Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: crazyclever_aveatquevale    04/06/2014    2 recensioni
"Il fatto che il cosiddetto Dottore gli parlasse come se lo conoscesse da anni mentre lui era assolutamente certo di non averlo mai visto gli sembrava piuttosto strano. Glielo disse, fingendo noncuranza: «Ma noi ci conosciamo?»
«Se tu non mi conosci allora vuol dire di no, caro John! Ma ci conosceremo in futuro, vedrai!» Rispose quello, intento ad osservare la figura concentrata di Sherlock. John ne fu molto infastidito: come si permetteva tutta quella confidenza? Sedersi sulla sua poltrona, fissare il suo Sherlock… Chi credeva di essere? E cos’era quella storia del futuro? Doveva vederci chiaro. «Scusi ma non capisco. Lei mi conosce, è evidente»
«Questo non implica che tu debba conoscere me. Però possiamo rimediare subito». Sorridendo, il Dottore si alzò e gli tese la mano. «Il Dottore»."
johnlock/un po' di 10-Rose/dedicata alle ragazze del gruppo "We are JohnLOCKed" su Facebook
P.S. Post-Reichembach - non tiene conto degli avvenimenti della Season 3!
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
UNA CABINA BLU A BAKER STREET
 
Era iniziata esattamente come una mattina simile a tante altre al 221B di Baker Street.
 
Sherlock era steso sul divano, le mani unite sotto il mento nella sua tipica posa da “sono nel mio Mind Palace tentando disperatamente di non annoiarmi, non disturbatemi se non per un caso da otto” e John, altrettanto annoiato ma più maturo del coinquilino, che in quei momenti sembrava un bambino in preda ai capricci, vagava per l’appartamento cercando invano qualcosa da fare e osservando ad intervalli regolari fuori dalla finestra. Purtroppo, nessun nuovo cliente all’orizzonte.
 
All’ennesima occhiata notò che vi era qualcosa di strano. Si stropicciò gli occhi, ricontrollò per essere sicuro che non fosse un’allucinazione dovuta alla noia e poi si girò a chiamare il suo coinquilino.
 
«Sherlock. Sherlock, andiamo, so che mi stai ascoltando e non mi vuoi rispondere. Devi venire a vedere una cosa. Sono certo che quella cabina blu del telefono non era lì un minuto fa».
 
Il moro non mosse un muscolo in risposta. John attribuì quella mancanza di risposta ad un completo disinteresse per l’argomento piuttosto che ad un impegno profondo dell’amico nel Mind Palace. In realtà, non ne era affatto sorpreso: Sherlock spesso non si tratteneva nemmeno dall’insultarlo per la sua idiozia, era anzi piuttosto particolare che non gli avesse detto nulla.
 
Lui stesso ci avrebbe a stento creduto, se non l’avesse visto con i suoi occhi. Aveva scandagliato la strada avanti e indietro più e più volte solo quella mattina ed era più che sicuro di ciò che aveva visto e ciò che non aveva visto. Quella cabina blu fino a poco prima non c’era.
 
Era ancora immerso nei suoi pensieri, in modo particolare ad autoconvincersi di non essere all’improvviso uscito di mente, quando sentì il campanello suonare e la signora Hudson annunciare l’arrivo di un cliente.
 
Si girò verso la porta, eccitato dall’aspettativa di una nuova avventura, notando come l’unico movimento dell’amico fosse un leggero tamburellare delle dita della mano destra sulla sinistra a tradire la sua trepidazione, ma ciò che vide entrare lo lasciò piuttosto sorpreso. Non per l’aspetto del giovane uomo appena apparso sulla soglia, o per il trench beige sul completo grigio che gli dava un’aria seria e sbarazzina allo stesso tempo, quanto per l’aria di tranquilla esaltazione che mostrava.
 
John non poteva dire di avere le capacità di Sherlock, o la sua mente fenomenale, ma capì subito che non poteva trattarsi di un cliente normale, era troppo… follemente su di giri, per essere un cliente normale, con i capelli sparati in tutte le direzioni, le mani nelle tasche del trench in una posa rilassata e gli occhi che squadravano la stanza, curiosi.
 
Senza nemmeno aprire gli occhi, Sherlock esordì: «Bentornato, qual buon vento ti porta qui, Dottore?»
 
