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Autore: Jay_Myler    18/06/2014    0 recensioni
Questa è una piccola narrazione più che storia, sono poche le parti descrittive e narrate, molti i dialoghi; è più una cosa che mi è passata per la testa che volevo condividere con voi, più che un vero e proprio racconto; non è una cosa allegra, sappiatelo già dalla partenza. (So che Oyasumi Kohana non è di certo una traduzione fedele di Buonanotte fiorellino, ma lasciatemela passare e datemela per buona!) Buona lettura!
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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E di nuovo Shin rimase da solo, in quella asettica stanza; per l’ennesima volta si trovava a dormirci senza nessuno che gli facesse compagnia ne letto di fronte. La solitudine non lo spaventava oramai, ci era abituato, ma quella mancanza, quel vuoto che si creava ogni volta nel suo stomaco quando la stanza ridiventava solo sua, era quello che lo terrorizzava. Non voleva più avere un compagno di camera, avrebbe preferito rimanere da solo per l’eternità per non vedere un altro amico andarsene via in quel modo.  L’ultima sua compagna di viaggio ad averlo abbandonato era stata Ayaka, una bambina della sua stessa età, cinque anni; era stata di sicuro la sua compagna di stanza preferita, passavano le intere nottate a parlare e a giocare in silenzio per non farsi sentire dalle infermiere.  Essere un bambino è già difficile di per sé, e questo se lo ricordava - Shin pensava a quel periodo in cui era un bambino “normale”, come tutti gli altri in modo nostalgico - ma essere un bambino malato era ancora più arduo. Rimpiangeva la sua casa, le sue cose, i suoi vestiti che nemmeno gli piacevano, i vecchi giocattoli nella sua piccola cameretta verde che tante volte aveva bistrattato. Shin non era mai stato un bambino facile e da quando gli avevano diagnosticato quella brutta malattia era peggiorato; non parlava, si rifiutava di mangiare, non comunicava in nessun modo, si limitava a fissare la gente e la miriade di dottori che gli passavano avanti, senza dare alcun segno di approvazione o diniego. Il piccolo Shin aveva sempre avuto dei bellissimi capelli rossi, lisci come la seta; erano sempre stati il suo vanto, ed adesso stavano cadendo un po’ alla volta, ogni mattina ne trovava una ciocca sul suo scomodo cuscino. Non ce la faceva più a stare rinchiuso tra quelle quattro mura, un ospedale non è di certo il posto preferito di un bambino! Era cresciuto prima del tempo ed i suoi occhi melanconici trasmettevano una saggezza ed una consapevolezza che nessun bambino di cinque anni dovrebbe mai nascondere nello sguardo. Era già passato un anno da quando era stato collocato su quel lettino ospedaliero, troppo scomodo per dormirci e troppo alto per poterci scendere e scappar via; di fronte a lui solo un altro lettino, adesso vuoto, che in quell’anno era stato ospitato da fin troppi altri bambini che a differenza sua se ne erano andati. Ma non tutti loro erano tornati a casa dai loro genitori…
Ayaka non era capitata nel gruppo dei fortunati che potevano tornare tra le calde braccia della propria dimora… nessuno glielo aveva ancora detto, ma lo aveva capito; non passavano mai le giornate, soprattutto in quel silenzio sovrumano che ormai regnava sovrano nella stanzetta 208.
«Shin…»
Una signora bassa, con i capelli neri ed un’aria distrutta che non intaccava affatto la sua bellezza, si fermò per un momento sulla porta, per rimanere a contemplare qualche secondo il miracolo vivente che stazionava sul letto: il suo adorato figlio. I loro occhi, dello stesso verde intenso, si incrociarono, e senza dire nulla si capirono al volo. Ma furono gli occhi materni a riempirsi di lacrime ed a cercare conforto in quelli asciutti del figlio.
«Shin, devo darti una brutta notizia… Ayaka…» iniziò a sussurrargli all’orecchio Akemi.
«Lo so mamma, lo so già.» le rispose senza alcuna inflessione nella voce, passandole delicatamente una mano nella schiena, cercando di consolarla.
«La mamma non c’era, quando Ayaka se n’è andata.»
«Oh Shin!»
