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Autore: Lady Vibeke    13/06/2014    3 recensioni
– Non hai fatto in tempo a mettere piede qui dentro e già hai seminato scompiglio. –
Lucius rise.
Shin era apparso accanto lui dal nulla, silenzioso come suo solito.
– Non lo porto io, è lo scompiglio che segue me. –
L’altro arricciò appena le labbra.
– Questione di punti di vista, suppongo. Hai già visto Regan? –
La fronte di Lucius si increspò. La sua intenzione era stata di andare a cercarla immediatamente, ma quando era finalmente riuscito a trovare i ragazzi Edelberg, lei non c’era, quindi scosse la testa.
– È nervosa? – si informò poi.
L’amico lo scrutò di sottecchi, il nero della maschera e quello delle iridi a malapena distinguibili, non fosse stato per lo scintillio delle luci che si rifletteva negli occhi.
– Frustrata, più che altro. Ma c’era da aspettarselo. –
Lucius annuì.
Immaginò Regan costretta a infiocchettarsi come una bambola e a comportarsi da fanciulla docile e compita e si disse che avrebbe dovuto essere con lei in un momento simile.
– Alla mia cerbiattina non piace sentirsi in gabbia. –
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. VALO E VARJO

 

Where am I meant to be?
I feel I'm lost in a dream
Yearning again only to be myself

Unleashed, Epica

 

 

– Lucius! –

Regan sprofondò nel suo abbraccio tra le sue risate. Ritrovò quel suo profumo di polvere e pioggia che di lui amava tanto.

Lucius la strinse e le accarezzò i capelli con tutto l’affetto che le aveva fatto mancare durante la sua imperdonabile assenza.

– La mia cerbiattina... – sussurrò la sua voce, vicina all’orecchio, attraverso un sorriso. La allontanò da sé per guardarla meglio. – Come stai? Hai un aspetto… –

Lei, che quella mattina era meno propensa del solito accettare complimenti, gli diede un colpetto di avvertimento sul braccio.

– Oh, sta’ zitto. Come stai tu, piuttosto! Sono settimane che non ti fai vivo! –

Il rimprovero, troppo blandito dalla gioia di rivederlo, finì per passare inosservato.

– Ho avuto da fare qua e là – rispose Lucius, in tono vago e distratto. – Sai, le solite cose. –

“Come cercare di restare vivo.”

Regan aggrottò la fronte perplessa: Lucius aveva chiuso la bocca, ma lei aveva sentito lo stesso.

Lo avrebbe tempestato di domande, se gli altri non li avessero raggiunti, fortunatamente senza Adora Shephard alle calcagna.

Appena lo vide, Mariek gli allungò una sonora pacca su una spalla.

– Guardate un po’ chi non ha ancora tirato le cuoia! –

A Regan non sfuggì la fugace smorfia che passò sul viso di Lucius, ma fece finta di niente.

– Hey, ragazzaccio! – interloquì Ember con una gomitata. – Si può sapere che fine avevi fatto? Le ragazze di Kaunes potranno finalmente smettere il lutto. Avevano iniziato a temere che tu ti fossi fatto ammazzare. O, peggio, sposare. –

– E nel secondo caso tua moglie non avrebbe avuto vita lunga. – Anneli rivolse a Lucius un sorriso che non le raggiungeva gli occhi. Lui, invece, ricambiò con calore.

– In ogni caso, entrambe le eventualità mi sembrano alquanto improbabili. –

Combattevano la stessa guerra senza speranza, Lucius e Anneli: lei per avere lui, lui per avere un’altra.

Si spostarono a chiacchierare nella prima osteria che incontrarono e con un boccale di sidro e qualche fetta di pane imburrato davanti le lingue si sciolsero facilmente.

Lucius snocciolò racconti insolitamente scoloriti, dedicandosi più che altro a bere, ma la sala era talmente chiassosa che quasi non si notava la sua mancanza di entusiasmo. Il che era strano, perché la sua arte oratoria in genere sapeva stregare folle intere.

Regan a stento badava alle parole. Ascoltava solo il suono, la cadenza della sua voce, quell’esatto timbro che, in un sussurro, la prima volta le aveva chiesto di resistere. Di non morire.

