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Autore: GabrielleWinchester    14/06/2014    16 recensioni
Nike è una ragazza all'apparenza normale, in realtà è un agente operativo della Nightingale of Darkness, un'agenzia molto particolare. Avete presente la favola della Sirenetta? Ariel che decide di sacrificare la sua voce per conquistare il suo principe azzurro? Una cosa simile, tranne che lei lo ha fatto perchè vuole uccidere il principe azzurro.
Tuttavia ha fatto un'eccezione per una persona, solo per vedere il suo sorriso, combattendo contro la sua migliore amica. Ma non ditele che lo ama, potrebbe arrabbiarsi.
Buona lettura.
Genere: Angst, Slice of life, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'La saga delle Nightingale of Darkness'
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Buonasera a tutti,
ecco a voi di nuovo "Charming Prince doesn't exist: he's dead", rivisitata ed ampliata, sperando che possa piacere ed incuriosirvi, cercando come sempre di fare del proprio meglio. Chiedo umilmente scusa se ci sono errori all'interno del racconto e con l'avvertenza che il linguaggio utilizzato dai personaggi è un pò crudo e che l'agenzia delle Nightingale of Darkness è un'agenzia che non risponde alle leggi della morale e che ci sono scene abbastanza forti, trattando anche argomenti molto delicati. Mi sento in dovere di avvertire! Ringrazio tutti coloro che la leggono e la leggeranno, tutti coloro che la recensiscono e la recensiranno, tutti coloro che la mettono e la metteranno nelle seguite/ricordate/preferite/ e da recensire e tutti coloro che mi hanno messo e mi metteranno come propria autrice preferita :-) Buona lettura :-) Gabrielle :-)

 
Charming Prince doesn’t exist: he’s dead

“Con te partirò,
Su mari, per mari,
che io non ho veduto e vissuto con te,
adesso sì li vivrò…”
“Senti, Andrea Bocelli dei cappuccini e delle brioche” urlò Andrea, l’addetto alla piccola pasticceria, smettendo di stendere la pastafrolla con il mattarello per la nuova infornata di biscotti “Muovi quel culo e vai a servire nella saletta. I clienti aspettano, hanno già pagato e sinceramente non hanno tempo da perdere. Abbiamo parecchie ordinazioni”
 “Ti sei svegliato dal lato sbagliato del letto, Andrea?” ridacchiò il barista, facendogli una linguaccia “ Oggi sono felice e quindi canto. Ieri ho fatto la proposta a Valentina, davanti a un mazzo di rose rosse. Inutile dire che mi ha detto di sì”
 La cassiera smise subito di emettere uno scontrino a un cliente e s’interessò al discorso, da appassionata qual era di telenovelas spagnole “Finalmente Luca! A quando il lieto evento?”
Lo vidi mentre si passava una mano sulla mascella, sorridendo sornione ed annunciare “Perché rovinare la sorpresa? I clienti aspettano”
E detto questo sparì a servire ai tavoli. Girai distrattamente il cappuccino con il cucchiaino, guardandomi intorno, sperando di restare calma. La notte precedente era stata molto impegnativa, avevo fatto strage di uomini e adesso dovevo fare calmare le acque, giacché non era conveniente né per me né per l’agenzia dove lavoravo il troppo clamore. La segretezza valeva prima di tutto e anche se poteva vacillare, io e gli altri credevamo che fosse meglio non sfidare troppo la buona sorte. Quella stessa buona sorte che veniva rappresentata calva dietro e con i capelli davanti, a testimonianza di quanto fosse fuggevole. I carabinieri e la polizia ci conoscevano appieno, avevano interpellato i migliori profiler per tracciare il nostro profilo psicologico, iniziato e avviato collaborazioni con le forze armate di tutto il mondo, io e molti miei colleghi eravamo stati catturati e portati in prigione, sottoposti ai più duri interrogatori, ma alla fine uscivamo sempre e sotto cauzione, le prove della nostra colpevolezza misteriosamente scomparse, quasi come se gli omicidi effettuati non fossero mai avvenuti. I militari odiavano la nostra fortuna sfacciata e volevano smantellare la nostra organizzazione, definita “un covo di psicopatici che uccidevano per motivi futili”, non riuscendo a realizzare il loro sogno, una chimera raggiungibile solo per pochissimi istanti, in quanto li anticipavamo nelle mosse grazie a cimici, le quali nascondevamo all’interno delle loro caserme e centri operativi. Quando si trovavano a pochi passi dall’agenzia, noi eravamo lontani e alla ricerca di un nuovo posto, dove ricreare la base operativa. I nostri motivi potevano essere futili e senza senso, ma per i nostri clienti era una questione di onore, il quale può essere accettato o meno. Si sentivano offesi e umiliati nell’animo e nel cuore e quindi ci interpellavano, credendo e sperando di trovare nel nostro lavoro, un motivo per andare avanti. Certo ci occupavamo anche di stupratori (indipendentemente che fossero uomini o donne, chi stuprava una persona, incorreva nella nostra giustizia), pedofili, la tratta di esseri umani e altre nefandezze che si potevano commettere, anzi eravamo nati come agenzia per uccidere queste persone (anzi oserei chiamarle esseri), ma la nostra missione principale consisteva nell’uccidere i principi azzurri. Quei principi azzurri che ti promettevano mari e monti, che facevano i carini e gli splendenti con moine e poi scaricavano le donne come se nulla fosse stato, al pari di un orso di peluche troppo utilizzato.  Oppure quei principi azzurri che ti facevano credere di corteggiarti, per quei ragazzi per cui ti facevi dei filmini mentali, per poi scoprire amaramente che erano fidanzati e che ti eri fatta illusioni per niente. Erano due tipi di principi azzurri diversi, ma entrambi potevano essere al centro delle nostre spedizioni punitive. Talvolta lasciavamo i principi azzurri vivi, pieni di timore, minacciandoli di comportarsi bene e di non illudere nessuno. Uccidere troppi principi azzurri avrebbe significato lasciare troppe tracce, dovevamo stare attenti, se no non ci sarebbero stati più ragazzi in giro. Eravamo mercenari, gente senza scrupoli, esseri animati solo dalla vendetta, ma alcune volte odiavamo il nostro lavoro, rendendoci conto della vita che toglievamo con la nostra katana, altre volte lo ringraziavamo, in quanto ci permetteva di eliminare parecchia feccia dalla faccia della Terra. Eravamo la contraddizione ai massimi livelli. Eravamo esseri morali e amorali, degni solo del più profondo dell’Inferno, forse neanche l’Inferno ci avrebbe voluto con sé. L’agenzia andava avanti grazie ai soldi dei mandanti degli omicidi, in quanto un ente benefico non avrebbe mai aiutato la Nightingale of Darkness, ecco come si chiamava l’agenzia dove lavoravamo. Nightingale come gli usignoli che cantavano e affascinavano, Darkness come l’oscurità che inghiottiva tutto con la sua sublimità. Un signore misterioso pagava per la nostra missione e ci tirava fuori di prigione, laddove un Carabiniere o un Poliziotto riusciva a metterci le manette ai polsi e ci gettava in una cella, contenti di aver catturato un membro della Nightingale. Nessuno conosceva il suo vero nome, nessuno lo aveva visto in faccia, tutto quello che potrei dire, era che era stato il primo cliente che ci aveva chiesto aiuto per il principe azzurro, dopo avere trovato la figlia diciottenne uccisa in un canale, nella mano destra stringeva una rosa bianca macchiata di rosso, quello stesso fiore donato dal suo principe azzurro.
