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Autore: Aching heart    13/06/2014    1 recensioni
"Malefica non sa nulla dell'amore, della gentilezza, della gioia di aiutare il prossimo. Sapete, a volte penso che in fondo non sia molto felice." [citazione dal film Disney "La Bella Addormentata nel Bosco"]
Carabosse è una principessa, e ha solo dieci anni quando il cavaliere Uberto ed il figlio Stefano cambiano completamente la sua vita e quella dei suoi genitori, rubando loro il trono e relegandoli sulla Montagna Proibita. Come se non bastasse, un altro tragico evento segnerà la vita della bambina, un evento che la porterà, quattordici anni dopo, a ritornare nella sua città ed intrecciare uno strano rapporto di amore/odio con Stefano. Ma le loro strade si divideranno, portando ciascuno verso il proprio destino: Stefano a diventare re, Carabosse a diventare la strega Malefica. Da lì, la nascita della principessa Aurora sarà l'inizio del conto alla rovescia per il compimento della vendetta della strega: saranno le sue forze oscure a prevalere alla fine, o quelle "benefiche" delle sette fate madrine della principessa?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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15. Lock the last open door, my ghosts are gaining on me

Negli ultimi due giorni Carabosse si era considerata oltremodo fortunata, visto che lei e Stefano non erano ancora stati scoperti nonostante l’entusiasmo e l’insistenza del principe nel farle fare un giro del castello. Lui ci teneva a far conoscere alla sua amata casa sua, aveva un bisogno quasi disperato che lei entrasse a far parte della sua vita, della sua quotidianità, ma Carabosse era stata costantemente tormentata dalla paura di farsi scoprire.
Doveva ammettere, però, che nonostante all’inizio fosse restia anche solo all’idea di trasferirsi nel castello, quella scelta si era rivelata la migliore per loro due. Stefano sfruttava ogni momento libero per vedere Carabosse, e riusciva a sorprenderla con romantiche passeggiate negli angoli più remoti e selvaggi dei giardini, esplorazioni nei meandri del castello e incursioni segrete nell’armeria, dove a volte si sfidavano a duello. Le mancavano le loro lunghe cavalcate nel bosco, ora impossibili, ma era pur sempre a casa sua, con l’uomo che amava.
Erano stati i due giorni più felici che vivesse da molto tempo, ma adesso li stava pagando molto cari in frustrazione, ansia e gelosia. Di lì a poche ore si sarebbe tenuta la festa di compleanno della principessa Helena e, insieme, quella di fidanzamento fra lei e Stefano, e Carabosse ci pensava da tutta la notte. Era riuscita a dormire pochissimo, tormentata da quel pensiero, rigirandosi per ore nel letto. Si era svegliata che non si sentiva per nulla riposata e non riusciva a pensare ad altro, e anche se trovava insopportabile rimanere a letto a rimuginare, non riusciva a trovare il coraggio per alzarsi ed affrontare quella che si prospettava una giornata orribile. Sentiva tanto di quel veleno in corpo che sarebbe bastato per uccidere tutta la corte, e se solo pensava a quella principessina viziata che civettava con il suo Stefano, oltretutto con un anello di fidanzamento al dito, un potente desiderio di distruzione iniziava a farsi strada dentro di lei.
Carabosse si alzò di scatto dal letto, pungolata da quei pensieri, e buttò nervosamente le coperte da un lato. Ormai poteva dire addio alla sua pace interiore e alla tranquillità, almeno fino alla fine di quella disgraziata giornata. Guardò l’altra piazza del letto, vuota, ma che recava l’impronta recente di un corpo. Stefano doveva essersene andato molto prima, forse all’alba, perché lei non lo aveva sentito. Quella notte aveva dormito con lei per provare a calmarla. Tutto inutile.
Rassegnata, aprì le tende, lasciando che la luce del sole invadesse la stanza. Guardò fuori dalla finestra che si affacciava sul cortile del castello e vide un gran trambusto di servitori affaccendati e animali che correvano per il cortile, cercando di sfuggire alla loro triste sorte, quella di essere immolati per il banchetto della principessa Helena. L’ultima volta che aveva visto una confusione simile era stata nell’occasione del ritorno di suo padre dalla spedizione nel territorio degli Orchi, un ricordo non proprio piacevole, considerato ciò che era successo dopo.