Non erano passati che pochi mesi, da allora, e già sembravano lunghi anni. Troppe cose erano cambiate, e troppo in fretta, e Regan stava ancora cercando di aggiustare le crepe nella sua sicurezza interiore, anche se, mentre Lucius parlava, aveva la sensazione che alcune non sarebbe mai riuscita a sanarle. Si impose di non pensarci, poiché di pensieri per la testa ne aveva già più che a sufficienza, e si sforzò quindi di partecipare ai discorsi.

Il tempo trascorse così bene che quando Tristan e Arista entrarono a cercarli si stupirono tutti quanti di quanto si fosse fatto tardi.

– Scusate, colpa mia – disse Lucius, alzandosi per andare a salutare entrambi, salutato a sua volta con il medesimo trasporto. Era sempre stato trattato come un figlio dagli Edelberg.

– Dov’è Prince? –

– Ha detto che aveva un impegno a Torresco – rispose Tristan. – Il che significa che abbiamo un posto vacante per il pranzo, Lucius, se vorrai unirti a noi. –

Lui rise.

– Amico mio, il mio appetito è tanto e tale che non fingerò nemmeno di fare complimenti. –

Regan fu contenta di sapere che sarebbe rimasto ancora per un po’. C’erano tante cose che dovevano dirsi e capì che lui pensava la stessa cosa quando, alzandosi, le strizzò

Mentre uscivano – chi per salire in carrozza, chi per raggiungere il proprio cavallo – Anneli si lamentò della maleducazione che aveva mostrato Prince a non avvertire prima che non ci sarebbe stato per il pranzo.

– Almeno avrebbe potuto dirmelo che sarebbe andato a Torresco, avevo dei libri da restituire a Lisandra. –

 

 

Donna Melyor fu così contenta di rivedere Lucius, e tutto intero, che per poco non lo soffocò in un abbraccio di grande trasporto e a tavola lo costrinse a servirsi di una doppia porzione per ciascuna delle sei portate. Non che lui apparisse in alcun modo deperito, ma il buon cibo sembrava essere la risposta di Melyor a qualunque cosa, anche quando non c’era un bel niente a cui rispondere.

Quando anche le ultime briciole del dolce furono spazzolate e Tristan gli ebbe offerto un bicchiere di liquore digestivo, Lucius chiese il permesso di poter fare una passeggiata nei giardini assieme a Regan.

Anneli, che sembrava aver perso la voglia di lasciarsi offendere dalle preferenze manifestate da Lucius, li guardò uscire senza battere ciglio.

Camminarono per un po’ in silenzio, così Regan ebbe modo di osservarlo. Le sembrò di vederlo stanco, un po’ sciupato. Ogni volta che il vento gli soffiava sul viso chiudeva gli occhi e inspirava profondamente, come se da tempo gli mancasse l’aria.

– Non sai quanto sono felice di essere di nuovo a Norden, cerbiattina. –

Non c’era bisogno di chiedergliene il motivo.

– Casa è dove è il cuore, giusto? – mormorò Regan, ricordando quanto lui stesso le aveva detto tempo prima.

Lucius le piaceva, forse in modo più spiccato del dovuto, e per un certo periodo si era quasi illusa di poter avere qualche speranza. Poi aveva conosciuto la vera ragione per la quale lui considerava Norden – e Kauneus, nella fattispecie – la propria casa, e non le era rimasto altro che la rassegnazione.

– Mi dispiace di essere stato così assente ultimamente – riprese lui, ignorando il suo commento. – Ho lavorato gomito a gomito con il Coordinatore Blackthorne per un po’ ed è stato un periodo tutt’altro che gradevole. –

– Gomito a gomito tu e Blackthorne? – fece Regan, scettica. Lo sapevano anche i sassi che quei due non si potevano sopportare l’un l’altro. – E siete entrambi ancora interi? –

– Interi non è esattamente la parola giusta, ma siamo sopravvissuti. Era il solo modo che avessi per indagare senza dare nell’occhio su una questione importante. –

– Parli del furto nella miniera di Cristallo Eterno? –

Lucius aprì la bocca per la sorpresa.

– E tu che ne sai di quel furto? –

– Non molto – replicò lei, soddisfatta di aver attirato la sua attenzione. – Me ne ha accennato Shin. Credevo fosse stato commissionato da qualche banda di Ladri di Anime. –

Lucius la fissò, evidentemente colpito, poi le diede un pizzicotto sul naso.

