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Autore: Laylath    22/06/2014    11 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Epilogo. Vent’anni dopo.

 

La radio si stava dimostrando veramente tosta, ma Kain era senza dubbio più testardo di lei: tenendo una cuffia all’orecchio con la mano sinistra, con la destra continuava a ruotare con paziente lentezza la manopola di sintonizzazione. Gli occhi scuri dietro gli occhiali erano leggermente socchiusi per la concentrazione, ma ad un tratto si sgranarono per la sorpresa: immediatamente schiacciò alcuni bottoni dell’apparecchio e sorrise.
“Sintonizzata! – annunciò – Bisognava rimettere a posto tutti i canali e farla collegare alle nuove stazioni.”
“E così anche questa stazione di polizia ha finalmente una radio decente – commentò Henry accostandosi e prendendo in mano le cuffie, lieto di non sentire più il fastidioso ed inutile fruscio – grazie, Kain.”
“E di che – scrollò le spalle il giovane, iniziando a raccogliere i suoi piccoli attrezzi – è stato un piacere cimentarmi con questa bellezza. E’ un modello davvero intrigante, nonostante non sia proprio nuovissimo: comunque domani ti insegno bene a collegarti e preparerò anche uno schema riassuntivo in modo che tutti vi possiate destreggiare se creasse di nuovo problemi.”
“Ottima idea – Henry si levò la giacca della divisa per far fronte al caldo di metà giugno – Dannazione che afa, quest’anno sarà un’estate rovente.”
“Già – annuì Kain, beandosi della sua leggera camicia a maniche corte – ma penso che sarà solo fino ad agosto: a settembre tornerà già un clima più vivibile e…”
“Henry Breda – il capitano Falman entrò nella stanza e diede un leggero colpetto alla nuca del ragazzo – caldo o meno sei in servizio e la giacca della divisa la devi tenere, quante volte te lo devo dire?”
“E allora si ritroverà con una pozzanghera al posto del suo subordinato, signore – sospirò il trentaduenne poliziotto, mentre Kain ridacchiava – andiamo, sono le sue ultime ore prima del pensionamento: perché non fa uno strappo alla regola e mi permette di sopravvivere?”
Vincent, la sua divisa perfettamente in ordine, afferrò i capelli rossi del giovane e li tirò lievemente come aveva fatto innumerevoli volte con ciascuno di loro e come spesso continuava a fare in barba all’età.
“Ricordati che fino alle otto di stasera sono il tuo capo e mi devi rispetto.”
“Suvvia, capitano, sia buono – Kain si ritenne in dovere di intervenire – non si rovini il suo ultimo giorno di lavoro, se lo goda piuttosto.”
“Secondo me ancora non ci crede che da domani farà il nonno a tempo pieno…” ridacchiò il rosso con un sorriso impudente.
“Henry!” lo rimproverò Vincent con un ultimo strattone.
“Nonno! Nonnino, sei qui?” una vocina avanzò nei corridoi: immediatamente Henry, libero della presa, diede una gomitata a Kain per fargli notare il cambiamento d’atteggiamento nel capitano.
Il viso di Vincent si distese quando una bimbetta di sette anni, col taglio allungato di occhi tipico dei Falman, fece timidamente il suo ingresso nella stanza. Ma qualsiasi esitazione sparì come riconobbe tutti i presenti e tese le braccia verso il capitano.
“Lisa, principessina – Vincent non poté fare a meno di usare un tono di voce esageratamente tenero nel prenderla in braccio – come mai sei qui?”
“Volevo farti vedere questi – disse la bambina, portandosi le mani alle dritte codette castane dove spiccavano due elastici con una perlina azzurra – me li ha regalati la nonna per la festa di domani: ti piacciono?”
“Ma certo che mi piacciono. E dimmi, dov’è la nonna?”
“Lisa, sei qui? – Rosie entrò con un sorriso – Scusate, ma ci teneva tanto a mostrarli a te, caro.”
“Li ho fatti vedere anche al papà, alla mamma e a Rey! Zio Kain, zio Henry, a voi piacciono?”
“Sono bellissimi, Lisa.” sorrise Kain, accarezzandole una codetta.
“Davvero belli – gli fece eco il rosso – vedrai che domani piaceranno tantissimo a tutti.”
Mentre la bambina arrossiva felice e si stringeva al collo del nonno, Kain lanciò un’occhiata all’orologio appeso alla parete.
“Scusate, ma devo andare: il treno arriverà tra poco e voglio essere in stazione.”
“Ah, già, tornano oggi: giusto in tempo per la festa di pensionamento del nostro capitano. Decisamente non si può mancare ad un evento simile – sghignazzò Henry – dopo tanti anni il suo regno di terrore finirà.”
“Ti ricordo che ho ancora un paio di ore di servizio, Henry: se non vuoi che le dedichi completamente a te vedi di tenere a freno quella linguaccia.”
Soffocando una risatina davanti a quell’ennesimo battibecco, al quale assisteva una perplessa Lisa e una divertita Rosie, Kain uscì dalla stazione ed inforcò la bicicletta, dando un primo colpo di pedale. Uscì dal paese ed imboccò il sentiero che portava verso la stazione ferroviaria, godendosi il movimento d’aria dato dalla velocità: quella bici aveva più di venticinque anni ma andava ancora che era una meraviglia. E Kain non l’avrebbe cambiata per niente al mondo, considerato che gliel’aveva lasciata Roy.
Il capitano Falman in pensione… era incredibile come volava il tempo: a volte gli sembrava solo ieri che tutti loro finivano inevitabilmente nei guai e dovevano far fronte alle sue prediche e alle conseguenti punizioni. A pensarci bene era un vero e proprio miracolo che nessun infarto avesse colpito quell’uomo, considerato che alcune bravate erano state al limite del consentito, come quando Roy li aveva convinti a rubare il carro degli Havoc per fare un’allegra scampagnata che in realtà era durata sino a notte fonda.
Sì, non vedere più Vincent Falman nella sua perfetta divisa sarebbe stato davvero strano.
Ma era anche giusto che si potesse dedicare a tempo pieno ai due nipotini: si capiva che ormai il sessantacinquenne capitano di polizia desiderava godersi appieno la pensione e la sua famiglia.
Il suo dovere l’aveva fatto e poteva essere più che soddisfatto: la squadra del paese era veramente ben organizzata e Kain era sicuro che, nell’arco di pochi anni, sarebbe passata nelle capaci mani di Henry Breda. Nonostante i battibecchi quel giovane dai capelli rossi era il fiore all’occhiello del capitano Falman.
Già, Henry… il suo compagno di classe.
Tutti erano rimasti sorpresi quando, finite le scuole, aveva deciso di diventare poliziotto e qualche malalingua, remore ancora degli avvenimenti che avevano scosso la famiglia Breda, aveva commentato che uno come lui non ce l’avrebbe mai fatta. Ma il ragazzo aveva zittito tutti con la grande determinazione che aveva dimostrato e sicuramente il capitano Falman aveva visto qualcosa di speciale in lui. E così ora in paese circolava un poliziotto dai capelli rossi che, ai più anziani, ricordava sotto molti punti di vista, un giovane soldato dallo stesso nome che, anni prima, recava tanto orgoglio alla comunità. Nel frattempo si era anche sposato con una giovane maestrina delle elementari, Katrin, e avevano avuto due bambini: Mary di sei anni ed Heymans junior di quattro… ovviamente entrambi con i capelli rossi.
 
