Jane Austen.
Una grande scrittrice che ha creato un fantastico libro dal quale ho preso
ispirazione per scrivere questa ff.
Ho voluto renderle omaggio
nella storia stessa e ho creato questo… uhm. Giochino? Provate ad unire le lettere iniziali di ogni capitolo
(quelle in grassetto tanto per intenderci).
Se non avete voglia di aprire
tutti e dieci i capitoli cliccate direttamente [qui], l’ho già fatto io per voi xD
Niente, ci salutiamo alla
fine. Perdonate l’estremo fluff e le varie punte di OOC ma dopo tutto quello che è successo mi sembrava giusto
chiudere in bellezza.
Per l’ultima volta su questo
fronte, buona lettura!
Orgoglio e
Pregiudizio
Capitolo 10
N |
el torpore mattutino Sherlock
aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre ancora pesanti di sonno, e
subito, senza nemmeno rendersene conto, sorrise. Inspirò a fondo dal naso,
inalò quel famigliare odore che aveva imparato ad amare e ad associare alla
felicità: il buon profumo di John Watson. Non avrebbe saputo definirlo in
nessun altro modo, con nessuna descrizione melensa di quelle che comparivano
nei romanzetti rosa della signora Hudson o di quelle patetiche da ragazzina
alla prima cotta: era semplicemente John.
Rimase per un tempo indefinito
immobile, silenzioso, registrando con cura ogni particolare della sua posizione
e ascoltando rapito il respiro del ragazzo poco sopra di lui.
Si trovavano nella medesima posizione
nella quale si erano addormentati, John appoggiato alla pila di cuscini e
Sherlock rannicchiato contro di lui, stretto tra il suo corpo e lo schienale
del divano. Con un braccio circondava ancora il suo torace, affondando nella
lana colorata del suo maglione mentre poggiava il viso da qualche parte sul suo
petto, non abbastanza vicino al cuore per sentire il suo battito rimbombare per
la cassa toracica. Avrebbe voluto farlo e si appuntò mentalmente di trovare
un’occasione più avanti.
Rabbrividì al pensiero di aver
passato un’intera nottata al suo fianco, rassicurato dal suo tiepido calore
corporeo e da quelle braccia che lo avevano stretto fino a poco prima di
addormentarsi, e che in quel momento giacevano abbandonate sulla sua schiena.
Avvertì distintamente un dolore
alla spalla per la posizione scomoda in cui si trovava ma non osò muovere un muscolo per paura di
svegliarlo, di svegliare il suo ragazzo.
Il suo ragazzo.
Non appena l’idea gli passò per
la mente sentì
un lieve calore inondargli il petto, le dita tremargli per l’emozione nello
sfiorare quel morbido tessuto che aveva stretto alla ricerca di una
rassicurazione all’improvviso turbinare di pensieri nella sua testa.
Com’era successo? Com’erano
riusciti ad arrivare fino a quello?
Ricordava bene gli ultimi
momenti passati in compagnia del suo allora migliore amico – adesso suo ragazzo,
perché continuava a ripeterselo? – e ripensandoci non riusciva a capire per
quale ragione John si fosse spinto fino a quel punto, la sera precedente.
Niente nei suoi gesti, nelle sue azioni, nelle sue espressioni aveva potuto
prepararlo a quello che alla fine era successo. Aveva sperato a lungo, per
mesi, era addirittura arrivato a stare male interiormente per quei sentimenti
che John evidentemente non ricambiava, e poi, di punto in bianco, lui era
arrivato lì, a casa sua, lo aveva baciato –ancora meglio
di come ricordavo aveva detto – lo aveva stretto in un
lungo abbraccio e gli aveva ripetuto fino allo sfinimento quanto gli
dispiacesse per il suo “ignobile” comportamento. Sherlock non aveva ascoltato
neanche la metà di quelle parole sussurrategli a fior di pelle, troppo
concentrato sulla consapevolezza di essere ricambiato, di poter finalmente
avere quello che aveva desiderato per mesi e che mai avrebbe pensato di poter
provare per una persona.
A volerlo ammettere era ancora
abbastanza confuso da tutte quelle emozioni che gli mandavano in subbuglio lo stomaco, da quel turbine di pensieri che
gli affollavano la testa. Era semplicemente incredibile quanto una sola persona,
del tutto ordinaria tra l’altro, fosse riuscita a cambiarlo in quel modo, a
fargli provare qualcosa di più della semplice amicizia. L’ultima volta che
aveva provato qualcosa per qualcuno era stato con Redbeard,
il suo amato setter irlandese. Era stato il suo unico amico d’infanzia, l’unico
di cui sentiva di potersi veramente fidare nonostante si trattasse solo di un
animale: quando se ne era andato Sherlock non ne aveva più voluto sapere di
avere amici, si era semplicemente chiuso in se stesso, escludendosi dal mondo e
da tutto quello che poteva coinvolgerlo emotivamente, incoraggiato anche da
Mycroft. Credeva fosse Redbeard la causa principale della sua quasi totale
inesperienza sentimentale, qualcosa che lo aveva perfino portato ad
autodefinirsi autistico, a farsi riconoscere come affetto dalla sindrome di
Asperger. Non era vero, questo lui lo sapeva bene, il suo era stato solo un
tentativo di classificarsi in qualche modo.
Socchiuse le palpebre,
scacciando quei pensieri dalla mente, e ascoltò con attenzione il respiro di
John farsi più irregolare, il suo corpo cominciare a muoversi
involontariamente, chiari segni che stava per svegliarsi.
Fu solo in quel momento che
notò il plaid che lo copriva dalla vita in giù e il vassoio con tanto di the e
biscotti appoggiato sul tavolino poco distante. L’ombra di un sorriso gli
comparve sul volto mentre realizzava che la signora Hudson doveva essere salita
come ogni mattina per portargli la colazione e doveva averli trovati lì, uno
abbracciato all’altro sul divano. Non sapeva che ore fossero, probabilmente
doveva essere già passata un’ora da quando la donna aveva messo piede
nell’appartamento. Presumibilmente si era destato dal sonno proprio a causa
sua, magari quando li aveva disteso su di loro la coperta – come se ne avesse
bisogno, stretto com’era contro il corpo caldo di John.
Avvertì il ragazzo agitarsi
sotto di sé e rimase immobile, senza azzardarsi ad alzare lo sguardo verso il
suo viso, spaventato da qualcosa che non sapeva neanche lui cosa fosse.
Un tremito, un movimento del
capo, e poi anche John si fermò, il respiro tornato regolare. Pochi secondi
dopo un braccio si scostò dalla schiena di Sherlock e una mano andò ad
accarezzargli gentilmente la nuca, passando le dita tra i lunghi riccioli
castani. Con il cuore in gola alzò lo sguardo e si ritrovò faccia
a faccia con il volto sorridente di John, gli occhi ancora impastati dal sonno
che lo guardavano con un affetto quasi materno. O forse era amore? Davvero, non
avrebbe mai saputo distinguere le due cose, soprattutto se a guardarlo in quel modo erano quelle iridi indaco scuro, quegli
occhi di cui non avrebbe mai smesso di catalogare ogni più piccola screziatura.
«Buongiorno…» mormorò il
biondo, la voce ridotta ad un sussurro.
Sherlock deglutì. «Buongiorno.»
Un brivido gli percorse
la schiena quando John si piegò in avanti, unendo per l’ennesima volta le loro
labbra. Improvvisamente si sentì più leggero e sorrise a sua volta quando si
staccarono, guardando quasi in adorazione il ragazzo sbadigliare e stropicciarsi
gli occhi con la mano libera.
Si staccò di malavoglia da lui
per lasciargli un po’ di libertà e si alzò in piedi, scostando il plaid e
buttandolo in un angolo del divano.
«Ah… non era mia intenzione passare la notte
fuori. Mia mamma sarà
preoccupata.» mormorò il ragazzo, sorridendogli appena.
«Mycroft si sarà sicuramente
preoccupato di avvisarla.»
«Myc… cosa?» arrossì lievemente, in un modo che
Sherlock trovò semplicemente adorabile.
«Lui si… si preoccupa sempre di sapere
dove sono e cosa faccio.
Non mi sorprenderebbe se avesse chiamato la signora Hudson per accertarsi che
tu fossi ancora qui.»
