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Autore: orphan_account    15/06/2014    63 recensioni
Ero a pezzi, fisicamente e mentalmente. Stavo cercando disperatamente di dire quello che pensavo, ma la mia gola era chiusa e non riuscivo a respirare dal dolore: "A-Avete la minima idea di quello che ho dovuto sopportare? Di quello che ancora sopporto, tutti i giorni?"
Li guardai con sfida. Due di loro era chiaramente confusi, come se non avessero la minima idea di cosa stessi parlando. Liam e Niall, invece, abbassarono lo sguardo.
[...]
"Per favore, Taylor! Lasciati aiutare." Liam mi stava supplicando, ma i suoi occhi non riuscivano a scollarsi dalle mie braccia. Niall era così disperato che per poco non si metteva a piangere. Dieci minuti dopo questo teatrino mi abbandonai alle lacrime, lasciandomi scivolare lungo il muro del bagno.
Basta, ora basta.
Srotolai le bende bianche e voltai le braccia verso di loro.
E proprio in quel preciso istante, la porta si aprì, e Zayn entrò nella stanza. No, lui no. Lui non doveva vedere i tagli, non potevo permetterlo.
I suoi occhi saettarono verso le mie braccia scoperte, e la sua espressione cambiò di colpo.
[Gli aggiornamenti sono molto lenti. Siete avvertite.]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Judge, I'm so broken hearted
my parents have parted,
and gone are the dreams I once had.
To me there's no other can be like my mother,
but I still want to be with my dad.
[Dear Judge – Ernest Tubb]

 

POV Taylor:

30 settembre, 15:00
Se fosse stato possibile consumare un oggetto con lo sguardo, ormai la lettera di Cambridge sarebbe stata logora. Così com'era, però, la busta era leggermente spiegazzata per il troppo maneggiare, ma tutto sommato ancora candida. La lettera riposava innocentemente sul tavolo della cucina, oppressa dallo sguardo penetrante di papà, i nostri due respiri l'unico rumore nella stanza.
Mi ero finalmente decisa a comunicare la mia decisione di andare all'università l'autunno seguente a mio padre, e lo avevo bloccato mentre faceva una delle sue rare capatine fuori dal suo studio per dirgli che gli dovevo dare una notizia molto importante. Mio padre non aveva reagito nel modo in cui mi sarei aspettata, perché non aveva ancora allungato una mano verso la busta, limitandosi a guardarla da lontano.
Un mio piede rimbalzava senza un ritmo preciso contro il pavimento, lo stomaco in subbuglio per la tensione. Cosa avrei fatto se mio padre mi avesse proibito di andare? In fondo, ero ancora minorenne, e lo sarei stata per altri otto mesi, e di conseguenza mio padre avrebbe dovuto firmare tutti i documenti per mandarmi a Cambridge. Se non lo avesse fatto, avrei potuto dire addio a tutti i miei piani.
“Cosa c'è in quella lettera, Taylor?” domandò dopo parecchi minuti di teso silenzio, sfregandosi stancamente gli occhi con una mano.
Con una fitta al cuore, mi accorsi di quanto sembrasse stanco. Aveva pesanti borse sotto gli occhi, e occhiaie molto più profonde di quanto non mi ricordassi. Era chiaro che il tradimento di mia madre lo aveva colpito profondamente.
“É una borsa di studio per Cambridge, tutto incluso. Parto a settembre dell'anno prossimo.” dissi, abbassando lo sguardo verso lo stemma rosso con i quattro leoni sulla busta. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi mentre gli davo quella notizia.
Lo sentii trattenere il respiro per qualche attimo, prima di espirare lentamente fuori in un lungo sospiro. Deglutii a fatica mentre aspettavo una sua risposta, il cuore che mi palpitava nel petto e la bocca secca per la tensione. Poi allungò la mano verso la busta e la aprì, il suono della carta eccessivamente forte nel silenzio. Abbassando ulteriormente lo sguardo verso le mie mani, intrecciate tra di loro e incastrate tra le cosce per impedire loro di tamburellare sul tavolo, sentii solo i respiri profondi e regolari di mio padre mentre leggeva. Solo quando tirò un altro respiro, appoggiando giù il foglio, osai drizzare le spalle e alzare lo sguardo verso di lui.