Arrivato alla stazione,  parcheggiò la bici ed andò nella banchina, giusto in tempo per sentire il fischio della locomotiva in lontananza. Aveva tanto atteso questo momento: era da natale che non li vedeva e la loro assenza era sempre molto sentita.
Come il treno si fermò dal vagone centrale saltò a terra un ragazzino. Immediatamente i suoi occhi nerissimi si girarono verso di lui, mentre un furbo sorriso gli appariva nel viso ancora pallido, ma pronto a colorarsi in quei mesi estivi.
“Zio Kain! – esclamò piombandogli addosso – Come stai?”
“Ouch! Piano Vincent! – rise l’uomo, prendendolo in braccio – Accidenti ma quanto sei cresciuto in questi mesi! Tra un po’ sarai tu a dover prendere in braccio me.”
“Ma se ho otto anni – sogghignò lui, in maniera pressoché identica al padre – a settembre inizio la quarta, lo sai, no?”
“Lasci salutare anche a noi o hai preso in ostaggio tuo zio, giovanotto?” chiese una voce.
“Nessun problema, mamma – sorrise il bambino, facendosi mettere a terra – Zio, vero che sei venuto con la bici? Poi posso usarla? Ormai ai pedali ci arrivo, ne sono certo.”
“Vedremo, ma ora lasciami salutare i tuoi genitori.”
Subito si fece avanti una bellissima donna dai lunghi capelli biondi fermati dietro la nuca da un fermaglio. La gonna aderente al ginocchio e la camicetta a maniche corte facevano di lei una perfetta cittadina, ma lo sguardo era quello felice di una ragazza di campagna che finalmente torna a casa.
“Ciao, fratellino – lo salutò, abbracciandolo con ardore – tutto bene?”
“Tutto bene, Riza – annuì lui rispondendo all’abbraccio con la medesima intensità – mamma e papà non stanno più nella pelle. Finalmente starete qui per tre mesi, non vedevamo l’ora.”
“E’ più che giusto che tornassimo in tempo per il grande avvenimento – sogghignò Roy, stringendo con calore la mano di Kain, prima di abbraccialo con sincerità – sempre in splendida forma, gnometto, eh?”
“Ovviamente, colonnello Mustang.” ridacchiò lui, facendo un saluto militare perfetto.
“Oh, finiscila, questa divisa la levo non appena saremo a casa: qui non è proprio il caso di indossarla.”
“Posso levarmi anche io la divisa della scuola, papà?” chiese con impazienza Vincent.
“Certamente, giovanotto, sei o non sei in vacanza?”
 