Dopo che si fu lavata e vestita decise di scendere nelle cucine per vedere di riuscire a mangiare qualcosa. Stefano l’aveva presentata il giorno prima all’uomo a capo della servitù come una sua ospite, perciò non avrebbe dovuto avere problemi. Nessuno fece caso a lei per le scale o nei corridoi, tutti erano troppo oberati di lavoro per prestare attenzione ad una qualsiasi cortigiana, i servi si limitavano a scostarsi ed abbassare il capo quando le passavano accanto.
Quando giunse in prossimità della cucina fu investita da una zaffata di aromi e profumi deliziosi. Senza dubbio i cuochi dovevano essere al lavoro da ore per preparare il banchetto.
Entrare in quell’enorme sala dal soffitto basso e dalle pareti di pietra le riportò alla mente ricordi d’infanzia, di pomeriggi passati a nascondersi dalla balia fra quelle stesse pareti e di dolci rubati dalle dispense. Non poteva perdersi nei suoi pensieri, altrimenti avrebbe corso il rischio di venire travolta dalle domestiche che si aggiravano e per la cucina con le braccia colme di  stoviglie, vivande e quant’altro, però non perse l’occasione di osservare l’ambiente intorno a lei, e vide che poco o niente era cambiato lì dentro. Solo le persone erano diverse da quelle che ricordava. La cuoca, per esempio, le era sconosciuta, e anche gli sguatteri che si affaccendavano intorno all’enorme tavolo per spennare polli e anatre, affettare carote, sedani, cipolle, trinciare carni.
In quella confusione riuscì ad individuare l’uomo a cui era stata presentata il giorno prima, Maurice. Si diresse verso di lui, ma quando la scorse fu lui a venirle incontro. Le si inchinò e le chiese in che cosa potesse esserle utile.
-Sono scesa per fare colazione, se è possibile.
-Certamente, mia signora. Mi perdonerete se non vi servo personalmente, ma c’è molto lavoro da fare oggi e io sono necessario. Tessa! – chiamò poi.
Un’anziana domestica smise di affettare ortaggi e si avvicinò, facendo una riverenza a Carabosse. Quest’ultima si rese conto di riconoscerla: era al castello da tempo immemorabile, aveva visto Thomas ed Elsa sposarsi e lei nascere, ed era stata sua complice in alcuni degli scherzi e giochi che aveva fatto da bambina. Ebbe uno spasmo quando se ne ricordò, ma passò inosservato.
-Tessa, prepara la colazione all’ospite del principe, assicurati che sia completamente soddisfatta.
L’anziana donna annuì e guardò Carabosse con occhi penetranti, come se stesse cercando di leggere dentro di lei; non ebbe moti di stupore né di curiosità, ma in qualche modo la principessa seppe che anche lei ricordava.
Con un ultimo inchino Maurice tornò al suo lavoro e Tessa sgombrò una porzione dell’enorme tavolo per la colazione di Carabosse.
-Cosa desiderate mangiare, mia signora? – le chiese.
-Quello che c’è di pronto, non voglio creare troppo disturbo, con tutto il lavoro che c’è da fare.
Tessa prese una grossa forma di pane, tagliò alcune fette e le imburrò per poi stenderci sopra una generosa quantità di marmellata; mentre Carabosse iniziava a mangiare riempì una ciotola di latte e  vi mise due cucchiai di miele, poi estrasse alcuni dolci dalla dispensa e le preparò un piatto colmo di varie leccornie. Carabosse fu attratta da un profumo in particolare, che non sentiva da anni ed anni. Prese uno dei biscotti nel piatto e lo annusò, poi disse:- Biscotti allo zenzero… era da un’eternità che non ne vedevo uno.
Lo assaggiò e le sembrò di essere tornata indietro nel tempo.
-Buonissimo, come… - ma si interruppe. Stava per dire “come sempre”, ma era riuscita a fermarsi in tempo.
