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Autore: Astrid Romanova    10/06/2014    8 recensioni
Fin da bambino, Adrian aveva sempre sentito il desiderio di andarsene. L'andarsene nella sua forma più semplice ed immediata, come puro istinto alla fuga perenne e irrefrenabile. Né il mare né le navi che lo solcavano gli erano mai piaciuti, eppure a ventotto anni è ormai un marinaio esperto e straordinariamente scansafatiche.
Quando un giorno, sul ponte della Sposa Tradita, rivede Ravenna, non può immaginare che diciassette anni di vite diverse abbiano visto la bambina che conosceva diventare una ladra, ormai da due anni alla ricerca di un padre scomparso.
_________
«C'è un modo, sai?»
La spiazzò.
«Per cosa?»
«Per farmi smettere di lamentarmi.»
Ravenna assottigliò lo sguardo, scrutando il volto di Adrian in cerca di una risposta.
«Quale?»
[...]
«Lo stesso per farmi smettere di parlare del tutto» continuò, sperando di non essere costretto a dare spiegazioni dirette.
«Quale?» Insistette lei.
«Lo stesso per immobilizzarmi completamente.»
O per fermarmi il cuore. Potrebbe succedere se tu lo facessi come l'hai fatto stanotte.
«Quale?»
Adrian ebbe un moto di frustrazione.
«Darmi una botta in testa» borbottò sconfitto.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Prologo


 

Il mare non aveva mai esercitato particolare fascino su Adrian Hill.

Nei ricordi di quando era bambino rivedeva spesso il molo di Port Gale, la vasta concentrazione di navi appena giunte da terre lontane o in partenza per l'ignoto. All'epoca i bambini gridavano nei pomeriggi assolati, correndo tra le gambe dei marinai per poter vedere la grande Vela Cremisi levare l'ancora e allontanarsi verso l'orizzonte, mentre lui restava seduto sulla banchina domandandosi cosa, in fondo, ci fosse di tanto interessante nel viaggiare su un grosso pezzo di legno ondeggiante, per di più in balia del vento.

I riflessi di luce sull'acqua potevano anche essere poetici come diceva sua madre, ma quale altra attrattiva avrebbe mai potuto suscitare un'infinita distesa di semplice acqua?

Quasi vent'anni dopo i bambini c'erano ancora, ma la Cremisi era diventata una bagnarola sulla quale nemmeno il più disperato dei marinai avrebbe voluto prestare servizio. Il mare aveva gli stessi riflessi, ma era diventato molto meno infinito per Adrian, che aveva compiuto così tanti viaggi da una sponda all'altra da averne ormai perso il conto. Nessuna terra lontana o ignota, solo un altro regno con cui commerciare in qualsiasi prodotto che resistesse a due settimane in mare aperto.

In quel giorno di fine inverno, Adrian si guadagnava il suo compenso da marinaio osservando gli altri lavorare, comodamente appoggiato al parapetto della Sposa Tradita.

«Hill! Prendi quella dannata cima e tira, figlio di un cane!»

Il capitano Rhodes era il più educato contrabbandiere che Adrian avesse mai conosciuto. La maggior parte delle navi che non appartenevano alla Marina del Re salpavano dalla Costa Settentrionale con un carico che solo in parte era legale, ma i pochi ad esserne a conoscenza facevano finta di non saperlo. Dopo tanti anni trascorsi su imbarcazioni simili Adrian sapeva bene quale fosse la verità, e la verità era che un libero capitano aveva ben poco da guadagnarci se non agiva un passo oltre la legge.

Staccandosi dal proprio sostegno, il marinaio quasi trentenne raggiunse i propri compagni, pensando che “figlio di un cane” fosse, dopotutto, l'appellativo meno volgare che gli fosse stato affibbiato.

Afferrò l'estremità della cima e iniziò a tirare insieme ad altri quattro uomini finché la vela non fu totalmente issata; il suo apporto non era stato davvero necessario, ma nessuno pagherebbe un uomo che non si scomodi nemmeno per tirare una fune in vista della partenza. Ci si poteva provare, ma quando il capitano ti beccava ad oziare e ti gridava di darti una mossa, obbedivi senza fiatare. Al massimo uno sbuffo.

Si ritrovò da solo a sostenere la cima col compito di assicurarla alla galloccia, operazione che lo obbligò a piegare gambe e schiena. Tirò con forza un paio di volte per saggare la resistenza del nodo, quindi si rialzò per constatare felicemente di non avere più niente da fare.

«Il ragazzo delle pelli è davvero diventato un uomo di mare, a quanto vedo».

Un qualsiasi marinaio d'esperienza avrebbe ignorato le parole di una voce al vento, se questa non avesse specificato a chi si stesse rivolgendo. Ma non tutti i marinai d'esperienza erano stati, una volta, figli di un commerciante di pelli, e non tutte le voci udibili sul ponte di una nave avevano un chiaro timbro femminile.