– Molto bene, cerbiattina, dopotutto non sei svampita come sembri a volte. Ma non credo ci siano dei Ladri di Anime dietro, e non lo crede nemmeno la Lega. I cristalli che usano loro sono molto piccoli e quelli che sono stati trafugati invece erano piuttosto grossi di dimensione. –

– Li vogliono polverizzare e usarli per forgiare delle armi di Vetro Eterno? – ipotizzò lei.

– Ci vogliono artigiani molto esperti per plasmare il Vetro Eterno, maestri di una tecnica che solo pochi eletti posso apprendere. Non puoi andare al mercato e chiedere al Mastro Vetraio. – Parve ragionarci sopra ancora un po’, fino a che, sorridendo, non si riscosse. – Mi stai facendo parlare di cose di cui non dovrei discutere, con te. –

La leggera nota di rimprovero non disturbò affatto Regan. Era abituata ad essere stuzzicata e presa in giro da lui, per cui glissò elegantemente e prese Lucius sottobraccio.

Stavano passando vicino alle serre, all’interno delle quali l’aria rarefatta sfocava i contorni di fiori dai colori fulgidi e grandi foglie smeraldine. C’erano un paio di cesoie appese alla maniglia interna della porta di vetro e, poco lontano, qualche cespuglio di rododendri rosa e viola era stato depredato.

– Insomma, mi vuoi dire la vera ragione della tua miracolosa ricomparsa? –

La primavera conservava qualche sfumatura ghiacciata nell’odore del suo vento placido, che però già parlava di fioriture rigogliose a prati tornati al pieno del loro splendore dopo aver dismesso i severi manti di neve invernali. Il cielo era dello stesso azzurro degli occhi pensosi di Lucius.

– Diciamo che presto ti farò evadere un po’ dalla noia domestica. –

Lei lo guardò con aria interrogativa.

– Te ne parlerò a tempo debito. Per adesso preoccupati del tuo imminente incontro con la società e tutti suoi smorfiosi membri ficcanaso. –

Il solo pensiero faceva venire a Regan la pelle d’oca, ma non si scompose.

– Sono già stata ad altre feste, ricordi? –

– Ma prima eri solo una ragazzina qualsiasi. Ora invece sei Lady Regan Edelberg, figlia di due casate storicamente rivali, senza contare il colore insolito dei tuoi capelli. Fidati di me: sarai letteralmente assediata. –

Lei sbuffò.

– Che notizia magnifica. –

– E non dimenticare che conoscerai i tuoi nonni, la sera del ballo. –

– Cosa? – Regan sgranò gli occhi allarmata. – Così presto? Ma io… –

Lucius la zittì chiudendole la bocca con un dito.

– Rifletti, è la cosa migliore: sarà molto più semplice incontrarli in mezzo a un gran folla piuttosto che in un intimo salotto privato. Potranno parlare con te liberamente e al tempo stesso tutti noi potremo tenerti d’occhio e, all’occorrenza, venirti in aiuto. –

– Se voialtri voleste aiutarmi, mi risparmiereste tutto questo. –

– A te piace stare in compagnia. –

– Come faccio a godere della compagnia di qualcuno se devo fingere di essere una gentildonna mentre sono bardata come un cavallo da parata? –

Lucius scoppiò a ridere. Due leggere fossette apparvero ai lati della sua bocca e i suoi occhi si assottigliarono in due mezzelune scintillanti.

– Paragone efficace, lo devo ammettere! –

– Quelle sono cose per Anneli, non per me – borbottò Regan senza starlo a sentire. Stava per salire i gradini di marmo del gazebo lì accanto, ma lui le afferrò il mento e la fece voltare. Il celeste dei suoi occhi era tutt’uno con il cielo.

– Quanto poco devi conoscere tua cugina per affermare qualcosa del genere? –

La sua voce, un sussurro di insolita serietà, le suscitò un formicolio dietro la nuca. Regan lo maledisse per l’incuranza che costantemente mostrava in gesti e parole che rivolgeva a lei, pieni di tenerezze troppo ambigue per non ferire là dove la speranza lasciava debolezza in uno scudo già fin troppo sottile.