Una ragazza troppo giovane per morire.
Quel principe azzurro che le aveva promesso mari e monti per poi scaricarla, neanche se fosse stata un misero pacco postale. La ragazza si era impiccata a un albero, il collo spezzato e violaceo, gli occhi rossi e pieni di lacrime, un piccolo accenno di pancia, a testimonianza che era gravida. Il padre l’aveva trovata così, quasi per caso, mentre andava a recuperare il cane, il quale si era liberato dal guinzaglio. L’urlo che si era sentito, bè era stato udito anche a molti chilometri di distanza, il dolore di un padre che aveva visto la morte della sua piccola. I paramedici lo avevano portato all’ospedale in preda a un collasso nervoso, dovendo applicare il trattamento sanitario obbligatorio, in quanto stava diventando pericoloso per sé stesso. I militari lo avevano lasciato in pace, chiudendo gli occhi a quello splendido angelo che era stato scottato dal fuoco dell’amore, un amore dalle ali da angelo e le unghie da demone. Ricordavo benissimo il momento in cui questo signore aveva suonato all’agenzia, faceva caldo, addirittura il metereologo alla televisione aveva annunciato la giornata più calda degli ultimi secoli. Io ero lì solo da pochissimi giorni, ero solo una novizia. La nostra dirigente, la defunta Callisto Melapteros aveva aperto la porta, guardando dallo spioncino, per poi trovarsi davanti un uomo con il cappuccio.
“Siete voi, Callisto Melapteros?”
Callisto lo aveva fissato con sufficienza, non togliendo il catenaccio che bloccava la porta. I suoi occhi neri lo scrutarono attentamente, cercando di capire cosa volesse quell’uomo con il cappuccio, molto prima che lui potesse parlare. Ma non ci riuscì. Il mio sospetto fu che fosse un militare, uno abituato a non far trasparire nulla, a meno che non fosse strettamente necessario.
Il mio sospetto trovò fondamento quando vidi una stelletta sul bavero della camicia.
“Può darsi che sono io. Che cosa volete?”
“Sono venuto a chiedervi il vostro aiuto. Sono venuto a chiedere l’aiuto alle Nightingale of Darkness”
“Entri”
Lo aveva fatto accomodare all’interno della saletta, una stanza decorata con tende di damasco e divanetti di seta viola. Viola come l’unione del blu, il momento in cui cacciavamo, rosso come il sangue che versavamo. Callisto gli aveva offerto un bicchiere di vino bianco frizzante e lo aveva guardato. L’uomo non si era mai tolto il cappuccio.
“Può togliersi il cappuccio. Nessuno la riprenderà”
“La devo dissentire. Preferisco tenere il cappuccio e nascondere il mio vero nome”
“Per quale motivo volete il nostro aiuto?”
“Sono venuto a chiedere aiuto per cacciare un principe azzurro. Un principe azzurro che ha tradito mia figlia e l’ha spinta al suicidio”
La dirigente era scoppiata a ridere “I principi azzurri esistono solo nelle fiabe. Non fanno del male”
Sobbalzai quando lo vidi sbattere sul tavolo di ardesia una foto. La foto della sua figlia morta. L’immagine aveva sconvolto me e Callisto e l’uomo chiese “Mi aiuterete?”
“La Nightingale of Darkness non ha mai ucciso un principe azzurro…”.
“Da oggi lo farà. Non appena un ragazzo comincia a fare il principe azzurro, non esitate a ucciderlo. Anche quando il suo sangue macchierà la vostra anima. Nessuno merita di essere ferito o illuso in amore. Non esitate, neanche quando vi sembrano innocenti. La persona più innocente non aspetta altro che l’occasione per illudere ancora una volta e magari raggiungere il suo scopo”
“Lei non ci può minacciare…”
“Cara Callisto Melapteros lei non mi conosce e forse è meglio così. Io sono una persona molto influente e potrei smantellare questa organizzazione in men che non si dica. Anche se uccidete stupratori, pedofili, mercanti di schiavi umani, siete sempre degli assassini e l’opinione pubblica non sarà contenta della vostra presenza. Sarete portati nelle prigioni e passerete il resto lì, a marcire. Da questo momento voi caccerete i principi azzurri, oppure io vi do in pasto alla stampa e la Nightingale of Darkness sarà distrutta per sempre. Ricordate che se vi troverete in pericolo, insomma potrete contare su di me”
Dopo aveva lasciato un sacco di soldi. Un milione di euro. Troppi soldi per rinunciare. Sapendo che eravamo a un passo dall’essere gettati nel girone degli assassini.