Mentre Kain teneva la bici per il manubrio e chiacchierava con Roy e Riza delle ultime novità, Vincent Christopher stava seduto tranquillamente nel sellino della bicicletta che era stata di suo padre. Somigliava tantissimo a Roy sia fisicamente che caratterialmente, anche se il taglio degli occhi l’aveva preso da Riza: Kain non aveva molti dubbi che la sua presenza per l’estate avrebbe scatenato tutti gli altri ragazzi. Come suo padre, Vincent Christopher, era l’indubbio leader della nuova generazione… con buona pace del capitano di polizia in onore del quale portava il nome.
“Qui si respira decisamente di più rispetto alla città – sospirò Roy, allentandosi il colletto della camicia – ti lascio immaginare l’inferno che c’è ad East City.”
Si era levato la giacca della divisa e l’aveva posata sul telaio della bici, respirando a pieni polmoni l’aria della campagna: a conti fatti anche un colonnello dell’esercito e alchimista di stato è felice di poter tornare al proprio nido.
Crescendo, infatti, Roy Mustang aveva mantenuto fede ai suoi progetti e una volta terminata l’Accademia Militare aveva dedicato tutta la sua attenzione allo studio dell’alchimia, conseguendo il titolo di stato a ventuno anni.
Alchimista di fuoco… Kain col tempo aveva imparato qualcosina sull’alchimia, ma non aveva mai pensato che una persona così chiusa come il padre di Riza potesse possedere il segreto di un potere simile. Ovviamente il giovane non l’aveva mai vista all’opera, ma sapeva che era una delle più forti che esistevano: Roy l’aveva utilizzata in guerra, ma mai e poi mai come arma vera e propria per uccidere le persone. Altrimenti Riza non gliel’avrebbe mai perdonato.
La loro storia d’amore aveva impiegato diverso tempo prima di arrivare al matrimonio, nonostante fossero chiari i sentimenti che uno provava per l’altra. Il progetto originario prevedeva che la ragazza raggiungesse il fidanzato ad East City non appena questi avesse ottenuto il titolo di alchimista di stato: tuttavia, proprio quando Roy aveva tagliato questo traguardo, Berthold Hawkeye si era ammalato gravemente e Riza si era sentita in dovere di stargli accanto. Purtroppo la malattia non aveva lasciato scampo all’uomo, ma il suo decorso era stato lento e doloroso, durando più di due anni.
Una volta che il vecchio alchimista era morto, era stata la guerra a separare i due giovani: Roy era stato chiamato a prestare servizio contro Aerugo e, considerate le sue doti di alchimista, la sua permanenza nel fronte si era protratta ben oltre i sei mesi canonici prima del ricambio truppe. Nel frattempo, tuttavia, la ragazza non era rimasta ferma ed era entrata nell’esercito come membro dello staff amministrativo di suo nonno, senza dunque aver bisogno di fare l’Accademia.
E quando Roy era finalmente tornato ad East City ne era diventata assistente e moglie: all’epoca lei aveva venticinque anni e lui ventisette. Tuttavia questa collaborazione ufficiale non era durata nemmeno un anno: una volta che era rimasta incinta di Vincent, Riza aveva abbandonato il suo ruolo per dedicarsi al bambino, anche se continuava ad assistere il marito in veste privata.
“La mamma ha pensato ad aprire casa vostra in questi giorni – spiegò Kain, riferendosi alla vecchia villetta degli Hawkeye che, alla morte di Berthold, era stata finalmente ristrutturata diventando la casa di Riza e Roy nei mesi in cui tornavano in paese – così non troverete l’aria di chiuso. Se non siete troppo stanchi stasera ceniamo tutti assieme, va bene?”
“A casa dei nonni? – Vincent si girò verso lo zio con aspettativa – Sarebbe fantastico! Io ci vengo! Se mamma e papà sono stanchi pazienza.”
“Guarda che i tuoi genitori mica sono vecchi, sono solo accaldati – sbottò Roy – e poi voglio vedere chi crollerà addormentato nemmeno alle nove e mezza di sera.”
“Ah! Sono sicuro che posso reggere fino alle dieci e mezza.”
“Peccato che massimo alle dieci tu sarai a letto, Vincent – lo riprese Riza con voce calma ma che non ammetteva repliche – domani vorrai essere in forma per incontrare tutti i tuoi amici, no?”
“Io sono sempre in forma!” protestò il bambino.
“Per somma gioia del capitano…” commento Kain, ridacchiando.
 
Come sempre le riunioni e le feste delle famiglie si svolgevano nel grande cortile degli Havoc. Il grosso complesso di edifici che comprendeva sia emporio che abitazione aveva subito dei grossi cambiamenti in quei vent’anni: una nuova ala era stata aggiunta alla casa originaria ed era stata occupata da Jean e Rebecca quando erano finalmente convolati a nozze.
Proprio Jean Havoc, nel pieno dei suoi trentaquattro anni, fumava beatamente una sigaretta nel cortile dell’emporio, pregustando l’imminente festa che avrebbe visto riunite tutte le persone a lui care. Quei vent’anni l’avevano fatto crescere di altezza e di muscoli, ma i capelli biondi col ciuffo ribelle erano sempre gli stessi, così come gli occhi azzurri e maliziosi.
“Papà!”
La voce di Jilly gli fece immediatamente spegnere la sigaretta su un vecchio vaso sbeccato che stava lì accanto. Adorava il tabacco, ma il fumo provocava sempre una fastidiosa tosse a sua figlia e dunque, seppur con grande sacrificio, il numero di sigarette era drasticamente ridotto… e venivano sempre fumate fuori casa, senza che Jilly fosse presente.
“Dimmi, bambolina.” sorrise, nel vedere la figuretta snella che si avvicinava.
“Papà! – protestò subito lei pestando i piedi a terra – Mamma dice che per la festa mi devo mettere un abitino! Perché diamine non posso restare in pantaloncini e canottiera? Se poi giochiamo con gli altri voglio stare comoda!”
Jean dovette trattenere una risata davanti alla sfuriata fatta da quel piccolo istrice di sette anni: adorava la sua bambina, identica alla madre se non fosse stato per i capelli biondi e gli occhi azzurri, ma maschiaccio impenitente. Nella cucciolata della nuova generazione, Jilly era decisamente la più difficile da gestire: pronta ad avercela con tutto e tutti, tranne due eccezioni ossia suo padre e suo nonno James.
“Suvvia – la prese in braccio, notando le ginocchia sbucciate – sono sicuro che starai veramente bene con l’abitino. Sarà solo per qualche ora e potrai tornare a vestire i soliti pantaloncini corti, con somma disperazione di tua madre.”
“Lo so, ma quelle ore saranno una vera e propria rottura!” sospirò lei, abbracciando il collo del padre e accoccolandosi alla sua spalla.
“Non dire cose simili davanti a tua madre, sennò poi si infuria con me, lo sai. E dai, fammi un sorriso, bambolina… da brava.”
Davanti a quella richiesta la piccola non poté far a meno di elargire il più dolce dei suoi sorrisi all’adorato genitore. Succede che le femmine siano maggiormente legate alla figura paterna, ma Jilly estremizzava questa caratteristica con una vera e propria ossessione nei confronti di Jean: era possessiva e niente le dava più fastidio di vedere altri bambini attorno a lui. Giusto tollerava la presenza del gemello, ma per tutti gli altri, soprattutto le femmine, era guerra.
“Jilly Havoc! – la voce di Rebecca giunse imperiosa dalla casa – O vai immediatamente a lavarti e cambiarti, o giuro che passerai seri guai!”
“Ora arriva! – rispose Jean per evitare che un ennesimo litigio madre e figlia avesse luogo – Forza, ragazzina, vediamo di essere obbedienti almeno oggi.”
“Solo un paio d’ore…” sbottò lei, facendosi mettere a terra.
 