Le parole di Sherlock colpirono John come uno schiaffo. Dottore? Come dottore? Lui era il suo dottore, non quello sconosciuto che si aggirava per casa come se fosse il padrone di tutto.
 
«Ciao, Sherlock. Quanto tempo, eh? Questo posto non è cambiato per niente dall’ultima volta che ci sono stato. Beh, certo, a parte la cucina: quand’è che ti deciderai a spostare quelle attrezzature chimiche nella stanza vuota di sopra?»
 
John, già irritato dalla tranquilla presenza dell'estraneo, che chiaramente aveva dei trascorsi con il suo coinquilino, vide rosso. Come si permetteva quel tizio apparso improvvisamente di dare consigli sull'arredo della sua casa? Di sopra vi era solo la sua camera da letto!
 
«Mi scusi, signore, - esordì, col suo tono fintamente mellifluo, - ma "la stanza vuota di sopra" non è affatto vuota! Io ci dormo, lì!»
 
«John, chiaramente non mi riferivo alla vostra camera da letto, ma la stanza che avete ristrutturato di recente lì affianco!»
 
«Scusi, ma come conosce il mio nome? E, per l’amor del cielo, cosa intende con vostra? Io... Lui... Noi non stiamo assieme!»
 
Non poteva sperare che Sherlock non si fosse accorto della sua esitazione, o del fatto che avesse evitato di proposito la sua solita risposta "io non sono gay", con cui rispondeva quasi automaticamente a chiunque sottintendesse che fossero una coppia. Tuttavia erano molti i segnali che gli aveva lasciato, nell’ultimo periodo, ma l'altro non li aveva colti. O comunque non aveva voluto parlarne.
 
Aveva – finalmente - superato la fase della negazione. La sensazione di vuoto e di abbandono che lo aveva pervaso nei due anni in cui credeva che Sherlock fosse morto lo aveva costretto ad accettare la realtà. Il suo dolore non era quello di un amico, era molto di più. Lo vedeva scritto nei volti di chiunque incontrasse, che stava portando il lutto come un amante, non come un semplice amico. Lui stesso si era sentito così.
 
E, quando era tornato, tutto tronfio e charmant come sempre, il suo cuore aveva mancato più di un battito. Poi aveva prevalso la rabbia, ma la prima sensazione era stata una gioia assoluta e pura che non aveva mai provato prima: gli sembrò che il mondo avesse ripreso tutti i colori e i rumori che lo avevano sempre caratterizzato, e che avesse ripreso a girare, come sempre attorno a Sherlock.
 
Non aveva avuto il coraggio di rivelargli apertamente i suoi sentimenti, però. Aveva invaso l’Afghanistan, preso decisioni difficili di vita e di morte, aveva ucciso, addirittura! E non riusciva a rivelare a Sherlock di amarlo. Non a parole, almeno.
 
John pensava di aver fatto di tutto per farglielo capire. A cominciare dal fatto che aveva smesso di uscire con le più svariate donne, o che non difendeva più a spada tratta la sua eterosessualità, per poi arrivare a cercare una scusa qualunque anche solo per sfiorarlo, per sentirlo vivo e il più possibile vicino a sé.
 
Ed ora arrivava questo… Dottore… E lui e Sherlock sembravano così affiatati… Chiaramente l’insinuazione era solo per avere un’idea del rapporto che intercorreva tra i due coinquilini. E lui gli aveva servito Sherlock su un piatto d’argento. Ah, ma non si sarebbe fatto vincere così facilmente.
 
Drizzò le spalle nella sua posa militaresca. Bene. Il Capitano Watson aveva preso il controllo. Era di nuovo in guerra, adesso. Il gioco iniziava.
 
«Si può sapere chi è lei, comunque?» comandò, col suo miglior tono militaresco.
 
