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Autore: Ruta    13/06/2014    5 recensioni
“La felicità non esiste, Molly. Me ne sono fatto una ragione.”
La mente di Molly è attraversata da tutta una serie di immagini: sono come macchine da corsa in un’autostrada deserta. Gli occhi di suo padre, le risate delle sue amiche, la morbidezza del pelo del suo gatto, le voci dei suoi compagni di corso dei tempi dell’università.
“Esiste invece,” sospira. “Questo non fa che rendere più triste la sua assenza.”
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ardua felicità

 

 

 

 

 

 

La felicità è facile, ma imparare a non essere infelici può essere arduo.
Wayne Dyer, Le vostre zone erronee, 1976

 

 

 

 

 

 

“Credi di essere felice, Molly Hooper?”
La domanda giunge inaspettata, di questo, almeno, Molly non si stupisce. Chi l’ha posta – tono pizzicato dalla curiosità, sguardo chiaro che la scandaglia, ma che allo stesso tempo pare disinteressato alla risposta, perché già perso in pensieri di natura diversa, importante – è Sherlock Holmes.
Molly procede a sollevare il lembo superiore dell’incisione, lo rialza e lo tira sopra la faccia. Esplora il corpo che sta dissezionando: si tratta di una ragazza di diciassette anni. Aveva i capelli biondi, di media lunghezza, prima che lei glieli tagliasse, le punte tinte di verde. Gli occhi di lei sono, erano, di un verde spettacolare: come le colline di campagna o i prati di Kensigton Gardens. Ora devono assomigliare a specchi di vetro. Sa che non è così, scientificamente lo sa, ma è l’unica poesia che si concede nel suo lavoro.
Pensa a questa ragazza nel fiore dell’età che ora è stesa sul tavolo del suo obitorio e poi a se stessa. Aggrotta le sopracciglia. “Non ho motivi per non esserlo,” dice, del tutto sincera.
Ama ciò che fa, chi è, dove si trova. Con chi si trova. “E tu?” domanda, per scacciare l’ultimo pensiero molesto. “Uhm… Credi di essere felice?”
Sherlock schiocca la lingua. “La felicità è per gli sciocchi.”
Ha pronunciato quella sentenza come un attore di teatro reciterebbe una vecchia battuta.
Molly potrebbe farglielo notare; non lo fa. Nota, ma non giudica, annuisce invece. “Forse,” si morde l’interno del labbro inferiore. “O forse lo crede chi ha smesso di cercarla.”
Per un attimo, lei prova una strana sensazione di formicolio alla base del collo, come se lui la stesse fissando, ma non si volta a controllare.
“La felicità non esiste, Molly. Me ne sono fatto una ragione.” Il messaggio tra le righe è inequivocabile. Dovresti anche tu.
La mente di Molly è attraversata da tutta una serie di immagini: sono come macchine da corsa in un’autostrada deserta. Gli occhi di suo padre, le risate delle sue amiche, la morbidezza del pelo del suo gatto, le voci dei suoi compagni di corso dei tempi dell’università.
“Esiste invece,” sospira. “Questo non fa che rendere più triste la sua assenza.”

 

*

   

Cos’è per lei la felicità? È un bacio in una sera d’inverno. Sono le stelle cadenti di una calda notte d’agosto. Sono parole scritte che vorrebbe imparare a declamare. È la tristezza dopo che si è spenta. 
La felicità è accarezzare un cucciolo caldo caldo, è stare a letto mentre fuori piove, è passeggiare sull'erba a piedi nudi, è il singhiozzo dopo che è passato. Charlie Brown, saggio e buono.
Molly osserva Sherlock, non vista. È insieme ad un uomo che lei non conosce di persona, ma di cui ha sentito parlare. Lo vede sorridergli, di un sorriso vero, un po’ storto, ironico o saccente, ma per quanto assomigli a quello di uno spaventapasseri, rimane un sorriso autentico e sincero.
Alla fine, Sherlock ha trovato una sua felicità.
Ne è felice. Una parte di lei, però, una parte piccola e insignificante e meschina che mette a tacere subito, quella vocina mormora che avrebbe voluto essere lei a mostrargli la strada di mattoni gialla, a fargli da guida.
Scuote la testa. Si dà della sciocca. Decisamente, John Watson è una scelta perfettamente ragionevole. Ha senso, in ogni modo possibile.
Lo stesso, saperlo, sentirlo, vederlo fanno male.

 

*

 

Avrebbe voluto spiegargli che la felicità non è una conclusione, non è la fine della ricerca, ma solo l’inizio di una ricerca più grande e complessa.
Avrebbe voluto parlargli della tristezza, dirgli che ci sono ombre, ricordi di cose passate da affrontare. Che la paura di perdere ciò che si è ottenuto dopo tanta fatica rischia di guastare persino l’opera più bella, più preziosa.
Molly tace, finché un giorno, uno tra tanti, non decide di dimostrargli che lei è ancora là se lui vuole, in attesa su quella strada di mattoni gialla.  

 

 

 


N/A:

Macerava sul desktop da un po’, dopo che l’ho lasciata a germogliare, senza risultato, per un tempo persino maggiore sul mio taccuino preferito. Stasera, l’occhio ci è caduto sopra e mi son detta ‘Perché no?’.
Una sciocchezza, davvero, molto alla Molly delle prime due stagioni, anzi più della prima, in effetti. Sinceramente, non cos’altro aggiungere. Mi serviva un piccolo quadretto di questa Molly, per ricordarmi l’innegabile percorso che l’ha portata ad avvicinarsi a Sherlock. E niente: io la adoro :)

P.s.: niente paura. Per quanto riguarda ‘Caccia alle ombre’ sono già al lavoro sul prossimo capitolo. Volevo solo regalarvi qualcosina nell’attesa perché siete meravigliose, loro sono meravigliosi e se potessi starei sempre a scriverci sopra.   

  
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