“A quanto pare il padre sta riuscendo ad ottenere qualcosa – sospirò Rebecca, rientrando in cucina – ma perché deve essere così scorbutica?”
“E’ un bel peperino – commentò Angela, controllando il forno – ha preso sia da te che da Jean, mia cara.”
“A me piaceva vestire bene – ridacchiò la mora, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli che era sfuggita al fermaglio – sin da quando ero piccolina.”
Angela sorrise e guardò con soddisfazione l’amata nuora, ricordandosi di quella ragazzina che vent’anni prima si era praticamente imposta come fidanzata di suo figlio. Il tempo aveva in parte sgrezzato ed ingentilito il suo carattere, ma era rimasta una donna estremamente forte, l’unica adatta a far mettere la testa a posto a quello scavezzacollo di Jean.
A dire il vero la loro relazione era stato un tira e molla per diversi anni, fino a pochi mesi prima del matrimonio. Ormai si era perso il conto delle volte in cui uno dei loro amici aveva fatto da paciere per quelle che alla fine erano sciocchezze. E poi cinque anni dopo le nozze erano arrivati i gemelli e casa Havoc era di nuovo colma di vocette e strilla infantili.
A proposito di gemelli…
“Jilly è sistemata – commento – ma dov’è Jody?”
“Jody! – Rebecca sollevò lo sguardo dall’impasto che stava stendendo – Oh no! Che fine ha fatto quel benedetto bambino?”
 
“Ah, vedrai che la mamma ti sgriderà!” commentò Jilly che, in barba a quanto gli aveva detto il padre, aveva deviato il tragitto verso l’odiato bagno e l’ancor più odiato vestitino per andare in cerca del gemello.
“Dici?” chiese ingenuamente Jody coperto dalla testa ai piedi di fango.
Si tirò la maglietta con le mani sporche, chiedendosi come fosse stato possibile che una corsa tra le pozzanghere lo riducesse in quel modo. Però era stato estremamente divertente e poi la mamma non si doveva arrabbiare troppo: erano solo vestiti, bastava lavarli… e se lo chiedeva lui l’avrebbe aiutata più che volentieri. Adorava tutte le bolle di sapone e poi spruzzare l’acqua era davvero divertente.
Perché Jody Havoc era così: semplice e genuino, uno di quei bambini perennemente felici e iperattivi. Esatta antitesi della sorella, privo di qualsiasi malizia, fisicamente era come avere a che fare con un giovanissimo Jean Havoc.
Per questi motivi Heymans commentava che vedere i due gemelli era abbastanza inquietante: sembravano la versione dei loro genitori da giovani.
“Dico! – annuì Jilly con convinzione, dall’alto del suo essere sorella maggiore di ben venti minuti – E io ho sempre ragione.”
“Ehi, ciao ragazzi!”
A quel richiamo i due gemelli si girarono e riconobbero i due fratelli Falman che deviavano dal sentiero, salutando con un cenno la loro madre, per raggiungerli.
“Ehi, Jody – fece Rey tenendosi a distanza di sicurezza da tutto quello sporco – ma che hai combinato?”
“Corsa sul fango!” sorrise il biondo.
“Oh…” il giovane primogenito dei Falman aggrottò leggermente la fronte davanti a quella follia che lui mai avrebbe commesso. Aveva nove anni ed era il più grande del gruppetto di ragazzi: a settembre avrebbe iniziato la quinta elementare. Tuttavia il suo carattere non era certo da leader.
“Sempre perfettino, Rey? – lo prese in giro Jilly – Mamma, mia quanto sei noioso!”
“Perché dici una cosa simile? – chiese con aria profondamente perplessa – Sei arrabbiata con me?”
“E me lo chiedi? – lei si fece avanti, andando a pochi centimetri da lui – La settimana scorsa siamo finiti in punizione, ma tu non hai protestato. Sei uno stupido perfettino, seguitore delle regole manco fosse…”
“Semmai seguace.” corresse subito Lisa.
“Non sto parlando con te! – sbottò Jilly che non nutriva molta simpatia per la sua compagna di classe – Sto parlando con tuo fratello.”
“Ma Jilly – cercò di spiegare Rey – avevamo sbagliato ed era inevitabile che…”
“Non ti sopporto, non ti arrabbi mai!”
Al ragazzo dai capelli castani, curiosamente di tonalità più scure sotto e più chiari sopra, variante della bicromia paterna, non rimase che sospirare davanti a quell’ennesima sfuriata. Jilly cercava sempre di convincerlo della bontà delle sue monellerie, ma lui sapeva bene che non funzionava proprio in quel modo… specie per gli adulti. Però, anche se queste erano le sue convinzioni, finiva sempre per seguire la sua amica.
Nel frattempo Lisa si era accostata a Jody e, preso un fazzoletto, aveva iniziato a pulirgli il viso dal fango… un tentativo davvero pietoso considerata la percentuale di sporco del bambino.
“Lisa, non ce n’è bisogno.” commentò con un sorriso bonaccione.
“Poi ti prendi una sgridata, tontolone.” rispose lei, concentrata nella sua opera di pulizia.
“E se poi ti sporchi il vestito? Dai, lascia stare: meglio che venga sgridato solo io piuttosto che tutti e due.”
“Però mi dispiace – sospirò la bambina, passandogli il fazzoletto ormai imbrattato – oh, Jody, ma perché…”
“Ma smettila! Che tanto mamma non si arrabbia troppo.”
“A questo punto il bagno me lo faccio prima io! – Jilly iniziò a correre verso casa – non voglio la vasca lurida di fango dopo che ci sarai passato tu! E poi fai sempre un lago!”
“E’ tutto da vedere che lo fai prima!” scattò Jody, cogliendo al volo la sfida.
E così ai due fratelli Falman non restò che osservare i loro amici allontanarsi in fretta e furia.
“Speriamo davvero che non venga sgridato…” mormorò Lisa, raccogliendo il fazzoletto sporco che Jody aveva lasciato cadere a terra nella foga di correre verso casa.
“Vedrai che se la caverà, come sempre.” scrollò le spalle Rey.
Nonostante le apparenze e le grandi diversità, quei quattro erano un gruppo molto compatto e durante l’anno scolastico erano sempre gli uni a pranzo dagli altri o viceversa. Fondamentalmente era Jody che faceva da collante, specie tra la sorella e Lisa: le due bambine infatti non andavano molto d’accordo, più che altro non si comprendevano con i loro caratteri così diversi.
Lisa era tranquilla, studiosa, amava leggere ed aveva una memoria prodigiosa proprio come il padre; a Jody piaceva molto: la trovava intelligente, anche se spesso non capiva le parole complicate che usava. Però adorava sentirla parlare di qualsiasi argomento: spesso riteneva che Lisa ne sapesse anche più di molti grandi, di certo sapeva molte più cose di lui. E se c’era una cosa che detestava era se qualcuno la faceva piangere: una volta aveva dato una testata ad un altro bambino perché aveva osato prenderla in giro dicendo che aveva gli occhi strabici.
Rey invece non era studioso all’inverosimile come la sorella, ma non di molto. Le voleva bene, certamente, ma era esitante nelle dimostrazioni fisiche d’affetto. A dire il vero non riusciva proprio a capire come Jody potesse essere così affettuoso con tutti quei abbracci che definiva stile san Bernardo… e, soprattutto, non riusciva a capire come una bambina più piccola di lui come Jilly lo facesse finire inevitabilmente nei guai.
“Sarà davvero bello adesso che Vincent è tornato per le vacanze – commentò la ragazzina, piegando con cura il fazzoletto imbrattato e tenendolo prudentemente lontano dal suo vestito nuovo – ieri l’abbiamo appena salutato dato che era tardi, ma credo che ci divertiremo molto tutti assieme.”
“Già – annuì Rey, mentre si incamminavano verso casa Havoc – ma ho il vago sospetto che la maggior parte di questi divertimenti ci metteranno nei guai.”
 