– Ho detto fingere – ribatté, più fredda del necessario, strappandosi a lui. – E non puoi negare che lei sia molto più brava di me a farlo. –

Ma lui non perse la sua leggerezza di spirito. Era difficile farlo arrabbiare, scalfire anche solo di un poco la sua invulnerabile corazza.

– Devi imparare a moderare questa tua causticità, o non troverai mai marito. –

– Non ti ci mettere anche tu, adesso! –

– Comunque tu limitati a comportarti bene e, se farai la brava, ti prometto che ti ricompenserò. –

Regan sedette su uno dei gradini del gazebo e si lasciò studiare per qualche secondo fingendo di non accorgersene. Quando finalmente Lucius guardò altrove, fu lei a studiare lui. Il suo sguardo verso l’orizzonte era distante, proteso verso pensieri a cui lei non avrebbe mai avuto accesso.

– Quindi al ballo ci sarai anche tu? –

– Naturalmente. –

Lei sorrise sarcasticamente fra sé.

Non ne dubitavo.

Si alzò, mossa da un istinto improvviso, si rassettò la gonna e scese i pochi gradini che la separavano dal sentiero.

– Forse è meglio rientrare. Mi devo preparare per il the da zia Persefone. –

Era il rituale di ogni domenica pomeriggio, e se all’inizio Regan aveva temuto che a lungo andare se ne sarebbe annoiata, adesso, con qualche piccolo incentivo, il sorprendente estro della zia le aveva fatto cambiare idea.

Lucius rimase semplicemente incredulo.

– Mi stai dicendo che, tra me e un the, sceglieresti un the? –

Regan, che già si stava avviando nella direzione opposta, si volse indietro con un’espressione perfettamente neutra:

– La cosa ti disturba? –

Non aspettò che Lucius riuscisse a trovare una risposta.

 

 

Lezioni di buone maniere: era questo che la famiglia dava per scontato che lei facesse con Persefone, benché nessuna delle due lo aveva mai dichiarato esplicitamente. Lo avevano semplicemente presunto nel notare i miglioramenti nella postura e nel portamento della nipote.

Lady Persefone Westert era Coordinatore della Terra di Brenner e questo faceva di lei una delle personalità più influenti delle Sette Terre. Regan sognava di diventare come lei, un giorno: bella e indipendente, sicura di sé, con una vita appagante e completa e un marito devoto accanto. Peccato solo che ciascuna voce di quella lista, per il momento, le sembrasse del tutto utopistica.

– Sei distratta. –

La voce musicale di Persefone risuonò nel corridoio fino a perdersi nella sua lunghezza. Regan si abbandonò a un lungo sospiro di frustrazione.

– Mi dispiace. Non so cosa mi prenda. –

Si tamponò la fronte con una manica della camiciola mentre con l’altro braccio riabbassava la spada, quella che un tempo era appartenuta ad Anneli.

Persefone, la cui spada puntava direttamente al cuore della nipote, rilassò la posa e sorrise.

– Penso che per oggi possa bastare. –

Si trovavano in un corridoio di servizio, inutilizzato persino dalla servitù. Ampio e lontano da occhi e orecchie indiscreti, era stato eletto teatro ideale dei loro allenamenti segreti. Uno die tanti motivi per cui Regan adorava la giovane zia era che, a differenza di Tristan, lei capiva i suoi disagi e le sue paure e cercava sempre un modo per farla sentire meglio. In effetti, anche se non poteva dirsi esattamente brava, Regan aveva imparato in fretta a cavarsela con le armi, scoprendosi anche particolarmente portata per l’uso dei pugnali, che maneggiava con molta più confidenza delle spade.

Persefone si complimentava spesso con lei per i suoi progressi e di tanto in tanto insisteva ad allenarla anche all’uso dei suoi poteri, cosa che puntualmente si rivelava un perdita di tempo. Per qualche motivo, a Regan riusciva quasi impossibile entrare in contatto con le proprie forze interiori e capire come manovrarle. Il che era una vera scocciatura, visto che a chiunque altro sembrava riuscire così naturale, ma secondo pareri autorevoli la causa di questa difficoltà veniva dall’altro potere che lei custodiva, così ben sigillato in lei che aveva finito per bloccare anche tutto il resto.