Akemi strinse il suo piccolo amore tra le braccia, desiderando con tutta se stessa che quel momento potesse durare per sempre e che così potessero entrambi rimanere nell’eternità del tempo così, abbracciati l’uno all’altro; sentì le farfalle nello stomaco e pensò a quante volte si erano già trovati in questa situazione, fin troppe volte! Shin era un bambino così dolce e sensibile e tutti quei bambini che… lo avevano lasciato, erano stati così vicini a lui, però mai nessuno aveva toccato il cuore del bambino come la piccola Ayaka; ogni volta che incontrava per quei corridoio infiniti dell’ospedale, dei genitori disperati per il loro figlio, non poteva che ringraziare il cielo che il suo piccolino stava ancora lottando; però, in ogni singolo momento, un sordido pensiero faceva capolino nella sua testa: si chiedeva quando sarebbe stato quel nefasto giorno in cui anche lei sarebbe stata una di quelle persone nel corridoio, una di quelle persone senza più una vita, senza più una ragione d’essere, guidata solo dall’istinto di sopravvivenza, con la morte nel cuore che l’avrebbe accompagnata per il resto della sua vita. Ogni notte pregava che quel giorno non arrivasse mai.  Chissà se il suo piccolo bambino li faceva questi pensieri, chissà se quell’innocente testolina avesse mai avuti codesti macabri pensieri a tormentarlo. In cuor suo sperò che l’unico pensiero sempre presente fosse quello della guarigione ed una sana voglia di tornare a casa.
«Mamma, rimani qui con me?» le chiese una flebile voce dall’incavo del suo collo.
Akemi si limitò ad annuire con la testa, non riusciva a dirgli che a breve sarebbe dovuta tornare a lavorare a tempo pieno per pagargli le cure.
Un leggero bussare fece sciogliere dal delicato abbraccio i due.
«Permesso, avrei dei fiori da consegnare.»
Un uomo alto e di bella presenza si fece largo tra l’ammasso di tende che riempiva la piccola cameretta; tenendo in mano con la sinistra il mazzo di fiori, con la destra estrasse un bigliettino dal centro.
«Per la piccola Ayaka, il più delizioso Kohana.»
Il fattorino si guardò intorno, un po’ perplesso, senza riuscire ad individuare la piccola mittente del mazzo di fiori.
«Questa è la stanza 208, vero?»
«Li dia a me, glieli porterò io!» urlò in uno sbalzo di voce il piccolo Shin, rizzandosi d’improvviso sul letto.
Akemi annuì lievemente all’uomo, che porse il mazzo di fiori al bambino, che tornò a sedersi, mentre con una mano salutava l’uomo dei fiori.
«Cosa ne farai adesso di questi fiori? Nemmeno ti piacciono i fiori!»
«Erano per me!»
La donna guardò confusa suo figlio.
«Ayaka amava i fiori, mentre a me invece, non piacevano affatto; ieri stavamo parlando, ieri pomeriggio, su quanto le piacessero i fiori mentre io dicevo quanto fossero inutili. Così lei ha fatto chiamare la mamma, e le ha detto di prendere il più bel mazzo di fiori che avessero in negozio – sai, la mamma fa la fiorista – e di portacelo qui oggi, giusto per farmi vedere quanto mi sbagliassi. Ed adesso eccoli qui, per me. Sono arrivati.»
«E come ti sembrano, Shin?»
«I più bei fiori del mondo.» le rispose con un piccolo sorriso che gli increspava le labbra, mentre iniziava a stringere i fiori con veemenza.
«Si chiamano gerbere sai, sono come le margherite ma sono più grosse e tutte colorate!»
«Sono stupendi, aveva ragione Ayaka! Mamma sai cosa mi ha detto Ayaka? Mi ha raccontato che in tutte le cose c’è una forte magia e che per ogni cosa bellissima come i fiori esiste uno spirito protettore che li protegge e li assiste fino a quando non cessano la loro esistenza… non mi ricordo come ha detto, mi sembra, esistenza terraria, terrestre… terrena! Ha detto terrena! Mamma anche i fiori hanno uno spirito protettore?»
«Ne sono sicura, amore mio… Shin, tesoro...» iniziò la mamma mentre gli poggiava delicatamente le labbra sulla fronte «La mamma deve andare adesso, deve tornare a lavoro, ma ci vediamo sta sera, ok?»