«Oh…» John non disse
nient’altro, lasciando invece vagare lo sguardo per la stanza e notando la
colazione sul tavolino. «Lei… lei ci ha… visti? Prima
intendo…» arrossì se possibile ancora di più,
evitando accuratamente gli occhi dell’altro.
Sherlock si strinse nelle spalle
in risposta e adocchiato il cellulare
dell’amico sul divano glielo passò. «Chiama a casa…» disse, poi si sedette
sulla poltrona, cercando di ignorare quel fastidioso timore che cominciava ad
affiorargli nel petto, e si servì il the.
~*~
Le cose andarono
sorprendentemente bene nei giorni seguenti, giorni che presto si trasformarono in settimane.
Sherlock si svegliava al
mattino con il cuore leggero, la felicità che si mostrava in tutto quello che
faceva.
Con la gamba malconcia John non
poteva più giocare a rugby, così per una scusa o per l’altra passava i suoi
pomeriggi a Baker Street, in compagnia di uno Sherlock entusiasta,
sempre pronto ad aiutarlo in ogni modo possibile immaginabile, cercando i
passatempi migliori per renderlo felice. Il moro sapeva che John teneva molto
alla sua squadra e che era giù di morale perché con la gamba che si ritrovava non poteva giocare le ultime partite del
suo ultimo anno di liceo. Si sentiva in colpa per questo, in fondo era solo per
causa sua se il proiettile aveva preso John e non lui. Non che poi gli
dispiacesse: grazie a quel proiettile ora aveva il suo ragazzo tutto per sé,
senza doverlo condividere con quello che considerava uno sport stupido e privo
del minimo senso pratico.
Sherlock aspettava sempre che
il campanello suonasse, poi si fiondava giù per le scale e accoglieva John con
il solito bacio sulle labbra al quale la signora Hudson assisteva facendo finta
di tenersi impegnata a chiudere la porta, o a sistemare uno dei quadri
nell’ingresso, o a pulire un’invisibile briciola dal
colletto del vestito. E poi, una volta che i due ragazzi erano saliti, spariva in cucina a preparare la merenda e
gliela portava su, bussando sempre prima di entrare.
C’erano pomeriggi in cui si
sdraiavano semplicemente sul divano e parlavano del più e del meno,
coccolandosi a vicenda, altri in cui Sherlock gli suonava qualcosa col violino
e poi guardavano tv spazzatura per il resto del tempo, divertendosi nel
commentare presentatori o improbabili detective all’opera; certi giorni, quelli
in assoluto più noiosi, li passavano sui libri, altri ancora, e Sherlock ne
avrebbe volentieri fatto a meno, John lo costringeva ad uscire all’aria aperta e così passavano
intere ore a passeggiare per il quartiere[1], spingendosi fino Regent’s Park o passando per i giardini di Paddington Street – odiava quelle passeggiate, John si
faceva stranamente più taciturno e si teneva sempre a una certa distanza da
lui; oppure, e quelli erano in assoluto i pomeriggi migliori, giocavano a Cluedo ed era sempre Sherlock a vincere, anche se
John stava facendo i suoi progressi e presto sarebbe diventato più difficile
batterlo.
Andava tutto per il meglio,
insomma, e Sherlock proprio non riusciva a capire da dove arrivasse
quell’agitazione che lo prendeva ogni qual volta John arrivava con qualche minuto di ritardo, oppure lo chiamava
per dirgli che per qualche impegno quel giorno non potevano vedersi. Non era
stupido né troppo egoista, sapeva che il ragazzo aveva anche i suoi impegni, ai
quali lui non poteva prendere parte, ma c’era sempre quella piccola scintilla
di preoccupazione, quel sordo timore che lo prendeva sempre nei momenti meno
opportuni.
Un giorno gli arrivò un
messaggio con il quale il ragazzo lo avvisava che a causa di un progetto di
scienze doveva trattenersi a scuola più del previsto. Dopo lunghi discorsi
interiori, momenti di totale convinzione e altri di sconforto, alla fine
Sherlock decise di fargli una sorpresa e di farsi trovare fuori dal Barts.
Come sospettava il sorriso
iniziale con il quale John lo accolse si trasformò nel giro di due secondi in una
smorfia agitata mentre continuava a parlare con i suoi amici e attraversava i
cancelli d’ingresso. Si fermò a pochi passi da esso schiarendosi la gola per
attirare la loro attenzione prima che si dirigessero verso la fermata
dell’autobus. Indicò con un cenno del capo Sherlock, sul marciapiede opposto
della strada. «Ehm… io mi fermo qui. Ci vediamo domani…»
Mike scorse il moro e lo salutò
allegramente. «Dove andate di bello? Non ho nessuna voglia di
andare a casa ora…»
John rabbrividì, poi sorrise di
circostanza. «Oh beh… non lo so. Penso che faremo fino a casa sua a piedi, ho bisogno di
sgranchire un po’ la gamba…» disse, picchiettandosi con la stampella la coscia
fasciata sotto i jeans.
L’altro sorrise. «Perfetto!
Vengo con voi, così ti accompagno a casa dopo.» gli
strizzò l’occhio e poi attraversò la strada, senza curarsi di ricevere una
risposta.
John lo seguì controvoglia,
cogliendo con una punta di dispiacere l’espressione accigliata del moro nel
ritrovarsi davanti qualcuno di
indesiderato.
Sherlock notò subito la sua
esitazione quando si avvicinò, dedusse subito dal modo con cui si tormentava
l’orlo della giacca che per quella volta non avrebbe potuto baciarlo per
salutarlo come suo solito.
Passarono il resto della
camminata separati da Mike che, in mezzo a loro, continuava a parlare di cose
che Sherlock faceva fatica a registrare, troppo impegnato a scrutare John in
cerca di spiegazioni.
Fu solo quando arrivarono
davanti alla porta del 221B che finalmente
comprese il problema alla radice, dando voce a quel peso nel petto che lo aveva
accompagnato per tutti quei giorni.
John rimase rigido sul posto,
occhieggiando Mike con la coda dell’occhio ed evitando il suo sguardo, una
punta di rossore sulle guance. Sherlock si morse la lingua, resistendo
all’impulso di compiere gesti indiscreti, e li salutò freddamente, accogliendo
con disprezzo il saluto esitante del suo ragazzo mentre si teneva a debita
distanza da lui. Infine voltò loro le spalle ed entrò in casa.
La felicità che aveva provato
per tutte quelle settimane sembrò sparire tutta di un colpo, come se la bolla
in cui si trovava fino a qualche minuto prima fosse improvvisamente scoppiata.
Si rannicchiò sul divano e rimase lì a rimuginare fino a quando la signora
Hudson non lo costrinse a buttare giù qualche boccone verso l’ora di cena.
Ignorò il continuo vibrare del cellulare all’arrivo dei messaggi, sicuramente
tutti da parte di John, mettendolo poi in silenzioso quando cominciò a
chiamarlo insistentemente. Non se la sentiva di parlargli, preferiva mettere
ordine tra i suoi pensieri e discuterne faccia a faccia il giorno dopo.
E così fece.
Il pomeriggio seguente John
arrivò in anticipo e, salutata la padrona di casa, seguì Sherlock su per le
scale.
La signora Hudson avvertì la
tensione nell’aria ed ebbe il buon senso di non disturbarli con la merenda,
almeno per quel giorno.
I due ragazzi presero posto sulle poltrone, uno di fronte
all’altro, e Sherlock portò le ginocchia al petto, cominciando a scrutarlo con
i suoi occhi cristallini. John, a disagio, lasciò cadere la stampella a terra e
si sistemò meglio, tendendosi involontariamente verso l’altro col busto.
«Perché non mi hai risposto ieri?» chiese, una punta di esitazione nella voce.
Il moro non rispose, abbassando
lo sguardo. «Ti vergogni di me?» chiese invece, fissando con un certo interesse
le proprie dita.
John sospirò e si prese la
testa tra le mani. «Io… no. Non mi vergogno di te. Solo… Non sei tu,
sono io. È che…»
Sherlock alzò lo sguardo e lo
incrociò con il suo, preoccupato.
«Mi dispiace, io non… non
intendevo offenderti.» Si agitò sulla poltrona, a disagio. «Devo
ancora comprendere cosa mi sta succedendo. Capisci?» Lo guardò,
speranzoso. «Insomma… pensavo di essere etero, e poi arrivi tu, e…» rise
sommessamente. «Non voglio tirarti in mezzo, è una cosa che sto
cercando di affrontare da solo. È un mio problema alla fine. Solo… vorrei che
rimanesse una cosa tra noi, almeno per il momento. Ma non farti passare per la testa cose strane.