Adrian si voltò senza fretta, ma non senza diffidenza e curiosità. Il cappuccio gli impediva di vedere il volto della donna di fronte che, rivolta nella sua direzione, stava sicuramente parlando con lui. Strinse gli occhi, pensò a cosa dire; in fondo era facile: era principalmente una la domanda che cavalcava i suoi dubbi.

«Ci conosciamo?»

Non era mai stata sua abitudine quella di raccontare a destra e sinistra della sua infanzia in una famiglia di pellettieri; quando viaggiavi costantemente da una sponda all'altra del mare, senza mai fermarti a lungo nello stesso porto, cambiando nave quasi ad ogni approdo e seguendo rotte sempre diverse, non avevi mai abbastanza tempo per farti degli amici. Pur trascorrendo due settimane circondato sempre dalla stessa manciata di volti non sentivi il desiderio di entrare in confidenza con qualcuno, e gli argomenti di conversazione erano sempre molto più pratici: compenso, donne, compenso, taverna preferita, donne e qualsiasi appellativo indecoroso fosse possibile dare al capitano.

«Molto poco, di questi tempi» fu la criptica risposta dell'imbucata.

Un sacro dono dell'umanità che Adrian non aveva mai ricevuto era la pazienza.

«Mmh, certo» confermò con vena ironica, parlando forse più a sé stesso che a lei.

Sorrise guardando altrove, vago, fingendo indifferenza. In realtà non gli piaceva non sapere con chi stesse parlando e non avrebbe permesso a quella situazione di durare ancora a lungo. Con una singola falcata arrivò abbastanza vicino alla donna da poter alzare il braccio, afferrare il bordo del cappuccio che le copriva il volto e tirarlo indietro, incrociando finalmente lo sguardo della sua interlocutrice misteriosa.

Le dita gli si bloccarono serrate sulla stoffa, la sua espressione sospettosa divenne di puro stupore; la spavalderia con cui aveva in mente di liberarsi dell'incomoda visitatrice annegò nel mare che li circondava, mentre ricordi sbiaditi ma conservati nell'angolo più nostalgico della sua memoria riaffioravano per la prima volta dopo un'infinità di anni.

Boccheggiò.

Non era il sorriso della donna a renderla impossibile da non riconoscere, né i suoi capelli biondi o il verde del suo sguardo. Erano quegli occhi grandi, i lineamenti morbidi ancora così simili a quelli della bambina che aveva conosciuto, ma soprattutto quei tre, inconfondibili nei sulla guancia sinistra, quella verso cui erano piegate beffardamente le sue labbra.

«Ra...»

«Ehi! Hill, con chi diavolo stai parlando?»

La voce del capitano spezzò il filo dei ricordi e il sussurro con cui stava per pronunciare quel nome, accompagnata dal suono dei suoi stivali sulle assi di legno del ponte.

«Signorina, deve scedere immediatamente dalla mia nave. Stiamo per salpare, in caso non l'abbia notato» borbottò.

«L'ho notato, capitano. Ci dia solo cinque minuti.»

Se da un lato lei non sembrava lontanamente intenzionata a scendere, dall'altro il capitano non sembrava intenzionato a concedere soli cinque secondi, figurarsi cinque minuti.

«Neanche per idea, ora lei scende dalla mia nave. Non è autorizzata a stare qui.»

Pur essendo tra i più educati, il capitano Rhodes era pur sempre un contrabbandiare, un contrabbandiere sui quarant'anni con una pazienza molto scarsa e l'abitudine di non dover mai ripetere le cose due volte. E, nel suo modo di vedere le cose, educazione non andava di pari passo con cavalleria.

«Cinque-minuti» scandì lei.

Con eccessiva prepotenza, il capitano decise di passare dalle parole alle azioni, afferrando la donna per il braccio con tutta la probabile intenzione di trascinarla giù dalla nave. Un gesto da vero gentiluomo. Un gentiluomo che, come scoprì presto, aveva a che fare con una altrettanto gentildonna, la quale per nulla allarmata dall'irruenza del capitano giocò d'anticipo serrando le proprie dita attorno al suo polso e torcendolo, costringendolo a voltarsi di schiena. Il braccio premuto dolorosamente vicino alle scapole, il capitano fu spinto in avanti fino a sbattere contro il parapetto e lì rimase, mentre lei usava l'avambraccio libero per premergli il collo sul bordo in legno lucidato.