“Allora?” domandai, facendo una mezza smorfia quando la mia voce si ruppe a metà parola.
Mio padre restò immobile per un lungo istante prima di alzarsi dalla sedia e venire verso di me. Si accucciò di fronte a me, guardandomi negli occhi a lungo prima di protendersi avanti per stringermi in un abbraccio.
“Sono fiero di te. Non hai idea di quanto mi renda felice, Taylor.” mormorò raucamente, un tremolio evidente nella voce che mi fece salire le lacrime agli occhi. Ricambiai con esitazione l'abbraccio, appoggiando il mento sulla sua spalla e stringendolo a me, inalando il suo odore di dopobarba e tabacco che mi faceva tornare bambina. Era passato tantissimo tempo dall'ultima volta che avevo abbracciato il mio papà.
Quando ci separammo, il sorriso entusiasta di mio padre scemò lentamente, soppiantato da un'espressione di rassegnazione: “Sei sicura di voler andare, tesoro?”
Esitai prima di rispondere, sapendo bene che la risposta era definitamente sì, ma domandandomi se quella era la risposta che mio padre si voleva sentir dire: “Credo di sì.”
“Pensaci bene. Significherebbe metterti alla pari con tutto il materiale dell'ultimo anno. É una bella responsabilità. E poi, non vuoi incontrare il tuo fratellino o sorellina? Tua madre non sarà molto contenta se parti subito dopo la nascita del bambino.” chiese, un'espressione addolorata e patita sul volto che rendeva chiaro cosa ne pensasse sul tema.
Brancolai per qualche istante, alla ricerca di una maniera delicata di esprimere quello che stavo pensando.
“Non voglio conoscerlo.” risposi seccamente, non avendo trovato un modo politicamente corretto per spiegarmi.
Gli occhi di mio padre si sgranarono, e non era difficile leggere la sorpresa al loro interno: “Taylor, la separazione tra di noi non è dovuta al bambino, lo sai vero? Anche se la mamma non fosse rimasta incinta, il nostro matrimonio sarebbe finito comunque.”
Strinsi i denti, spostando lo sguardo dietro alle spalle di mio padre, verso il muro: “Non è vero.”
Mio padre allungò una mano verso di me, accarezzandomi la guancia: “Tesoro, so che è difficile da accettare, ma questo non cambia niente. Sia io che tua madre ti amiamo esattamente come prima, e un nuovo bambino non diminuirà l'affetto della mamma verso di te.”
Razionalmente, sapevo bene che era la verità, ma in quel momento usare la ragione era al di fuori della mia portata: “Non sarà più la stessa cosa. E poi, non voglio andare a vivere con la mamma, voglio stare qui con te.”
Con la coda dell'occhio vidi mio padre deglutire, mentre chiudeva gli occhi per un attimo, prima di dire, con tono forzatamente pacato: “Hai diciassette anni, Taylor. Credo che tu sia abbastanza grande per decidere con chi vivere, e qualunque giudice prenderà in considerazione le tue preferenze.”
“Come fai ad esserne certo?” domandai, “Sai meglio di me che la maggior parte delle volte la custodia va alla madre.”
“Andrà tutto bene. Ora sembra la fine del mondo, ma poi ti ci abituerai e non sarà così terribile, vedrai.” rispose con tono consolatorio, appoggiando le labbra sulla mia fronte, “E anche se dovessero dare la custodia a tua madre, a settembre parti, no?”
“Non posso vivere con la mamma, papà, non posso.” gridai, sempre più agitata con ogni minuto che passava, “Non ce la faccio!”
“Ehi, ehi. Tranquilla, respira. Piano, una preoccupazione alla volta.” cercò di calmarmi, accarezzandomi lentamente la schiena e mormorando parole senza senso, ma confortanti.