L’uomo parve un attimo interdetto. Poi, subito ripresosi, disse noncurante: «Sherlock gliel’ha detto, sono il Dottore». Dall’espressione interrogativa presente sul viso del biondo l’uomo dovette comprendere che questo nome non diceva nulla a John, perciò aggiunse: «Sono un vecchio amico di Sherlock. Anzi mi stupisco che lui non ti abbia mai parlato di me…»
 
John si girò verso Sherlock, ora seduto scompostamente sulla poltrona, osservando incuriosito lo scambio tra gli altri due. Sentitosi chiamato in causa, borbottò un semplice «Non mi avrebbe creduto», per poi allungare una mano a prendere il plico di fogli che il dottore gli aveva portato. «Il solito?» chiese, e si immerse nella lettura ad un suo cenno affermativo.
 
Consapevole che non avrebbe ricevuto risposta se avesse provato ad indagare ma ancora profondamente arrabbiato– si era sempre fidato di lui, dannazione fin da quel primissimo giorno in cui aveva ucciso il tassista per lui – per la mancanza di fiducia da parte di Sherlock, decise di farsi una tazza di the per calmarsi. Fu solo per buona educazione, ricacciata non si sa da dove, che si girò verso il loro ospite, chiedendo a denti stretti: «Vuole una tazza di the?»
 
Il “Dottore”, che si era accomodato sulla sua poltrona, rispose affermativamente, aggiungendo con un sorrisetto che “John non sarebbe mai cambiato, la prima cosa da fare in qualsiasi situazione sarebbe sempre stata una buona tazza di the”.
 
Il fatto che il cosiddetto Dottore gli parlasse come se lo conoscesse da anni mentre lui era assolutamente certo di non averlo mai visto gli sembrava piuttosto strano. Glielo disse, fingendo noncuranza: «Ma noi ci conosciamo?»
 
«Se tu non mi conosci allora vuol dire di no, caro John! Ma ci conosceremo in futuro, vedrai!» Rispose quello, intento ad osservare la figura concentrata di Sherlock. John ne fu molto infastidito: come si permetteva tutta quella confidenza? Sedersi sulla sua poltrona, fissare il suo Sherlock… Chi credeva di essere? E cos’era quella storia del futuro? Doveva vederci chiaro. «Scusi ma non capisco. Lei mi conosce, è evidente»
 
«Questo non implica che tu debba conoscere me. Però possiamo rimediare subito». Sorridendo, il Dottore si alzò e gli tese la mano. «Il Dottore».
 
John la strinse, saggiando la stretta forte ma non prepotente dell'uomo. Fu costretto ad ammettere, seppur a malincuore, che quell'uomo strano e senza nome iniziava davvero a stargli simpatico. «John Watson».
 
«John Hamish Watson, eh?» specificò il Dottore, strizzandogli l’occhio con un atteggiamento complice.
 
Il volto di John fu deformato da una smorfia. «Già... Non so come ha saputo del mio secondo nome, cerco di evitare di raccontarlo in giro... A me non piace affatto!», disse, prima di allontanarsi per versare il the nelle tazze.
 
«Scommetto che l'ha scelto Sherlock, allora... Hamish... Devo dire che la sua mancanza in questa casa si sente...» ragionò il Dottore.
 
«La mancanza di chi? Scusi, ma come lo vuole il the?» chiese John, dalla cucina.
 
«Con un goccio di latte e un cucchiaino di zucchero. E puoi darmi del tu, John!»
 
John finì di zuccherare la tazza di the e poi gliela diede. Mordendosi le labbra, si decise a porre la domanda che più gli premeva di fare. «Ma voi due come vi siete conosciuti?», chiese, inclinando il capo ad indicare il moro, ancora immerso nello studio delle carte che il Dottore gli aveva portato.
 
«È una lunga storia. Ecco, vedi...» iniziò il Dottore.
 
«Mi state distraendo con il vostro stare qui. Ho bisogno di concentrazione, io! Non parlate, non respirate nemmeno! Anzi, Dottore, mostra a John il Tardis, così ci risparmieremo le scenate una volta che saremo pronti ad agire»
 
Il Dottore balzò in piedi, chiaramente eccitato dalla prospettiva di fare qualcosa – John l’aveva notato subito che era un tipo a cui l’inattività non piaceva – ma era troppo in collera col suo coinquilino per condividere pienamente la gioia di avere da fare e la curiosità di vedere questo Tardis. Sherlock tra tutti non gli aveva mai mostrato quella condiscendenza, nemmeno quando era stato davvero da compatire, non l’aveva mai fatto sentire così inferiore, anche con tutte le sue affermazioni sui “cervellini” e sulla sua idiozia, non l’aveva mai umiliato così.
 