Non mi vergogno di te, anzi, non so neanche come tu abbia fatto ad innamorarti di me… insomma…» si passò una
mano tra i capelli, imbarazzato.
Il moro sembrò stringersi di
più le gambe al petto. «E se un giorno ti stancassi di me?
Se scoprissi che preferisci stare con una ragazza?[3]»
John allargò di poco gli occhi,
poi li abbassò, guardandosi le mani. Prese un respiro profondo, poi iniziò. «Ricordo
di aver visto per la prima volta Mary uno dei primi giorni al Barts, a mensa.
Era una delle ragazze più belle che avessi mai visto, bionda, simpatica, cheerleader…»
guardò la sua espressone irritata nel sentir nominare l’ex e gli sorrise
dolcemente. «Quando mi ha chiesto di uscire, quel pomeriggio, non potevo
crederci, mi sembrava qualcosa di assolutamente incredibile per uno come me. E ho accettato.»
Prese un respiro profondo. «Non
negherò di aver passato dei bei momenti con lei, né con Sarah né con Janette.
Ogni ragazza che ho scelto, con il quale ho accettato di uscire e di vedermi per un
certo periodo di tempo… con ognuna ho passato dei momenti che non scorderò
facilmente.» si morse un labbro e riprese. «Ora ci sei tu. Non posso
prometterti che sarà per sempre, non posso dire che ci sposeremo e faremo
chissà cosa. Magari passeremo insieme ancora dieci anni, forse meno, forse più.
Può darsi che tra qualche mese litigheremo, può darsi che un giorno scopriremo
di non poterci più sopportare l’un l’altro e ci lasceremo. Quello che sto
tentando di dirti…» Lo guardò amorevolmente, cercando di
rassicurarlo col suo tono di voce. «…è che, beh, non possiamo sapere
quello che succederà, no? È questo il bello delle relazioni, più o
meno…» Tossicchiò, imbarazzato.
«Ho sempre cercato di…
di scegliere con cura le persone con cui instaurare un rapporto… se ho tentato
di avvicinarle è stato soltanto perché sapevo che valeva la pena provarci. Non
ti sto prendendo in giro, non sto andando alla cieca. So cosa sto facendo…
ok?»
Sherlock lo guardò, soppesando
le sue parole. E non poté fare a meno di chiederglielo, di esternare quella
piccola preoccupazione che aveva occupato i suoi pensieri per i giorni
precedenti. «Perché io?»
Un sospiro e un mezzo sorriso. «Potrei
dirti perché sei geniale, perché non ho mai visto un ragazzo così attivo, e fantastico. Perché… perché quando
sono con te… mi sento vivo. Come se non potessi fare altro che seguirti, e
guardarti le spalle e… fare in modo che tu sia al sicuro, sempre. E rispettato.
Posso dirti perché mi sono innamorato della tua voce, e della tua espressione
quando trovi qualcosa d’interessante. E i tuoi occhi… il loro colore, il guizzo
che hanno quando
hai una nuova idea.»
Sherlock sentì le proprie
guance andare a fuoco e avvertì l’impulso di gettarsi tra le sue braccia.
«Non avrei mai creduto di arrivare fino a
questo punto, credimi. Tu hai… hai rivoluzionato tutto. Mi hai praticamente rivoltato da capo a piedi. E tutto per una
sera, una chiamata al cellulare… non ho mai creduto nel caso, sai? Tra le
migliaia di persone che potevo incrociare, ho incontrato proprio te. E credimi
se ti dico che non tornerei mai indietro.»
Una lacrima solcò il viso del
moro, che se ne accorse sono
quando la sentì bagnargli il viso. John si fermò, colpito da quell’improvvisa
esternazione di commozione che non avrebbe mai creduto possibile per una
persona come lui. Allungò una mano nella sua direzione e presto Sherlock la
afferrò, lasciandosi tirare tra le sue braccia, accoccolandosi contro di lui.
Premette le labbra contro la
sua fronte e sospirò, felice come sentiva di non esserlo mai stato in vita sua.
«Voglio te perché… perché sei semplicemente tu.»
Sherlock singhiozzò, un verso
che sentì come da molto lontano, come se non fosse stato veramente lui ad emetterlo. Si vergognò per quella sua
debolezza, si vergognò di
mostrarsi così vulnerabile ai suoi occhi, ma non poté fare a meno di stringersi
a lui e affondare il volto nel suo maglione, cercando un modo di fermare le
lacrime che lentamente gli inondavano gli occhi.
«Vale la pena provarci. Lo vale davvero, non
lo vuoi anche tu?» Gli accarezzò il volto, costringendolo a
guardarlo negli occhi, e Sherlock annuì, spingendosi poi in avanti per
baciarlo, sorprendendosi egli stesso per quel gesto. Non aveva mai preso lui
l’iniziativa, non fino ad allora.
John mandò un gemito di piacere
e lo trasse più vicino, tracciando con la lingua il contorno delle sue labbra e
spingendosi poi all’interno della sua bocca, stringendolo rassicurante al lieve
tremito che lo percorse.
Si staccarono solo per riprendere
fiato e John lo guardò, deglutendo, preoccupato per la sua reazione. Sherlock
avvertì il suo nervosismo e scosse la testa, sorridendo e riprendendo il bacio
da capo, eseguendo curioso il gesto appena compiuto.
John sorrise mentalmente. Questo sì che era un bel passo avanti.
~*~
Dopo quel piccolo gesto
d’intimità Sherlock cominciò ad avvertire una certa elettricità, se così poteva
essere definita, ogni volta che John varcava la soglia del 221B. C’era
qualcosa di nuovo nel modo in cui si guardavano l’un l’altro, nel modo in cui
il suo corpo sembrava reagire a quei lunghi contatti che ormai si scambiavano
abitualmente durante i loro pomeriggi insieme.
Più di una volta successe che
John dovesse staccarsi da lui, spingerlo via in qualche modo, arrossendo
visibilmente e allontanandosi con una scusa buttata lì sul momento per alcuni
minuti.
Sherlock sapeva cosa stava
succedendo, in qualche modo, e non poteva dire che fosse tutto rose e fiori. Se
prima di John non aveva mai baciato qualcuno, tanto meno aveva mai pensato a
come comportarsi in una situazione del genere, con il suo corpo che sembrava
reagire per i fatti suoi, senza che lui potesse avere un minimo di controllo su
di esso.
Ogni volta guardava John con
estremo imbarazzo, senza avere la più pallida idea di come agire per fargli
capire che… beh, il che cosa non lo sapeva nemmeno lui.
Avvertiva con forte chiarezza
il suo desiderio ma non sapeva come valutare il proprio. Quando ci pensava, da
solo, accarezzava l’idea di condividere quel particolare nuovo passo della sua
vita con John, cercava di immaginare possibili scenari in cui, in un modo o
nell’altro finivano nel suo letto e… in quel momento respirava rumorosamente e
la fantasia si concludeva, il rossore che, sapeva, andava a lambirlo
fin sopra le orecchie.
Non avrebbe mai e poi mai
immaginato di poter cominciare a pensare al sesso. Mycroft avrebbe sicuramente
riso fino alle lacrime se fosse venuto a saperlo.
Eppure non poteva far finta di
niente, il problema c’era e in qualche modo avrebbero dovuto affrontarlo.
Sherlock sapeva di non potersi tirare indietro, che era una cosa assolutamente
normale e che John aveva tutte le ragioni del mondo per volerlo fare.
Nonostante tutto quello che gli aveva detto aveva
ancora paura di deluderlo e sapeva per certo che a lungo andare quel bisogno
non avrebbe più potuto essere ignorato.
Così cominciò a informarsi, a
venire a patti con se stesso, a convincersi che se tutti gli umani del mondo
riuscivano a venirne fuori poteva benissimo farcela anche lui. In fondo
cos’era? Un semplice atto fisico, un qualcosa di umano e, anche e
soprattutto, animalesco.
E quando il giorno arrivò,
Sherlock colse al volo l’occasione.