Mi morsi il labbro inferiore finché il sapore di metallo arrugginito del sangue non mi esplose in bocca. Il sapore improvviso mi distrasse dall'isteria che stava montando dentro di me a velocità sempre più elevata, e il declino nella tensione che mi stava attraversando il corpo portò le mie spalle ad ingobbirsi, come a proteggermi dall'esterno.
“Scusa.” mormorai, sentendo le mie guance arrossirsi per il mio momento di debolezza.
Mio padre mi sorrise tristemente: “Non chiedermi mai scusa per una cosa del genere, Taylor. É mio compito accertarmi che tu sia felice.”
Il groppo che avevo in gola si ingigantì ulteriormente, come se avessi ingoiato qualcosa di troppo grosso: “Ti voglio bene, papà.” mormorai con lo sguardo rivolto a terra.
“Anche io, Taylor, anche io.” rispose lui, stringendomi in un abbraccio, “Ora, cosa ne dici di andare a trovare la mamma per darle la bella notizia?”
“Devo proprio?” chiesi, facendo una smorfia.
Mio padre mi lanciò un'occhiata di rimprovero: “É pur sempre tua madre, ha diritto di saperlo.”
Trattenendo un sospiro indolente, mi alzai dalla sedia: “E va bene, togliamoci anche questo peso di dosso.”

30 settembre, 16:25
“Taylor! Che bella sorpresa, amore.” esclamò mia madre dopo che bussai alla porta del piccolo appartamento che aveva affittato in periferia. Era più radiosa di quanto non mi ricordassi di averla mai vista, con una mano appoggiata sullo stomaco, già visibilmente rigonfio, e un luccichio di vita negli occhi.
“Ciao mamma. Come stai?” domandai dopo un istante, un sorriso tirato e palesemente finto sul volto.
“Oh, benissimo cara, entra dentro.” disse, muovendosi di lato per farmi entrare e chiudendo la porta alle mie spalle, “Vieni, vieni. È un po' piccolo, ma dovremmo starci in tre, anche se forse saremo un po' stretti.”
Alzai un sopracciglio per la sorpresa: “Tre?”
Mia madre mi guardò, come sorpresa: “Certo. Non appena io e tuo padre finiremo di firmare i documenti per la separazione verrai qui da me. So che sarà difficile per te, dover cambiare casa e scuola così all'improvviso, ma non ti preoccupare, potrai andare a trovare papà quando vorrai, non ci vuole molto con i mezzi da qua. E sono sicura che ti farai un sacco di amici a scuola.”
La fissai, non credendo alle mie orecchie: “Non ho intenzione di trasferirmi qua, mamma. Sto bene dove sono.”
Lei mi sorrise, anche se era chiaro che non era esattamente contenta della mia affermazione: “Ne riparliamo un'altra volta, va bene?”
“D'accordo.” sospirai, sapendo quanto fosse inutile discutere con mia madre.
Ci guardammo con impacciato silenzio per qualche secondo, non sapendo che cosa dirci, finché mia madre non mi rivolse un secondo sorriso, questa volta più sincero.
“Vieni a sederti amore. ” disse, sospingendomi verso il tavolino pericolosamente traballante in un angolo della sala, “Stai mangiando? Mi sembri dimagrita. Aspettami qui un attimo, vado a prepararti uno spuntino.”
Mi irrigidii al pensiero del cibo, sentendo il mio stomaco accartocciarsi su se stesso, ma non dissi nulla. Mia madre sparì in quella che doveva essere la cucina, e io ne approfittai per guardarmi attorno, perché, se il giudice avesse deciso di assegnare la custodia a mia madre, avrei dovuto vivere in questo appartamento.
Il posto era pulito e ospitale, nonostante fosse davvero piccolo, ma allo stesso tempo era di un accogliente freddo, sterile. Era chiaro che si era appena trasferita dalla completa assenza di foto od oggetti personali, come in una camera di un albergo.