Tessa la osservò di nuovo molto attentamente, poi disse in tono appena udibile:- Sapete, voi mi ricordate molto la mia vecchia padroncina. Se vivesse dovrebbe essere proprio come voi.
Carabosse deglutì. – Se vivesse?
-Perdonate, sono solo ricordi di una povera vecchia. La mia padroncina era la principessa Carabosse, è morta a dieci anni, povera piccola. – Tessa sembrò commuoversi. – Uccisa insieme ai suoi genitori dagli Orchi.
Carabosse strinse i pugni. –Una triste fine.
-Triste, molto triste, mia signora.
-Ed è stato allora che Re Uberto è salito al trono, se non erro.
-Siete nel giusto, mia signora.
-Le stanze della principessina sono state poi occupate dal principe Stefano?
-Oh, no, il principe ha occupato un’altra stanza… i vecchi appartamenti reali sono rimasti inutilizzati. Credo che nulla sia cambiato da quando la famiglia reale ci viveva.
La conversazione non poté proseguire, perché Tessa fu richiamata al lavoro e Carabosse dovette finire la colazione da sola. Non se ne dispiacque, però, perché nel giro di pochi secondi aveva preso una decisione che doveva essere attentamente esaminata. Appena aveva sentito che le sue stanze e quelle dei suoi genitori erano rimaste intoccate aveva avvertito l’impulso di tornarvi. Era una decisione un po’ avventata, ma d’altra parte la tentazione era forte, e se avesse calcolato bene i rischi forse ne sarebbe venuto fuori che non era poi così pericoloso, né tanto difficile. Probabilmente la sorveglianza da quelle parti del castello non era neanche molta, se Uberto e Stefano alloggiavano in un’altra ala… avrebbe potuto facilmente sgaiattolare lungo i corridoi senza farsi notare… e poi quale occasione migliore per passare inosservata di quella, quando tutti erano impegnati ad organizzare un fidanzamento reale?
Si convinse che non sarebbe stato un rischio troppo alto, e appena finì di mangiare lasciò le cucine e camminò velocemente fino a giungere nella zona riservata alla corte e non più ai servitori; lì dovette fare più attenzione, ma ancora passò inosservata. Come aveva previsto, la zona in cui si trovavano i vecchi appartamenti reali era sorvegliata poco e niente, e per il resto era completamente deserta. A Carabosse bastò attendere che la guardia all’inizio del corridoio si distraesse un attimo – e a dire il vero si distraeva spesso – per sgusciare verso la sua meta furtiva come un’ombra.
Col cuore in gola si fermò davanti alla porta della sua camera e con mano tremante abbassò la maniglia. La porta cigolò aprendosi e la principessa percepì l’odore di chiuso e abbandono: evidentemente le domestiche non consideravano importante pulire delle stanze che non sarebbero più state utilizzate. La mobilia era coperta da lenzuola impolverate, e la polvere formava anche un leggero strato sul pavimento, attutendo il rumore dei passi di Carabosse. La luce che filtrava a stento dalle tende lasciava la stanza in una penombra quasi mistica. Essere lì le risultava strano, quasi surreale; non le sembrava per nulla la sua vecchia camera, era così diversa da come la ricordava, così buia, impolverata e abbandonata…
Ebbe paura. Cosa rimaneva di lei e della sua famiglia ormai? Solo ricordi che presto sarebbero morti insieme a quei pochi che li custodivano. Non voleva credere di appartenere ad un’epoca ormai conclusa e lontana, ma dentro di sé sentiva che era proprio così, e che non sarebbe mai più potuta tornare. Fu assalita dal terrore che non avrebbe mai trovato il suo posto, perché sarebbe appartenuta per sempre a quella camera impolverata e dimenticata dal resto del mondo. Sarebbe rimasta ai margini, lontana dalla vita che voleva riavere indietro. Non poteva accettarlo.