Erano le due del pomeriggio,
John sarebbe arrivato di lì a un’ora, così decise di farsi una doccia. Di certo
quando uscì dal
bagno con solo i pantaloni del pigiama addosso e si diresse in cucina per bersi
un bicchiere d’acqua non si aspettava di trovarselo davanti, seduto comodamente
al tavolo con in mano il giornale che Mycroft aveva lasciato lì quella mattina.
Era in anticipo.
Gli occhi di John scattarono
verso di lui, pronto al solito sorriso pre-bacio, quando poi lasciò che
scivolassero con una lentezza disarmante sul torso nudo, sulla
quella pelle bianca come
il latte punteggiata qua e là da piccoli nei. John deglutì a vuoto, la gola
improvvisamente secca, e Sherlock tremò lievemente sul posto, improvvisamente
incapace di muovere un solo muscolo.
Prese un respiro profondo, poi
fissò lo sguardo in quello del ragazzo e, lentamente, si girò e tornò da dove
era venuto, percorrendo il corridoio e scivolando nella sua stanza, lasciando
volontariamente la porta aperta di un piccolo spiraglio, in un evidente invito.
Non dovette aspettare molto.
In piedi in mezzo alla stanza,
il respiro ad un tratto
accelerato, osservò John arrivare e starsene sulla soglia, guardandolo con
un’espressione così piena di emozioni che Sherlock non riuscì a decifrarne
neanche la metà.
«Sherlock…» mormorò, la voce incredibilmente roca.
Il moro si morse un labbro,
poi, tirando fuori tutto il suo coraggio, si sedette sul letto.
John esitò sul posto, poi si
avvicinò e si sedette al suo fianco, socchiudendo gli occhi come se dovesse
pensare a come continuare la cosa. «Sherlock…» ripeté, questa volta con un po’
più di sicurezza, ma l’altro, fremente, non gli diede modo di continuare,
prendendolo per l’orlo della camicia e tirandolo giù con sé, cominciando a
baciarlo con foga.
John, sorprendentemente,
rispose al bacio, piegandosi in avanti, schiacciandolo sotto di lui con il suo
peso, inginocchiandosi sul letto e baciandolo fino a non avere più fiato. A
quel punto poggiò la fronte sulla sua e respirò, faticosamente.
Con una mano risalì lungo il
suo petto, accarezzando quella pelle fresca di pulito e strofinando il naso in
un gesto di affetto sulla sua guancia.
Sherlock tremò.
John cominciò a baciarlo lungo
la mandibola, scendendo giù, verso il collo, la clavicola, la spalla.
Sherlock gemette.
Il biondo sollevò preoccupato
lo sguardo e con un sospiro si tolse da sopra di lui, sdraiandosi al suo fianco.
Lo circondò con le braccia e poggiò la fronte contro la sua spalla, chiudendo
gli occhi e sorridendo.
Il ragazzo si agitò tra le sue
braccia. «John?»
«Shh…» sussurrò l’altro in risposta. «Va bene così.»
«Ma John…»
«Stai tremando.»
Sherlock rimase immobile,
maledicendosi mentalmente per quella sua stupida reazione. «E allora?» domandò,
facendo il possibile per suonare irritato.
«E allora non abbiamo nessuna fretta. Lo
sai?» alzò lo sguardo su di lui, sorridendogli
con gli occhi.
«Ma…»
«Piantala.» Cominciò ad accarezzargli la schiena con
movimenti circolari, come a volerlo rassicurare.
«Tu lo vuoi.» continuò,
imperterrito.
John sbuffò e richiuse gli
occhi. «Non voglio niente che tu non voglia.»
Il moro gemette di frustrazione
e si dimenò, sciogliendo l’abbraccio e portandosi sopra di lui. Cominciò a
slacciargli i bottoni della camicia, soffiando piano dalle narici quando le
mani ebbero la bella idea di scivolare, senza riuscire a togliere il tondino di
plastica dall’asola, e in quel momento John gli circondò le mani con le
proprie, fissandolo con curiosità. «Che cosa ti prende?» Lo accarezzò con una
mano sul viso, sorridendo alla sua espressione demoralizzata.
«Io voglio solo…»
«…accontentarmi? Davvero?» Lo trasse
a sé con dolcezza, costringendolo a sdraiarsi su di lui. «Da quando in qua
l’arrogante Sherlock Holmes è diventato così altruista?»
Il moro sbuffò, rilassandosi
comunque contro il calore del suo petto. «E se lo facessi per me?»
Il suono di una risata sommessa
vibrò per la sua cassa toracica e Sherlock si sentì improvvisamente ancora più
irritato. «Cosa c’è?»
John affondò le dita tra i suoi
capelli. «Niente… sei solo… adorabile.»
Si scostò quel poco che gli
permettesse di guardarlo negli occhi e socchiuse le palpebre. «Non voglio
essere adorabile…» disse,
suonando scocciato. «Voglio essere… desiderabile…?»
John rise ancora, baciandogli
una guancia alla volta. «Lo sei. Molto. Saremmo in questa
situazione, altrimenti?»
Sospirò e si lasciò scivolare
nuovamente al suo fianco, chiudendo gli occhi e rinunciando a tutti i suoi
buoni propositi. Dubitava si sarebbero mai mossi di lì.
«È comunque un buon passo
avanti.» continuò l’altro, portando avanti il movimento delle dita tra i suoi
capelli. «Ci arriveremo quando vorremo. Abbiamo tutto il tempo
del mondo…»
Rimasero in silenzio per un
po’, ascoltando ciascuno il respiro dell’altro, poi John lo ruppe nuovamente.
«Se c’è…» deglutì. «Se
c’è qualcosa, qualsiasi cosa, che ti spaventa… o che, non so… qualcosa di cui
vuoi parlare. Sai che puoi farlo, vero?»
Sherlock annuì, un po’ in
imbarazzo, e prese a fissare lo spazio di pelle lasciato libero dalla camicia
per metà sbottonata, pensando.
Dopo un certo lasso
di tempo che non avrebbe
saputo definire si fece coraggio. «Quante… quante volte l’hai già fatto?» C’era
una domanda sottointesa, quella che forse lo turbava di più: l’hai già fatto?
John sembrò esitare. «Ha
davvero importanza saperlo?» Una pausa. «Abbastanza per, diciamo, sapere cosa
fare, e poche per… per considerarmi anche ad un livello superiore di quello di un
principiante. Ma è stato
solo con ragazze. Possiamo considerarla come una prima volta, se è questo il
problema.» gli sorrise, arrotolando un ricciolo
particolarmente lungo attorno al suo dito.
Sherlock sospirò e chiuse gli
occhi, tentando di non mostrarsi troppo a disagio per quello. In fondo se lo era aspettato, era ovvio che John –
un ragazzo assolutamente ordinario per quel verso – non avesse ancora certi
problemi. Si sentiva un perfetto idiota, almeno per una volta.
Non seppe da dove arrivò la
domanda successiva, e neanche il motivo del suo sentirsi improvvisamente più
leggero. «Fa… male?» fu poco più di un sussurro, talmente basso che non si
sarebbe stupito se John non lo avesse sentito.
Ma il ragazzo aveva sentito
eccome e si tirò su facendo forza
su un gomito, in modo da poterlo guardare bene in viso. Sembrava quasi turbato
da quella domanda. Gli sorrise
con quello che voleva essere un gesto rassicurante, che voleva non farlo
sentire a disagio per quella domanda personale. «È questo il problema?» chiese, fermo ma con dolcezza.
Sherlock deglutì e distolse lo
sguardo. «Forse…?»
John si chinò in avanti e lo
baciò sulle labbra. «Non farei mai qualcosa che possa
farti male, Sherlock. Non di proposito.»
«Ma… insomma, l’anatomia…»
«Ascolta. Se ti riferisci a… a quella
particolare forma di…» sospirò. «Sì insomma, io credo di sì. Non
credo che si rimanga del tutto incolumi dopo una penetrazione del genere.»
Arrossì lievemente sulle guance come se a parlare con certi termini si
sentisse in imbarazzo. «Ma c’è un’adeguata preparazione,
prima. Il dolore dovrebbe essere minimo…»
Sherlock rabbrividì
inconsciamente e annuì.
«Non è comunque quello che
avevo in mente, almeno per il momento.» Aggiunse il biondo poco dopo, gli occhi ad un tratto assenti.
Quando tornò a guardarlo aveva
una nuova luce nello sguardo, un evidente desiderio. «Ti… ti fidi di me?»