Col senno di poi aveva dovuto dargli un minimo ragione. C’era voluto tutto il suo autocontrollo per non mettersi ad urlare in mezzo a Baker Street e limitarsi a sguardi sbigottiti e respiri molto profondi nel tentativo di non esternare la propria meraviglia.
 
Il Dottore l’aveva infatti condotto fuori dal 221B e lo aveva preceduto entrando nella cabina blu che era apparsa sul marciapiede. Se all’inizio era rimasto scioccato dall’idea di entrare entrambi in quella che sembrava una semplice cabina del telefono, riflettendo sul fatto che sarebbero stati anche un po’ stretti, una volta dentro la sua meraviglia raggiunse l’apice. All’interno, infatti, la cabina si presentava come una stanza circolare di metallo grande almeno quanto tutto il loro appartamento, e dal lato opposto rispetto a quello da cui era entrato vi erano scale che conducevano ad altre stanze, solo lontanamente visibili. Al centro della stanza circolare vi era un apparecchio elettronico di forma geometrica (forse un esagono?[1]) che circondava un tubo verticale contenente una specie di stantuffo azzurro. Proprio accanto a quella specie di consolle stava il Dottore, aspettando sorridente una sua reazione.
 
John, le cui sinapsi erano al momento scollegate, riuscì solo a balbettare: «Ma… È più grande all’interno!» che provocò un leggero sbuffare dell’altro.
 
«Dite tutti sempre così. Beh, a parte Sherlock, ovvio. Credo sia stato l’unico a non aver fatto commenti sull’ampiezza della mia amica», disse il Dottore, accarezzando la consolle quasi sovrappensiero.
 
«E cos’ha detto Sherlock?» chiese John, incuriosito.
 
Poteva giurare di aver visto lo sguardo del Dottore incupirsi. «Mi ha chiesto quasi noncurante dove fosse il resto dell’equipaggio, visto che la nave chiaramente andava pilotata in gruppo».
 
«Equipaggio? Cos’è questa? Come una navicella spaziale?» scherzò John.
 
«Il Tardis è una delle navicelle spaziali più avanzate al mondo. È l’ultimo prodotto rimasto della più antica arte dei Signori del Tempo e può portarti in qualsiasi luogo nel tempo e nello spazio, quindi merita tutto il nostro rispetto!» s’infervorò il Dottore.
 
«I… I Signori del Tempo? Cosa sono?» Ora John iniziava a spaventarsi.
 
«Sono… Erano una razza molto sviluppata, ad anni luce di distanza da quella umana, sia metaforicamente sia praticamente parlando. Erano incredibilmente intelligenti e per questo molto potenti… e invidiati. Questo ha portato alla loro completa distruzione» terminò, trattenendo un sospiro.
 
«Distruzione? Come?» chiese John, nonostante tutto affascinato.
 
«C’è stata una grande guerra - l'Ultima Guerra del Tempo- con un’altra specie. Il pianeta è andato distrutto e sono morti tutti. Tutti tranne me»
 
«Cos- Che vuol dire “tutti tranne te”? Tu… Tu non sei umano?»
 
«No, mio caro John. Io sono l’ultimo Signore del Tempo». L’orgoglio era facilmente percepibile nel tono del Dottore, mischiato con un grande dolore.
 
Il Dottore non era umano. Non era umano. A John stava per partire un embolo. Era sull’orlo di un attacco di panico. Si trovava in una nave spaziale con un alieno sconosciuto che diceva di essere l’ultimo della sua specie.
 
Solo in quel momento rifletté sull’esatto significato delle parole del Dottore. L’ultimo della sua specie. Poverino, doveva sentirsi così solo… Questo gli diede la forza di tornare ad essere lucido abbastanza da esalare un «Mi dispiace»
 
«Non preoccuparti, John. È stato tanto tempo fa. Intere vite fa, a dirla tutta. Piuttosto parliamo un po’ di te, invece. Come va con Sherlock?»
 
«Noi… Noi non stiamo insieme, sul serio! Siamo solo coinquilini e colleghi!» si affrettò a dire John. «Ma quindi ora viaggi da solo?» chiese, ancora curioso.
 