“Non vedo l’ora di spettegolare con Riza!” esclamò Rebecca con felicità.
“A chi lo dici – ridacchiò Elisa, andando accanto a lei ed iniziando ad aiutarla – è da troppi mesi che non ci si vede, ma abbiamo tutta un’estate per recuperare. E sarà lo stesso anche per i ragazzi: aspettavano tutti il ritorno di Roy! Vato non stava più nella pelle negli ultimi giorni! A proposito, lui arriva tra poco non appena chiude la libreria.”
“Non fa altro che lavorare a quella revisione delle voci enciclopediche: solo lui poteva fare una cosa del genere. Oh, suvvia, dottoressa – protestò la bruna – non è il caso che ti disturbi…”
“Ma finiscila, il fatto che lavori con garze e farmaci non mi impedisce di dare una mano in cucina e…”
“Sei lenta, Jilly!”
Un bolide coperto di fango attraversò la cucina seguito a poca distanza da Jilly.
Elisa e Rebecca rimasero perplesse ad osservare le tracce di sporco lasciate nel pavimento prima di sentire le proteste della bambina lasciata fuori dal bagno.
“Jilly Havoc! – chiamò Rebecca – Non ti avevo detto più di venti minuti fa di farti questo benedetto bagno?”
“E’ colpa di Jody!” protestò lei tornando in cucina e mettendosi a braccia conserte.
“Non è così che…”
“Buongiorno a tutti!”
L’arrivo di Janet interruppe l’inevitabile sgridata.
Tutti dicevano sempre che da grande la secondogenita degli Havoc sarebbe diventata una vera bellezza e le aspettative erano state ampiamente rispettate: sempre biondissima, anche se ora i capelli erano raccolti in un’unica lunga treccia, Janet era sbocciata in una splendida fanciulla alta e snella che sin dai primi anni del liceo era stata corteggiata da molti giovanotti del paese.
Il vestito azzurro ed il grembiule bianco avvolgevano in maniera sensuale la sua figura, mettendo in evidenza il viso leggermente abbronzato e sorridente. Tuttavia l’attenzione della donna, dato che ormai aveva ventisei anni, era volta alla bimbetta che teneva tra le braccia.
“Ciao, Lulù!” sorrise Elisa, andando vicino a loro e accarezzando la guancia della piccola.
“Si è svegliata adesso – spiegò Janet – stanotte non ha dormito bene per il caldo e ha recuperato tutto in queste ore. Ben svegliata, topolina, hai visto che siamo arrivate a casa dei nonni e degli zii?”
Lulù si stropicciò gli occhi col pugnetto chiuso e si svegliò del tutto nel vedere le altre persone nella stanza.
“Ehilà, salve –  Kain fece il suo ingresso con un grosso pacco tra le mani – ecco arrivati i pasticcini al cioccolato preparati da Janet.”
“Di cui tu hai fatto ampio assaggio già ieri sera.” lo prese in giro lei.
“Dai pure a me.” si fece avanti Rebecca, liberando l’uomo dall’ingombro.
“Papà!” Lulù tese le braccia verso di lui.
“Oh, ci siamo svegliate – sorrise, prendendola e baciandola sul nasino – buongiorno, mio dolce passerotto dagli occhi blu, dormito bene?”
E sì, alla fine a rubare il cuore di Janet Havoc era stato Kain Fury e non Heymans Breda, come invece ci si sarebbe aspettati vent’anni prima.
Verso la prima media, infatti, la ragazzina si era accorta che quello che provava per il rosso amico di Jean era un sentimento fraterno e la sua attenzione si era spostata verso una ben precisa persona.
A posteriori, scherzando, Kain diceva che c’era qualcosa di ereditario in quella storia d’amore un po’ particolare considerati i cinque anni di differenza… ma i momenti di tensione erano stati tanti, anche perché Jean non era stato molto felice di quella nuova passione della sorella. E quando due caratteri forti come i loro si scontravano erano davvero faville.
 Tra i due fratelli era stata una vera e propria lotta, con Jean che aveva riniziato a vedere Kain come un nemico, tanto che più di una volta si era quasi arrivati all’aggressione fisica. Tutto questo nonostante il giovane Fury avesse mantenuto un atteggiamento più che corretto nei confronti della ragazza.
Ovviamente, da principio, si era trovato in difficoltà ad accettare quei sentimenti: voleva molto bene a Janet e desiderava il meglio per lei, ma quella differenza d’età era molto forte. Si era ripromesso di aspettare che lei finisse almeno il liceo, memore del percorso che avevano fatto i suoi genitori, ma Janet aveva reso le cose molto più complicate in quanto, a differenza di Ellie, era molto più decisa e spudorata.
Era persino riuscita a rubargli il primo bacio che aveva appena quindici anni e lui quasi venti.
Per non parlare della volta che era scappata di casa per fargli un’improvvisata ad East City, quando lui era all’ultimo anno di Università.
Insomma c’era voluta tutta la pazienza e la buona volontà tipica dei Fury per permettere al giovane esperto in elettronica di gestire quella complicata situazione. Tra minacce da parte di Jean ed entusiasmo da parte di Janet, era riuscito ad arrivare indenne al momento in cui lei aveva finalmente finito le scuole e dunque non era più così sconveniente ammettere di provare determinati sentimenti.
Piano piano, spinto anche dal buonsenso dei genitori e degli amici, Jean aveva accettato la situazione e per il loro matrimonio, celebratosi due anni dopo, i rapporti erano ormai distesi. E cinque anni dopo, la nascita di Lilia, Lulù per tutti, aveva seppellito definitivamente l’ascia di guerra.
“Su – Kain mise a terra la figlioletta – sgranchisciti pure le gambe.”
La bimba scrollò la testolina castana e sgranò gli occhi di un blu veramente carico: si mise il pollice in bocca e mosse esitanti passi, indecisa verso chi andare.
“Ehi, Lulù – chiamò Jean, entrando dall’altra parte della stanza – vieni da zio Jean!”
A quel richiamo la piccola sorrise e iniziò a trotterellare verso quella direzione, ma arrivata all’altezza di Jilly venne circondata dal braccio della cugina.
“Non ci provare, microbo…” le sibilò in tono minaccioso.
“Ah, ecco le mie bellissime nipoti! – James spezzò quella minaccia entrando a sua volta ed andando a prendere in braccio entrambe le bambine – Figliolo, posso sapere dove diamine hai messo gli attrezzi per montare i tavoli?”
“Sono già fuori in cortile, papà – Jean si avvicinò per dare un’arruffata di capelli ad entrambe le bimbe – non aspettano altro che noi.”
“Bene, scusate signore, ma gli uomini devono lavorare. Vieni Kain, anche se non ci sono cavi ed elettricità con cui avere a che fare, un altro aiuto è sempre gradito.”
Come gli uomini si furono allontanati, passarono pochi secondi che Jody rientrò in cucina con i capelli ancora gocciolanti.
 “Mamma! Ho finito col bagno e… – dichiarò con orgoglio – Ciao, Lulù!”
L’abbraccio da orso sommerse la cuginetta che emise dei versi soffocati, l’equilibrio messo seriamente in difficoltà. Il ragazzino adorava la cugina, anche se spesso le sue effusioni erano troppo esagerate.
“Jody! – subito Janet si accostò a loro – Piano, tesoro, piano! Sei il triplo di lei!”
Il bambino ridacchiò e abbracciò con entusiasmo la zia, mozzandole il respiro.
“Oh no, Jody – Angela arrivò e si accostò a lui – hai messo la maglietta al rovescio e hai ancora i capelli fradici… vieni, bietolone, andiamo a sistemarci meglio! Jilly, forza, devi fare il bagno si o no?”
 
