Alex
– Qualcuno mi rovina il Natale
Ad
Asgard era il solstizio d’inverno.
Da
noi come dai greci, era una festività
importantissima, dato che durante quel periodo, la natura si rinnovava.
Era la
festa di Idunn e tutta Asgard era in festa. La città era
piena di elfi, nani e
giganti delle pianure che montavano banconi del mercato e appendevano
festoni.
Dato che il solstizio di inverno, praticamente, coincideva con il
Natale,
praticamente le due feste si erano fuse. La strada principale di
Asgard, già
sfavillante con le sue statue di divinità e gli edifici
dorati, era illuminata
ancora di più da festoni a forma di stella cadente e ossa
con le candeline
negli occhi. A quanto pare le nostre divinità trovavano
molto natalizio appendere
agli alberi spade, teschi e scudi dei nemici abbattuti.
Non
contestavo questa scelta, seppure molto macabra
che, a mio parere, sarebbe stato meglio avere ad Halloween.
Ero
mano nella mano con Astrid che si guardava intorno
con aria molto leggera e allegra. Dopo la fine del mondo, si tende ad
essere
molto felici di essere vivi.
“Sei
bellissima, sta’ sera.” Le sussurrai, mentre le
carezzavo i capelli scuri.
“Grazie,
anche tu non sei male.” Mi rispose, dandomi un
dolce bacio sulla guancia.
Arrossii
osservando la stupida armatura di acciaio
asgardiano che mio padre mi aveva costretto ad indossare
perché ero il figlio
di Odino, salvatore di Asgard, e bla bla bla bla, tutte cavolate per
cui dovevo
indossare quella roba che mi faceva sembrare una disco-ball ambulante.
Almeno
Astrid era vestita bene. Aveva un paio di jeans neri, una maglietta
verde e una
giacca scura, il tutto ben intonato e si era persino truccata e stava
benissimo.
Incredibile,
avremmo avuto una vera serata romantica
senza rischio di mostri che volevano mangiarci.
“Insomma…”
Borbottai. “Sembro una palla da discoteca…
tutte le luci si riflettono sull’armatura. Almeno
è leggera.”
“Ma
smettila!” Disse lei, ridendo e dandomi una patta
sulla nuca. “Sei l’Eroe di Asgard! Sei il nostro
più grande eroe! Devi essere
visibile.”
“Certo,
visibile, non accecante.” Ribattei, con un
sorriso, mentre la baciavo.
Sarei
rimasto incollato per sempre alle sue labbra se
non fosse che qualcuno ci piombò alle spalle, facendoci
prendere un colpo.
“Piccioncini!”
Urlò Einar, con un sorrisone da combina
guai stampato in faccia.
“Einar,
per gli Dei, dovrei strangolarti!” Ribattei
furioso, mentre riprendevo fiato.
Astrid
si era stretta a me per lo spavento, ma appena
si era accorta che era il nostro amico, si era ricomposta subito. Non
le
piaceva mostrarsi debole, ma era arrossita tantissima.
“Lo
so, capo… ma sono qui per ordine di Frigga. Ci
stiamo radunando per il discorso di Odino che vuole ringraziarti
eccetera. Sai
che non puoi mancare.” Si giustificò il figlio di
Loki, dandomi una gomitata.
Era fatto così, lui, doveva per forza far venire infarti
alla gente.
Sbuffai,
mentre pensavo a tutto ciò che avevo passato.
Guerre, sofferenze, morti. Non potevo, semplicemente, passare un
po’ di tempo
con la mia ragazza? Avevo combattuto tanto e l’unica cosa che
chiedevo era un
po’ di calma per me stesso e per lei.
Piccolo inconveniente: la vita di un semidio non PUO’ essere
calma.
“Vai,
eroe. Ti meriti tutte le attenzioni possibili,
hai salvato Asgard, dopotutto.” Mi rimproverò
Astrid, con un sorriso.
“Darei
tutte queste imprese ad altri per poter passare
un po’ di tempo da solo con te.” Risposi, senza
esitare, dandole un bacio sulla
fronte.
“Lo
so, ma potremmo stare dopo, insieme.” Mi rassicurò
abbracciandomi.