Sherlock si sentì
improvvisamente libero da ogni peso mentre guardava con più calma i suoi occhi
azzurro caldo, e annuiva. «Sì…»
John ricominciò a baciarlo,
lentamente, lasciando che il ragazzo si rilassasse tra le sue braccia, poi
ricominciò la sua scia di baci verso il torace, fermandosi poco sopra il ventre
e volgendo lo sguardo in su. Sherlock lo guardava con
occhi grandi, le pupille dilatate come mai prima di quel momento, e John lasciò
che il suo respiro increspasse la pelle nivea con un accenno di pelle d’oca. «Ok?»
«Ok…» rispose l’altro,
respirando velocemente.
Con una lentezza disarmante lo
spogliò degli ultimi indumenti, rimanendo finalmente a guardarlo, interamente
nudo. Bellissimo.
Glielo sussurrò sulla pelle
mentre risaliva verso le sue labbra, che ricominciò a baciare con avidità. Gli
prese le mani e lo guidò a concludere il lavoro che aveva iniziato con la propria
camicia, per poi aiutarlo nel togliersi pantaloni e boxer.
Si prese un momento per
guardarlo in volto, sorridendogli. «Ok…?» chiese ancora, e non dovette
aspettare neanche mezzo secondo perché arrivasse la risposta.
«Ok.» rispose Sherlock, e con
un tremolio esitante nelle mani percorse il profilo dei suoi addominali
accennati, prendendosi il suo tempo nel guardarlo, nel riempirsi della visione
di tutta quella pelle scoperta davanti ai suoi occhi. John gli prese una mano e
se la portò alle labbra, baciandogli le dita una a una, poi tornò a baciarlo dietro al collo, là dove sapeva
piacergli.
Sherlock chiuse gli occhi e si
lasciò guidare nei movimenti, trovandosi improvvisamente senza fiato quando
John lo toccò per la prima volta, e non poté trattenersi dal chiamare il suo
nome con voce roca.
Il ragazzo si mosse sopra di
lui e guidò una delle sue mani a fare lo stesso su di sé, per poi emettere un
gemito proprio vicino al suo orecchio, così vicino che
Sherlock credette di poter esplodere da un momento all’altro dalla potenza di
quel calore che andava intensificandosi di secondo in secondo.
C’era stato un tempo in cui
aveva sentito solo silenzio, in cui aveva vagato in una fitta nebbia dove John
non c’era, dove era solo, esposto al freddo e alla solitudine del mondo. Ora,
invece, il silenzio era rotto dai loro sospiri e John era lì, dappertutto, in
ogni singolo millimetro cubo d’aria, e lo abbracciava, lo proteggeva, non lo
lasciava.
Quando giunse al limite chiamò disperatamente il suo nome, si
aggrappò a lui, travolto da emozioni che non sapeva contenere.
«Sono qui, non ti lascio…» La
sua voce risuonò vicina e Sherlock non poté far altro che fidarsi mentre si
lasciava cadere, e cadere, senza mai raggiungere il fondo.
Avvertì vagamente John
mormorare il suo nome mentre veniva anche lui, stringendolo possessivamente e
baciandolo.
Sdraiati vicini, abbracciati
come se non potessero fare a meno l’uno dell’altro, il moro stretto contro il
suo petto e John che sembrava aver sviluppato un particolare interesse per i
suoi capelli, i due ragazzi giacevano in silenzio, ascoltando il suono dei loro
respiri tornati regolari.
Non c’era imbarazzo ora, né
agitazione o timidezza, erano semplicemente stretti insieme, come se improvvisamente fossero
diventati un’unica entità: John-e-Sherlock, Sherlock-e-John.
Indissolubile, indistruttibile.
«Giudizio finale?» chiese
infine il biondo, respirando piano contro la sua pelle mentre gli dava un bacio
in fronte.
«Mmh…» mugugnò l’altro, gli occhi chiusi, perso
ancora nella bolla di
calore silenziosa di pochi istanti prima.
«Va bene che il sesso porta via
la capacità di parola ma ora dovresti essere in grado di formulare frasi
compiute…» scherzò, ricevendo in risposta un pugno leggero sulla spalla
destra, seguito da un sorrisetto divertito.
«Dovremmo farlo più spesso…»
disse poi il moro, tornando serio e sistemandosi meglio contro di lui.
John ridacchiò sommessamente e
lo baciò sulla punta del naso. «Quando vuoi. Ci sono un sacco di
cose che vorrei farti fare.»
«Idiota.»
Risero insieme e, davvero, per una volta Sherlock credette di non
poter essere più felice di così.
~*~
«Heilà, John!
Come te la passi?»
Il ragazzo interpellato alzò lo
sguardo verso la ragazza castana che si stava avvicinando con un sorriso
stampato in volto.
«Sarah…» sorrise, dandole poi i
consueti baci sulle guance per salutarla. «Abbastanza bene, grazie. Tu?»
La ragazza sorrise a sua volta
e occhieggiò il bicchiere che John teneva in mano come per assicurarsi che
avesse finito di bere. «Bella festa, vero?» mormorò poi, guardandosi
intorno con aria felice.
John annuì lievemente,
lanciando un’occhiata verso l’altra parte della
palestra dove Sherlock, seduto da solo su una sedia, fissava i ragazzi
volteggiare sull’improvvisata pista da ballo con aria critica.
C’era voluta tutta la sua buona
volontà per convincerlo a venire al ballo di fine anno del Barts, tanto che
perfino Greg si era messo in mezzo, rischiando di far soffocare John, il quale
aveva scoperto solo in quel momento che anche lui sapeva della loro relazione.
Solo successivamente si
era reso conto che doveva avere ottenuto l’informazione da Mycroft, e alla fine
la cosa era arrivata ai limiti dell’assurdo quando, insieme, avevano dovuto
convincere Sherlock ad indossare il classico papillon di tradizione nella
scuola. Non credeva di essersi mai divertito tanto. Il giovane Holmes l’aveva
presa un po’ sul personale e si era incupito, così che poi John aveva dovuto
trovare un modo per consolarlo ed erano finiti per non farglielo indossare, a
patto però che non facesse altre storie.
Guardandolo in quel momento
John non poté fare a meno di sorridere al ricordo e quasi non si rese conto
della domanda che Sarah gli aveva appena posto. «Scusa?»
«Ti va di venire a ballare?»
chiese nuovamente lei, arrossendo appena.
John spalancò gli occhi, il
pensiero subito rivolto al suo ragazzo, e rimase a fissarla come imbambolato,
senza trovare le parole per dirle che no, non aveva nessuna intenzione di
ballare con lei.
L’altra, vedendolo impacciato, gli sorrise e lo trascinò verso la pista
prendendolo per una mano.
John prese un respiro profondo
e sperò con tutto se stesso che Sherlock capisse e non si arrabbiasse se stava
con Sarah per qualche minuto.
«Non hai trovato più nessuno
dopo Mary?» chiese la ragazza, a quanto sembrava intenzionata a fare
conversazione.
John si morse un labbro. «No… sai, lo studio.»
«Oh, John! Sempre a studiare.» sorrise,
«Certo, dopo l’incidente di qualche mese fa avrai avuto un sacco di tempo
libero visto che non giocavi a rugby, però di questo passo finirai per
ammazzarti di studio… Siamo ragazzi, no? Non possiamo pensare sempre e
solamente alla scuola. Godiamoci la vita ora che possiamo.»
Il ragazzo volò subito col
pensiero ai suoi pomeriggi con Sherlock, pensando che, sì, si stava proprio
perdendo il bello della vita.
«Sì, beh…» Rimase sul vago, fissandosi per qualche istante la
punta delle scarpe.
«Come mai non hai invitato nessuno, stasera?
Non avrei mai creduto di trovarti solo…»
«Non sono solo.» sbuffò John,
portandosi a qualche passo di distanza e guardando nella direzione di Sherlock,
il quale, però, non era più lì. Deglutì, a disagio. «Sono
venuto con Sherlock… dove si è cacciato ora?» disse, ruotando sul posto per
cercarlo.
«Oh…
Sherlock. Beh… diciamo che mi aspettavo venissi con qualche ragazza.»
«Scusa
Sarah. Non è il momento. Grazie per la chiacchierata… ci vediamo in giro.»
disse velocemente, poi si allontanò prima che potesse fermarlo
nuovamente.