Con un moto di stizza afferrò le lenzuola e le gettò a terra, sollevando nuvole di polvere. Ora che i mobili erano di nuovo visibili la stanza le sembrava un po’ meno estranea. Si appoggiò ad una delle colonne del letto a baldacchino, poi accarezzò le coperte del letto rifatto dopo quella notte in cui era stata portata via. Si guardò intorno e andò verso la sua elegante specchiera, al cui sgabello si sedette. Le spazzole, i pettini, i nastri, i fermagli, erano tutti dove ricordava; lo scrigno portagioie invece era vuoto, probabilmente i suoi gioielli ora erano custoditi insieme al resto del tesoro reale, e anche le boccette contenenti essenze floreali erano state svuotate. Si guardò allo specchio rovinato da macchie nere dovute al tempo ed ebbe una fugace  visione di se stessa da bambina quando, per prepararsi, si guardava in quello stesso specchio. Quanta ingenuità, quanta felicità, quanta speranza c’erano in quello sguardo, ed adesso erano state spazzate via…
 Ancora più addolorata, fuggì il suo stesso riflesso e guardò altrove: i suoi occhi caddero sull’enorme baule ai piedi del letto. Lo aprì e vide tutti i suoi vestiti riposti ordinatamente, come se dovessero ancora servire a qualcosa. Li tirò fuori tutti e li adagiò sul letto, accarezzandoli affettuosamente.  Il più appariscente di tutti era l’abito dorato che aveva indossato al banchetto in onore del ritorno del ritorno di suo padre… la prima volta che aveva visto Stefano. Ogni abito portava il suo carico di ricordi, ma Carabosse non riuscì a piangere. Si era rassegnata ad aver perso la sua infanzia molto, molto tempo fa.
Rimase lì a lungo, a guardare le cose che un tempo le erano appartenute e a rivangare i ricordi che vi erano legati, ma poi si ricordò della stanza de suoi genitori. La strada di quella non la conosceva  bene come la propria, ma alla fine ricordò dov’era.
I suoi avevano sempre dormito insieme, una delle tante cose di loro che andava contro l’etichetta di corte.
In quella stanza Carabosse fece lo stesso che nella sua, tolse via le lenzuola, esplorò l’ambiente, esaminò i mobili. Quella camera le era abbastanza estranea, ci era stata pochissime volte, aveva scarsi ricordi di sua madre e suo padre  lì. L’arredamento non le diceva molto, ma c’era altro che ricordava. Aprì il baule e guardò con affetto i vestiti che conteneva, l’ultimo ricordo dei suoi genitori. Senza curarsi degli occhi che cominciavano a farsi lucidi, tirò fuori l’abito blu di sua madre, il suo preferito, e quello bianco e oro che suo padre portava quando era stato incoronato, e li dispose sul letto. Si chinò su di loro con fare protettivo, amorevole, e li annusò per vedere se era rimasta ancora qualche traccia del loro profumo, ma era sparito. Una prima lacrima cadde sulla gonna blu di broccato, e poi una seconda e una terza, prima che la principessa tentasse di asciugarsi gli occhi. Ma la nostalgia era troppo forte, e il senso di abbandono la soffocava. Le mancavano i suoi genitori, le mancavano terribilmente, e le pareva di rivederli nei loro vestiti adagiati sul letto: guardandoli, sembrava che Elsa e Thomas fossero per un’ultima volta ancora lì, insieme. Presto il pianto si fece impossibile da trattenere e i singhiozzi la costrinsero a nascondere la faccia fra le mani, per non vedere nulla di quello che le arrecava dolore. Pianse disperatamente finché via via non si acquietò, finché Carabosse non fu pervasa da una strana calma che le ridiede un po’ di lucidità.
Non poteva più rimanere lì. Non aveva senso rimanere ancora in un luogo che le faceva così male. Doveva tornare nella sua nuova camera, dove forse Stefano sarebbe passato a trovarla prima della cerimonia, e lei sapeva quanto bisogno avesse di lui.
Raccolse le sue forze e rimise tutto al suo posto, come aveva fatto nella sua stanza prima di andarsene, e poi uscì chiudendosi la porta alle spalle, non senza un’ultima occhiata di addio.

***

-Non sei emozionata, tesoro mio? – chiese Mariah.
-Molto, madre – rispose Helena, in piedi mentre le cameriere finivano di vestirla.