«No, ogni tanto trovo qualcuno che mi accompagni nei miei viaggi» tagliò corto l’altro. «E come mai non c’è niente di più? So che lo vuoi! Te lo si legge negli occhi»
 
«Mmm… Lui non è interessato a questo tipo di legame. A nessun tipo di legame, in verità, e io mi accontento anche di essere solo suo amico» ammise John. «Quindi i tuoi compagni sono… sono umani?»
 
«Per la maggior parte sì. Mi piacciono gli umani. Siete imprevedibili. Non avete la nostra intelligenza ma, con le dovute eccezioni, siete affascinanti» Adesso l’aria malinconica era ben visibile sul volto del Dottore, tanto da farlo sembrare molto più maturo. Poi si riscosse. «Ma come fai a dire che lui non è interessato a te?»
 
«Me l’ha fatto capire molto chiaramente appena ci siamo conosciuti, quando io ancora non ci pensavo nemmeno. E fa finta di non cogliere i segnali che gli mando quindi… Caso chiuso». Il tono di John fu lapidario, non voleva indugiare sul suo amore impossibile per l’uomo più impossibile che avesse mai conosciuto.
 
D’improvviso ricollegò le parole del Dottore. «Ho una domanda: ma se i Signori del Tempo sono notevolmente più intelligenti degli umani, come mai hai avuto bisogno di Sherlock? Lui è un genio, ma non potrà mai competere con la vostra intelligenza» disse, allargando le braccia ad indicare il Tardis attorno a loro.
 
«Te l’ho detto: il genere umano è imprevedibile. Soprattutto quando vengono a contatto con manufatti alieni. La tecnologia aliena e la stupidità umana, credimi, sono un’accoppiata terribile [2]. L’intelligenza di Sherlock unita al suo essere di questa specie, quindi più portato geneticamente a comprendere le idee che possano venire in mente agli uomini è utilissima in questi casi».
 
John sapeva che non aveva senso sentirsi così orgoglioso, per i complimenti che il Dottore aveva fatto a Sherlock, ma non poteva farne a meno. Era straordinario ma al tempo stesso prevedibile che il genio di Sherlock lo rendesse il miglior campione che la Terra potesse offrire, anche contro minacce aliene. Il suo Sherlock.
 
Il suo Sherlock che entrò come una furia nel Tardis annunciando di aver trovato uno schema nel modus operandi di quella banda di “mercanti di schiavi” che rapivano intere piccole città in tutto il mondo tramite l’aiuto di “trasmettitori di incubi” con cui facevano realizzare i peggiori incubi di ciascuno per spingerli alla pazzia e poter quindi schiavizzare le loro menti.
 
Il Dottore sorrise. Iniziò a trafficare attorno alla consolle del Tardis, avvertendoli di reggersi forte e gridando «Allons-y!» prima di spingere una leva che li fece partire.
 
John fu così trasportato in un’avventura pazzesca. Il Tardis li teletrasportò a Carson City, nel bel mezzo della California, nell’anno Duemila, quando, secondo gli studi di Sherlock, erano state attestate le prime sparizioni: il viaggio lo lasciò sconvolto, più per la differenza di ambiente – non era mai stato in America e per di più la gente parlava del “presidente Clinton” e delle nuove elezioni, quando lui sapeva che il presidente fosse Obama (quando l’aveva fatto notare a Sherlock questi gli aveva risposto con un “Obama chi?”, che non avrebbe dovuto sconvolgerlo quanto in realtà aveva fatto)- che per il caso vero e proprio.
 
Dopo un breve giro di ricognizione, il Dottore e Sherlock avevano individuato il luogo di atterraggio della navicella contenente i trasmettitori e le avanguardie dei mercanti, che erano atterrati nell’orbita terrestre spinti dall’opportunità di nuovi e più semplici guadagni. Questi alieni avevano pelle come quella umana ma il corpo era dotato di quattro braccia e tre gambe e il volto deformato come quello di un bulldog.
 
Alla fine, il caso si era risolto quasi da sé: appena adocchiato il Dottore, i mercanti si erano subito arresi, perché a quanto pareva il loro amico aveva fama di essere “portatore di guai” per cui era meglio stargli lontano.
 