Il piccolo si limitò ad annuire, continuando a stringere i fiori tra le sue braccia.
«Ah Shin, fai il bravo e… non stringere così forte quei fiori, altrimenti appassiranno! La mamma quando torna ti porta un bel vaso dove metterli, va bene?» 
Ed ora era rimasto di nuovo solo, in quella stanza.
Adesso sentiva lo stomaco che si attorcigliava tutto su sé stesso… lo faceva sempre quando si chiedeva quando sarebbe arrivato il suo momento di trasformarsi in lacrime e ricordi.
 
                                                                                                              ****
 
«Glielo avevo detto di non stringerli così forte.»
Akemi spostò delicatamente le braccia del bambino da sopra il mazzo di fiori ormai appassito; Shin aprì leggermente gli occhi.
«I fiori…»
La mamma gli accarezzò la testa, lasciandoci un lieve bacio sulla guancia.
«Sono appassiti ormai, la mamma prova lo stesso a metterli nel vaso?»
Shin sorrise in senso di approvazione, seguendo con lo sguardo la madre che metteva i fiori nel vaso pieno di acqua.
«Guarda tesoro, un fiore diverso!»
Shin alzò leggermente la testa per vedere il fiore speciale.
«Mamma è vivo quel fiore! Ed è blu!»
Akemi tolse il fiore dal vaso e lo portò vicino a suo figlio, che lo guardò con curiosità notando che era un fiore del tutto diverso da quelli del mazzo.
«Questa è una rosa blu.»
«Esistono le rose blu?» chiese il bimbo con gli occhi pieni di meraviglia.
«No tesoro, in natura non ne esistono, ma si possono fare; sono una rarità e a quanto pare Ayaka voleva proprio stupirti! Vuoi prenderla in mano? Fai attenzione però, punge.»
Shin tese una mano verso il fiore, poi la ritrasse all’istante.
«Non voglio che muoia, mamma! Mettila nel vaso, subito!»
Akemi sorrise e ripose la rosa al proprio posto.
«Rimani con me mamma?»
«La mamma deve tornare al lavoro, mi hanno dato anche il turno di notte…»
«Rimani almeno fino a quando mi addormento?»
La donna gli rispose iniziando a cantargli una ninna nanna.
 
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«Mamma sei tu?» Shin si stropicciò dolcemente gli occhi, cercando di abituare gli occhi a quella penombra che gli rendeva tutto una grossa sagoma grigiastra.
Una bambina, che più o meno doveva avere la sua età stazionava accanto alla porta.
«Ciao.» le disse il bambino a fil di voce.
«Ciao.» gli rispose dal canto sua la piccola straniera.
«Come sei bella!» gli occhi di Shin erano fissi sulla piccola bambina che era entrata in camera sua senza chiedere il permesso; era davvero bella, aveva corti capelli biondi e due occhioni grandi e blu, come il profondo oceano, che Shin non aveva mai avuto l’opportunità di vedere.
«Sei la mia nuova compagna di stanza?»
La bambina, senza rispondergli o aspettare un invito da parte sua, si mise a sedere sul suo letto di fronte a lui, facendo una sorta di scaletta con la sedia che la mamma aveva lasciato lì vicino al bordo.
«Mi chiamo Miyako e tu invece come ti chiami?»
Ora che l’aveva davanti Shin vide che quella bambina doveva essere poco più piccola di lui, avrà avuto poco meno di due anni, ma parlava molto bene.
«Io mi chiamo Shin! Sei piccola tu, che ci fai in ospedale? Dovresti stare a casa con i tuoi genitori!»
«La mia mamma è lontana ormai e il mio papà mi ha lasciata.»
Shin si sentì in colpa per quella domanda che le aveva risvegliato brutti ricordi.
«Anche la mia mamma non c’è mai, lavora sempre!»
«E il tuo papà invece?»
«Lui lavora fuori, è un militare, ci protegge da lontano, mi dice sempre mamma.»
«Capisco.» Miyako si alzò e scese dal letto con un saltello.
«Non andartene, rimani con me!» Shin scese anche lui dal letto, saltando a terra per la prima volta, azzardandosi in un salto mai provato, rendendosi conto che era più semplice di quello che si era sempre figurato.
