Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: CreAttiva    22/06/2014    5 recensioni
Una volta ogni dieci milioni di anni un angelo perde i poteri, diventando vulnerabile. Questa volta tocca al sovrano degli angeli caduti: Satana, il re degli Inferi. Soddisfatto del suo operato durante la sua lunga esistenza, ha già accettato di svanire per sempre. Ma il Signore ha in serbo per lui qualcosa di diverso dalla morte.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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2 - Un nuovo amico

Compleanno

Questa è un'opera di fantasia. Nomi,

personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi

sono frutto dell'immaginazione dell'autore

e non sono da considerarsi reali.

Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari,

organizzazioni o persone,

viventi o defunte, vere o immaginarie,

è del tutto casuale.



Un mare di lava bollente ribolle sotto i suoi piedi. Una coltre di nubi nere più spesse del carbone lo sovrasta. L’aria è pesante e putrida e il calore soffocante. Gli occhi lacrimano per il bruciore, la gola è riarsa, le labbra secche. I capelli canuti sono appiccicati al volto pallido e sudato. Le mani scarne sono aggrappate alla roccia ruvida che spicca dalla lava e infilza il cielo come una lancia. L’intero suo corpo è vincolato a quell’unica isola di salvezza.

Il vecchio si guarda attorno spaurito: dove si trova e come ci è arrivato? Un lieve rantolo esce dalla sua bocca e un tremore gli sconquassa le membra. La lava è troppo vicina. Se solo riuscisse a salire più in alto e a raggiungere la cima della roccia... il vecchio fa leva sui piedi nudi e ossuti, si arrampica con tenacia, facendo appello a tutte le sue forze. Le unghie si spezzano, le dita si scorticano, ma lui non si arrende. Ce l’ha quasi fatta, gli manca poco. Improvvisamente avverte l’appoggio dei piedi franare e il vecchio cade. In un ultimo, disperato e inutile tentativo si avvinghia con ostinazione alla roccia, ferendosi, sbucciandosi. Il tonfo del suo corpo non emette rumore. La pelle del vecchio brucia, si disgrega. Lui grida, ma non gli esce alcun suono. La lava entra in circolo e lo corrode da dentro. Il vecchio si scioglie fra atroci dolori; il tutto dura un solo istante.

Passano i minuti. Misteriosamente le ossa sono ancora lì, intatte. Lo scheletro rimane ammollo a lungo, affondando nel mare di fuoco, come un involucro vuoto. Poi, animato da una forza ignota, risale in superficie, senza un lamento. Si aggrappa alla roccia e vi risale senza fatica. Appoggia gli arti e il cranio su di essa e si ferma. Molto lentamente le ossa secernono piccole gocce gelatinose, che si mescolano l’una con l’altra formando un sottile strato di carne. Su quello ne sorge un altro e poi un altro ancora. La carne prende consistenza: si creano muscoli e pelle, nervi e peli.

Gli occhi vitrei riprendono coscienza e il vecchio si desta con un sussulto. Dove si trova e come ci è arrivato? Non riesce a ricordare ma è convinto di una cosa: deve raggiungere la cima di quella roccia.



Il demone guardava il vecchio con indifferenza: un uomo come altri, uno dei tanti dannati che popolavano quel luogo oscuro di morte. Si passò una mano fra i lucidi capelli corvini e chiuse le palpebre sugli occhi color miele. Dilatò i sensi. Le grida di dolore e di disperazione arrivarono alle sue orecchie a punta come un canto melodico e sul volto dai lineamenti dolci si disegnò un ghigno malefico di puro piacere. Assaporò ogni lamento con un’eccitazione quasi febbrile, si inumidì le labbra con la lingua. Un vociare concitato lo infastidì: un gruppo di demonietti rideva maligno in disparte, osservando le pene umane. Erano esseri inferiori, sottoposti dal tipico aspetto animalesco: il corpo era piccolo e tozzo, di colore violaceo, con muscoli magri e deboli; i piedi e le mani terminavano con tre lunghe dita aguzze; dalla schiena si spiegavano due ali da pipistrello e la viscida coda era a punta, come una freccia; la testa non era altro che un cranio ricoperto dalla membrana viola della pelle, da cui sporgevano gli occhi gialli, le orecchie acuminate e le terribili zanne.

Agahareth si allontanò con sdegno dal Pozzo, irritato dai loro acuti sghignazzamenti. Discese la rupe con agilità e si avviò verso la città. Sugli enormi torrioni i minotauri spinsero i torchi e le Porte dell’Inferno si aprirono. Il silenzio funereo della città lo accolse tenebroso. Agahareth si mosse silenzioso sul sentiero circondato dalle file di terreno, strisce aguzze di roccia che si aprivano tra le fiamme. Su di esse i prigionieri subivano le pene più disparate.