Nonostante queste difficoltà di preparazione, nell’arco di due orette tutti quanti erano radunati per festeggiare il pensionamento del capitano Falman. Il clima era sempre lo stesso di vent’anni prima: i bambini che si scatenavano e due generazioni di adulti che si godevano quella giornata estiva.
Ovviamente furono numerosissimi i brindisi e gli aneddoti che si sprecarono per il festeggiato, in particolare Roy fece la parte da leone citando gli episodi più esilaranti in cui aveva coinvolto il capitano di polizia.
“C’è davvero da stupirsi che sia arrivato al pensionamento dopo tutto quello che gli abbiamo fatto passare – sogghignò Heymans dopo l’ennesima storia che aveva fatto ridere tutti (un po’ meno l’ormai ex capitano Falman che sembrava sul punto di dare una sberla al divertito Roy) – siamo stati peggio di qualsiasi banda criminale che potesse mai incontrare.”
“Oh suvvia – sorrise Laura, seduta accanto al figlio maggiore, il rosso dei capelli leggermente spento, ma sempre sorridente – in realtà è sempre stato estremamente fiero di tutti quanti voi. Allora, resterai qui per tutta l’estate? Sono stata così felice quando sei tornato prima del previsto.”
“Sì, non credo ci saranno problemi – annuì Heymans, prendendo con affetto la mano della donna – ho chiuso tutti i casi che sto seguendo e non credo che dovrò andare ad East City fino a settembre inoltrato. Mi potrò godere un’estate di tranquillità.”
“Zio Heymans – una manina gli tirò la manica della camicia e Mary, rossa e dagli occhi grigi come il fratello minore, tirò fuori dalla tasca del grembiulino un disegno – ti piace? L’ho fatto io!”
“Che brava che sei, ragazzina – sorrise lo zio, prendendola in braccio – ma stai mangiando? Sei sempre uno stecchetto e non va bene: forza, apri la bocca.”
“Non ingozzarla come un’oca! Guarda che ha mangiato.”
“Sì, ma poco. Non va bene se vuole crescere.”
“Oh, forza, dalla a me. Vieni, tesoro, hai sete?”
“Pure io, nonna!” Heymans junior si accostò a lei, mettendosi in piedi sulla panca e poggiandosi al tavolo con qualche difficoltà. Ma per fortuna Laura era ormai pratica nel gestire contemporaneamente i due nipoti, così come era abile a tenere a bada tutti gli altri bambini… una dote che tutte le nonne avevano acquisito, tanto che Angela definiva tutte loro la squadra delle nonne vincenti.
 