Mia madre tornò nella sala e appoggiò un vassoio sopra il tavolo, distraendomi dalla mia osservazione.
“Tieni, mangia qualcosa. Magari riusciremo anche a mettere un po' di carne su quelle ossicina che ti ritrovi.” cinguettò con un occhiolino, allungandomi un piatto pieno di piccoli tramezzini.
L'odore disgustosamente buono del cibo fece fare una capriola al mio stomaco, e allontanai istintivamente il piatto prima di potermi controllare, “Grazie, mamma, ma ho fatto uno spuntino poco tempo fa, e non ho proprio fame.” risposi, non stupendomi per la facilità con cui la bugia mi uscì spontanea.
Lei mi guardò scetticamente, lanciandomi un'occhiata intensa, “Taylor, me ne accorgo quando la mia bambina non sta mangiando.”
Internamente sbuffai con disprezzo all'affermazione completamente inaccurata, ma mi costrinsi ad assumere un'espressione esternamente oltraggiata: “Mamma! Sto mangiando, non è colpa mia se ho un metabolismo molto veloce.”
Mia madre sospirò con stanchezza e rimise il piatto sul vassoio: “D'accordo allora, almeno bevi qualcosa, allora.”
Le sorrisi e mi versai un bicchiere d'acqua per farla contenta. Mandai giù un paio di sorsi, ma l'acqua era così fredda che mi faceva male ai denti, e la sua discesa nel mio stomaco era come una scia di ghiaccio.
“Sai, sono arrivati i risultati dell'amniocentesi proprio ieri.” esclamò inaspettatamente, portando entrambe le mani alla pancia e sorridendo con uno scintillio negli occhio che non avevo mai visto di persona. Dentro di me qualcosa si ribellò, soffocandomi in una morsa inesorabile. Avevo già visto un'espressione simile, ma solo nelle vecchie foto di mamma e papà, conservate in vecchi scatoloni sul fondo del garage. Quando ero più piccola mi capitava spesso di intrufolarmi lì dentro per sfogliare le pagine degli album con meraviglia e stupore.
Avevo sempre sognato di trovare qualcuno che mi facesse sentire felice come lo sembrava la mamma in quegli scatti, anche se una volta che avevo iniziato le medie avevo scartato quel desiderio, relegandolo nel cassetto dei sogni impossibili.
Finsi un sorriso mentre stringevo con forza il bicchiere tra le mie mani, che si bagnarono a causa della condensa: “E cosa dice?” domandai, cercando di essere il più educata possibile e di non mostrare la mia animosità.
In realtà tutto quello che volevo era trovare il bagno in quel minuscolo appartamento e vomitarci l'anima dentro. Sentivo la tensione salirmi dentro con un ritmo lento ma inesorabile. Il panico si stava facendo strada nella mia gola, scavandosi una via d'uscita dal mio corpo.
“Oh, è un maschietto! Non sei felice?”
Trattenni a fatina un'espressione disgustata e allo stesso tempo le lacrime, non riuscendo a decidere come sentirmi.
Non rendendosi conto del mio conflitto interiore, mamma riprese a parlare: “Oh, ma in fondo me lo sentivo. Mia nonna lo diceva sempre, sai? Se non hai nausee mattutine, sarà maschio.”
“Sono contenta per te.” gracchiai dopo che mi ripresi dal torpore che mi aveva colpita.
Mia madre si illuminò: “Lo so, non è meraviglioso? Io e Nicholas ne abbiamo parlato, e vorremmo che fossi tu a scegliere il suo nome.”
“Nicholas?” ripetei a pappagallo, sempre più frastornata dal continuo flusso di informazioni.
Mia madre perse improvvisamente il sorriso, assumendo un'espressione più chiusa: “É il padre del bambino. L'ho chiamato il mese scorso per dargli la notizia.”