Attraversò l’intera palestra,
cercando quella testa riccioluta che lo avrebbe ricondotto a quell’idiota del
suo ragazzo.
Lo trovò solo dieci minuti più
tardi, bloccato a metà strada verso il cancello di uscita della scuola da
quello che riconobbe subito come Mike Stamford. Ringraziò l’amico mentalmente e
corse nella loro direzione. «Sherlock, dove vai?»
Il moro si voltò sorpreso verso
di lui, per poi tramutare la sua espressione in pura freddezza. «Me
ne torno a casa. Ne ho abbastanza.»
John gettò un’occhiata a Mike,
scusandosi con lo sguardo, poi prese Sherlock per un braccio e lo trascinò via con sé,
con la scusa che Molly li stava cercando.
Si fermò solo quando furono al
sicuro in un angolo buio del cortile e, dopo essersi accertato che non ci fosse
nessuno nei paraggi, lo spinse contro il muro e lo baciò, odiandosi per non
avere ancora avuto il coraggio di farlo in pubblico.
«Piantala…» sbuffò Sherlock infastidito, cercando di
liberarsi dalla sua stretta. «Non ho intenzione di passare la serata a
guardarti flirtare con
delle insulse ragazze.»
John lo guardò con tristezza.
«Non stavo flirtando, idiota. Sai quanto
Sarah possa essere
invadente.»
Il ragazzo incrociò le braccia
al petto e s’incupì, posando lo sguardo su una pianta vicina piuttosto che
guardarlo in faccia.
John si morse un labbro,
ascoltando la musica che proveniva ovattata dalla palestra poco lontano, e gli
venne un’idea. Lo prese per
mano, forzando la sua presa per intrecciare le loro dita, e lo trascinò lontano
dalla parete, al centro del piccolo spiazzo, gettandogli poi le braccia al
collo per tirarselo vicino. Appoggiò il capo sulla sua spalla e cominciò a
ondeggiare spostando il peso da una gamba all’altra, socchiudendo gli occhi.
«Nessuno mi impedirà
di ballare con il mio ragazzo al ballo della scuola. Ci siamo solo noi qui, tu ed io… non è
meglio così? Niente casino, niente persone inutili.»
«Potevamo farlo a casa.» borbottò Sherlock sottovoce, non
rinunciando però ad allacciare le proprie braccia intorno alla sua vita.
«Uhm… che gusto ci sarebbe stato? Non ti
saresti mai vestito in questo modo a Baker Street. E
poi siamo al Barts, dove ci siamo conosciuti. Non è più romantico, così?»
sorrise tra sé e sé e alzò lo sguardo verso di lui.
«Ci siamo conosciuti da Clara.»
«Oh, sai cosa intendo, idiota. Dove ci siamo realmente conosciuti,
un po’ per volta.»
«E dove abbiamo quasi rischiato
di morire.»
John ridacchiò e gli tirò un
debole pugno contro la spalla. «Guastafeste.»
Rimasero abbracciati per un
tempo indefinito, poi John sospirò. «Prometto che farò il possibile per
fare quest’ultimo passo e rivelarci a tutti. Non ce la faccio più a tenerti
nascosto. Ho paura che qualcuno ti metta gli occhi addosso.»
«Disse colui
che aveva appena finito
di parlare con una delle sue ex.»
John gli prese il volto tra le
mani e lo fissò, serio. «Non voglio che accada mai più. Ti
autorizzo a prendermi a pugni la prossima volta che parlerò per più di dieci
minuti con una ragazza senza che tu sia presente. Ok?»
Sherlock si strinse tra le sue braccia e sospirò. «Ok.»
~*~
Epilogo
Quattro mesi dopo
Le feste di Clara non erano mai
state così vive come quella sera.
Non c’era un singolo angolo
della stanza in cui non ci fosse qualcuno che chiacchierava con la propria
amica, o con l’amica dell’amico, che ballava, beveva o rideva.
La musica, poi, girava ad un volume talmente alto che presto qualcuno
del vicinato avrebbe potuto avere qualcosa da ridire, e nessuno si sarebbe
stupito nel sentire il suono del campanello d’ingresso. Sempre che si sentisse,
ovviamente.
In mezzo a tutto quel tumulto,
John se ne stava seduto su un puff un po' in disparte, un bicchiere di coca
cola in mano e lo sguardo perso sulla sala intorno a sé. Al suo fianco un
eccitato Mike Stamford parlava animatamente della sua nuova conquista - che
stranamente quella sera era stata troppo impegnata per
poter venire a
divertirsi col suo nuovo ragazzo - incurante del fatto che l'amico lo stesse
ascoltando o meno.
E John non lo stava facendo, o
almeno non del tutto. La sua attenzione era rivolta da tutt'altra parte e gli
bastava mugugnare qualche monosillabo ogni tanto per far sì che Mike non lo
stressasse troppo.
I suoi pensieri ricadevano senza
troppa fantasia, su quel giorno di un anno prima quando, seduto su uno di quei puff,
aveva fatto la conoscenza di Sherlock Holmes, nell’esatto momento in cui Mike
aveva proposto di prendere una coca cola, bevanda che piuttosto casualmente
John teneva in mano proprio in quel momento.
Se al tempo qualcuno gli avesse
detto che quel ragazzo dai tratti spigolosi e dai riccioli ribelli sarebbe
diventato il suo ragazzo, probabilmente John avrebbe riso e si sarebbe tenuto
ben alla larga da quel qualcuno per evitare di incapparci una seconda volta.
Eppure il tempo aveva fatto il
suo corso, gli eventi si erano susseguiti uno dietro l’altro e a un anno da
quello stesso giorno, John giaceva su quello stesso puff con il pensiero a quello che sarebbe
successo di lì a poco quando lui e Sherlock sarebbero ritornati a Baker Street,
a casa loro.
Era strano da pensare, non si
era ancora abituato all’idea di condividere un appartamento con il suo ragazzo da-non-più-di-sei-mesi. Se pensava che c’erano coppie che prima di andare a vivere insieme
passavano gli anni a frequentarsi, non poteva che dirsi contento del suo
personale risultato.
Si era trasferito al 221B su insistenza del giovane Holmes, con
approvazione del più grande, Mycroft – che si era detto contento di non dover
più badare al fratello come una balia – e delle intere due famiglie Watson e
Holmes. Harriet aveva letteralmente fatto i salti di gioia alla notizia,
festeggiando perché per una volta nella sua vita avrebbe avuto la stanza tutta
per sé, e aveva ammiccato maliziosamente verso John, il quale era arrossito fin
alla punta delle orecchie, rischiando di farsi scoprire da Jocelyn. La madre
aveva fatto finta di niente, ma da come si era comportata, accettando di buon
grado la separazione del figlio dal nucleo famigliare e sorridendo ampiamente
al giovane Holmes, venuto a presentarsi sotto stressante richiesta di Harriet
come nuovo coinquilino, John dubitava fortemente che non si fosse accorta della
relazione in corso tra il figlio e quel suo amico strambo ma incredibilmente
attraente (a detta di qualcuno). Dubitava fortemente che Jocelyn si fosse
bevuta la storia del trasferirsi per lasciare casa un po’ più libera e per
avere un maggiore spazio per studiare per l’università. Secondo Harriet le
occhiate che i due ragazzi si scambiavano erano peggiori di quelle tra due amanti in
un melenso telefilm per pensionate, e John non faticava a crederci,
costringendosi a limitare le occhiate al suo ragazzo in pubblico allo stretto
necessario.
Non lo avevano ancora detto a
nessuno, ovviamente.
Sherlock non sembrava essere
molto toccato dalla faccenda: dopo aver insistito per mesi perché John
rivelasse la loro relazione, infatti, il ragazzo si era stranamente acquietato e ora John
non riusciva più a capire se fosse solo uno dei suoi strani metodi intricati
per convincerlo a rivelarsi o se, effettivamente, non gli importasse più.
Tra i due era John quello in
perenne indecisione, quello che faceva un passo avanti e poi tre indietro.
Ogni giorno si alzava con la
convinzione che quello sarebbe stato il giorno giusto, che quel pomeriggio,
quando sarebbe andato a prendere Sherlock a scuola, lo avrebbe preso per mano davanti a tutti e avrebbe mandato
a quel paese tutto il resto; che quella sera, uscendo con gli amici del rugby
per la birra settimanale, si sarebbe rivelato durante qualche discorso senza
capo né coda da brillo; che quel giorno un’illuminazione divina gli avrebbe
dato il coraggio necessario per urlare al mondo che, diamine, lui amava
Sherlock Holmes e con lui avrebbe passato anche il resto della sua vita, che
gli altri lo accettassero o meno.