Approfittando di quella pausa dai nipoti (precisando era zio onorario di tutta la nuova generazione), Heymans si alzò dal tavolo e si passò una mano sui corti capelli rossi. Alla fine lui era l’unico del gruppo che non si era sposato, ma era perfettamente felice della sua vita: era diventato avvocato e anche se stava in paese, spesso andava ad East City per via del suo lavoro.
Proprio grazie al suo lavoro era venuto di recente a conoscenza di alcuni fatti che riguardavano il suo passato. Negli ultimi giorni aveva riflettuto parecchio se tenere esclusivamente per se quelle notizie, ma poi aveva deciso che almeno due persone ne dovevano venire a conoscenza.
“Ti posso parlare un secondo?” chiese accostandosi ad Henry.
“Certamente – annuì il fratello, facendo cenno a sua moglie di tornare pure accanto alla suocera e ai bambini. Evidentemente aveva già intuito qualcosa perché come si furono allontanati leggermente dai tavoli aggiunse – c’è qualcosa che vuoi dirmi da quando sei tornato la settimana scorsa, vero? Te lo leggo in faccia.”
“Non è facilissimo – ammise lui, cercando con lo sguardo la seconda persona a cui voleva parlare – riguarda nostro padre.”
Proprio in quell’istante Andrew Fury alzò lo sguardo da Ellie e Riza che chiacchieravano allegramente e capendo di essere convocato si alzò dal tavolo e si accostò con discrezione ai due fratelli.
Il tempo era stato molto gentile sia con lui che con la moglie che dimostravano molto meno dell’età effettiva. Ormai non vivevano più nella casa sulla collina che era stata lasciata a Kain e Janet: quando qualche anno prima era venuto a mancare il notaio Fury, si erano trasferiti nella casa di famiglia. L’uomo continuava ad essere uno stimato ingegnere e, a prescindere dai suoi cinquantaquattro anni, continuava a lavorare quotidianamente ad ogni cantiere.
“Tutto bene ragazzi?” chiese, mettendo una mano sulla spalla di ciascuno di loro.
“Stavo per affrontare un discorso un po’ particolare con Henry, signore – ammise Heymans. Ed è strano parlarne a più di vent’anni di distanza: si tratta di nostro padre.”
Gli occhi castani dell’uomo si incupirono lievemente a quella rivelazione.
“Hai fatto delle ricerche su di lui?” chiese con gentilezza.
“Non so nemmeno io perché – Heymans lo guardò con aria di scusa, quasi fosse stata una mossa tremendamente sciocca come quando, vent’anni prima aveva deciso di sfidarlo apertamente – ma ad un certo punto mi sono reso conto che ormai doveva avere una certa età e che… forse volevo affrontarlo di nuovo da adulto, un po’ come feci con mia nonna tempo addietro, ma probabilmente alla fine non so nemmeno io quello che volevo.”
“E che hai scoperto?” chiese Henry con calma, dopo qualche secondo.
“E’ morto qualche anno fa… cirrosi epatica a quanto pare. Non aveva una dimora stabile, era quasi un vagabondo ormai. Non ha mai avuto dei problemi con la legge, eccetto quello che è accaduto qui, però non è riuscito a ricostruirsi una vita.”
Il tre si guardarono per qualche istante e poi, immediatamente, rivolsero la loro attenzione a Laura che si godeva la compagnia dei nipotini e della nuora. Adesso in paese erano pochi quelli che ancora le tenevano il broncio per il suo essere donna separata.
“Non deve saperlo.” disse subito Henry.
“No – annuì Heymans – che senso avrebbe?”
“Sono d’accordo con voi: non è il caso di riaprire spiacevoli ferite. Adesso ha voi, i bambini, le sue amiche e tutti noi altri… lui non le deve far più del male, nemmeno da morto. Questa notizia deve restare tra noi tre e…”
“Nonno Andi! Nonno Andi!”
I tre adulti subito cambiarono atteggiamento mentre Lulù correva ancora in maniera traballante verso di loro, un gran sorriso sul viso paffuto.
“Piano, cucciola, piano! – ridacchiò l’uomo, recuperandola in tempo per evitare un ruzzolone – cosa c’è?”
“Nonna Elli dato questo a Lulù! – esclamò lei felice, mostrando un coniglietto di stoffa – E’ Oscar! Oscar! E’ venuto dalle favole di nonna per Lulù! E’ un conilietto magico!”
“Coniglietto – la corresse Heymans – ripeti, amore, coniglietto.”
“Conilietto!” ripeté lei, inciampando in quel suono ancora troppo difficile e provocando la risata di tutti.
 