La guardai dritta negli occhi. Improvvisamente, nella mia mente si venne a formare una scena che mi fece venire la pelle d'oca. Mi immaginavo da un lato me e mio padre, soli, e dall'altro una nuova famiglia, che non comprendeva me. Il solo pensiero che quell'essere che stava crescendo dentro mia madre avrebbe avuto una famiglia unita, mentre io sarei rimasta con le rovine fatiscenti di quella che era in origine una famiglia, mi faceva salire dentro una rabbia omicida che non avevo mai sentito in vita mia. Non avrei permetto che un nuovo bambino mi sostituisse negli occhi di mamma, o che avesse quello che io non potevo avere. Non avrei condiviso mia madre.
“Abbiamo deciso di provare a stare assieme per il bambino, capisci? Ma solo dopo la sua nascita.” si affrettò a concludere poi, lanciandomi un'occhiata che mi implorava di essere comprensiva.
E non avresti potuto stare assieme a papà per me?
Abbassai lo sguardo, conficcando le unghie nelle cosce per cercare di impedire alle lacrime di scendere, ma non ci riuscii.
Mia madre si alzò dalla sedia per venirmi vicino, soffocandomi in un abbraccio: “Oh, Taylor. Non c'è bisogno di sentirsi arrabbiata. Vedrai, Nicholas è una gran brava persona, e non vuole sostituirsi a tuo padre.”
Chiusi gli occhi, respirando profondamente e cercando di pensare ad altro per non esplodere. Dopo qualche minuto di silenzio mia madre mi accarezzò i capelli e si staccò goffamente da me, impacciata dal pancione.
“Allora, cosa ne dici di scegliere quel nome?” disse alla fine, incrociando le mani sul tavolo, “Pensavamo a qualcosa di classico, ma che possa essere abbreviato in un nome più da ragazzo. Mi piacerebbe molto il nome Anthony, per poi chiamarlo Tony. Cosa te ne pare?”
Nella mia mente continuavo ad immaginare mio padre che diventava sempre più trascurato con gli anni, mentre il mio fratellastro cresceva sano e felice con genitori che lo amavano. E io nel mezzo, combattuta tra l'amore per mamma e papà e l'invidia nei confronti di chi aveva distrutto la mia famiglia.
I miei pensieri si spostarono verso l'unica altra persona che mi faceva sentire così impotente e piena di odio. E improvvisamente sapevo come avrebbe dovuto chiamarsi il mio fratellastro.
“Mark. Dovreste chiamarlo Mark.”
Mia madre mi guardò perplessa: “Mark? Non mi sembra molto classico come nome.”
Scrollai le spalle: “Marcus allora, Mark può essere il suo diminutivo.”
“Marcus? Mi piace, ha un bel suono.” disse lei, pensierosa, “Hai ragione, è un bellissimo nome, ha anche un suono molto solenne. Perché l'hai scelto?”
Chiusi gli occhi, riuscendo a vedere l'immagine del mio tormentatore perfettamente dipinta sotto le mie palpebre. Le due persone che più di tutte le altre avevano rovinato la mia vita, mi sembrava appropriato che condividessero lo stesso nome.
“Mi ricorda di un'altra persona importante che si chiama così.” sospirai alla fine, mentre portavo il bicchiere d'acqua alle labbra per distrarmi.
“Davvero? Chi è? Un fidanzatino di cui non mi hai mai parlato?” esclamò, alzando un sopracciglio per lo stupore.
Il solo pensiero che Mark potesse essere il mio ragazzo mi fece scoppiare a ridere: “Oh no mamma, è solo un mio compagno di classe.”
“Farò finta di crederci questa volta. A proposito, come sta andando a scuola, tesoro?” domandò dopo aver allungato una mano verso uno dei tramezzini che giacevano intoccati nel bel mezzo del tavolo.
Cercai di sorriderle, ma i muscoli del mio volto sembravano essere diventati di pietra: “Tutto bene.”
Esitai per un lungo istante prima di continuare: “Cambridge mi ha offerto una borsa di studio tutto incluso. Parto a settembre.”