In quel preciso istante cominciammo a cacciare i principi azzurri. Cominciando a diventare mercenari, laddove prima eravamo cavalieri oscuri con l’intenzione di fare del bene.
Mi ripresi dal mio momento di distrazione e continuai a bere il cappuccino, adorando il sapore del cioccolato, così dolce e amaro insieme, uno stuzzicante ossimoro. Ero stata anche io vittima del cosiddetto “principe azzurro”, un essere innominabile che mi aveva lasciato più morta che viva, la mia bambina di cinque anni a terra con la testa spaccata e gli occhi vacui, occhi che ormai fissavano il vuoto. Ero andata a denunciare, mi promisero che avrebbero fatto il possibile, rendendomi conto che sarei stata sola e basta a cercare. Poi avevo scoperto l’esistenza della Nightingale of Darkness, tramite un giro di amicizie, una mia vecchia amica aveva ingaggiato una Nightingale per fargliela pagare al pedofilo che aveva sedotto e ucciso suo nipote.
Ricordavo il momento in cui avevo bussato alla porta dell’agenzia. Erano passati sei anni.
Avevo diciotto anni e tanta innocenza. Ora avevo ventiquattro anni ed ero disillusa. E avevo ucciso il mio “principe azzurro”, senza nessun ripensamento, un movimento fluido che aveva posto fine alla sua miserabile vita. Di notte sognavo il momento della sua uccisione, l’istante in cui gli avevo tolto la vita, il suo “Perdonami”, la mia faccia imperturbabile.
“Ciao Nike”
Sorrisi apertamente, un sorriso che aveva numerose sfaccettature, tra il sono contenta e il vorrei che tu fossi morto. Fortunatamente in quel giorno ero tranquilla, dovevo fingere di essere una ragazza di ventiquattro anni, timida e riservata, niente di più facile. Gli uomini adoravano questo tipo di donne, in quanto sembravano tanto docili e mansuete e dopo ti riservavano non poche sorprese. Per essere un’assassina, dovevo indossare la maschera della convenzione, quella maschera che mi permetteva di non destare sospetti.
“Ciao Peppe”
Il mio pensiero passò dal mio cervello alla bocca, facendomi parlare. Perché io non parlavo, la mia voce erano i miei pensieri che gli altri potevano sentire. Ero muta, una condizione dovuta non a incidente fisico, trauma psicologico o malattia genetica, niente di tutto questo. Avevo fatto un patto con un angelo demoniaco, un angelo che aveva dentro di sé l’essenza del Paradiso e dell’Inferno, un essere soprannaturale che decideva di sua iniziativa se aiutare in senso buono o cattivo chi lo evocava. Sinceramente non avrei saputo collocare la mia scelta tra quelle buone o cattive. Avevo rinunciato alla mia voce fisica, al pari di Ariel nella favola della Sirenetta, tranne che io non volevo conquistare il principe azzurro, ma lo volevo uccidere. Credevo che, perdendo la mia voce fisica, potessi essere immune al fascino dei principi azzurri, una motivazione che i miei colleghi avevano giudicato sciocca e ridicola, per meglio dire infantile. Per me non lo era affatto. Avevo chiesto all’angelo di modificare il mio timbro di voce da musicale ad aspro e decidere io se far sentire la mia voce “mentale”. Non avevo rinunciato a comunicare con gli altri.
Avrei potuto imparare a utilizzare il linguaggio dei gesti per farmi capire, poi ci avevo rinunciato, in quanto non sarei stata in grado di utilizzarlo a causa della mia scarsa pazienza, un’impazienza che a volte mi aveva fatto uccidere. Alcuni principi azzurri non erano così sprovveduti come dicevano di essere e molto spesso ero stata costretta a chiamare i rinforzi. Alcuni erano dei veri e propri stronzi.
C’erano le eccezioni, tuttavia.
La mia eccezione era a casa.
Il mio angelo demoniaco di nome Desyx mi aveva avvertito che, in caso di innamoramento, la voce sarebbe ritornata! Addirittura sarebbe ritornata la mia voce musicale, quella stessa voce che mi aveva fatto vincere un concorso canoro come mezzosoprano. Ma non c’era questo pericolo, l’unica persona che amavo al mondo era mia figlia di sei anni di nome Clio, il frutto dello stupro del “principe azzurro”, una bambina dai capelli rossi e gli occhi azzurri, un naso pieno di efelidi e la gioia contagiosa. Era lei che amavo di più, lei a cui avevo messo un nome di una Musa, nessun uomo mi avrebbe messo le briglie, nessuno!
Né un principe azzurro buono né un principe azzurro cattivo.
Poi bruscamente fui interrotta da Peppe, il barista del locale, un uomo dai baffetti e una risata contagiosa. Un tipo molto alla mano e anche molto innamorato della moglie, non un principe azzurro, ma un cavaliere ed io ero fiera di lui. Magari ci fossero stati più uomini come lui! Uomini che sapevano come rispettare una donna.
“Come stai?”
“Abbastanza bene” risposi giocherellando con una bustina di zucchero di canna e sbadigliando “Sono solo un po’ stanca. Ho trascorso una notte terribile, non ho chiuso occhio ”
In quel momento vidi entrare Luca, tutto splendente, il quale non perse tempo a farmi i complimenti. Se solo avesse saputo per cosa ero entrata nel bar...
“Ehi Nike! Oggi sei stupenda, ma cosa hai fatto?”
Attento Luca, potresti assaggiare il freddo della mia lama e non ti converrebbe…
“Ho solo preso un giorno libero. Qualche volta anche gli invincibili devono riposare, tu che dici?”