Solo uno di loro aveva tentato il tutto per tutto, provando ad attaccarli con una specie di raggio ipnotizzante che gli partiva dalle mani ma John, che non veniva considerato una minaccia né una merce di valore, al contrario degli altri (a detta loro, il Dottore valeva più di dieci pianeti messi insieme), lo colpì alle spalle, mettendolo K.O. e guadagnandosi un’occhiata di ammirazione sia dal Dottore che da Sherlock e il rispetto dei mercanti, che gli passarono vicino con attenzione per andare a riprendere il loro compagno per terra.
 
I tre rimasero immobili ad osservare la navicella che ripartiva, mentre attorno a loro la gente si radunava ad osservare quello che credevano fosse un fuoco d’artificio tardivo – erano infatti atterrati il cinque luglio – e batteva le mani per lo spettacolo.
 
John doveva ammettere che tutto quello era semplicemente esaltante: si trovava in un luogo sconosciuto, a mille miglia di distanza da casa e aveva appena incontrato degli alieni, impedendo loro di spopolare la Terra. Non l’avrebbe immaginato nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi, eppure era reale. Si sentiva in pace con se stesso e la presenza rassicurante affianco a lui lo faceva sentire il padrone dell’intero universo.
 
Si girò verso l’amico e vide che lo stava osservando, l’ombra di un sorriso soddisfatto sul volto. Con calma si avvicinò a lui e lo abbracciò. Grazie, voleva dirgli. Grazie di rendere la mia vita imprevedibile e perfetta, ogni giorno.
 
La stretta che ricevette gli fece capire che il messaggio era arrivato a destinazione.
 
~°~°~
 
L'orgasmo aveva lasciato John completamente stremato, mollemente accasciato sul corpo di Sherlock, che ancora ansimava e tremava per il piacere.
 
Il Dottore, questa volta, era atterrato direttamente nel salotto del 221B di Baker Street e poi li aveva lasciati lì, con un semplice arrivederci. I due lo avevano guardato ripartire ancora su di giri, ancora sovraeccitati. Era bastato uno guardo perché l'eccitazione divenisse desiderio e, dopo un bacio torrido e incredibilmente lungo, erano corsi in camera di John - quella che da adesso in poi sarebbe stata la loro camera - e non vi era stata più alcuna occasione per parlare.
 
John, libero dagli ultimi strascichi dell’eccitazione, sentiva di dover dire qualcosa, mentre disegnava ghirigori stanchi sulla schiena diafana dell'altro, accarezzandolo con reverenza. Non riuscendo a partire direttamente con domande personali, dal momento che era certo che avrebbero rovinato l’intera  situazione, iniziò prendendola alla larga: «Allora, come vi siete conosciuti, tu e il Dottore?»
 
Sherlock voltò la testa per osservarlo, indagatore. Sospirò. «Mi ha aiutato con tutta la faccenda di Moriarty, John»
 
«Mo- Moriarty? Non mi dire che era un alieno!»
 
«Pensaci: avrebbe senso, no? Era un mutaforma, il capo di una banda di mutaforma con lo scopo di arrivare a governare l’umanità. Ti ricordi quando i due bambini erano convinti che fossi stato io a rapirli?»
 
«Lui… Aveva preso le tue sembianze?»
 
Sherlock annuì, poi distolse lo sguardo da John. «Diceva di aver trovato in me un degno avversario ma che ero una facile preda, troppo umano, troppo… sentimentale. Ti stava minacciando sul serio, su questo non mentivo, aveva degli uomini che ti puntavano…».
 
John lo vide incupirsi mentre ricordava e solo in quel momento si rese conto di quanto quella decisione fosse stata profondamente sofferta per Sherlock. Non era stato l’unico a patire le pene dell’Inferno in quei due anni.
 
«Il Dottore è venuto a trovarmi, subito dopo che eri uscito dal Saint Bart’s, e mi ha raccontato tutta la storia, seppure a grandi linee. Poi ha aggiunto che la mia caduta era “un punto fisso del tempo”, a cui non potevo sottrarmi perché incancellabile. Tuttavia, mi ha detto che così non era per la mia morte, perché a quanto pareva non coincideva per forza con la caduta e così ha potuto salvarmi grazie al Tardis»
 
«Dev’essere stato emozionante» commentò John, accarezzandogli i ricci.
 