Gli occhi di mia madre si spalancarono, e si portò una mano alla guancia: “Ma Taylor, non puoi partire! Sei troppo piccola per andare al college. E poi, tuo fratello sarà appena nato.”
Qualsiasi rimasuglio di attaccamento fosse rimasto per lei dopo il suo tradimento si spense definitivamente, come un carbone ardente in una tinozza d'acqua. Come se il feto che stava crescendo dentro di lei potesse dettare quello che facevo.
“Fratellastro.” precisai freddamente, stringendo le mani tra di loro, “Non voglio averci nulla a che fare.”
Mia madre corrugò le sopracciglia, espressione a metà tra il confuso e il disapprovante.
Per qualche istante regnò il silenzio tra noi, poi lei inspirò pesantemente e disse: “Amore, so che tutto questo è difficile per te, ma devi capire che non puoi riversare il tuo dolore su tuo fratello. Non è certo colpa sua.”
Sentii gli occhi riempirmisi di lacrime, e abbassai lo sguardo per non farlo notare. Mi rendevo perfettamente conto che, razionalmente, non era corretto far confluire la mia amarezza verso un esserino che non aveva alcuna colpa. Ma nessuno avrebbe mai potuto dire che le emozioni erano razionali. Non c'era alcuna ragione per l'invidia profonda, la mordente amarezza, l'odio che ribolliva lentamente, senza mai esplodere, ma pronto a riversarsi all'esterno alla prima scintilla. Era tutta colpa di quella minuscola vita umana, di quell'insignificante ammasso di cellule umane che si stava formando all'interno di mia madre, se i miei si erano separati. E, anche se poteva sembrare infantile e illogico, già lo detestavo per questo.
“Non ho nessun desiderio di conoscerlo.” risposi infine, ma voce impastata e secca, “Non è mio fratello e non permetterò che la sua presenza mi impedisca di andare al college.”
Mi alzai di scatto, sentendomi come se non potessi tollerare un altro momento in sua presenza.
Mamma si alzò con me, un braccio disteso in maniera conciliante: “Taylor, non c'è bisogno di essere invidiosa. So che ti senti tradita, e che magari adesso non vorresti avere nulla a che fare con lui, ma rimarrai sempre mia figlia, e questo non cambierà mai.” disse dolcemente, avvicinandosi con le braccia distese, come se volesse abbracciarmi.
Mi ritrassi da lei, sempre più schiva. Mia madre lasciò cadere le braccia dopo qualche istante, la sua espressione delusa e abbattuta. Ma nemmeno lo sguardo implorante che mi rivolse riuscì a sciogliere il pezzo di ghiaccio che era diventato il mio cuore.
“Quello non è mio fratello. Avresti dovuto abortire quando l'hai scoperto, così tutto questo non sarebbe successo!” urlai, non riuscendo più a contenere le lacrime, che si riversarono come un fiume in piena, accecando i miei occhi come la rabbia mi stava accecando la ragione.
“Taylor!” esclamò mia madre con tono scandalizzato e fortemente stupefatto, come se fosse sorpresa di sentirmi dire cattiverie di quel genere. Sinceramente anche io ero stupita di me stessa, perché parole così velenose non erano nel mio stile, ma non me ne pentivo minimamente.
Vedendo che non reagivo, la postura di mia madre diventò più dura, e disse a denti stretti: “Ho fatto un errore, e non ho paura di ammetterlo, ma non ti permetterò di parlarmi così. Chiedi scusa oppure esci di casa immediatamente.”
Soffocai un singhiozzo di rabbia mentre le mie lacrime scendevano sempre più velocemente: “Ti odio.” mormorai, lanciando un'ultima occhiata carica di disprezzo al rigonfiamento sul suo stomaco prima di girarmi sui tacchi e dirigermi verso l'uscita, sbattendomi forte la porta alle spalle.