I superbi erano immersi nel fango fino al collo; sulle loro teste i demonietti ballavano prendendoli in giro, infilzandogli il capo con le unghie e strappandogli la pelle a morsi.

Gli invidiosi avevano gli occhi bendati; vi vedevano attraverso, ma con una particolarità: ovunque posassero lo sguardo c’era sempre qualcuno che aveva più di loro. Ovviamente era solo un’illusione; ma l’astio li portava a combattersi a vicenda. Sangue e carne erano sparpagliati ai loro piedi.

Gli iracondi, legati in fondo a una buca con delle pesanti catene, si dimenavano, scalciavano e strepitavano contro un’immagine fittizia del loro odiato nemico. Posseduti dalla rabbia ceca, si provocavano lesioni nel tentativo di raggiungerlo.

Gli accidiosi correvano senza sosta in una pista circolare, inseguiti dai demonietti che li forzavano a proseguire la marcia. Qualcuno cadeva, veniva calpestato, poi era costretto a rialzarsi.

Gli avari vedevano pian piano bruciare tutto ciò che avevano ritenuto importante in vita, sino a che non veniva il turno di un loro braccio, gamba, orecchio... ardevano nel fuoco e rinascevano dalle ceneri, come i loro patrimoni.

I golosi erano condannati a mangiare la terra arenosa, sebbene il loro stomaco fosse sempre saturo, le pance flaccide gonfiate sino al limite. Ogni tanto qualcuno scoppiava, seminando brandelli di carne e schizzi di sangue addosso ai vicini; si ricomponevano lentamente, continuando a scontare la propria pena.

I lussuriosi erano riuniti a coppie. Le donne si strusciavano sulle schiene degli uomini, sospirando goduriose; questi, eccitati, tentavano disperatamente di voltarsi, legati come le consorti per le mani. Impossibilitati nei movimenti, venivano oltremodo torturati dai demonietti sghignazzanti.

I ladri e i bugiardi erano obbligati a confessare la verità, che gli usciva spontanea dalla bocca, ai piedi di un agognato cumulo di tesori per loro irraggiungibile. Ad ogni parola una lancia gli trapassava il petto, una gamba o altro. Al termine della confessione bruciavano nel fuoco per poi ricomporsi, in un ciclo infinito di tormento.

Gli assassini venivano continuamente mutilati, uccisi e resuscitati dai suicidi, costretti contro la propria volontà a tormentare il prossimo al posto di se stessi.

I traditori, in piedi o inginocchiati, si mordevano la lingua fino a mozzarsela, ma quella si ostinava a ricrescere; quindi si graffiavano e scorticavano sulla roccia.

Il vecchio al Pozzo era uno dei tanti folli che avevano venduto la propria anima in cambio di favori.

Agahareth si fermò innanzi al cancello del palazzo per ammirarne la magnificenza. L’edificio era completamente di cristallo rosso: un prodotto ottenuto dalla fusione del minerale col sangue umano. Gli alti tetti a punta si conficcavano come lance nell’atmosfera plumbea; le guglie e gli spuntoni delle balconate squarciavano il cielo come un’enorme bestia scarlatta che dilania pezzo per pezzo ciò che la circonda. Il palazzo irrompeva sul paesaggio, segno della forza oscura e minacciosa che vi albergava.

Due guardie si misero sull’attenti al suo passaggio ma Agahareth non le degnò di uno sguardo. Superò l’Ingresso, un ambiente a cinque navate separate da statue mostruose che sorreggevano i capitelli corinzi delle colonne e il ballatoio; la struttura longitudinale era attraversata da due transetti tripartiti ed era illuminata da tagli violenti di luce provenienti dagli oculi; in fondo, un’imponente statua alta quasi quindici metri di un uomo dai capelli mossi e con enormi ali piumate ripiegate, stringeva nella mano la Terra, tesa verso gli astanti. Imboccò una corsia a lato e si inoltrò nel dedalo di corridoi labirintici, ignorando i consueti bassorilievi scolpiti sulle pareti. Entrò nella Sala del Trono spalancando le porte, che un demonietto si apprestò a chiudere alle sue spalle. Il gruppo di demoni immersi in una conversazione ammutolì.

«Mio caro Agahareth, hai deciso di degnarci della tua presenza?»

