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Autore: Stars Trail    26/06/2014    1 recensioni
Non ha mai pianto davanti a lui. Forse una volta, quando ancora aveva sedici anni e una confusione infinita in testa su chi fosse, cosa gli piacesse, che strada avesse intenzione di affrontare - se avesse intenzione di affrontarla con lui, o di scappare verso lidi più sicuri. In ogni caso non è niente in confronto al quantitativo di lacrime che sta versando adesso sul camice del suo ragazzo.
Quant’è patetico.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Junpei Hyuuga, Teppei Kiyoshi
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non ricorda come sia finito a fissare la sua mano sanguinante, né come sia successo che il vaso che è stato di fianco alla porta di ingresso di casa loro per a malapena tre mesi si sia distrutto in mille cocci davanti ai suoi piedi. Hyuuga alza il viso sullo specchio e si ritrova sconvolto. Trema con così tanta forza che ha paura stia per morire, e poi basta un battito di ciglia per vedere il riflesso del referto medico sul mobile d’ingresso, e il logo dell’ospedale che lo riporta alla realtà con troppa forza. La ferita sulla mano destra sanguina copiosa, ma non gli importa. La stringe con forza in un pugno e geme, ma non è il dolore del taglio che gli stringe lo stomaco e gli fa venire voglia di vomitare.
È come essere morti.

*

Nessuno avrebbe pensato a una cosa simile, cinque anni prima. Quando alla fine Kiyoshi si era dovuto arrendere al fatto che il suo ginocchio aveva da lungo tempo smesso di essere collaborativo, tutti si erano rassegnati a vederlo in panchina, magari a fare da coach ai nuovi ragazzi della Seirin, ma in ogni caso non a figurarselo lontano dal campo da basket. E così era stato, in un primo tempo. Il suo terzo anno lo aveva passato affianco a Riko, coordinando la squadra nel miglior modo possibile. Per quanto la sua assenza gravasse sulle spalle dei titolari, alla fine tutti avevano trovato il loro posto nel campo, e Kiyoshi era stato abbastanza soddisfatto dei risultati da non rimpiangere assolutamente di aver preso posto in panchina. Ogni tanto non resisteva al richiamo della palla, ma era lì che Hyuuga poteva sentirsi come se le cose fossero ancora a posto.
Nessuno avrebbe pensato a una cosa simile, cinque anni prima. Il problema al ginocchio non si era risolto nemmeno con l’operazione, ma Kiyoshi aveva stretto i denti e sorriso, perché in fondo, per quanto giocare a basket fosse uno dei suoi grandi amori a lui bastava essere capace di stare sulle proprie gambe, anche se barcollante. Eppure, quando aveva visto Kiyoshi stringere con forza i denti e accartocciarsi rapidamente su se stesso, stringendo con forza il ginocchio sinistro, la prima cosa a cui Hyuuga aveva pensato era che a certe cose non potesse mai esserci fine.
Quello a cui non aveva pensato davvero era che in realtà la fine si trovava davvero dietro l’angolo.

“... non ho capito bene.” Apre e chiude la bocca, si sfrega il mento con forza, incrocia le braccia mentre cambia posizione una, due, tre volte, mentre cerca di rielaborare quello che ha appena sentito. “Potrebbe ripetere, per favore?”
In realtà, Hyuuga non vuole sentire niente. E non sente niente, mentre prende in mano in referto e fissa le labbra del medico di fronte a lui come se fossero messaggere di disastri imminenti.

*

È come essere morti.
La sua mano è gonfia e scura, macchiata di un sangue che, se ne avrà voglia, pulirà più tardi. Al momento, i suoi occhi sono incollati ai fogli sparsi sul tavolo, referti di analisi e visite e altre analisi ancora che portano tutte verso un’unica direzione - una direzione che lui non vuole assolutamente accettare. Si passa la mano ancora sana tra i capelli corti e sbuffa, tirando fuori dai polmoni tutta l’aria che ha in corpo.
Degenerazione dei tessuti nervosi. Grave insufficienza venosa. Altre cose che non riesce davvero a capire, non sa perché gli occhi sono troppo umidi o perché i termini siano troppo complicati per lui.
Con che coraggio lo guarderà in faccia, d’ora in poi?