L’eccitazione nella stanza era palpabile, lei quasi non riusciva a stare ferma. Quel giorno non solo avrebbe compiuto sedici anni, ma si sarebbe anche fidanzata con l’uomo più bello e affascinante che avesse mai visto. Che fosse più grande di lei non la spaventava più: lui era così assolutamente perfetto che Helena non avrebbe potuto desiderare di meglio. Presto sarebbe stata sua moglie e la sua felicità sarebbe stata completa, nulla sarebbe potuto andare storto. Quello che fino a poco tempo fa considerava un incubo si stava trasformando in un  sogno meraviglioso… non c’era più nulla che desiderasse al mondo, salvo che Stefano non avesse più quell’aria fredda e distante.  D’altra parte lo comprendeva, aveva un carattere più serio e chiuso del suo e molte responsabilità, era normale che fosse così freddo, a volte. Ma avrebbero avuto tempo per conoscersi, una vita intera, e lui avrebbe imparato ad amarla. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Sua madre e chiunque l’avesse conosciuta le ripeteva che era bellissima e desiderabile.
Ingenua e viziata qual era non avrebbe mai immaginato che ci si potesse innamorare non della bellezza esteriore ma di quella interiore, era giovane e superficiale, e confondeva l’attrazione fisica con l’amore. Non immaginava neanche che il suo adorato principe fosse innamorato di un’altra, né l’avrebbe mai ritenuto possibile. Perciò non vedeva l’ora che giungesse il momento del fidanzamento, e si perdeva in sogni ad occhi aperti su come sarebbe stato bello Stefano e in mille aspettative sulla sua cerimonia. Il banchetto sarebbe iniziato entro tre ore e la festa sarebbe durata  tutta la giornata; avrebbe preferito una cerimonia più fastosa, ma sapeva che i festeggiamenti per il matrimonio sarebbero durati molto più a lungo e che l’avrebbero ben ripagata delle aspettative.

***

Ritornare nella stanza che Stefano le aveva dato era stato come ritornare a respirare dopo essere stata in bilico fra la vita e la morte, ma l’eco del dolore che aveva provato non l’abbandonava.
Da una parte essersi immersa di nuovo nel suo passato la estraniava dal resto del mondo, facendo sembrare il fidanzamento di Stefano qualcosa di lontano e remoto, quasi senza importanza; dall’altra se ripensava a quello che sarebbe successo entro poche ore, era invece la sua immersione nei ricordi a perdere importanza: il passato era passato, ora bisognava pensare al presente. 
La cosa peggiore sarebbe stata starsene rinchiusa in quella camera tutto il giorno senza fare niente, sola in preda al dolore e al tormento dei fantasmi del passato che aveva rivangato.
Ma Stefano, dov’era Stefano? Le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per riuscire a passare da lei prima dell’inizio di quella tortura, e invece di lui neanche l’ombra. Carabosse sapeva che non doveva essere arrabbiata con lui per quella sua mancanza, era ovvio che non sarebbe riuscito a liberarsi per andare da lei, ma stava accumulando nervosismo e inquietudine, e aveva bisogno di lui.
Si sdraiò sul letto pensando a cosa avrebbe potuto fare per ingannare il tempo e la mente, anche se sapeva che probabilmente non si sarebbe neanche alzata dal letto. Neanche dieci minuti dopo, sentì bussare alla sua porta.
Rianimata, si rizzò a sedere. –Stefano, sei tu?
-Chi altri vuoi che sia, Rosa? Certo che sono io.
Lei si precipitò ad aprire e si  trovò di fronte Stefano. La rabbia scomparve immediatamente, sostituita dalla gioia per averlo lì in quel momento, nonostante tutto. Gli si buttò con le braccia al collo e lo baciò con trasporto. Lui seppur colto di sorpresa per un attimo le strinse un braccio attorno alla vita, ricambiando il bacio, e con l’altro braccio chiuse la porta dietro di sé. Rimasero avvinghiati l’uno all’altra per un po’, poi finalmente Carabosse si staccò da lui, ma Stefano non le permise di allontanarsi da lui e rimasero abbracciati teneramente.