La frase era indubbiamente ironica, eppure il tono era piatto, privo di spessore. Quella voce leggera e melodica apparteneva a un essere di straordinaria bellezza, seduto su uno scranno di cristallo rosso posto in alto in fondo alla sala. Il volto pallido e lungo incorniciato dalle onde ramate dei capelli non esprimeva alcuna emozione; le braccia possenti erano posate in grembo, il corpo vigoroso vestiva una tunica grigia finemente ricamata con un motivo di cerchi concentrici. La sua regalità era resa esplicita dalla corona nera dal disegno intricato, impreziosita da rubini dal taglio complesso. Agahareth fissò i suoi occhi neri come il carbone, quei pozzi di tenebre che sembravano scrutarti nell’animo e risucchiarti in un baratro senza fine. E la calma ieratica che spirava da quella figura, qualsiasi situazione si presentasse, lo innervosiva. Avvertì l’immenso potere di Satana attraversarlo come una scarica elettrica e un brivido gli percosse le membra.

«Ti ho mandato a chiamare più di un’ora fa!» esclamò sdegnato Lucifugo. Agahareth si riscosse «Avevo da fare.»

«Come osi?! Non ci sono scuse per una tale condotta! Non ho ragione, mio Signore?» Satana non rispose. Si vedeva quanto poco gli interessasse il parere di quel leccapiedi del Primo Ministro infernale.

«Sinceramente...» intervenne Satanchia, che come Agahareth possedeva il grado di generale «Vorrei proprio sapere perché sono stato interrotto nel bel mezzo della mia orgia.»

«Ti ricordo che il nostro Signore ha il diritto di comandarci in qualsivoglia momento.» replicò Lucifugo scuotendo la testa stizzito. I lunghi capelli neri dal riflesso verde scuro, raccolti in una coda di cavallo, ne seguirono il movimento.

«La curiosità uccide il gatto.» disse Sargatanas, la brigadiere, con un sorriso malizioso e giocherellando con le dita con i riccioli corvini. Satanchia non raccolse la provocazione: il gatto, simbolo di lussuria, era l’animale a lui sacro. Agahareth prese posto attorno al lungo tavolo. Tutti i presenti si volsero al loro padrone, in attesa che parlasse. La voce di Satana risuonò come sempre dolce, seppure ferma e sicura.

«Fra poche ore verrà il nuovo giorno.» prese una pausa, poi si aprì in un sorriso sornione «Signori: sapete dirmi che giorno sarà?»

«Il 29 febbraio.» rispose prontamente Lucifugo.

«Esatto. Forse ora qualcuno di voi saprà anche dirmi perché è tanto importante.» Tutti tacquero. Lucifugo si tormentò spasmodicamente le mani affusolate, smanioso di dare una risposta che non conosceva. Agahareth spostò leggermente la sedia, richiamando l’attenzione.

«E’ il giorno in cui nascesti e sono passati altri dieci miliardi di anni.» Sargatanas piegò la testa da un lato, incuriosita:«“Altri dieci miliardi”?»

«Dall’ultima volta in cui i suoi poteri scemarono.» rispose il generale. Il volto del Primo Ministro si contrasse in una smorfia orribile e Satanchia esclamò:«E’ uno scherzo...!»

«No.» affermò Nebiros, il maniscalco, parlando per la prima volta «Agahareth dice il vero. Non è il tipo da scherzare.»

«A differenza di qualcun altro.» disse lui di rimando.

«Felice di irritare il prossimo.» rispose Sargatanas alla sua occhiataccia. La demone aveva cominciato ad acquisire interesse sul suo pallido volto annoiato.

«Non può essere...» balbettò Lucifugo smarrito «Ogni dieci miliardi di anni, nel giorno della propria nascita, un angelo perde i suoi poteri sino all’alba successiva, diventando un facile bersaglio per gli avversari. Ma è solo una leggenda, non è mai accaduto...»

«Oh, certo.» riprese Satana «Perché sinora Dio non necessitava di intervenire nel mio operato; tuttavia in più occasioni sono stato vicino a venire cancellato. Solo per la sua filosofia del libero arbitrio sono ancora qui. Temo – anzi sento – che stavolta sarà diverso. Forse non mi facevi così vecchio?» Lucifugo posò gli occhi celesti e vitrei sui lineamenti del diavolo: il volto senza età, troppo giovane per appartenere a un uomo e al contempo troppo maturo per essere di un ragazzo, era una maschera di indifferenza. Come faceva a mantenersi tanto calmo? Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una ventata gelida che lo raggiunse alla schiena. Si voltò: Flueretty, il tenente generale, stringeva con le mani i bordi del tavolo: la presa delle dita era talmente serrata da fargli sbiancare le nocche. Il corpo possente e muscoloso era percosso da sussulti irregolari e sul viso dalla mascella larga e squadrata si disegnò un’espressione feroce. Attorno a lui, come ad avvolgerlo, un turbine di gelo volteggiava nell’aria.