Alla
fine dovetti cedere e, insieme ad Einar, mi
diressi al Palazzo principale di Asgard, sede di mio padre, Re supremo
degli
Dei Norreni. Era un edificio maestoso e, in tutto dava l’idea
del palazzo di un
Dio abituato a vincere sempre e comunque. Le colonne erano fatte di
lance, il
tetto e le pareti di scudi, spesso i corredi erano fatti di spade ed
asce
incrociate che sostenevano torce e bracieri. Il trono di mio padre era
sopraelevato, rispetto agli altri e sedeva a capotavola della Sala dei
Banchetti, dove tutti gli Dei e gli eroi si radunavano per festeggiare
le loro
vittorie. Quest’anno era un giorno particolare, dato che
Asgard era stato
salvata, quindi i banchetti erano ancora più allegri e
festosi.
“Padre.”
Dissi, inchinandomi con reverenza, anche se mi
sentivo rigido come uno stoccafisso. Il rapporto tra me e
papà non era proprio
il massimo.
“Figlio.
Questo solstizio d’inverno tu sarai un ospite
d’onore, ad Asgard. Desidero che tutto sia
perfetto.” Disse, senza sprecarsi in
nessun saluto formale. Ormai c’ero abituato, avevo smesso di
preoccuparmene.
“Lo
sarà, padre. Nulla ci minaccia più.”
Replicai, con
sicurezza. D’altro canto non avevo idea di chi potesse
minacciare la nostra
tranquillità. Loki era tranquillo ed i suoi adorabili
figlioletti erano stati rimessi
in catene, il che riduceva di molto i nemici che dovevamo affrontare.
Grazie
agli Dei.
“Lo
spero bene… vai nella tua stanza a prepararti.” Mi
ordinò, mentre si alzava dal suo trono dorato, per poi
dirigersi verso una
stanza, lasciando Gunginr appoggiata ad uno dei braccioli.
Sì,
ho una stanza, ad Asgard. Ufficialmente tutti i
figli di Odino ce l’hanno, preparata a posta per loro, ma non
la usavo
praticamente mai, soprattutto perché mi sentivo a disagio.
Preferivo passare il
tempo a casa di mia madre, pur essendo costantemente minacciato dai
mostri.
Ovviamente era una stanza molto all’antica: letto a
baldacchino, poltrona,
camino e altra roba che andava di moda, si e no, prima
dell’anno mille.
Avevo
voglia di sentirmi un po’ più libero,
così, in
attesa che iniziasse la cerimonia ufficiale, mi liberai
dell’armatura,
appoggiandola su un manichino apposito. Teoricamente per togliere una
corazza
ci vorrebbero trenta minuti, ma, fortunatamente, la mia era un
indumento
magico. Appariva come una comune felpa argentea, ma una volta che
tiravo su la
zip mi si applicava, addosso un’armatura completa in acciaio
Asgardiano. Un
dono di Vidarr per le mie ottime prestazione in battaglia.
Sospirai.
Un'altra
responsabilità di cui curarsi.
“Avanti,
Alex, ancora qualche ora e poi potrai stare tranquillo.”
Mi dissi, massaggiandomi le tempie. Ormai tutti, al Campo e ad Asgard,
mi
chiedevano di tutto. Tutti si affidavano a me per sapere che fare ed io
facevo
del mio meglio per vincere. Ma la verità era che ero
oppresso.
Io
non ero onnisciente, non ero invincibile. Quanto
tempo mancava prima che io commettessi un errore che avrebbe condannato
tutti.
Non volevo pensarci. Avrei voluto stare tutto il giorno con Astrid.
L’unica
persona che non si aspettava nulla, da me, a parte il mio amore. Un
sentimento
che io ricambiavo e non avevo problemi a dare.
Ero
così perso nei miei pensieri che quasi non mi
accorsi dell’urlo spacca-timpani che veniva da sotto.
“AL
LADRO!!! LA MIA LANCIA!!!”
Sobbalzai
finendo con il sedere per terra, mentre
maledivo mio padre che urlava. Mi ci vollero, però, due
secondi per capire che
la situazione era grave. Non mi misi nemmeno l’armatura,
afferrai Excalibur e
corsi di sotto. Per poco non inciampai, mentre correvo giù,
saltando i gradini,
letteralmente. Scansai due servitori elfi e un paggio nano che mi
bloccavano la
strada e, alla fine, riuscii a raggiungere nuovamente la Sala del
Trono.
