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Autore: SinisterKid    09/06/2014    4 recensioni
"A quanto siamo adesso, al quinto, decimo incubo?”
Quella di Steve non è una vera e propria domanda, ma Sharon gli risponde comunque per poi pentirsene all’instante.
“Sesto”, dichiara e si tappa immediatamente la bocca sgranando gli occhi.
“E sei ancora qui?”, ribatte Steve.
“È qui che è mio dovere stare”.
“E invece si sbaglia agente: lei è libera di andare. Io non voglio essere la missione di nessuno, non più”.
[Seguito di "Guerra"]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Sharon Carter, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Protezione

“Torna da me, Buck, e resta fino alla fine. Torna da me, Buck”.
Il grido esasperato di Steve fa sobbalzare Sharon dalla poltrona e copre bruscamente la melodia prodotta dal vinile che quest’ultima stava ascoltando. Ligia al dovere come sempre, si precipita nella camera da letto di Steve e spera, in cuor suo, che l’incubo di stanotte non lasci un maggior numero di cicatrici rispetto ai precedenti. Dopo due mesi e sei incubi, l’agente 13 non ha più bisogno di aspettare il risveglio di Steve per capire cosa lo turbi così intensamente.
Con una buona dose di apprensione e naturale imbarazzo celata sotto la maschera di un volto severo e razionale, Sharon poggia le mani sulle spalle di Steve e lo scuote pian piano, temendo di spaventarlo ancor di più di quanto già non sia.
“Steve, va tutto bene”, gli ribadisce sforzandosi di mostrare una dolcezza che non appartiene alla sua natura. “Va tutto bene, è solo un sogno”.
Così come, all’inizio, sembrava un sogno ritrovarsi a tranquillizzare una leggenda vivente del calibro di Capitan America, ma ormai Sharon ci ha fatto l’abitudine.
Steve apre gli occhi e impressa nelle sue pupille, Sharon vede la morte e ne resta sconcertata. Ma guai a farlo vedere, questo sconcerto! Steve è alla silenziosa ricerca di conforto e lei non può permettere che le sue debolezze prevalgano in questa situazione.
Lui trema e lei lascia una mano sulla sua spalla e poggia l’altra sulla sua fronte, rovente. È così caldo che potrebbe andare a fuoco, pensa Sharon.
“Qualcuno è molto accaldato qui, eh!”, dice lei accennando un sorriso.
Le battute spiritose non sono il suo forte, così come non lo sono né gli abbracci né le parole di conforto. Ma cos’altro potrebbe fare per smorzare la tensione? Questi incubi sono peggiori di ciascuna minaccia che abbia mai affrontato durante la sua carriera nello S.H.I.E.L.D.
Steve, in segno di cortesia, ricambia quel piccolo sorriso e Sharon si accorge perfettamente di quanto sia forzato e non può fare a meno di notare come, anche in un momento così delicato, Steve Rogers non abbia voluto metterla a disagio ignorando la sua patetica battuta.
“Mi dispiace averti svegliato a quest’ora, Sharon. Non volevo disturbarti, io …”. Steve si incupisce e porta due dita di ciascuna mano alle tempie, chiudendo le palpebre. “Io non voglio essere un peso per te, dannazione. A quanto siamo adesso, al quinto, decimo incubo?”
Quella di Steve non è una vera e propria domanda, ma Sharon gli risponde comunque per poi pentirsene all’instante.
“Sesto”, dichiara e si tappa immediatamente la bocca sgranando gli occhi.
“E sei ancora qui?”, ribatte Steve.
“È qui che è mio dovere stare”.
“E invece si sbaglia agente: lei è libera di andare. Io non voglio essere la missione di nessuno, non più”.
Steve rabbrividisce e Sharon capisce che la sua affermazione sia in qualche modo legata a Bucky Barnes. Pensa che dovrebbe abbracciarlo e ripetergli ossessivamente che andrà tutto bene, come spesso succede nei film. Pensa che dovrebbe dirgli che controllarlo non è più un incarico, ma un suo diritto in quanto sua amica. Pensa che dovrebbe comportarsi come una qualunque ragazza una volta tanto e non come un integerrimo agente devoto al suo lavoro.
Dio, cosa farebbe zia Peggy se si trovasse nei suoi panni?
Sharon inasprisce involontariamente il suo sguardo e blocca Steve stringendogli i polsi. Lo guarda fisso negli occhi, severa più che mai. “Taci, Rogers”.
Steve si ammutolisce come un bambino colto con le mani nel sacco e impallidisce, ma Sharon non ha il tempo di vantarsi per le sue doti intimidatorie adesso.
“Invece di lagnarti, dovresti ringraziarmi per essere qui”, esordisce lei duramente. “Io non sono qui per tenerti d’occhio e spiarti, non più. Sono qui per proteggerti, che ti piaccia o meno”.
“Perché ti preoccupi di proteggere me?”
Sharon non ci pensa due volte a rispondere a quella che ora è una vera domanda. “Perché qualcuno deve pur farlo. Ci hai mai pensato? Capitan America protegge tutti, ma chi protegge Steve Rogers da se stesso?”
Il ragazzino di Brooklyn continua a tacere e non si azzarda nemmeno a pensare di potersi benissimo difendere da solo.
“Non scervellarti nel formulare una risposta: ci sono io a proteggerti, ora e fino alla fine”.
Al suono di quella frase, il capo di Steve Rogers scatta immediatamente in direzione della finestra, in direzione dell’avido ambiente esterno che cela ai suoi occhi stanchi Bucky o, quantomeno, ciò che n’è rimasto.

*

Nello stesso momento in cui Sharon Carter pronuncia quell’espressione incriminata, il Soldato d’Inverno alza il capo verso la finestra della camera di Steve, senza neppure saperne il motivo. Alza il capo istintivamente e un brivido corre lungo la sua colonna vertebrale e nuovamente non ne sa il motivo.
“Protezione”, afferma risvegliando i suoi lugubri occhi. “Lì c’è la mia protezione”.
Qualunque cosa sia questa protezione, il Soldato d’Inverno sa che può trovarla oltre quelle mura. Qualunque cosa sia questa protezione, il Soldato d’Inverno crede che sia una cosa bella e confortevole. Qualunque cosa sia, sente di averla già provata nel suo enigmatico passato.
Ma qualunque cosa sia questa dannata protezione, il Soldato d’Inverno sa anche di non potersela permettere. Perciò tira su il cappuccio e inarca la schiena, procedendo a passo veloce e fissando l’asfalto polveroso. Anche stanotte non sa dove lo condurranno i suoi piedi e dove riposerà il suo corpo. Se solo avesse il coraggio di bussare a quella porta, non sarebbe costretto a sostare in malfamati vicoli e inalare chissà quali sostanze. Se solo avesse il coraggio, troverebbe la sua casa.
Ma una piccola e oscura creatura spaventata come lui, non può trovare il coraggio senza che nessuno gli porga una mano di aiuto. E allora il Soldato si gira e tende la mano danneggiata verso la finestra. Alcune dita si muovono da sole, agitate, non riescono a stare ferme; il labbro inferiore trema.
Ma quando non vede nessuno rispondere al suo muto grido di allarme, il Soldato realizza l’impossibilità di ottenere quell’agognata protezione di cui ha appena riscoperto l’esistenza. E allora fugge via, diventando un tutt’uno con la spettrale notte che lo attende.
   
 
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