«No, non... può farlo...» le sue parole sembravano trattenute. Satanchia, che gli sedeva a fianco, gli posò una mano sulla spalla «Calmati.» Flueretty se la scrollò di dosso con un gesto fulmineo ed esplose: «NO! NON LO ACCETTO! SE QUELL’ASSURDO DIO OSA TOCCARE IL NOSTRO SIGNORE, IO...» Tirò un pugno al tavolo, lasciando una concavità nel cristallo.

«Flueretty, non agitarti.» disse Satana. Il demone si placò all’istante. Il re degli Inferi continuò:«Non ho idea di cosa accadrà tra due ore: potrei anche scomparire.» La rivelazione cadde come un manto pesante sulla sala.

«Qualunque sia il mio destino voi dovete perpetuare il mio operato. Lucifugo si occuperà del controllo della città e della sua amministrazione, seguendo rigorosamente le leggi; Satanchia guiderà i demoni inferiori nella conquista delle anime con l’aiuto di Flueretty e Sargatanas; Nebiros eseguirà come sempre i vostri ordini e, se sopravviverò, avrà il compito di cercarmi o perlomeno di informarsi sulla mia fine; Agahareth...» Aveva pronunciato il suo nome per ultimo e non a caso. Agahareth rimase impietrito, in attesa...

«Occuperà il mio posto in qualità di nuovo Signore dell’Inferno.» Lucifugo indirizzò ad Agahareth uno sguardo carico d’odio, ma durò appena un secondo: ricompose subito il suo sorriso mieloso. Satanchia e Flueretty si congratularono e Sargatanas batté le mani. Nebiros rimase impassibile. Agahareth si alzò, si avvicinò all’altissimo scranno e si inginocchiò ai suoi piedi. Ce l’aveva fatta. Secoli di macchinazioni senza esito e ora, finalmente, ciò che agognava da tanto tempo gli veniva offerto su un piatto d’argento. Trattenne il sorriso trionfante che pian piano gli saliva alle labbra e assunse un’aria solenne.

«Sarà un onore.»



Satana fissava l’alto soffitto che si intrecciava in ampie volte a crociera. Non indossava più la sua corona, ceduta assieme alla propria carica. Seguì con gli occhi gli archi a sesto acuto e le venature del cristallo rosso, scendendo fino al pavimento: al di sotto della lastra di cristallo i corpi degli umani si divincolavano galleggianti in un mare di sangue. I vigliacchi premevano sul pavimento della sala, raschiando con le unghie, nel tentativo di fuggire da quella prigione. Alcuni avevano completamente perso il senno e mordevano la carne del vicino; oppure sbattevano la testa contro le pareti fino a rompersi il cranio. Condannati a vivere quell’agonia per l’eternità. Satana contemplò a lungo quelle figure perdute, pensando con rammarico che non avrebbe più goduto di un simile spettacolo: ora toccava ad Agahareth.

Già, Agahareth! Ricordò l’espressione con cui l’aveva congedato.


I demoni escono tutti, Lucifugo lo guarda negli occhi un'ultima volta. Satana vi legge tutta la sua devozione e per un attimo si pente della propria scelta. All’Inferno serve una guida, non un cane bastonato. Lo lascia andare. Agahareth lo segue, ma prima che possa varcare la soglia Satana lo trattiene per un braccio.

«Mio Signore?» domanda perplesso.

«Ah! Fai il servizievole adesso?» Agahareth indurisce lo sguardo «Cosa vuoi?» Satana tace, tenendolo apposta sulle spine.

«Se hai qualcosa da dire...!»

«Io lo so quello che pensi.» Il ghigno di Satana è pieno di cattiveria «Pensi di essere finalmente riuscito a sbarazzarti di me, non è vero?» Il respiro di Agahareth si ferma per un attimo. La sua espressione è così palese per Satana che gli sembra di sentire i suoi pensieri ad alta voce:“come fa a saperlo?”

«Credevi forse di farla franca? Quante volte ho sgominato i tuoi ridicoli tentativi di spodestarmi? Se ti cedo la mia carica è perché l’ho deciso io, non perché sono costretto.»

«Ne sono lieto.» sibila il demone.

«Non metterti troppo comodo. Tornerò.» Agahareth impallidisce: rabbia e paura si mescolano sulla smorfia della bocca e gli occhi spalancati sono due palle dorate. Satana lascia la presa del braccio e, con un passo lungo e lento, Agahareth arretra, sparendo dietro le porte.