Abbandonarono il corridoio e si trasferirono in una saletta attigua a cambiarsi, poi salirono agli appartamenti privati di Persefone per la merenda. Trovarono già tutto apparecchiato e Yalin, la cameriera personale della zia, le stava aspettando assieme ai bambini.

Hemel era una piccola bambola, rosea e perfetta come la madre, e stava giocando sul soffice tappeto di fronte all’ampia finestra che dava sulla terrazza. Il suo fratellino Shedar, ancora troppo piccolo per prendere parte ai suoi giochi, succhiava un lembo di coperta nella sua culla. Era incredibile quanto fosse cresciuto. Somigliava in tutto e per tutto al padre, tranne che in un particolare: come tutti coloro che avevano sangue Edelberg nelle vene, aveva gli occhi neri come l’ossidiana.

Tutti, tranne me, non poté evitare di pensare Regan, non senza una punta di dispiacere. Era una sciocchezza, ma in qualche modo la faceva sentire come se ci fosse una sottilissima linea che la separava dal resto della famiglia, come se fosse rimasta esclusa da un dono che accomunava tutti gli altri.

Yalin servì il the e, come di consueto, si congedò.

– Sei nervosa per il tuo debutto – osservò Persefone, deponendo nel piattino di Regan un paio di grassi pasticcini glassati di rosa che lei non aveva nessuna voglia di mangiare. – Mandali giù con un po’ di the – la spronò la zia, leggendo senza alcuna difficoltà la sua espressione. – Hai bisogno di energia. E comunque non è il caso di stare in ansia. –

– Non sono in ansia – precisò Regan, punzecchiando con la forchetta la cima di un pasticcino. – Sono arrabbiata. –

– Perché sei arrabbiata? – le chiese Hemel, avvicinatasi per reclamare qualche leccornia.

Un cenno di Persefone accordò a Regan il permesso di porgerle un bignè al limone.

– Perché a nessuno interessa quello che penso io. –

Un’occhiata severa da parte della zia la fece pentire di aver parlato.

– Scusami. Il fatto è che… –

Hemel si avvicinò alla madre e si fece prendere sulle sue ginocchia. Persefone le versò del the e lo raffreddò con un goccio di latte.

– Il fatto è che, anche se in apparenza sei identica ad Aranel, sei una Edelberg: ribelle, cocciuta, orgogliosa, e ben poco incline a piegarti a qualsivoglia tipo di sottomissione. –

Stranamente, non suonava affatto come un rimprovero. C’era anzi un accenno di orgoglio in quelle parole, nell’aria vagamente colpevole che Persefone assunse subito dopo. Forse fu per quello che aggiunse:

– Che tu lo creda o meno, so come ti senti in questo momento, Regan. Non riesci a sentirti te stessa nei panni che sei costretta a vestire. Ti senti soffocare nella tua stessa immagine e vorresti solo cancellare tutto quello che sei e riscriverti daccapo. –

Regan la fissava immobile, gli occhi sgranati. La zia le sorrise mentre accarezzava i capelli della bambina.

– Se vuoi essere quella che senti di essere davvero, dovrai guadagnartene la possibilità. Mio padre mi concesse il permesso di frequentare la Domus Aurea solo perché fin da piccola mi ero impegnata a imparare tutto ciò che una fanciulla di buona famiglia dovrebbe sapere: arte, musica, letteratura, danza, buone maniere… sapevo persino cucire e ricamare, all’epoca, benché ora io abbia perso ogni abilità. – Una breve risata alleggerì i toni del discorso. – Tristan non ti negherà di seguire le tue inclinazioni, entro i limiti della rispettabilità, e se dovesse farlo, ti prometto che metterò in gioco tutta la mia influenza per persuaderlo, ma tu prima devi dimostrargli di essere degna di un tale premio. –

– E se io dovessi morire domani e non avere mai la possibilità di essere come vorrei? –

– Suvvia, che sciocchezza. Nessuno di noi permetterà mai che ti accada qualcosa. –

– Ma quello che sono… –

– Sei una ragazza come tutte le altre e come tale noi tutti ti consideriamo. – Regan non aveva mai sentito la giovane zia così secca e categorica. – Nascondi un segreto e non credere che chi ne è a conoscenza faccia semplicemente finta di niente. Sono convinta che esista un modo per separare la tua essenza da quel nucleo estraneo che risiede in te, ma fino a che non lo avremo scoperto, puoi star certa che nessuno ti dispenserà dall’assolvere i quotidiani doveri di una fanciulla per bene della tua età. –

A quel punto Regan non poté trattenere un minuscolo sorriso rincuorato.