Quel gesto provocò una serie di reazioni concatenate al termine del quale, in situazione di stallo, una manciata di fedelissimi marinai armati di coltello puntavano le lame contro l'attentatrice, fronteggiati dall'istintività di Adrian che aveva sfoderato il proprio pugnale – sempre ben nascosto nello stivale destro – brandendolo vero i suoi stessi compagni. Tutta gente conosciuta un paio d'ore prima, comunque.

La donna lasciò andare il capitano, facendosi indietro per portarsi ad una distanza di sicurezza dalla sua furia. Le imprecazioni a tutta voce che seguirono furono parole al vento: in pochi secondi il “diavolo biondo” si era defilato, lanciando un'ultima occhiata ad Adrian.

Che si ritrovò solo ad affrontare tutta la rabbia e la vergogna del capitano.

«Hill! Bastardo traditore, se fossimo in mare aperto staresti già sfilando sulla passerella! Scendi dalla mia nave, ADESSO!».

Dopo aver lentamente riposto il pugnale, Adrian si raddrizzò tenendo le mani bene in vista, tanto per essere cauto. Sorrise, come a voler dare poca importanza a ciò che era appena avvenuto.

«Ah, sì, io... tolgo il disturbo» confermò affabile, quindi tutta la flemma dimostrata fino a quel momento bruciò come combustibile per la fretta con cui abbandonò il ponte.

Le ingiurie lo seguirono anche mentre attraversava il molo, cercando con gli occhi una chioma di capelli biondi in cima ad una figura non troppo alta. La trovò ferma sulla banchina, seminascosta da un veliero attraccato di proprietà della Marina del Re, come suggeriva il simbolo sulla fiancata. La raggiunse fermandosi alle sue spalle, incerto su cosa avrebbe o non avrebbe dovuto dire. Forse il suo semplice silenzio sarebbe stato sufficientemente eloquente, ma c'erano migliaia di parole che attraversavano la sua mente. Milioni.

«Non ti vedo da diciassette anni e in meno di tre minuti sei riuscita a farmi sbattere giù dalla nave.»

Brillante spunto di conversazione.

«Ce ne sono altre» minimizzò lei.

Poteva percepire il suo sorriso, anche se non lo vedeva.

«Non è questo il punto. Il punto è che dopo diciassette anni spunti dal nulla e mi fai perdere il lavoro.»

«Poche storie marinaio, non ho estratto io il pugnale dagli stivali.»

Obiezione accolta. Adrian si era lasciato trascinare dall'istinto, l'istinto di schierarsi con una persona che conosceva fin da quando era bambino contro una serie di uomini che vedeva per la prima volta in vita sua. Legittimo, comprensibile e assolutamente disastroso.

«No, tu hai solo schiacciato la faccia del mio capitano contro il parapetto» ribattè ironico.

«Non ti ricordavo come uno a cui piacesse prendere ordini dagli idioti. L'ultima volta che ti ho visto eri un ribelle spettinato molto contrariato perché avevi appena perso una sfida contro me».

Lo stava prendendo in giro? Lo stava prendendo in giro.

«Avevo vinto» precisò Adrian, che aveva un'opinione molto diversa dalla sua su cosa significasse perdere una sfida, «e comunque avevo undici anni. Undici anni. Tutti sono ribelli a undici anni».

«Io non lo ero» negò lei pacata.

Lui non era del tutto d'accordo, ma la questione era irrilevante.

Diciassette anni, per l'amor di Dio. Diciassette anni.

Con passi incerti coprì la distanza che ancora li separava, posando una mano sulla spalla della donna. Fin tanto che non la vedeva in viso era difficile convincersi realmente che fosse lei. Nonostante le parole, nonostante i ricordi, aveva bisogno di guardarla. Aveva bisogno di pronunciare il suo nome e sentirle dire “sì, sono io”.

«Ravenna» mormorò, eseguendo una lieve pressione sulla sua spalla per indurla a voltarsi.

Lei si girò, incrociando il suo sguardo. Per la prima volta, Adrian vi scorse un po' del disorientamento che lui stesso provava.

«Come...»

«Come ti ho trovato? Non l'ho fatto» lo anticipò lei.

Adrian aggrottò le sopracciglia. Era facile intuire la domanda che lui volesse farle, non era stato quello a insospettirlo. No, c'era dell'altro: cosa avrebbe dovuto significare “non ti ho trovato”? Era lì davanti a lui. Sì che lo aveva trovato, come lo trovava quando lui si nascondeva dopo averle rubato le more appena raccolte, che le erano costate numerosi graffi sulle mani, sui polsi, a volte fin quasi ai gomiti.

Ravenna sospirò.

«Ho sentito delle voci, in una locanda. Qualcuno che parlava di un marinaio di Vessa, un certo Hill, con cui aveva appena prestato servizio durante la traversata, un giovanotto scapestrato e assolutamente inaffidabile.»