“Junpei. Smettila. Va tutto bene.”
“Non va tutto bene. Smettila di dire che va tutto bene. Smettila di dire che-”
Non ha mai pianto davanti a lui. Forse una volta, quando ancora aveva sedici anni e una confusione infinita in testa su chi fosse, cosa gli piacesse, che strada avesse intenzione di affrontare - se avesse intenzione di affrontarla con lui, o di scappare verso lidi più sicuri. In ogni caso non è niente in confronto al quantitativo di lacrime che sta versando adesso sul camice del suo ragazzo.
Quant’è patetico.

Stupidamente, pensava sarebbe stata solo questione d’abitudine. Kiyoshi sorride, poco sembra importargli di quello che sta succedendo al suo corpo. Si sorregge sulle sbarre stringendo i denti, piega la testa quando il dolore è lancinante, ma quando la rialza non manca di mostrargli quanto sia forte, bravo, felice di essere lì, vivo. Il cigolio stona con i ricordi di Hyuuga, ma a Kiyoshi sembra andare bene, e in fondo non è lui quello che deve soffrire di più, tra i due. Ci vogliono mesi, prima che Kiyoshi riesca a stare in piedi sulle sue gambe, e ci vogliono mesi prima che Hyuuga si abitui al cigolio che ha preso il posto dei suoi passi - gliene servono ancora parecchi, in realtà, forse tutta la sua vita. È un suono estraneo e che non gli riesce di apprezzare, nonostante dovrebbe mostrargli gratitudine.
Hyuuga era seriamente convinto che, a lungo andare, quella presenza nuova sarebbe diventata routine. In fondo, Kiyoshi può di nuovo giocare a basket - non può fare sforzi eccessivi, di certo non può pensare di competere a livello agonistico, ma quando organizzano delle partite con i loro vecchi compagni delle superiori è sempre un piacere per gli occhi vederlo giocare. Per un momento, Kiyoshi sembra dimenticarsi di quanto gli è successo - e in verità, un po’ se ne dimentica anche lui. Basta non guardarlo dalla vita in giù.
È strano, fare l’amore. Non sa bene in che senso, ma non è certo che sia del tutto negativo. Ha imparato ad andare oltre le cosce, a soffermarsi dove la novità ancora punge il suo cuore e lo fa fermare per qualche istante. Ma d’altro canto Kiyoshi non fa che ripetergli che va tutto bene, che non deve preoccuparsi, che non importa che il suo corpo sia diventato quello che è ora, perché finché Junpei gli resta affianco sarà sempre come se non fosse mai accaduto nulla di male, nella sua vita.
Quanto può arrivare ad essere stupida, una persona?

A volte si chiude in bagno, fa finta di non sentirlo, giusto il tempo di riprendersi dal corpo al petto e mettere sul viso una maschera di calma controllata, fredda, quasi distaccata.
Gli viene difficile. Gli viene difficile ogni volta, anche quando ormai dovrebbe essere abituato. Si stringe la pancia e piega le ginocchia, premendo la schiena contro la porta del bagno, e stringe i denti abbastanza forte da farsi male, ma non abbastanza da tagliare la carne. Si stringe la testa e geme come se il dolore fosse suo, non resistendo di fronte a quel macigno che gli comprime il petto. Ci sono volte in cui non riesce a trattenersi dal piangere, e quelle sono le peggiori perché si ritrova a maledire qualunque cosa - a maledire Hanamiya che ormai ha bollato come causa principale di ogni male, a maledire Kiyoshi per non essersi fermato prima, quando ancora poteva essere salvato, a maledire se stesso per non aver agito in tempo, per non averlo aiutato, per non averlo salvato da una condanna che si porterà addosso per tutta la vita. Si stringe la gamba sinistra e si chiede perché non sia capitata a lui, una disgrazia del genere.
Stupidamente, pensava che sarebbe stata solo questione di abitudine. Abituarsi al cigolio quando fanno le scale per arrivare al loro appartamento. Abituarsi al colore e alla consistenza della plastica quando fanno gli allenamenti. Abituarsi alla mancanza quando fanno l'amore. Sbagliava. Non ci si abitua alla perdita di un arto, non quando quello fa urlare il tuo uomo di dolore pur non esistendo più.

   
 
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