«Non posso rimanere! Sta per sorgere il Sole!»
Shin la seguì fino in mezzo al corridoio.
«Miyako, ci vediamo domani sera?»
La bambina gli sorrise ed annuì, prima di continuare a camminare senza girarsi; Shin aspettò che la bambina girasse l’angolo prima di tornare nel suo letto e chiudere gli occhi per un paio di ore.
 
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«Sei tornata anche ‘sta notte!»
«Te lo avevo detto!»
«Vuoi vedere i miei fiori?»
Miyako iniziò a tossire rumorosamente e mettendosi una mano davanti alla bocca si girò di spalle, cercando di riprendere fiato.
«Tutto bene?» Shin le poggiò una mano sulla spalla; la bimba era più emaciata dall’ultima volta che l’aveva vista, i suoi occhi sembravano spenti e tristi, i suoi capelli più radi e la voce più roca e quasi faticava a parlargli.
«Sono davvero splendidi, ma sono appassiti quasi tutti!»
Shin prese una sedia dal fondo della stanza, trascinandola sotto il comodino, per poi salirci sopra e recuperare la rosa blu dal centro del vaso.
«Fai attenzione, punge.»
Miyako la prese tra le mani con prudenza e ci affondò il naso dentro.
«Sta morendo, lo sento dall’odore, Shin.»
«Tu capisci come stanno i fiori?»
«Sono brava a capire queste cose!»
«Voglio sentire anche io!» Il piccolo prese cautamente la rosa dalle mani della bambina e l’annusò a sua volta.
«Miyako…» Shin le prese la mano e lentamente si avvicinò alla sua guancia e l’annusò. «Avete lo stesso odore.»
«Devo andare Shin.»
«Aspetta! Ci rivedremo?»
«Passerò anche domani, va bene?»
 
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«Shin, non hai dormito sta notte?»
«No, mamma.»
Shin iniziò a piangere senza tregua, poggiandosi con la testa sul petto della madre.
«Non volevo mamma! Se n’è andata! Mi sono scordata di rimettere la rosa nell’acqua e quella è appassita, ora Miyako non tornerà più!»
«Miyako?»
«Lo spirito dei fiori!»
La mamma continuava a non capire, ma lo strinse forte a sé sicura che fosse quella la cosa migliore da fare; aspettò che il piccolo crollasse sfinito in un sonno senza sogni e prese i fiori ormai appassiti per gettarli via. Lo spirito dei fiori! Questa era proprio bella! I bambini hanno così tanta fantasia e quando si sentono solo si creano degli amici… un bigliettino cadde dal comò sul quale aveva poggiato il mazzo di fiori rinsecchiti.
‘’Per la piccola Ayaka, il più delizioso fiorellino’’
Si ricordava di come Shin avesse legato con la bambina che era stata la sua ultima compagna di stanza, Ayaka, erano passati pochi giorni dalla sua scomparsa, ed era come se la sua presenza fosse rimasta lì a vegliarli.
Si ricordava che per tutti i due mesi in cui era stata in camera con suo figlio, ogni volta che la mamma o il padre della piccola Ayaka non c’erano a farle compagnia di notte, Shin aspettava che si addormentasse per poi alzarsi, trascinare una sedia di fianco al letto ed andare a darle un bacio sulla fronte, sussurrandole all’orecchio “Oyasumi kohana”, “Buonanotte fiorellino”, proprio come facevano i suoi genitori con lei.
Ora che Ayaka non c’era più, temeva che suo figlio si lasciasse andare, visto il forte legame che i due bambini avevano stretto.
Per ogni notte, per un intero mese, Shin aspettò che la bellissima bambina notturna tornasse a fargli visita, ma non la vide nemmeno per un minuto; ogni giorno che passava si sentiva più debole, era iniziato tutto con l’avere più sonno e sentirsi più stanco, ed era finito con il non riuscirsi ad alzare dal lettino; i dottori lo portavano più spesso nella stanza blu, la stanza dove gli davano la medicina per farlo stare meglio, ma quella cura gli aveva solo fatto cadere tutti i capelli, le sopracciglia ed anche le sue ciglia lunghe e curve di un tempo… ma almeno la mamma rimaneva tutto il giorno accanto a lui.