– Quando parli così sei identica allo zio Tristan. –

Non era esattamente un complimento, ma fece comunque sorridere Persefone.

– Il bello di essere la sorella minore è che hai tutto il tempo per apprendere dai fratelli maggiori ogni miglior pregio e ogni peggior difetto. Tristan mi ha insegnato ad affrontare le cose sempre a testa alta, con dignità e orgoglio. Tuo padre, al contrario, mi ha trasmesso il valore della libertà, e probabilmente se non fosse stato per lui ora non sarei dove sono adesso, e sicuramente non altrettanto felice. Ma noto con piacere che a te non mancano né l’orgoglio, né la dignità. –

Regan consumò i suoi pasticcini in silenzio, servendosene un altro paio senza quasi rendersene conto. Quando ebbe posato la sua seconda tazza di the, svuotata fino all’ultima goccia, la zia la stava scrutando pensosa, le mani intrecciate sotto al mento in quel suo tipico modo da ragazzina che la distaccava così tanto dal solenne ruolo di Coordinatore che vestiva in pubblico.

– Che c’è? –

– Pensavo all’Equinozio di Primavera. –

– Non ci stavo pensando da quasi cinque minuti… grazie per avermelo rammentato. –

L’aria assorta di Persefone evaporò per lasciare spazio a un sorrisetto sornione.

– Ho una cosa che cambierà il tuo modo di vedere la serata. Un regalo che sarà il nostro piccolo segreto. –

Si alzò, lasciò che Hemel tornasse ai suoi giochi e scomparve oltre la porta, ritornando poco dopo con una scatola di legno consumato, lunga e piatta, chiusa da un chiavistello annerito. La porse a Regan e la invitò ad aprirla. Lei obbedì e quando ebbe sollevato il coperchio fittamente intarsiato, i suoi occhi brillarono.

Erano daghe. Due daghe gemelle, una nera e una bianca, lunghe quasi quanto un suo avambraccio e adagiate su un drappo di velluto rosso che ne risaltava la bellezza in ogni minimo dettaglio. L’elsa era sottile, fatta di spire avvolte su sé stesse dalla finissima guardia crociata fino al pomolo, su cui erano incastonati due diversi simboli su ciascuna delle due armi: un sole dorato stilizzato ornava infatti la daga bianca, mentre su quella nera risplendeva una falce di luna d’argento.

Regan le prese in mano e le studiò da vicino. Il filo era tagliente come un rasoio e poco ci mancò che saggiandolo non si ferisse un dito.

Non erano semplici lame. Erano due piccole opere d’arte.

– Valo e Varjo – disse Persefone, indicando ora la lama bianca, ora quella nera. – Vetro Eterno forgiato nelle fucine reali di Hazar più di mezzo millennio fa. Le ho avute in dono da mio nonno quando entrai nella Lega. Sono state per me delle compagne infallibili. Ora è tempo che servano una nuova Edelberg. –

Regan non era sicura di aver capito. Era davvero possibile che la zia stesse donando quelle daghe a lei? Si sentiva vergognosamente prossima alla commozione, soprattutto perché non riteneva di meritare un regalo così prezioso.

– Non so cosa dire… sono meravigliose. Ma non riuscirò a portarle con me molto spesso, visti gli abiti che sono costretta a indossare. –

Proprio come se avesse previsto quell’obiezione, Persefone si sporse in avanti e scostò il drappo rosso sul fondo della custodia: da sotto di esso fecero capolino dei lacci di cuoio nero tenuti insieme da piccole borchie metalliche.

– Credi che io giri disarmata solo perché i miei abiti sono un po’ scomodi? –

Regan sollevò interrogativamente lo sguardo e vide che la zia stava sorridendo senza sforzarsi di celare una nota di malizia.

– Ora viene la parte che preferirai. –

 

   
 
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