche Remus gli sorrise. «Buona fortuna. E guai a te se entro la fine della settimana mi arriva una lettera esasperata della Mcgranitt. Capito?».

«Sì, papà» rispose Teddy con sguardo innocente ed evitando gli occhi di Harry, che lo fissava come a dire "Mai chi vuoi incantare?".

Al che Teddy rivolse la sua attenzione ai quattro fratelli. «Beh» disse, «ci vediamo presto!».

Sam gli saltò al collo. «Non è giusto!» esclamò. «Perché non posso venire anch’io?».

Teddy sorrise al fratellino. «Sei ancora troppo piccolo».

«Non è giusto» borbottò di nuovo il bambino, prima di staccarsi.

«Ciao, fratellone», lo salutò Sylvia. «Divertiti» le fece eco Alastor. «Grazie, ragazzi, ci vediamo presto».

Teddy rivolse poi la sua attenzione a Siria. Era incredibile: loro due erano sempre ai ferri corti, eppure era più che certo che la sorella gli sarebbe mancata più di tutti. «Ciao, Siria» gli disse, non sapendo cos’altro dire. La ragazzina lo guardò prima di dirgli a sua volta «Ciao, Teddy. E ricordati che il bagno dovrai dividerlo anche con gli altri ragazzi. Non potrai buttarli fuori, come fai con me! ».

Il capostazione fischiò, annunciando la sua prossima partenza. «Devo andare» disse Teddy, voltandosi e saltando sul treno. Si sporse nuovamente dal finestrino, mentre la locomotiva si metteva in movimento. «Ciao a tutti!» salutò un ultima volta. I suoi famigliari e Harry sventolarono le mani finché il treno non imboccò la prima curva e scomparve.

«Forza, andiamo» disse Harry a quel punto. Si rivolse a Remus: «Starà bene».

«Ne sono certo» rispose il licantropo. «È per gli insegnanti che mi preoccupo!»

LYRAPOTTER’S CORNER

L’esigenza di scrivere questa storia mi è nata dopo aver concluso il settimo libro (per la precisione quando ho letto della vergognosa fine che la Rowling aveva fatto fare a questi due straordinari personaggi). Perché io, quando avevo visto che si erano sposati, me li eri già immaginati felici e contenti circondati da tanti marmocchi. Spero vivamente che vi piaccia, se lasciate un commento sarà molto apprezzato!!!!!! Adios!!!!!!

   
 
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