«Mamma, quando posso tornare a casa?»
«Presto Shin, il dottore ha detto che domani ti possiamo portare a casa, tornerai nella tua cameretta, nel tuo lettino, con i tuoi peluche ed i tuoi giochi…»
Shin sorrise.
«Nemmeno il dottore vuole che tu sia un genitore di corridoio, così mi manda a casa.» il suo sorriso fu smorzato da un colpo di tosse.
«Non dire queste cose sciocchino, starai bene, ti ho detto che torniamo a casa!» Gli occhi di Akemi si riempirono di lacrime, tutta la sua bellezza lucente si era trasformata in una cupa smorfia sul viso, ma la cosa più terribile era il dolore che le albergava negli occhi.
«Tesoro mio, devi riposare adesso, domani dobbiamo tronare a casa e devi essere ben riposato, no? O vuoi tornare con questo viso stanco?» Gli chiese la mamma accarezzandogli una guancia, mentre con l’altra mano si asciugava le lacrime che erano scese a tradimento sul suo viso.
Calde e salate.
Erano le uniche cose che adesso la donna riusciva a sentire.
«Ho sete mamma, mi prendi un po’ d’acqua?»
Akemi si girò verso il comodino accanto al letto e vedendo la bottiglia vuota si diresse verso la porta.
«La mamma torna subito tesoro, prende l’acqua e te la porta.»
Shin le sorrise ed alzò una mano per salutarla.
«Grazie mamma, ti voglio bene!» il suo sorriso era la cosa più bella e più triste che i suoi occhi avessero mai visto; Akemi tornò indietro immediatamente e lo abbracciò forte.
«Anche la mamma ti vuole bene… ti voglio un mondo di bene bambino mio… la mamma ti ama. Torno subito con l’acqua.»
Ed in un batter d’occhi uscì dalla stanza.
«Shin.»
Il bambino, che aveva appoggiato la testa, che sentiva coì pesante, sul cuscino, alzò a malapena lo sguardo sulla porta.
«Miyako.» avrebbe voluto urlare, ma riuscì a malapena a bisbigliarlo; la bambina gli si avvicinò.
«Non sei affatto cambiata, è da tanto che non ci vediamo.»
Miyako gli prese la mano.
«Lo so, scusa Shin, ma me ne sono dovuta andare.»
«Ma sei tornata!»
«Per poco.» gli sorrise.
«E’ bello? Il luogo dove abiti adesso, intendo.»
«Bellissimo! Sai, è pieno di fiori!»
Il piccolo tossì.
«Scommetto che ad Ayaka piacerebbe da morire.»
«Ed è così infatti.»
«La conosci?»
La piccola annuì.
«Sei bella.»
Miyako sorrise, non solo increspando le labbra, ma anche con gli occhi.
«Eri malata, ma ora sei bella e… sana! Te lo vedo negli occhi, sono di nuovo brillanti e i capelli… sono tanti e belli! E profumi di buono adesso.»
Miyako gli strinse ancora di più la mano.
«So chi sei Miyako, tu proteggevi i fiori, profumavi come quella rosa blu… sei lo spirito che la proteggeva…» colpi di tosse interruppero il suo discorso.
«Miyako… possiamo continuare a parlare un’altra volta? Ho tanto sonno.»
«Certo, Shin.»
«Quando ci rivedremo?»
«Presto.»
«Allora quando ci vedremo ti regalerò un’altra rosa blu, così potrai rivedermi più spesso e l’accudirò e… *coff coff* buonanotte Miyako, ci vediamo… resti ancora un po’ con me?»
«Aspetto che ti addormenti.»
I due bimbi si scambiarono un sorriso complice, poi il piccolo Shin appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, poco dopo aver stretto a sua volta la mano dell’amica.  
Miyako strinse per un’ultima volta la sua manina… la stretta iniziava a perdere di intensità, un po’ alla volta, ma lei gliela strinse ancora più forte, ed alzandosi in piedi sulla sedia, si sporse sul lettino, posandogli un bacio sulla fronte.
“Oyasumi Kohana… Buonanotte, fiorellino.”
 
 
 
C. Jay Myler
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