“Lavori sempre lì?”
Per loro intendevano l’agenzia matrimoniale, laddove lavoravo, almeno io gli avevo fatto credere così. Certamente non potevo dire di essere un agente delle Nightingale of Darkness.
“No” affermai, bevendo l’ultimo sorso di cappuccino e fissando Luca, il quale abbassò lo sguardo di fronte al mio determinato “Mi sono messa in proprio”.
Peppe lasciò quello che stava facendo, ovvero cercare di non impazzire con il frullatore rotto e mi domandò incuriosito “In che cosa ti sei specializzata?”
“In caccia” risposi sorniona, lasciando galleggiare quella parola come se fosse nebbia, “Sono specializzata nella caccia”.
“E che cosa cacceresti? Uomini? Ti ci vedo proprio a cacciare uomini per donne troppo impegnate” ridacchiò Luca, facendo imbarazzare alcune ragazze accanto a me, le quali non erano indifferenti al suo fascino. Le potei distintamente sentirle ridacchiare “Ha ridacchiato. Stanotte lo sognerò”
“Hai indovinato” confermai, lasciando qualche moneta sul bancone come mancia “A buon rendere ragazzi. Buon lavoro” mi voltai e feci un sorriso enorme ad Luca “Ci vediamo domani, se domani sarai ancora vivo”
Ma questo pensiero me lo tenni per me. Salii in un auto blindata che mi stava aspettando, diretta al mio rifugio.
Diretta all’agenzia. Almeno fu questo che feci credere.
                                                                     *
 “Chi è?”
“Lui”
La mia collega di lavoro Eris si sporse a vedere dal finestrino e fischiò “Ammazza quanto è bello”.
Mi misi una mano sulla faccia, scuotendo la testa. Non c’era niente da fare, anche lei non era rimasta immune al fascino di Luca. Se io avevo i capelli rossi e gli occhi castani, la mia amica aveva lunghi capelli color biondo grano e occhi grigi. Mi sporsi anche io a vederlo e non potei fare a meno di apprezzarlo anche dietro, era un bel ragazzo, non c’era niente da fare o da dire, forse era lo sguardo, la leggera barbetta, il sorrisetto impertinente da persona bella ed impossibile. Era il classico principe azzurro, un ragazzo per cui ogni ragazza avrebbe sbavato e avrebbe fatto qualunque cosa per compiacerlo. Per Ade che giocava a nascondino! Dovevamo ucciderlo, non rendercelo amico! A commissionarci l’omicidio era stata una ragazza, figlia di un ricco magnate della finanza, la quale ci aveva spiegato la sua cotta per lui, il suo chiamarla con un nomignolo particolare, innumerevoli battute a doppio senso, fino alla scoperta che era fidanzato e che aveva speso tempo e pazienza per un uomo che non l’amava e non l’avrebbe amata mai. La classica ragazza con l’onore spezzato o meglio disintegrato.
Ci aveva offerto cinquantamila euro per ucciderlo. Di questi soldi ricevuti, una parte sarebbe andata a me, diventando quindi il mio stipendio, l’altra parte andava all’interno di una cassaforte per le spese dell’agenzia, spese in caso di emergenza.
Con quei soldi potevo comprare qualcosa per la mia bambina. Aspettai che mettesse la vespa in moto e dopo scesi dalla macchina, completamente cambiata. Indossai un corpetto di pelle e un paio di pantaloni neri con le borchie, un completo che metteva in risalto il mio corpo asciutto e abituato alle lunghe camminate. Sulla schiena avevo un lungo fodero, laddove avevo inserito la mia fedele Thanatya, la mia katana, un’arma mortale, come volevo che fosse. Lui non se l’aspettò, anzi lo feci sobbalzare. Vidi Eris seguire la scena dalla macchina curiosa.
“Ehi Nike!”
“Ciao Luca, finito il turno?”
Lui spostò il mezzo a destra e lentamente lo fece scendere dal marciapiede, producendo un leggero scossone. Io rimasi sul marciapiede in attesa di una risposta. Non intendevo essere ignorata, volevo una risposta e la volevo ora. La mia mano afferrò silenziosamente la katana dall’impugnatura e lentamente la estrassi dal fodero. Sentendo il freddo sentore della morte, la calda vita che se ne andava.
 “Già Nike. Adesso devo andare a casa!”
Scesi dal marciapiede e misi un piede sulla ruota anteriore, mandando il motore in folle. Lui cercò di accelerare, la sua faccia da bel ragazzo era deformata dalla rabbia, ma lui cercò di essere gentile “Dannazione Nike, devo andare a casa! Ho lavorato come un mulo e quello che voglio fare ora, è buttarmi sul divano, vedermi un po’ di televisione e stare con la mia ragazza. Per favore, togliti prima che ti fai del male”
Io ridacchiai e dopo mi spostai. Lui mosse la manopola dell’acceleratore, pronto ad andarsene, quando lo fermai “Che cosa mi dici di Sofia?”
“Sofia chi?” girò il motorino e mi guardò negli occhi, uno sguardo color castano scuro, come gli alberi di ebano “Intendi dire la ragazza che viene ogni giorno?”
“No, intendo dire i ballerini del Moulin Rouge, idiota!” esclamai furibonda “Già”.
Lui mi guardò come se avessi bevuto e mi chiese “Allora?”
“Allora ti sei divertito a farle spendere soldi?”
“Mi ha fatto dei regali disinteressati, nulla di che” scosse le spalle in una dimostrazione di superiorità, continuando a far girare la manopola dell’acceleratore “Io non le ho chiesto nulla o promesso nulla”.
“Davvero non gli hai promesso nulla? Non le hai promesso nulla? E allora come mai lei ha speso più di mezzo milione di euro per un abito da sposa? Per un abito che tu hai donato alla tua ragazza Valentina?”