Odino osservava con orrore il suo trono, insieme alla moglie Frigg e il
figlio
Baldr. Gugnir era sparita.
“Per
gli Dei!” Esclamai, esterrefatto.
“Alex!”
Mi chiamò mio padre, con il volto stravolto
dalla rabbia. “Raduna tutti i tuoi guerrieri! Dai
l’allarme! Il ladro non deve
fuggire!”
Non
mi servirono altri incoraggiamenti. Il suo sguardo
inceneritore bastò. Deglutii e corsi all’esterno,
mentre odino richiamava a sé
gli altri Dei, dando ordini. Superai il portone principale notando che
le
guardie elfiche erano state abbattute. Mi avvicinai un attimo per
esaminare le
ferite: colpi di spada, senza dubbio. Dati da uno spadaccino molto
abile e
violento, inoltre. Dovevo mettere in allerta tutta l’orda.
Io corsi per le strade, radunando tutti i ragazzi che trovavo,
informandoli del
furto dell’arma sacra del Re degli Aesir.
“Cercate
ovunque, anche sotto i sassi, se necessario!
Un arma non se ne va in giro da sola, il ladro dev’essere
ancora ad Asgard!”
Intimai, rivolgendomi a Daniel, uno dei figli di Thor, che mi rispose
chinando
leggermente il capo, in segno di rispetto.
Continuai
a correre, seguendo la via principale
affollata, dando l’allarme a tutti coloro che incontravo. In
poco tempo tutta
la Città Sacra era in allerta. Proseguii ancora, ma, girando
un angolo, mi
trovai davanti, o meglio, investii Astrid che stava correndo nella
direzione
opposta, seguita da Einar.
“Ah!”
Strillò, lei, finendo a terra.
“Scusa,
dolcezza.” Ribattei, con un sorriso,
rialzandomi e porgendole una mano per aiutarla.
“Ti
ho detto mille volte che non mi piace che tu usi
certi nomignoli.” Sbuffò la mia adorata figlia di
Hell che, però, accettò
l’aiuto.
“Capo,
tu si che sai come fare colpo.” Scherzò il
figlio di Loki ghignando.
“Stai
zitto Einar!” Sbottammo sia io che Astrid, nello
stesso tempo, finendo con l’imbarazzarci ancora di
più.
“Sì,
certo. Allora… ascoltate, c’è un
problema.” Inizia,
scuotendo la testa, per far passare il rossore.
“Abbiamo
sentito il casino. Che è successo?” Chiese mi
chiese la mia ragazza, leggermente in ansia.
“Qualcuno
è penetrato nel palazzo principale… e ha rubato
Gungnir.” Risposi, ansimando per la corsa. Ero nervoso, come
al solito, quando
mi davano un compito. Ma dovevo mantenere un minimo di calma e
ragionare.
“Abbiamo
idea di chi sia?” Chiese Einar,
improvvisamente pensieroso. Lo diventava, quando la situazione si
faceva
importante. Poteva essere scherzoso quanto voleva, ma se le cose si
facevano
difficili, non le prendeva sotto gamba.
“No,
nessuno l’ha visto e mentre uscivo ho visto i
cadaveri delle guardie. Chi li ha uccisi dev’essere un
guerriero abilissimo e
uno spadaccino. Le ferite erano, senza dubbio, stati vibrati da una
lama
affilata.” Risposi, subito. Non avevo tempo per girarci
intorno, anche se,
nella mia testa, si affollavano già un sacco di domande. Chi
era il colpevole?
Come aveva fatto a superare il Bifrost? Perché aveva rubato
la Lancia di Odino?
Da dove veniva?
Una
piccola parte di me disse che, forse, potevano
esserci i romani, di mezzo, ma esclusi che fosse colpa loro. Ormai
erano nostri
alleati, anche se, ogni tanto, se la prendevano perché li
battevamo in una
simulazione di battaglia campale.
“Dobbiamo
muovere le chiappe!” Sbottò Astrid, dandomi
uno strattone.
“Dritt!”
Imprecai, sentendomi un idiota. Mi ero
bloccato. “Hai ragione, andiamo!”
La
Città Sacra, ormai, era in allarme. Elfi guardiani,
semidei e nani giravano ovunque, alla ricerca del colpevole, ma non
sembravano
esserci risultati. Feci del mio meglio per organizzare una ricerca a
tappeto.