“Scommetto che allo stagno ci saranno un sacco di rane!” dichiarò Vincent Christopher mettendosi le mani in tasca.
“Oh sì che ci sono! – annuì Jilly – e nel prato dietro casa ho trovato una tana di lucertole enorme! E secondo me sono ancora lì!”
“Grandioso! Andiamo a vedere!”
“Ovviam…”
“Vincent Mustang e Jilly Havoc! Tornate subito qui!”
La voce del capitano Falman tuonò e subito i due ragazzini si guardarono con aria complice.
“Oh,dai, chi se ne frega di lui! – Jilly iniziò a correre – scappiamo Vin!”
“Piccole pesti!” sibilò l’ex capitano di polizia, risedendosi nella sedia e intuendo che quei tre mesi sarebbero stati molto movimentati per via di quei due. E che, inevitabilmente, i suoi due tranquilli e disciplinati nipoti sarebbero stati coinvolti nelle varie monellerie.
“Papà, stai calmo – Vato gli mise una mano sulla spalla – ti fa male alla pressione.”
“Li lasci divertire capitano – ridacchiò Roy, seduto accanto all’amico – devono godersi la loro infanzia, no?”
“Dannazione a me – sbottò Vincent, mettendosi una mano sulla tempia in un gesto d’esasperazione – che grande errore ho fatto inculcandoti quel concetto in testa, Roy!”
“Errore? – il moro sorrise furbescamente e lanciò un’occhiata significativa a Vato – Signore, lei è stato una grande guida per tutti noi. Oggettivamente, guardando questa tavolata, lei e gli altri genitori potete rammaricarvi di qualcosa?”
“No – sospirò l’uomo con un lieve sorriso – direi proprio di no. E mi pare incredibile che siano passati vent’anni da quei fatidici mesi in cui avete fatto amicizia.”
“Sono stati dei mesi rivoluzionari – commentò Vato, osservando Jody e Rey che ridacchiavano assieme a James, mentre Lisa si faceva sistemare una codetta dalla madre – non è sbagliato dire che hanno deciso in buona parte quello che siamo adesso.”
“Com’è che è iniziata? Ah sì… ad inizio anno scolastico Riza aveva stretto amicizia con Kain.”
Il colonnello fissò la moglie che chiacchierava con Ellie, le mani delle due donne intrecciate amorevolmente.
“E poi tu e Jean vi siete picchiati…” sogghignò Vato.
“E poi ho coinvolto te nel mio progetto d’amicizia… che matti che eravamo all’epoca.”
“Davvero, ma sai, quella foto fatta alla festa di compleanno di Kain è ancora in bella mostra in salotto – confessò Vato – accanto a quella del matrimonio e dei bambini. Eppure ne abbiamo fatte altre tutti assieme, ma quella ha un significato tutto particolare.”
“Il gruppo originario… beh, devo proprio fare un brindisi a quei ragazzi che eravamo e agli adulti che ci hanno insegnato a vivere.” alzò il bicchiere di vino.
“E gli adulti sono fieri di voi, ragazzi.” rispose Vincent, imitando il gesto assieme al figlio.
Come potevano non esserlo dopo tutto quello che avevano passato?
E anche dopo vent’anni, in quel piccolo e sperduto angolo di mondo, avrebbero sempre ricordato quel breve arco di tempo che li aveva uniti in maniera indissolubile.




I bellissimi disegni sono di Mary  ^___^


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Ed eccoci finalmente arrivati alla fine di questa fic, con una nuova generazione di pargoli che imperversa in quel piccolo angolo di mondo, pronta a creare un sacco di guai al nostro amato ex capitano di polizia! (è destino, Vincent, rassegnati).
Scherzi a parte è stato un viaggio davvero lungo: credevo che nessuna fic superasse The Memory Man con i suoi 33 capitoli, ma di giorno in giorno questa creatura mia (e in parte anche di Mary che mi ha ispirato tante scene con i suoi disegni meravigliosi) cresceva e non mi andava di levare spazio a quelli che erano momenti fondamentali nella vita dei ragazzi.

Alla fine ho optato per far diventare solo Roy militare: mi sarebbe sembrata una forzatura bella e buona creare di nuovo il Team Mustang considerati i background differenti a quelli reali: in primis il fatto che non c'è la guerra civile sullo sfondo. In ogni caso la squadra è in qualche modo presente: sempre compatti ed uniti a prescindere dal fatto che indossino o meno la divisa.

Ok, adesso mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate di quest'opera in generale: sui ragazzi, sulle problematiche che hanno affrontato, sui loro genitori... ecco proprio su di loro e sugli altri miei OC (Janet, Elisa ed Henry) mi piacerebbe sapere cosa ne pensate ^___^
E poi ho una domanda da farvi: 
vi interesserebbero gli spin off sui genitori? Sarebbero in teoria tre: uno su Vincent e Rosie, uno su Ellie, Andrew e Laura (e anche Gregor ed Henry senior ovviamente) e uno su James ed Angela. Insomma fic sul loro primo incontro, il loro evolversi nella storia, i loro matrimonio e la nascita dei nostri soldatini, cose che magari in parte ho già introdotto come flashback. Per esempio con Vin e Rosie si vedranno i rappori con Max e Daisy e così via... boh, fatemi sapere se vi piace l'idea. 


in ogni caso, grazie per avermi seguito pazientemente in questo percorso davvero particolare :D
  
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