“Senti, Nike, adesso mi hai scassato il cazzo davvero! Ma chi sei? La sua baby-sitter, il suo avvocato o cosa altro? Io adesso devo andare a casa, mi sono stancato di questa discussione inutile!”
Non c’era niente da fare, davvero non c’era niente da fare, non aveva capito nulla o forse faceva finta di non capire. Forse non sapeva che lui aveva illuso una persona ed io ero venuta a fargliela pagare. Gli mostrai la lama della katana e lui impallidì. Sapevo che l’aveva riconosciuta, era la katana delle Nightingale of Darkness, lui era la mia preda. Tra i ragazzi girava la voce di questa katana, una voce che a volte si trasformava nella più perfida delle realtà. Ecco di cosa parlavo quando affermavo che la segretezza a volte vacillava. Sapeva che lo stavo uccidendo e voleva procrastinare l’evento, cercando ogni escamotage possibile. Nessuno voleva morire, neanche il condannato a morte sul patibolo, ci si attaccava alle gonne della vita anche con un’unghia.
 “Nike per favore! Io volevo essere gentile con lei, non parla quasi mai, dannazione io…”
“Scappa” ridacchiai io con un lampo di follia negli occhi “Ti conviene”.
Lui lo fece subito ed io cominciai a correre, lui accelerò, io anche, stavamo rischiando di ammazzarci nel traffico, il quale stranamente era abbastanza caotico per quell’ora. Mi ricordai improvvisamente che c’era stata un’importante manifestazione in città e che era stata invitata una delegazione straniera. Virò a destra, facendo suonare un taxista, il quale imprecò frenando di colpo “Stronzo, ma che cazzo fai?”
“Fuggo dalla Morte” fu la sua risposta.
Poi svoltò in un vicolo cieco e lo raggiunsi. Era in trappola!
“Ti prego, Nike, non ho fatto nulla…”
 Un colpo secco alla gola, lui stramazzò al suolo senza dire una parola, la mia katana sporca di sangue. La ripulì sulla sua camicia verde rame e aspettai l’arrivo di Eris. La Vittoria e la Discordia!
Nessuno ci aveva sentito o visto. Era stata un’esecuzione semplice e pulita. Molto probabilmente la stampa locale avrebbe scritto che era stata una gang locale a ucciderlo.
                                                                            *
“Buongiorno raggio di sole splendente”
Mi stropicciai gli occhi e notai un ragazzo di ventitré anni, capelli tagliati corti e leggera barbetta, in mano un vassoio con un cappuccino all’aroma di cannella e cornetto alla marmellata di ciliegie. Mugugnai qualcosa, inarcai la schiena e gli rivolsi un’occhiataccia.
“Antonio smettila! Se non vuoi essere ucciso, finiscila di chiamarmi raggio di sole splendente. Io sono l’Oscurità!”
Lui posò il vassoio con il cappuccino all’aroma di cannella e borbottò dispiaciuto “Io volevo essere gentile”.
Mi dispiaceva trattarlo in quel modo, ma dovevo. Antonio era il mio fido assistente, lo aveva conosciuto durante una caccia, anzi la mia preda era lui. Avevo ricevuto una commissione da una ragazza disperata, la quale mi aveva ingaggiato solo perché lui non doveva essere di nessun’altra. Lo avevo guardato, la mia mano ferma sul calcio della mia pistola calibro 38, il colpo in canna, determinata e fiera di me. Poi non lo avevo fatto.  Il sentore del caffè e della cioccolata tra di noi. Mi aveva conquistata. Avevo ucciso per molto meno, per motivi più futili, ma con lui avevo perso ogni intenzione di fare del male. Vederlo morire mi faceva stare male e dire che avevo ucciso anche per molto meno. Il fatto che lo avevo risparmiato era rimasto negli annali della Nightingale of Darkness, subendo un serio richiamo disciplinare dalla vecchia Callisto Melapteros, la vecchia dirigente dell’agenzia.  
“Tu sarai la nostra rovina Nike”
“Callisto io non me la sono sentita di ucciderlo. Non chiedermi perché, ma penso che non meriti di morire”
Lei mi diede uno schiaffo potente sulla guancia, lasciando un’impronta e facendomi barcollare “Noi siamo mercenari Nike! Noi dobbiamo seguire gli ordini che ci danno, o meglio le commissioni che ci danno. So che è difficile uccidere uomini, noi stessi siamo esseri umani, possiamo uccidere mille volte e avere i rimorsi di coscienza, ma prima di tutto viene il lavoro. Noi cacciamo i principi azzurri, buoni o cattivi che siano. La clientela chiede e noi eseguiamo. Che cosa penseranno gli altri, non appena sapranno che lui è una preda da te graziata?”
“Lo dirà agli altri?”
“No” affermò lei togliendosi il cerchietto dai capelli neri “Non lo dirò. Lo potrei fare, ma non lo farò. Ti renderei conto da sola dell’immenso errore che hai commesso”
“Grazie Callisto”
“Non ringraziarmi Nike. In realtà non ti ho fatto un favore”
Il giorno dopo Callisto era stata trovata morta con un colpo alla testa e sul muro era stato scritto “Persona graziata all’interno dell’edificio: “ Antonio Oniros ”. Diffondendo così la notizia che Antonio era un principe azzurro ed io lo avevo graziato.
Dovevo sperare per il meglio.
Lui un giorno me lo chiese il perché fosse ancora vivo.
“Perché non mi hai ucciso Nike?”
Io mi agganciai il reggiseno e mi voltai, uno sguardo divertito e arrabbiato nel contempo. Sembrava un cucciolo in quel momento. Se fossi una persona diversa, lo avrei baciato. Ma dovevo mostrarmi dura ed inflessibile.
“Perché tu hai qualcosa di diverso dagli altri uomini. Sei diverso, certo pure tu fai battute ironiche a chi non dovresti, ma sappi che non ti ucciderò”
“Ti sei affezionata a me?”