«John, ti prego. È stato terribile. Vederti disperato mentre invochi il mio nome e mi ripeti di non morire… Toccando il corpo freddo di un mutaforma morto con la mia immagine addosso… Sapere di non poter più sentire il tuo tocco sulla mia pelle… Davvero, è stato il momento più terribile della mia vita»
 
«E poi perché non sei tornato subito?» da me?
 
«Mi sono infiltrato per distruggere l’intero insediamento. Ho finto di essere Moriarty che fingeva di essere me per due anni interi, uccidendoli uno per uno. Non è stato semplice»
 
John rifletté che la frase “non è stato semplice”, tradotta dal linguaggio di Sherlock, significasse qualcosa come “era praticamente impossibile per chiunque tranne me”. L’orgoglio tornò a farsi sentire, prepotente. Ed ora Sherlock era suo, era il suo uomo, non doveva più vergognarsi di questo sentimento, per quanto fosse sciocco e infantile. Ora avrebbe potuto urlarlo al mondo. Sherlock era l’uomo migliore che avesse mai conosciuto, ed era totalmente ed esclusivamente suo.
 
Non sapendo in che modo poter contraccambiare l’impareggiabile manifestazione di amore che Sherlock gli aveva dato, con il suo finto suicidio e tutto ciò che questo aveva comportato per entrambi, si limitò a stringersi a lui, strusciando tra lui e il materasso, per fargli sentire quanto viscerale e profondo fosse il suo amore, e ad appoggiargli la testa sotto il mento, nel gesto più intimo che avesse mai condiviso con qualcuno. Dopotutto, non c’era mai stato bisogno di troppe parole, fra di loro.
 
Si addormentò così, ascoltando i battiti lenti e cadenzati del cuore dell’uomo che, in tutto l’universo, si era rivelato essere la sua unica e vera casa.
 
~°~°~
 
Il Dottore osservava felice, appoggiato con una spalla allo stipite della porta del Tardis. La sua Rose stava correndo verso di lui, con il solito, enorme sorriso ad illuminarle il viso intero. Fece qualche passo in avanti per andarle incontro, ricambiando il suo sorriso quasi inconsciamente.
 
La accolse tra le sue braccia e la fece girare, sussurrandole tra i capelli un dolce «Mi sei mancata» che la fece arrossire. Poi la rimise a terra, senza lasciarla ma mettendole un braccio attorno alle spalle. Sentendo che lei gli circondava la vita con le braccia, le fece un occhiolino, dicendole con fare fintamente noncurante: «Ti ricordi di Sherlock? Quel nostro amico che aveva dovuto gettarsi da un palazzo…»
 
«Mi ricordo benissimo. Poverino, aveva dovuto abbandonare il suo innamorato, e ne era uscito a pezzi… È stato bruttissimo sapere di non poter fare niente per lui.»
 
«Beh, allora sarai contenta di sapere che ora stanno insieme e sono felici»
 
Rose gli sorrise, complice, esortandolo a raccontare tutto per filo e per segno. E mentre il Dottore raccontava, sapeva di non essere più così solo.
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Il Tardis era progettato per essere guidato da sei persone, infatti la plancia ha sei posti di controllo. Verranno utilizzati tutti contemporaneamente nell’ultimo episodio della quarta serie “Journey’s end” dai compagni del Decimo Dottore.
[2] “Alien technology plus human stupidity. Trust me it’s unbeatable” è una frase detta dall’Undicesimo Dottore in “The Day of the Doctor”, il mio episodio preferito!




I am johnLOCKed!
Ed eccomi atterrata ancohe su questo fandom...
La mia prima storia su John e Sherlock da quando mi sono appassionata alla serie, ed è un crossover con Doctor Who! Ispirata al prompt di Maya98:
"10th Doctor piomba a casa di Sherlock. Sherlock lo conosce già ma John no. Bonus se il Dottore dà spoiler su futuro Johnlock"  ;))
La parte finale della storia, con Rose, è per la mia sorellina, che adora la loro coppia!
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: crazyclever_aveatquevale