Con mani tremanti pescai il cellulare dalla tasca anteriore dei jeans, scorrendo velocemente nella rubrica fino al arrivare al numero di mio padre. Mi portai il cellulare all'orecchio mentre squillava, cercando di asciugare il meglio possibile le lacrime con la manica della felpa. I miei respiri erano pesanti e irregolari, perché il mio naso era tappato dal muco che stava colando giù e non riuscivo a trovare una pausa nei singhiozzi che mi scuotevano per mandare giù una boccata d'aria alla bocca.
“Taylor?” rispose mio padre nel telefono.
“Papà? Vieni a prendermi per favore.” mandai, stringendo con forza la ringhiera delle scale. Mi sentivo la testa leggera e avevo paura che, se non mi fossi aggrappata sarei caduta per terra.
“Tesoro, stai piangendo? É successo qualcosa?” chiese, improvvisamente molto preoccupato.
La sua domanda mi fece ingoiare un profondo rantolo spezzato di aria nei polmoni: “Vieni a prendermi, papà.” ripetei, supplicante.
“Sono lì tra venti minuti.” rispose brevemente prima di mettere giù.
“Grazie.” sussurrai al telefono, stringendo sempre più forte la ringhiera quando vidi le scale muoversi sotto i miei occhi.
Il tempo sembrò fermarsi mentre cercavo di scendere le scale, e quando arrivai in fondo e uscii dal portone principale c'era già la macchina di mio padre di fronte all'edificio, motore acceso e pronto a ripartire. Barcollai verso di lui, riuscendo dopo parecchi tentativi ad aprire la portiera della macchina, e mi lasciai cadere sul sedile del passeggero, sempre incapace di bloccare i singhiozzi.
“Taylor?” domandò la voce estremamente preoccupata di mio padre, “Ti senti bene? Devo chiamare un'ambulanza?”
Scossi veementemente la testa: “Zayn, voglio Zayn.”
“Chi?” domandò mio padre con un cipiglio confuso e allarmato.
Realizzai qualche istante troppo tardi che mio padre non aveva mai incontrato Zayn: “Portami a casa di Hannah, per favore.”
“Hannah Redbird?” chiese, ma aveva già fatto ripartire la macchina in direzione di casa nostra anche prima del mio cenno di assenso.
Per tutti i venti minuti abbondanti del tragitto mio padre non riuscì a cavare un'altra parola sensata dalla mia bocca, e i miei singhiozzi non si acquietarono mai. Quando la macchina giunse ad un brusco stop di fronte alle siepi curate di casa Redbird, non lo salutai nemmeno prima di fiondarmi fuori e suonare istericamente al campanello.
La porta si aprì un istante dopo, e senza preoccuparmi di chi fosse, mi gettai nelle loro braccia. Non appena al mio naso tappato giunse l'odore di nicotina mi accasciai nell'abbraccio che mi aveva stretto. E finalmente il mio pianto cominciò a rallentare e ripresi a respirare.

 

Angolo dell'Autrice:

Come al solito mi scuso per il ritardo nell'aggiornare, anche se ormai direi che potete considerare sei mesi come tempo di aggiornamento standard... Detto questo, sappiate che non so davvero QUANDO aggiornerò la prossima volta, perché per le prossime due settimane lavoro dalle 8 alle 5 e so già che tornerò a casa troppo stanca per scrivere. Poi andrò per tre settimane in California e non so se avrò tempo di scrivere. Se ne riparlerà a metà luglio, temo :(
Poi, importantissimo: le parole di Taylor non riflettono il mio pensiero e mi scuso se hanno offeso qualcuno. Tutta la conversazione sull'aborto non mira ad essere propaganda pro-scelta o pro-vita di alcun tipo.
In ultimo, vorrei chiedere a qualcuno di voi che abbia fratellastri (e che ne abbia voglia) di raccontarmi come avete vissuto la loro nascita. Quella della famiglia allargata è una tematica che mi interessa molto, e di cui non ho trovato molto su internet.
Vi ringrazio infinitamente per le recensioni, siete incredibilmente fantastiche :) Vi rendete conto che questa storia ha superato le MILLE recensioni?
Siete meravigliosi e vi adoro tutti!
Ele

   
 
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