Si vedeva da come le tremavano le labbra che si stesse sforzando di non ridere o, almeno, di non sorridere come se trovasse tutto abbastanza divertente. Ma durò poco. Si fece più seria, guardò in basso, sembrò riflettere sulle parole da usare. Era quasi triste il modo in cui nessuno dei due sembrava sapere bene cosa dire. Come se potessero davvero esserci delle parole sbagliate. Come se non si conoscessero affatto.

«Non ti ho trovato, Adrian. Sei solo... capitato» terminò Ravenna.

«Ma sei venuta sulla nave» le fece notare lui.

«Certo che sì. Tu non l'avresti fatto? Non avresti voluto vedermi se ti avessero detto che uscendo da una locanda e camminando sempre dritto mi avresti trovata ad alzare una vela?»

Era una domanda interessante. Se avesse saputo che la bambina delle more era ad un tiro di schioppo da lui, se invece di trovarsela di fronte all'improvviso avesse potuto scegliere di incontrarla o meno, l'avrebbe raggiunta? Probabilmente ci avrebbe pensato, rischiando di perdere la sua occasione e rendendosi conto di quanto avrebbe rimpianto quell'opprtunità.

«Sì, credo di sì» ammise infine.

Ne seguirono diversi secondi di silenzio, carico della curiosità che entrambi tenevano a freno dietro le labbra, ma difficile da contenere troppo a lungo.

«Cosa ti ha portata qui, a Port Gale?» domandò Adrian. «Credevo fossi andata a vivere con un qualche tuo parente a... be', non so dove, non me l'hanno mai detto.»

Per qualche motivo quella domanda sembrò finalmente distendere l'atmosfera, come se avesse aperto una porta fino a quel momento rimasta chiusa, lasciandoli a tentare di comunicare tramite il buco della serratura.

«Vorrei farti la stessa domanda. E vorrei chiederti come sei finito a diventare un marinaio, tu che il mare non l'hai mai amato.»

Adrian non si scompose di un millimetro.

«Già, ma te l'ho chiesto prima io.»

La risata di Ravenna arrivò in ritardo, come quella di chi non capisce al volo una battuta. Ma la sua non era battuta. O lo era?

Te l'ho chiesto prima io.

Quelle stesse parole si ripeterono nella sua mente, assumendo ogni volta un tono sempre più infantile, sempre più dolce. Il tono di una bambina.

Quanti anni hai, Adrian?

E tu?

Te l'ho chiesto prima io.

Si picchiò il palmo contro la fronte diverse volte, incredulo di aver pronunciato proprio quelle esatte parole.

«Sei proprio un bambino» lo canzonò Ravenna.

Sei proprio una bambina.

Certo che sono una bambina, ho sette anni.

Ah! Ecco, me lo hai detto.

Anche Adrian non potè evitare di sorridere.

«Da bambino a bambina: posso offrirti del sidro di mele?» propose, finalmente conscio che non c'era nulla da temere. Lei era sempre la stessa bambina con cui litigava tanti anni prima, la stessa che lo aveva spinto nel fango e a cui faceva gli sgambetti.

«Mi racconterai cosa ti è successo in tutti questi anni?» si sentì chiedere in risposta. Esitò.

«Tu lo farai?»

Ravenna lo osservò per alcuni istanti, quindi annuì con un sorriso.

«Fammi strada, marinaio.»


Spendo due parole veloci per presentarvi la prospettiva di questa storia, composta da un totale di 23 capitoli (prologo ed epilogo compresi). 
È frutto di un'idea nata quasi per caso, nata per essere così breve che poteva passare quasi inosservata. Tre, forse quattro capitoli, per narrare di come l'amore di una figlia potesse attraversare anche il mondo intero per ricongiungersi con quello di un genitore, e non solo il contrario. Poi è arrivato qualcos'altro. Sono arrivate altre centinaia di cose, di idee, di possibilità. Ed era tutto stampato a fuoco nella mia testa, un'esperienza che raramente mi è capitata prima. Non potevo ignorarla, perciò un capitolo dopo l'altro sono arrivata a 23. Mi chiedo solo quanti di voi mi accompagneranno fino alla fine.
Se ne avete il tempo e la voglia vi invito a lasciare un commento; se ne avete il tempo ma non la voglia non so cosa dirvi, vi inviterei lo stesso ma non mi ascoltereste, perciò evitiamo lo spreco di parole all'alba della mezzanotte e tranta minuti; se non ne avete il tempo ma ne avete la voglia vi capisco, la vita è una stronza; se non ne avete né la voglia né il tempo non avete nemmeno letto fino a qui, quindi non vi dico niente.
Le due parole sono diventate praticamente una flashfic, quindi ora vi lascio andare, e grazie per essere passati di qui :)

Au Revoir,
Astrid

 
   
 
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