Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: everyteardropisawaterfall    02/06/2014    1 recensioni
Due ragazzi che non si assomigliano, se non per un particolare: la loro bellezza. E lo straordinario potere che i loro sguardi hanno su Aline. I loro occhi azzurro-cielo, attraevano alla stessa maniera la ragazza.
Due segreti celati al resto del mondo, un duplice amore, una lotta tra Bene e Male.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Aline’s pov Ritornare a casa dopo una settimana è una sensazione fantastica. Fa piacere notare che la propria stanza abbia quell’odore inconfondibile. Quell’odore indelebile. Sì, di calzini sporchi. Colpa del mio gemello Kevin, con il quale, sfortunatamente, dividevo la stanza da sedici anni. Estenuata e affamata, aprii la finestra per far cambiare l’aria e mi gettai sul letto. Mia mamma, appena scesa dalla nave mi aveva fatto rincoglionire con la sua tornata di domande, alla quale però, risposi con netto distacco. Non avevo voglia di parlare. Volevo dormire, soltanto quello. Possibilmente, tutta la vita. Presi l’Ipod blu metallizzato sul comodino, misi gli auricolari e ben presto mi addormentai. “Alzati dal mio letto, cogliona!” Eh sì, Kevin sapeva essere davvero amorevole. “Lasciami in pace. Sono stanca.” biascicai, assonnata. “Sono le tre del pomeriggio, poi devo andare al calcetto e vorrei riposarmi un po’ se Sua Maestà lo permette.” disse con una punta di sarcasmo. Quel sarcasmo tipico di mio fratello. Scazzata, assonnata e con lo stomaco che mi urlava pietà, gli cedetti il letto. Salii lentamente le scalette che portavano al letto superiore e mi abbandonai lì per un altro po’. Com’era mio solito, dopo esser stata svegliata, non prendevo più sonno facilmente. Non mi rimase che pensare. Adesso che ero tornata alla normalità, anche i miei pensieri potevano essere più ‘normali’. Decisi di passare dritto riguardo Luke e concentrarmi meglio su Roberto, il mio ex migliore amico. Frequentava il liceo classico G. Meli, come me. E come me, andava nella mia stessa classe. Dopo tre anni di profonda amicizia, qualche mese fa si era deciso a fare il grande (fatale) passo. Aveva scritto una lettera, indirizzata alla sottoscritta, nella quale mi confessava che gli piacevo da un po’ e che non ce la faceva più a comportarsi da semplice amico. A quelle parole ero rimasta spiazzata. Non che non fosse bello, o che non mi attraesse fisicamente, anzi. Semplicemente, lo vedevo come compagno di risate, come quello che mi aiuta in caso di problemi con un tizio x...come un migliore amico, ecco. Se da un lato, l’attrazione fisica potesse trasformarsi in qualcosa di più grande, dall’altro, c’era la paura di poterlo far soffrire. Ne aveva passate tante, fin troppe. I suoi erano separati, la nonna paterna con la quale aveva uno stretto legame gli era venuta a mancare qualche mese fa, mettiamoci la scuola e i problemi relativi all’età adolescienziale e ne veniva fuori una specie super-bomba-stress. Tutti quelle delusioni non aveva potuto far altro che far chiudere quel ragazzo in se stesso. La sua espressione era sempre la stessa: un freddo, silenzioso controllo. Non esprimeva quasi mai emozioni, in nessuna circostanza. Tranne quando era in mia presenza. Sembrava che la mia presenza potesse fargli da antidoto, come se per qualche ora, lui potesse riprendere a vivere. Esattamente per questo motivo non volevo rifiutarlo. Non perchè mi facesse pena, ma piuttosto perchè non volevo essere la sua ennesima delusione.  