Ma puntualmente
ogni giorno perdeva la sua occasione, riparandosi dietro a sorrisi imbarazzati
o commenti sarcastici. Più tempo passava e più sentiva le proprie convinzioni
abbandonarlo e Sherlock diventare sempre più scorbutico.
Poteva dire quello che voleva,
ma John sapeva che era ancora giù di morale per quella storia. E non poteva non
dargli ragione: stavano insieme da quasi sei mesi e ancora dovevano girare per strada evitando meno contatto
fisico possibile, quando invece entrambi avrebbero voluto abbracciarsi e
scambiarsi sguardi amorevoli ogni due per tre, John compreso.
Ma come
aveva impiegato mesi per accettare il suo amore per Sherlock, ora stava
impiegando quasi il doppio del tempo per mostrarsi agli altri per quello che
era veramente. Aveva paura di quello che avrebbero potuto dire, di venire escluso dalla maggior parte dei suoi amici
o di essere guardato con meno rispetto di quello che si era pian piano
guadagnato con il passare degli anni. Chissà per quale assurdo motivo, tutto
quello risultava essere ancora
un problema.
I due ragazzi avevano avuto una
discussione proprio quella mattina su quel particolare argomento, quando John
si era arrabbiato sul fatto che il ragazzo non lo avesse avvisato quando era
uscito per andare a prendere un libro da un certo Victor Trevor, e Sherlock
aveva ribattuto acidamente che a John non sarebbe comunque importato, anche se
fosse uscito con quel tipo per andarci a bere qualcosa insieme. L’altro si era
sentito ferito da quell’insinuazione e i due non si erano parlati per il resto
della giornata, almeno fino a quando John non aveva cominciato a prepararsi per
la festa e, una volta sceso per chiamare un taxi, il moro non lo aveva
raggiunto con aria cupa, commentando con un “da solo non ti lascio andare” che
aveva scaldato il cuore dell’altro e lo aveva spinto a tenerselo stretto al
petto lungo tutto il tragitto fino alla casa di Clara.
In quel momento, seduto su quel puff blu che custodiva così tanti ricordi, John
poteva vedere il suo ragazzo, in piedi contro il muro dalla parte opposta della
sala, affiancato da un’allegra Molly che sembrava parlargli con la stessa
vivacità con la quale Mike si stava rivolgendo a lui. Entrambi, neanche a farlo
apposta, annuivano di tanto in tanto, lasciando invece vagare lo sguardo
intorno a loro. Nell’esatto istante in cui John formulava quei pensieri,
Sherlock alzò lo sguardo verso di lui e i loro occhi s’incrociarono. Quelli
cristallini del compagno sembrarono mandargli una muta richiesta d’aiuto, quasi
considerasse la compagnia di Molly come un mortorio.
John sospirò stancamente e
abbassò lo sguardo al liquido ambrato nel suo bicchiere, lasciando che le
parole di Mike gli scivolassero addosso senza neanche sforzarsi di comprenderle.
«Che poi, voglio dire, se le piaccio, perché
nascondersi? Non avrebbe senso!»
John alzò gli occhi di scatto.
«Cosa?»
«Janine.
Continua a dirmi di non aver mai conosciuto un ragazzo come me, che non si è
mai trovata così
bene con nessun altro e che non sono neanche così brutto come penso. Ma allora
perché sembra fare di tutto perché non ci vedano insieme?»
Il ragazzo sentì un live
tremore alla propria mano e, deglutendo, appoggiò il bicchiere su un tavolino
poco distante per evitare di combinare qualche pasticcio. «Così è lei quella
che non si vuole far vedere in giro con te?» ironizzò, mentre gli occhi
saettavano velocemente verso Sherlock, ancora nella medesima posizione di poco
prima.
Tuttavia non ascoltò il seguito
della conversazione, che Mike si premurò di portare avanti in solitario, poiché
la sua attenzione venne catturata
dall’intero insieme della sala.
I ricordi scorrevano veloci,
accavallandosi l’uno sull’altro. La prima volta che aveva ascoltato il suono
della sua voce profonda al cellulare; la volta in cui era andato per la prima
volta al laboratorio, il giorno in cui aveva fermato i suoi compagni dal
prenderlo a pugni; la prima volta che Sherlock lo aveva baciato, là in quel
bagno, quando entrambi erano ancora troppo spaventati per ammettere quello che stava realmente succedendo tra
di loro e il giorno in cui John lo aveva baciato sul serio, dichiarandogli
tutto il suo affetto; quando avevano fatto l’amore per la prima volta, quando
lo avevano fatto per la seconda, sul divano, un giorno piovoso di maggio. I
pomeriggi che avevano passato sul letto, a scambiarsi pensieri e carezze e
coccolandosi l’un l’altro, quelli passati davanti a un tavolo colmo di libri per
qualche strano esperimento in corso. Il primo vero caso
che Sherlock aveva risolto sotto richiesta di alcune conoscenze di famiglia,
che aveva come protagonista un tassista suicida, la prima tazza di the con
Mycroft, il primo cinese davanti a Doctor Who,
la prima litigata e la prima riappacificazione, la prima doccia insieme e le
corse sotto la pioggia per tornare a casa.
Ogni momento era un ricordo
indelebile nella mente di John: erano passati appena cinque mesi e avevano già
vissuto un sacco di emozioni e bei momenti che andavano solo a rafforzare tutto
quello che provavano l’uno per l’altro. John credeva di non potersi mai
stancare di guardare quel volto pallido, di affondare le dita in quei riccioli
castani, di perdersi in quegli occhi chiari di tutte le sfumature dell’azzurro
e del verde, di baciare quelle labbra di una bellezza impossibile e di
svegliarsi ogni mattina, in quel letto, con il suo corpo caldo vicino.
Lasciò scivolare lo sguardo
sulla sala, su tutte quelle persone che definiva amici, in alcuni casi anche
semplici conoscenti, e sul quale basava la maggior parte delle sue convinzioni.
Non poté fare a meno di
sorridere tra sé e sé quando vide Greg Lestrade, in un angolo della sala, che
scriveva freneticamente al cellulare, lanciando qualche volta un’occhiata
intorno a sé e arrossendo visibilmente.
Il sorriso un po’ si spense
quando notò Clara giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli mentre
parlava con un ragazzo poco più alto di lei che John aveva visto qualche volta
nei corridoi del Barts. Lei e Harriet avevano rotto solo qualche settimana
prima, dopo interi mesi passati a litigare.
Dall’altra parte della sala,
invece, il Rosso si vantava con una ragazza del suo stesso anno, un po’ timida
ma con gli stessi capelli rosso acceso, che sembrava essere lusingata dalle
attenzioni che le venivano rivolte.
Si lasciò trasportare dalle
note del lento che risuonava per la sala e si ritrovò a osservare la maggior
parte dei suoi compagni di squadra mentre vagavano abbracciati alle proprie
compagne, scambiandosi effusioni e alcuni gesti indiscreti che lo fecero
vagamente rabbrividire.
Era per quelle persone che
aveva fatto tutto questo, in tutti quei mesi? Era perché si vergognava di
quella parte di sé che aveva dovuto ammettere la sua omosessualità (o qualsiasi
cosa fosse)?
A John piaceva Sherlock, amava
Sherlock, nessun altro.
E, pensandoci, non riusciva
neanche più a trovare un senso a quelle parole che tanto lo spaventavano.
Dove stava il problema nell’apprezzare qualcuno del proprio sesso?
Gli bastava guardare le
numerose coppie che volteggiavano proprio davanti ai suoi occhi per comprendere
che tra di esse non c’era più sentimento di quanto non ce ne fosse in un
cucchiaino da caffè[3].
Quella stupida etichetta non
era nient’altro che una parola, basata su pregiudizi e convinzioni ormai
passate, su pensieri innaturali e su antiche usanze ampiamente discusse e senza
ancora una spiegazione plausibile. Chi era l’uomo per giudicare un sentimento
così potente come l’amore? Chi erano tutti per potersi permettere di dire che
l’amore tra loro fosse sbagliato? Ma soprattutto, dove stava la differenza di
fondo?