Io ridacchiai, alzando la cerniera del vestito e sorseggiai un po’il cappuccino “Non dire stronzate Anto! Io non mi sono affezionata a te! Dillo un’altra volta e ti faccio ballare il tango senza piedi”
Ritornai alla realtà e agilmente scesi dal letto, facendolo imbarazzare. Ero solita dormire nuda, con solo un paio di mutandine rosa. Mi accinsi ad andare in bagno e aprii il rubinetto della vasca, aspettando che si riempisse d’acqua e ci versai un po’ di bagnoschiuma allo zenzero. Mi immersi nella vasca e mi rilassai.
Un momento di pace prima di incominciare.
Sobbalzai al suo leggero bussare “Nike, io ho il turno al bar. Torno stasera”
“Sta attento”
“Non farò battute sconce e non illuderò nessuna ragazza, sta tranquilla”.
Rassicurata da quelle parole, mi immersi nelle bolle, lasciando che l’acqua saponata pulisse il sangue che mi aveva sporcato. Odiavo gli uomini che illudevano le donne e si nascondevano dietro la scusa patetica “Dovevo essere gentile!”. Nella mente avevo i flashback di Luca, il quale aveva cercato di sfuggirmi con la vespa e dopo aveva trovato la morte in un vicolo cieco. Avevo brandito la katana e l’avevo mossa in un unico movimento fluido verso la sua gola, facendomi assomigliare a un samurai giapponese.
Di nuovo un leggero bussare.
Che cazzo, non potevo godermi un bagno in santa pace!
“Nike, sei lì?”
“Eris?”
“E chi ti aspettavi? Certo sono io. Posso entrare?”
“Un attimo!”
Uscii dalla vasca seccata e strizzai i miei capelli rossicci dall’accumulo d’acqua e aprii la porta. Eris era già vestita di tutto punto, un corpetto di pelle e pantaloni neri. Sul polpaccio sinistro aveva tatuato un usignolo con una rosa nera, il nostro simbolo. Io ce l’avevo tatuato sulla spalla sinistra ed Antonio lungo il bicipite sinistro. E che bicipite!
“Antonio se ne è andato, non è così?”
“Aveva il turno al bar” risposi io, mentre toglievo i nodi dai capelli, “Non possiamo mica tenerlo prigioniero”.
“Nike, ma che cosa ha quel ragazzo per essere ancora vivo? Non hai avuto ripensamenti nell’uccidere Luca e non uccidi Anto? Tu ti senti affezionata, ammettilo”
“Non mi sono affezionata e non farmi incazzare pure tu. L’ho risparmiato e basta! Quindi non farmi ritornare sull’argomento!”
Eris alzò le mani in segno di resa e dopo chiuse la porta. Una volta sola, guardai lo specchio, uno specchio che il mio angelo demoniaco mi aveva regalato e che faceva vedere chi albergava nel nostro cuore in quel momento. Il motivo per cui l’angelo mi aveva donato lo specchio, bè era stato perché riteneva che dovessi vedere le persone che amavo. Perché anche una persona che uccideva, amava. Una contraddizione bella e buona per una che uccideva l’ideale dell’amore romantico. Il mio specchio faceva vedere solo nebbia e una leggera figura di bambina. Mia figlia Clio. Uscii dal bagno e mi diressi verso la stanza di mia figlia, trovandola a giocare a principessa e cavaliere.
“Mamma”
L’abbracciai, assaporando il suo profumo e dimenticando per un minuto la mia missione “Ciao amore”
Clio posò le bambole, mi fece sedere a terra e mi chiese “Neanche oggi puoi stare con me? Dovrò stare con Hades?”
Hades era il baby-sitter dell’agenzia, colui che si occupava dei bambini dei membri operativi. La persona che cercava di distrarli dalla nostra missione di morte, ovviamente non riuscendoci sempre. Lo individuai, nascosto in un angolino, pronto a fare divertire mia figlia. Sapevo che l’agenzia non era il luogo migliore per mia figlia, ma non avevo nessuno cui rivolgermi, la mia famiglia mi aveva scaricata senza un motivo apparente, esattamente un giorno dopo la morte della mia prima figlia e dello stupro ad opera del mio “principe azzurro”.
“Mi dispiace piccola”
“Non è giusto” esclamò, gettando la bambola per terra e battendo i piedini “Mamma, ma perché cacci i principi azzurri? I principi azzurri sono buoni”
Non replicai a questa battuta, la mia piccola Clio era ancora troppo innocente e pura, per essere informata del motivo per cui uccidevo i principi azzurri, del fatto che a volte l’animo umano e il cuore erano difficili da decifrare. Non potevo distruggere il suo sogno. Anche se presto lo avrei fatto.
“Torno stasera”
Mi sporsi a baciarla sulla fronte e dopo chiusi la porta.
La mattina si svolse normalmente, tra l’allenamento con Cho Xia, una ragazza proveniente dalla Cina e maestra di arti marziali e il chiacchierare con i ragazzi della sezione Informatica. Erano agitati e non mancò molto, affinchè scoprissi chi fosse la preda. Avevano individuato la preda ed io impallidii nel vederlo. Era Antonio. Nello schermo accanto c’era l’agente che lo doveva uccidere, Eris.
Mi volsi verso la mia amica e dissi “Come hai potuto?”
“Freddezza, Nike, freddezza! Lui non è nient’altro che un ragazzo di ventitré anni, per giunta bello e anche il tuo tipo ideale di uomo, il quale non fa altro che fare il carino e il gentile con le clienti del bar e poi alla fine le illude. Io lo devo uccidere”
“Io l’ho risparmiato, io l’ho risparmiato e tu...”