Satana si compiacque della sua perfidia. Assaporò soddisfatto quell’appagante senso di superiorità fino in fondo, gustando con piacere il ricordo. Un tonfo ovattato lo riportò al presente. Chinò il capo: una donna premeva contro la lastra di cristallo, tentando di uscire, la bocca spalancata in un grido muto perso nel lago rosso. Satana si rimboccò una manica della tunica e avvicinò la mano al pavimento. Il cristallo si deformò attorno al suo braccio, aprendo un varco; prese la mano della donna e con un rapido movimento la tirò fuori. Il cristallo si richiuse all’istante sotto i suoi piedi, impedendo agli altri dannati di fuggire. La donna tremava, incerta sulle gambe, i capelli scuri incollati al viso. Gli occhi blu spiccavano sotto al sangue vischioso che le ricopriva tutto il corpo e che gocciolava sul pavimento. Satana le prese delicatamente una mano e le succhiò le dita: il sapore salato e pungente del sangue gli bagnò il palato e corse giù, lungo la gola, inebriandolo. Si avvicinò al viso della donna, inerte fra le sue braccia. Aprì la bocca e cominciò a leccarle il sangue sulla guancia. Salì sulla fronte, stringendo i capelli della donna tra le dita, poi seguì il contorno delle labbra, inspirando il suo alito caldo. Scese lungo il collo, lambì le spalle; quando arrivò ai seni morbidi la donna gemette. Un fremito di lussuria si scatenò nel diavolo: si sfilò la tunica e costrinse a terra il suo giocattolo. Le sfiorò le gambe con la lingua e risollevò il capo, i pozzi tenebrosi piantati negli occhi languidi di lei. Introdusse la lingua nella sua bocca; il bacio gli venne restituito con foga, in attesa di un solo, desiderato momento...

...che venne. Satana sospinse il bacino su quello della donna, facendola sua. Le grida voluttuose di lei echeggiarono nella sala, salendo di tono ogni volta che il suo corpo veniva premuto contro il pavimento. Infine Satana si fermò. La donna rimase immobile per un momento, poi cercò con una mano il basso ventre del diavolo e mormorò con voce eccitata:«Ancora! Vi prego... ancora! Ah, sì! Ancora!» Satana non le prestò ascolto. La sua fiamma passionale si era consumata e spenta altrettanto velocemente quanto si era accesa. Si rialzò. Mentre si voltava per rivestirsi, il cristallo si aprì sotto la donna, tornando a sprofondarla nel sangue, e si richiuse sopra di lei. Posò una mano sul petto. Il palmo si illuminò un poco e ogni traccia di sangue sparì sia dal suo corpo sia dalla tunica. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e chiuse gli occhi. Due ali enormi gli uscirono dalla schiena e si spalancarono. Qualche piuma nera cadde soffice al suolo.

Era pronto. Qualunque sorpresa gli riservasse il destino, l’avrebbe affrontata senza timore. Dopotutto, la paura non lo aveva mai sfiorato, sebbene facesse parte della sua esistenza. Terrorizzare il prossimo era stato per secoli il suo compito; la violenza fisica o mentale in lui non sortiva più alcun effetto. C’era solo una cosa che lo aveva tormentato nel primo millennio della sua nuova vita: la possibilità che il suo animo si ridestasse dal sonno profondo cui l’aveva costretto, ritrasformandolo nell’angelo che era stato un tempo. Oramai neanche questa preoccupazione urtava i suoi pensieri: era certo di essersi reso indifferente a tutto e che avrebbe mantenuto quella condizione per sempre. Persino ora, vicino alla sua probabile fine, rimaneva imperturbabile. Neppure Dio sarebbe mai riuscito a riempire la sua vuota esistenza. L’angelo che era in lui era morto dal momento in cui era stato cacciato dal Paradiso. Potevano sottrargli i poteri, il corpo, l’intelletto, o cancellarlo dal mondo: Satana sarebbe sempre stato il re dell’Inferno.

Una luce penetrò dall’alto e inondò la sua figura. Satana alzò la testa e aprì le braccia in un gesto cordiale.

Schiuse le labbra e sussurrò a se stesso:«Buon compleanno.».




(S)parla con l’autrice

Dia dhaoibh, lettori!

Grazie di cuore per esservi interessati alla mia storia.

Cosa ne pensate di questo primo capitolo? C'è qualcosa che vi ha sorpreso o che non vi è piaciuto? L'aspetto fisico di ciascun angelo caduto è una mia visione personale, e ci tengo a sottolineare che non ho intenzione di offendere né mancare di rispetto ad alcuna religione.


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Al prossimo capitolo! Slán libh!


CreAttiva

   
 
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