Era vero, una coppia gay non
sarebbe mai stata in grado di procreare e portare avanti l’umanità; forse era
contro natura, forse non era esattamente quello che ci si aspettava. Ma nessuno aveva il diritto di dichiararsi nel
giusto o nel torto, non quando si trattava di un tema così delicato.
John lo aveva provato sulla
propria pelle, si era ritrovato nella situazione di dover accettare qualcosa
che non avrebbe mai immaginato di poter provare. E non era rimasto per niente
sconvolto da ciò, anzi. Ammetterlo era stato solo un passo in più verso la
totale conoscenza di se stesso. Non poteva dire di non sentirsi più libero dopo quell’ammissione,
libero del peso della menzogna, di quel peso che non portava altro che
dispiaceri.
Bastò un sorriso un po’ più
sincero degli altri, uno sfioramento casuale che forse di accidentale non aveva
proprio niente.
Qualcosa dentro di lui scattò.
Un attimo prima era seduto, lo
sguardo perso di fronte a sé e un orecchio occupato a carpire qualche parola qua e là del
discorso di Mike, un attimo dopo si era alzato, come in trance, e aveva
cominciato a camminare verso un punto preciso della sala, incurante dei
richiami stupiti dell’altro. Gli occhi si appuntarono sull’alta figura del suo
coinquilino, mentre Molly, affianco a lui, si voltava di poco e lo notava con
la coda dell’occhio.
John attraversò la stanza nel
giro di qualche secondo, evitando accuratamente i ragazzi che si ritrovava per la strada e tutti coloro che,
notandolo, si allungarono verso di lui per salutarlo o per lasciargli qualche
pacca amichevole sulla spalla.
Sherlock lo notò e spalancò gli
occhi, forse nel tentativo di dedurre il risultato delle sue azioni, ma se
c’era qualcosa di cui John poteva andare fiero, quella era il fatto di essere
l’unica persona imprevedibile che fosse veramente in grado di stupirlo.
Coprì con pochi passi la
distanza che li separava, ignorando lo sguardo sorpreso che Molly gli rivolse.
Quando Sherlock intese, era ormai troppo tardi.
John gli si avvicinò di
slancio, prima che qualche stupido pensiero potesse impedirgli di fare ciò che
si era imposto, prima che qualsiasi altro fattore indefinito potesse
ostacolarlo.
Afferrò con le mani i lembi
della camicia di Sherlock e lo trasse a sé, costringendolo a chinarsi quel poco
che gli permettesse di arrivare alla sua altezza.
Lo baciò, con tutta la
delicatezza di cui era capace.
Il ragazzo s’irrigidì sotto di
lui e John poté quasi vedere attraverso le palpebre chiuse
i suoi occhi spalancarsi
e la sua espressione di stupore per quell’improvviso gesto. Poi, come
rassicurato dal fatto che John non si fosse ancora staccato, Sherlock allungò
le braccia e arrivò a cingergli la vita, aprendo le labbra e rispondendo al suo
bacio.
Non durò molto.
John si staccò lentamente,
riaprì gli occhi e li tenne fissi in quelli del suo ragazzo mentre un sorriso
si apriva sul volto di entrambi.
Il silenzio li avvolgeva, non
un urlo, non una parola volava per la stanza, e per John, in quel momento,
c’era solo Sherlock, Sherlock e le sue labbra, Sherlock e le sue stranezze, la
sua inafferrabile genialità e le sue strane manie. C’era solo Sherlock e il
loro passato insieme, le loro avventure e i loro bisticci, il loro cambiamento
e quel sentimento forte e potente che era il loro amore.
In quel momento tutto
l’orgoglio di John, tutti i pregiudizi che entrambi erano riusciti ad
affrontare e superare erano spariti in una bolla di sapone.
In quel momento John sentì di
cominciare a vivere veramente, sentì di poter cominciare quella nuova vita e di
poter affrontare tutto ciò che ci sarebbe stato sul suo cammino. Sentiva che se
Sherlock era lì, con lui, tutto sarebbe andato per il meglio.
Cercò la mano del compagno e
intrecciò le loro dita.
Era pronto. Era finalmente
pronto a dimostrare a tutti quello che provava, e improvvisamente non gli
importava più di tanto ciò che avrebbero pensato i suoi amici. Lui amava
Sherlock, lo aveva dimostrato a se stesso, aveva anche provato a sfuggirgli,
inutilmente. Il destino aveva fatto il suo corso. Ciò che provava per quel
falso sociopatico era molto più che semplice affetto e se i suoi amici volevano
avere ancora la sua amicizia avrebbero dovuto accettarlo, così com’era. Era la
cosa giusta da fare, ora non aveva più dubbi.
Probabilmente lo avrebbero
preso in giro, avrebbero riso di lui. Probabilmente lo avrebbero chiamato gay,
frocio o che altro, ma improvvisamente tutto aveva perso importanza.
Se c’era Sherlock al suo
fianco, sapeva che niente sarebbe stato impossibile, e con il senno di poi, valeva
la pena provarci.
Lo guardò, fissò il suo sguardo
nei suoi occhi cristallini. «Ok?» chiese in un sussurro.
Sherlock sorrise,
improvvisamente più sereno. «Ok.»
E John si voltò.
Fine.
Note:
[1] Riferimento al canone. Watson accenna
al fatto che ogni tanto costringe Holmes ad uscire quando non ha un caso a tenerlo
impegnato.
[2] Ah… ehm. Sarebbe troppo chiedervi di
tenerlo a mente? Cioè… si insomma. Forse. Non so neanche se… vabeh,
niente. Non importa.
[3] Piccola citazione da Harry Potter <3
Ebbene, l’ho fatto. Ho
veramente portato a termine questa pazzia. Quanto sono triste? Tanto. MOLTO.
È quasi passato un anno da
quando ho letto per la prima volta Orgoglio e Pregiudizio e ho deciso, non
appena Darcy è
entrato in scena, di scriverci una ff a tema Sherlock. E niente, quei due mi sono
entrati nel cuore e credo che andrò avanti a pensarci ancora per un bel po’,
almeno fino a quando un’altra idea malsana non mi balzerà in mente.
Ma ora
basta ciarlare, spazio ai ringraziamenti. (Perché quando ci vogliono, ci vogliono).
Un grazie,
ma un vero grazie di cuore va alla mia fantasticherrima beta, una ragazza che mi ha supportato
nell'iniziale indecisione per la pubblicazione, che mi ha incoraggiata strada
facendo, che mi ha sopportata nelle mie insistenze da "allora hai finito
di betare che
stasera si pubblica?". E' una santa, cosa vi devo dire. Ed è la mia beta,
sola e inimitabile. Non so neanche come avrei fatto senza di lei <3
Un secondo grazie va a
Giulia, che mi ha letteralmente forzata a iniziare Glee e, credetemi, senza di lei non saremmo qua.
<3
E… my Cass,
non so neanche da dove iniziare.
Sapete quanti siete? Quanti?! Tanti. Tantissimi. Il primo capitolo ha da
poco superato le 2000 visualizzazioni, i seguiti/preferiti/ricordati sfiorano i
200. Non ho mai visto numeri così alti nelle mie storie e ogni volta che ci penso mi vengono le lacrime agli occhi. Grazie.
GRAZIE.
Vi voglio tutti qui per un
abbraccio di gruppo perché siete magnifici e
io sono talmente patetica da non riuscire neanche a fare un
ringraziamento decente. ç_ç
Un particolare e immenso
grazie va soprattutto
a chi ha recensito perché, giuro, leggere i vostri commenti è stato uno delle
cose più belle nello scrivere questa storia. <3
E ora la pianto, seriamente.
È stato bello, ci si becca in
giro. Vi auguro delle buone vacanze e, finalmente, dopo dodici capitoli, la
smetto di rompervi le palle xD
Con affetto,
Gageta.
Ps. Non so voi ma io mi diverto sempre a
vedere i dietro le quinte di
un telefilm o a sapere le varie tribolazioni delle scrittrici (anche quelle qui
su efp, sì xD).
Per coloro che hanno questo
mio stesso “hobby”, ho messo insieme un po’ di curiosità varie sulla storia,
dalla stesura ai vari Easter Eggs nei capitoli. [click]
Pps. [qui] il
mio profilo faccialibro, se vi va sentitevi libere di chiedermi
l'amicizia :D