“Io ho avuto il coraggio di fare quello che  tu non hai voluto fare, Nike. Lui è un principe azzurro ed io lo devo uccidere. Indipendentemente se la persona che ha commissionato l’omicidio sia d’accordo o no. Nessuna pietà o grazia. A stasera”
Digrignai e mi scagliai contro di lei, finendo contro una porta di acciaio e lussandomi una spalla. Lei ridacchiò della mia rabbia. Diedi calci, imprecai ignorando i miei colleghi, i quali non mi avevano vista così incazzata per un uomo, nemmeno per il padre di mia figlia, forse solo al funerale di mio padre ero andata di matto. Io non provavo nulla per Antonio, era fuori discussione, solo che non accettavo che Eris lo uccidesse. Non capivo perché mi avesse rinfacciato il fatto che Antonio potesse essere il mio tipo ideale di uomo. Di colpo capii che lei era gelosa di me e di lui, che voleva farmela pagare perché non lo avevo ucciso, che avevo tradito gli ordini dell’agenzia, avevo tradito la missione. Pensava che fossi debole e quindi voleva rimediare al mio errore. Era folle, folle, incredibilmente folle.
Folle io che avevo scelto come amica una donna che portava il nome di una Dea malvagia.
Antonio doveva vivere, o io non mi chiamavo Nike.
Il nome significava Vittoria ed io volevo vincere.
“Qualcuno ha le chiavi di una moto?”
Me li gettò Francis, una nuova recluta, un ragazzo di trentatré anni dai capelli castano biondo, un cacciatore di principesse azzurre e mi disse “Lui ha qualcosa che gli altri non hanno avuto, ti ha conquistata nel vero senso della parola. Non so se sia amore e sinceramente non mi interessa, ma anche io mi sono affezionato al ragazzo e non voglio che sia ucciso”
Lo avrei baciato, ma mi limitai ad abbracciarlo. Mi diressi verso il garage e individuai la moto, una Harley Davidson nuova fiammante. Mi misi il casco integrale e attivai il meccanismo della saracinesca, facendo rombare il motore.
Un suono ruggente, come un leone nella savana. Mi sentivo una leonessa che partiva per andare a difendere il suo leone.
“Sto arrivando Anto”
Partii sgommando, accelerando ogni tanto, sul fianco mi ballonzolava una spada a due punte, l’arma che avevo scelto per giustiziare Eris. Non mancava ovviamente la fedele calibro 38. Dovevo solo decidere se infilzarla o spararle.
Lui non si toccava!
Era un principe azzurro che doveva vivere.
                                                                              *
“Antonio ciao”
Il barista sobbalzò nel vedere Eris che sorrideva e che lo aveva aspettato fuori dalla cucina del bar. Lui prese il telecomando e aprì la portiera dell’auto, una Bmw ultimo modello, a trazione integrale e con il motore a idrogeno, uno dei modelli più rari e costosi del mercato. Era stato un regalo di Nike al suo ventitreesimo compleanno, il quale cadeva verso la fine di aprile, esattamente il 27 aprile.
“Ciao Eris”
La Nightingale of Darkness si appoggiò alla macchina e gli chiese “Sai cosa significa il mio nome?”
“Deriva dalla Dea che lanciò il pomo d’oro tra le Dee Afrodite, Atena ed Era per decretare chi fosse la più bella e provocando discordia”.
Il barista ringraziò mentalmente i pomeriggi con Nike, la quale con pazienza gli aveva spiegato la mitologia di ogni popolo e aveva potuto conoscerla bene. Non era per niente la dura che diceva di essere, quanto una persona cui la vita aveva dato poco e niente, una persona scottata da troppi eventi negativi.
“Non ti facevo così intelligente” ridacchiò Eris e dopo sguainò la katana che aveva sulla schiena “E sai cosa significa Antonio?”
“Deriva dal greco “anthos” ovvero fiore”
“E i fiori non possono essere disonorati vero?” domandò Eris, un lampo di luce crudele negli occhi “Sei stato avvertito Anto”.
Il ragazzo fece una smorfia, chiaramente seccato da Eris e le tolse le parole di bocca “Fammi indovinare, adesso mi ucciderai perché ho chiamato una persona Cristinella e le ho cantato davanti la canzone “A chi” di Leali? Ho indovinato?”
“Sì, ma non vinci un peluche, caro mio”
“Per tutti gli Dei, Eris è il mio lavoro. Lo capisci, il mio lavoro! A te potrà non importare, ma io devo essere gentile, anche quando avrei voglia di buttare ogni cosa all’aria. Non merito di essere ucciso perché ho fatto il gentile con una persona”
“Dipende se quella persona non ti considera un principe azzurro”.
“Cristina mi ha detto che prova qualcosa per me ma che è felice se io ho un’altra” la anticipò Antonio furioso “Quella ragazza ha più sale in zucca di te. Non puoi uccidermi, perché sono stato gentile con una persona e ho cercato di farla sentire a suo agio. Lei è timidissima ed io ho fatto solo il gentile, d’accordo esagerando a volte, ma è il mio lavoro. Quando si ha che a fare con il pubblico, la prima cosa che ti insegnano è la gentilezza e la cortesia verso la clientela. So benissimo che è una persona sfortunata nel trovare l’amore e con la mia simpatia cerco di farle capire che gli uomini non sono stronzi come voi li dipingete. So il motivo che vi ha spinto a uccidere i principi azzurri. Il militare con la figlia uccisa! ”
Eris digrignò i denti, il suono di una leonessa.
“Allora vorrà dire che ti ucciderò senza il suo consenso!” decise Eris, estraendo la lama e ponendola davanti a sé “Non ho bisogno di avere motivazioni per ucciderti”.
“Perché lo fai? Sei gelosa delle attenzioni che rivolgo a Nike?”
Eris abbassò gli occhi e Antonio potè vedere confermati i suoi sospetti. Eris era gelosa dell’amicizia che era nata tra Nike e lui.