Detti ordini e direzioni, organizzando squadre, ma ancora nulla.
“Gente,
non stiamo facendo progressi…” Fece notare
Einar, dopo l’ennesimo quartiere battuto a tappeto, senza
successo.
“Hai
ragione… ma dove potrebbe essere il ladro?”
Chiesi, esasperato. Impossibile che avesse già lasciato
Asgard. Non poteva
essere così veloce e sapevo che, come procedura di
emergenza, in questi casi,
Heimdallr chiudeva il Bifrost.
Fu
allora che Hugin mi sorvolò, stridendo furiosamente,
come impazzito. Ad altri risultava incomprensibile, il suo linguaggio,
ma io,
in quanto figlio di Odino, riuscii a capire queste parole: “Il Bifrost! Il Bifrost non si chiude!
Sabotaggio! Il Ladro! In Fuga!
Fermatelo, ordine del Re, Fermatelo!!!”
“Dritt!
Einar, abbiamo già controllato le porte di
Asgard?” Chiesi, mentre una gelida consapevolezza si faceva
strada nella mia
testa.
Lui
si accigliò e rispose: “No, non abbiamo ancora
mandato nessuno, lì.”
“Dannazione!”
Urlai, richiamando Vesa con un fischio.
Dovevo raggiungere la porta, sperando che il ladro non fosse
giù uscito.
“Ehi,
capo! Che succede!?” Chiese il figlio di Loki,
stupito.
“Hanno
sabotato il Bifrost! Il ladro starà sicuramente
fuggendo, dobbiamo intercettarlo!” Strillai in risposta, per
farmi sentire
sopra il battito d’ali della mia viverna, pregando che avesse
sentito e che mi
avrebbe raggiunto.
Una
cosa era certa, però: dovevo assicurarmi che
nessuno fosse uscito.
Sorvolai
rapidamente tutti i quartieri di Asgard,
ancora sfavillanti per le luci e la festa, degenerata, ormai, in una
gigantesca
perquisizione a cielo aperto. Le alte mura erano intere, ma i cancelli
erano
aperti: dovevo assolutamente chiuderle ed impedire il controllo manuale
del
Ponte Arcobaleno, prima che fosse usato.
Atterrai
proprio quando un ragazzo incappucciato, con
un lungo involucro legato alla schiena usciva da un vicolo laterale,
dove
vedevo Astrid, stesa a terra, con una ferita al braccio.
“Astrid!”
La chiamai spaventato. Il suo sangue mi fece
sentire male: non potevo permettere che le succedesse qualcosa.
“Sto
bene, occupati di quell’idiota!” Mi
urlò,
indicando il guerriero che scappava verso il Bifrost aperto.
Mi
bloccai ed osservarlo. Era poco più basso di me,
tarchiato, robusto e indossava jeans e una maglietta rossa che sporgeva
da
sotto la felpa. Da sotto il cappuccio vidi che il volto era ricoperto
di
lentiggini e a fianco aveva una spada. Non sembrava sorpreso di
vedermi, ma
manteneva un volto impassibile, quasi fosse una statua mobile.
“Fermo,
bastardo!” Urlai, per poi darmi dell’idiota.
Era ovvio che, dopo un avvertimento del genere, non
si sarebbe mai
fermato.
Infatti
quello, mantenendo un espressione stranamente
indifferente, si mise a correre ancor più veloce verso i
Cancelli di Asgard,
con io che lo inseguivo alla massima velocità. Vesa era
volata in alto, ma non
osava attaccare, nel timore di danneggiare Gungnir.
Avevo poco tempo per agire e quel tipo era troppo lontano da me, per
poterlo
placcare. Avevo una sola possibilità: concentrai
l’energia magica, di cui mio
padre era custode e la canalizzai nelle mie braccia da cui uscirono
cinque
sfere violette che crepitarono di energia, dirigendosi a tutta
velocità verso
l’intruso.
I
proiettili sfrigolarono fino a colpirlo alla schiena.
Non era una magia letale, ma provocava bruciature e lesioni minori.
Utile per
distrarre o rendere inermi degli avversari. Eppure quello
barcollò, ma non
cadde. Si voltò ed estrasse la spada, pronto ad affrontarmi.
“Come
vuoi.” Lo minaccia, prendendo Excalibur, parando
il primo fendente.