-Ammetto di non essermi aspettato un’accoglienza così calorosa oggi… pensavo che tu ce l’avessi con me, ma a quanto pare dovrei organizzare feste di fidanzamento più spesso, se la tua reazione è questa.
-Non dirlo nemmeno per scherzo – lo redarguì Carabosse. – In effetti ero molto arrabbiata con te, ma non riesco a resisterti, pensa un po’ tu che fortuna sfacciata. – Entrambi sorrisero, ma poi Carabosse tornò seria. – Stefano, io ho bisogno di te.
Lui la accarezzò dolcemente. – Ti prometto che questa giornata passerà presto, poi Helena ritornerà nel suo regno e non sentiremo più parlare di lei per mesi.
-Non mi riferisco solo a questa giornata, per quanto brutta sarà. – disse lei scuotendo la testa.
Aveva bisogno di Stefano per scacciare i suoi fantasmi, e gliel’aveva dimostrato quando era riuscito a farle passare la crisi di panico solo con un suo abbraccio, o quando, quella mattina, il pensiero di lui l’aveva spinta ad andarsene dalla camera dei suoi, sottraendosi al dolore. Sì, aveva bisogno di lui, ma lui non avrebbe mai potuto comprendere quanto finché non avrebbe saputo chi era lei veramente. Ma avrebbe potuto rivelarglielo? L’unica cosa che le impediva di dirgli la verità era la paura di come avrebbe reagito. Se lui l’avesse rifiutata una volta saputo chi era, se non avesse più voluto vederla, Carabosse non sapeva se sarebbe riuscita a sopportarlo. D’altra parte continuare a mentirgli avrebbe solamente peggiorato il momento in cui gli avrebbe detto la verità, perché prima o poi lo avrebbe fatto. Lei lo amava, e non poteva continuare a mentirgli ancora a lungo. Forse se fosse stata lucida non avrebbe mai preso quella decisione, ma in quel momento riusciva solo a pensare a come sarebbe stato bello, finalmente, poter gettare la maschera, a come sarebbe stato bello se Stefano avesse potuto consolarla sapendo del suo passato tragico.
Si staccò dall’abbraccio di Stefano, prendendo le distanze e un respiro profondo.
-C’è una cosa di me che non ti ho detto e che devi sapere…
-Ti ascolto.
Lei aprì la bocca per parlare, ma esitò, e negli istanti di silenzio che seguirono, Carabosse e Stefano udirono dei passi fuori dalla stanza e delle voci.
-Vostra Altezza – si sentiva chiamare dal corridoio.
-Accidenti! – esclamò Stefano a bassa voce – Devono avermi seguito. Mi dispiace, Rosa, devo andare. Parleremo dopo, va bene?
-Ma… - cercò di protestare lei, ma gli uomini che cercavano Stefano si avvicinavano sempre di più: il principe doveva andare. Lui le diede un veloce bacio e si precipitò fuori, prima che gli attendenti arrivassero alla stanza di Carabosse.
-…è importante –  disse alla stanza ormai vuota, guardando verso la porta da dove era uscito Stefano.
Rassegnata, si abbandonò nuovamente sul letto e rimase a fissare il baldacchino sopra di lei.





Angolo Autrice: Ormai le mie scuse per il ritardo ad aggiornare sono diventate ripetitive, me ne rendo conto. Però vi prometto che il ritmo degli aggiornamenti cambierà, ora che ho finito la scuola e ho a disposizione molto più tempo libero. Per chi segue le altre mie long: cercherò di aggiornare presto anche loro, non disperate.
Dunque, spero che vi sia piaciuto il capitolo. Non si era proprio capito che mi piace l'angst, eh? Verso la fine abbiamo quasi avuto la rivelazione del segreto di Cara a Stefano, ma è stato un falso allarme. Però preparatevi per il prossimo capitolo, ché vedremo Carabosse alle prese con nientepopodimeno che... Uberto!
Ringrazio Sylphs per aver iniziato a seguire la storia e per aver recensito, e tutti quelli che seguono la storia nonostante i miei ritardi.
Un'ultima cosa: il titolo è una frase della canzone All that I'm living for degli Evanescence. L'ho trovata adatta.
Un bacio a tutti!

 
   
 
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