“Scappa”
Antonio si rifugiò in macchina, mise le chiavi nel cruscotto e partì sgommando. Eris si leccò le labbra, come una leonessa che vedeva una gazzella fuggire. Adesso incominciava la caccia, quella che lei preferiva. Salì in sella alla sua moto, una Ducati rossa fiammante, la sua Bucefalo per intenderci.
                                                                             *
Assistetti alla scena e una rabbia assurda mi prese. Nessuno me lo poteva toccare, forse solo la fidanzata e solo ed esclusivamente lei. Con questo pensiero diedi gas e raggiunsi i due contendenti. Eris mi vide e cercò di farmi finire fuori strada, io tenni duro e continuai a far rombare il motore. La mia ex amica mi gridò “Fatti da parte stronza”.
“Ma che linguaggio scurrile” la rimproverai divertita, avvicinandomi a lei, il rombo dei due motori a una distanza sconsiderata “Non ti hanno lavato la bocca con il sapone?”
Ringhiò e cercò di lanciarmi delle freccette avvelenate. Abilmente le schivai, ma alcune finirono nelle gambe di alcuni pedoni. E porca buttana, avrei dovuto pure somministrare un antidoto a quelle persone, una volta concluso tutto sto casino. Tutte e tre dovemmo superare un  dosso, Antonio che ci guardava in cercava di salvezza, o almeno guardava me, perché Eris lo voleva morto. A un certo punto lui si dovette inchiodare di colpo, perché Eris gli aveva tagliato la strada.
Lei si avvicinò e con una forza inaudita spaccò il finestrino, facendo spargere vetri dappertutto. Io fermai il motore e mi avvicinai a loro. Lei aveva già sguainata la katana e mi sibilò, avvicinando il suo viso al suo collo e facendomi impazzire “Ha paura”
“Posa la katana”
“Che cosa fai Nike? Mi ucciderai? Se tu lo farai, bè la mia mano potrebbe accidentalmente muoversi e…”
Mi voltai a guardarlo e lo vidi imperturbabile, o forse faceva finta di esserlo. Era bello, ma non la bellezza dei poeti ma la bellezza dei cavalieri, di quelli che affrontavano la morte e non se la facevano addosso. Avrebbe potuto urlare e invece non lo faceva. Ero orgogliosa di lui. Per sicurezza mi ero ricordata di portare la mia pistola calibro 38. Tolsi la sicura e la puntai al centro della fronte di Eris.
“Lascialo Eris”
“Tu lo ami, nevvero Nike? Tu lo ami?”
“Vaffanculo Eris, io non lo amo! Ma non voglio che tu lo uccida!”
“Ammettilo Nike, ammettilo! Una volta per tutte, lo so come lo guardi, come sei gelosa di lui, come vorresti accarezzargli questa leggera barbetta e baciarlo! Lui è un principe azzurro e come tale deve essere ucciso”
“Ho incontrato Cristina qualche tempo fa. Mi ha detto che è felice semplicemente andando al bar. Non ha chiesto i nostri servigi di morte. Lascialo andare!”
“No! Ho voglia di ucciderlo! Semplicemente questo!”
“Sei una miserabile!”
Lei ridacchiò e abbassò per un attimo la katana. La caricai e le diedi un pugno al plesso solare, facendola stramazzare al suolo. Lei non perse tempo, si rialzò e mi diede un pugno all’orecchio, facendomi perdere l’equilibrio. Mi misi le mani in testa, confusa, mentre lei continuò imperterrita a farmi male, dandomi pugni ripetuti al fianco, il tutto con l’intenzione di farmi venire un’emorragia interna. Era questo il suo obiettivo! Urlando, sguainai la spada a due punti e la diressi verso la sua pancia, lei si scansò e mi diede un potente calcio alle rotule, facendomi gemere. Potei sentire le urla di Antonio, urla ovattate, mi alzai di scatto e lei mi diede un pugno alla bocca, facendomela sanguinare, alcuni denti che cadevano a terra. E che cazzo Cho e i suoi allenamenti massacranti. Ogni pugno dato era un macigno in faccia. Mi mossi a destra, facendo la finta, e la feci finire contro un palo della luce.  Lei cominciò a barcollare. Presi la decisione. Alzai la pistola e sparai, due o tre volte, proiettili che cadevano a terra. Eris venne colpita in pieno petto, una macchia di sangue che si allargava nel petto e poi vidi con orrore che aveva tagliato la gola ad Antonio. Mi gettai verso di lui, il sangue che usciva copioso e cercai di tamponare la ferita. Quella stronza gli aveva reciso la vena carotidea e se non avessi fermato l’emorragia, bè lo avrei perso per sempre.
“Nike”
“Anto, sta zitto!” lo rimproverai arrabbiata “Non parlare, ti prego”.
Lui mi accarezzò la guancia e mi disse contento “ Tu hai parlato. Per la prima volta io sento la tua voce ed è stupenda”
Era vero! Avevo parlato, il patto con l’angelo demoniaco era spezzato. La mia voce era ritornata normale. Mi sporsi a baciarlo sulla fronte e notai come la ferita si era rimarginata, non era in pericolo di vita. Per tutti gli angeli e i demoni! Vidi il mio angelo demoniaco davanti a me che sbatteva le ali nere “L’amore ha molte sfaccettature che gli esseri umani non comprendono. Ti avevo avvertita.”
Poi scomparve. Io guardai Antonio riprendersi e lo abbracciai. Non lo amavo, gli volevo bene e lo avrei protetto sempre. Il mio cuore battè forte ed io feci finta di non sentirlo. Sinceramente gli auguravo una donna più serena e con le mani linde.
“Ti voglio bene Nike”
“Ti voglio bene Anto”
Dopo aspettammo l’arrivo dei soccorsi, noi due abbracciati e il corpo morto di Eris, una ragazza, una donna che prima consideravo amica. Prima che la notte ci avvolgesse, lui mi diede un bacio, un bacio che fece diventare luminoso un giorno plumbeo e disperato.
 
  
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