Iniziammo
a duellare vicino alle porte e, dovevo
ammetterlo, era molto abile, non riuscivo a prendere il sopravvento,
nonostante
lo stessi mettendo in difficoltà. Lanciavo fendenti e
affondi, ma il ladro,
nonostante fosse appesantito dalla lancia, riusciva a reggere i miei
assalti.
“Arrenditi.
Restituisci Gungnir e ti lascerò andare.”
Gli promisi, mentre eravamo in stallo.
“Ordine…
rubare… l’arma di Odino.” Rispose il
ragazzo,
con voce atona.
Mi
accigliai: qualcosa non andava. Quel tipo sembrava
un robot privo di volontà. Mi separai da lui, pronto ad
attaccarlo di nuovo. Ci
slanciammo di nuovo l’uno contro l’altro. La sua
spada mancò, di pochi centimetri,
la mia gamba, ma Excalibur volò contro il suo viso.
Avrei potuto ucciderlo, ma la mia coscienza, ancora una volta, mi
bloccò.
Deviai la traiettoria della lama che finì con il tagliare in
due il cappuccio
del ragazzo, permettendomi di vederlo bene in faccia, questa volta.
Aveva gli
occhi scuri, i capelli castani ed era pieno di brufoli, come avevo
intuito. I
suoi occhi erano vitrei e inespressivi. Capii subito che era
controllato. Agiva
al di fuori della sua volontà.
Ma chi era?
Non l’avevo mai visto al campo, eppure, data la sua
abilità, doveva essere per
forza un semidio, o qualcosa del genere.
“Ehi,
tu, ascoltami.” Provai a richiamarlo, abbassando
la spada.
Prima
che potessi fare qualcos’altro, però, il tipo
brufoloso, mi scagliò contro la spada. Era una mossa
disperata, di solito, un
modo idiota per distrarre i propri avversari e avere il tempo di
scappare. Ma
molto efficace.
Infatti, nel tentativo di evitare la letale arma, fui costretto a
gettarmi a
terra. Questo diete il ladro il tempo di scappare e di guadagnare il
Bifrost.
“Non
ci provare, fermo!” Gli intimai, rialzandomi,
pronto a seguirlo.
Troppo
tardi.
Quello afferrò i comandi manuali del ponte
dell’arcobaleno e lo attivò. Le
porte si illuminarono e il suo corpo fu avvolto da quella che sembrava
una
spirale di colori, fino a sparire del tutto.
“Dritt!”
Imprecai, furibondo. Avevo fallito.
“Alex…”
Mi chiamò Astrid, ancora ferita, nel vicolo.
“Non è colpa tua.”
Sospirai
e mi avvicinai a lei: “Per gli Dei, mi sono
fatto fregare da una mossa del genere.”
“Dai,
lascia stare.” Mi rassicurò la mia ragazza,
tenendosi la ferita. La esaminai: non era molto grave, ma per un paio
di giorni
non avrebbe potuto combattere.
“Chiunque
tu sia, ti troverò, ragazzo… scoprirò
cos’è successo e se scoprissi che non eri
comandato, non ti darò mai pace.”
Pensai, stringendo i
denti, furioso. Potevano farmi di tutto, ma nessuno poteva toccare
Astrid.
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[Angolo Autore.]
Salve
gente. Ecco a voi l’ennesimo spin-off (Questa
volta approvata da Water_Wolf) di Cronache del Nord. Questa volta il
crossover
non è con un libro di Rick Riordan, ma con un'altra
Fanfiction: Cronache di Dun
Scaith (Mamma mia, che nomi folli, questi celti).
Ad ogni modo, ecco a voi il primo capitolo in cui vediamo Alex alle
prese con
Astrid, suo padre ed un tizio che, per poco, gli uccide la ragazza.
Direi che
ci sono tutti i presupposti per voler odiare i Celti. :3
Ad ogni modo, se non lo sapete, il tizio che ha rubato la Gungnir
è un celto,
sì, ma non è così semplice. Il
problema è far capire ai Norreni la verità,
perché, probabilmente, Alex massacrerà di botte
il poveretto che gli ha ferito
Astrid.
Ad ogni modo, spero che la storia vi sia piaciuta. J
Un saluto da me e da Fan of the Doors.
Mi raccomando, dite cosa ne pensate.
AxXx