Volevo che ci fosse al viaggio. Purtroppo per motivi economici, non è potuto venire. Almeno se Roberto ci fosse stato, tutto quel casino si sarebbe evitato. Soprattutto, avevo paura che se gli avessi raccontato cos’era successo al viaggio con quel ragazzo, Luke, l’avrebbe presa malissimo. Non mi spaventava la reazione di primo impatto. Mi spaventava la conseguenza del mio gesto avventato. Si sarebbe richiuso nuovamente in quel suo guscio, e questa volta, avevo paura che neanche io sarei stata in grado di riuscire ad aprirlo. La mia testa in quel momento era soltanto una caos di domande senza risposte. Pensavo a Luke, se l’avrei rivisto, e se si, chissà quando. Pensavo a Roberto, indifeso, apatico e con quel suo modo di fare che lo stava auto-distruggendo. Strano come le persone possano fidarsi subito di qualcun’altro, no? Una delle mie debolezze era proprio queste. E non a caso, ogni qual volta quella che si affezionava ero io. La cena trascorse tranquilla, tutto sommato. Papà una volta tornato dal negozio di detersivi in cui lavorava, mi chiese circa il viaggio in nave, Londra, Liverpool e delle altre città visitate. Trovavo più piacevole rispondere alle sue domande invece che quelle di mamma. Lui sapeva quand’era il punto di fermarsi. Kevin era rimasto a mangiare da un suo compagno di classe, per cui, non avendo nessuno da disturbare, andai nel salone a guardare la tv. Optai per American Horror Story, l’unica cosa passabile. Ma dopo un po’ mi annoiai, perciò dopo aver dato la buonanotte, mi rintanai nella mia stanza. Il giorno successivo era martedì. Ciò significava che sarei dovuta andare a scuola. E vedere Roberto. Decisi di distrarmi preparando i vestiti per il giorno dopo. Una canottiera, dei leggings e sopra un paio di shorts. Ma sì! A fine aprile andavano più che bene. Ascoltai la mia dose quotidiana dei Simple Plan e dopo di che mi coricai. Come previsto, non riuscivo a dormire. Mi sforzai comunque di chiudere gli occhi e dopo una mezz’ora, fra l’insonnia e il sonno ebbe la meglio il sonno. Heeey hey hey! Heey hey hey! Heey hey hey hey! 6:50. Con gli occhi ancora chiusi cercai il tasto per far smettere di suonare quel fottuto SIII Cosa n.1 da sapere per non svegliarsi isterica: mai mettere la propria canzone preferita come sveglia. Finireste soltanto per odiarla. Mi dispiaceva un po’ odiare ‘She looks so perfect’ . Sarebbe bastato cambiare suoneria per qualche mesetto. Andai in bagno, mi preparai tempo record, mi truccai e alle 7:20 ero pronta. I miei ancora dormivano, per cui salutai solo Kevin e scesi di corsa. L’autobus che passava sotto casa mia era sempre in ritardo per cui non mi preoccupai così tanto dell’orario. Infatti, come previsto, passò alle 7:40. Fortuna che l’entrata al Meli era alle 8:15. Niente traffico quel martedì, per cui mi rilassai completamente. “Dove sei?”  Era un sms da parte di Jess. “Esattamente davanti scuola e tu?” “Pure. Ci vediamo da Don Bonne” Don Bonne era il bar dove solitamente si riuniva la combriccola formata da me, Jess, Rachele, Andrew e Roberto. Trovai Jess e Roberto seduti in due sedie proprio vicino l’entrata. Salutai entrambi con un cenno della mano. Jessica sembrava raggiante, ma non potei dire lo stesso di lui, che si rabbuiò alla mia vista. Ma vaffanculo. Si prospettava una giornata di merda. Rachele ed Andrew, ritardarono, così entrarono alla seconda ora.  Per me era una cazzata. Stavano insieme, quindi l’avevano usata come scusa per fare i porci e limonare un po’. Era anche giusto tutto sommato. Non me la presi. Quanti bidoni avevo fatto io, e quante volte loro c’erano passati sopra. A prima ora avevo biologia. Non male considerando che ero la ‘favorita’ della prof. Da settembre il mio posto era accanto a Roberto, il quale quella giornata restò teso e con lo sguardo basso. Non provai a rivolgergli la parola. Sapevo com’era fatto. Voleva stare da solo, ma mi promisi che al più presto gli avrei parlato.
  
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