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Autore: Fannie Fiffi    26/06/2014    6 recensioni
[Bellarke; Modern!AU]
Clarke Griffin è una diciannovenne alla ricerca di se stessa, ma soprattutto alla ricerca di una verità ancora più grande di lei: quella riguardo la morte del padre.
Costretta a dover abbandonare le proprie ricerche per due anni, il suo mondo verrà nuovamente sconvolto quando conoscerà il suo nuovo vicino di casa, il giovane detective Bellamy Blake.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I always thought that I knew
I'd always have the right to
Be living in the kingdom of the good and true
And so on, but now I think I was wrong
And you were laughing along
And now I look a fool for thinking you were on my side

Is it any wonder I'm tired?
Is it any wonder that I feel uptight?
Is it any wonder I don't know what's right?

Sometimes
It's hard to know where I stand
It's hard to know where I am
Well maybe it's a puzzle I don't understand
But sometimes
I get the feeling that I'm
Stranded in the wrong time

Keane, Is It Any Wonder?


 
 
Prologo



 





 
« Ho cercato di tenerti fuori da tutto questo, Clarke. »
 
L'uomo davanti a lei per un attimo sembrò essere quello di sempre.
 
La voce pacata, le lettere scandite una dopo l'altra come una sequela già pensata e preparata per apparire proprio in quel modo. Ora che lo vedeva chiaramente, non riusciva a trovare un barlume di sincerità in tutte le parole che si erano scambiati in quegli anni.
 
Se avesse immaginato di trovarsi in quella situazione solo quattro mesi prima, forse si sarebbe fatta rinchiudere in una stanza con le pareti imbottite e avrebbe fatto gettare via la chiave.
 
Perché non era possibile trovarsi in quella situazione nel bel mezzo della notte, sul tetto del Mount Weather Hospital, con una pistola puntata contro e Bellamy Blake al suo fianco.
 
Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma con tutta la sfortuna del caso e degli sventurati eventi della sua vita, niente era più da escludere.
 
O forse erano solo inutili divagazioni dovute alla ferita alla testa che continuava a pulsare al ritmo feroce del suo cuore?
 
« Sei sempre stato tu... » La consapevolezza la colpì nell’attimo in cui pronunciò quelle parole, le uniche che le accorressero alla mente in quel momento. A poco a poco tutto divenne dolorosamente reale, e l’oggettività dei fatti sembrò colpirla con la materialità di una bomba ad orologeria fra le sue mani.
 
« Lasciala andare. » Intervenne poi Bellamy, che faceva vagare lo sguardo tra lei e l'individuo di fronte a loro con espressione sospettosa e concentrata.  
 
« Avremmo dimenticato tutto. Ormai apparteneva al passato, saremmo potuti essere una famiglia. Mi sarei preso cura di te ed Abby. Ma tu, Clarke, hai distrutto tutto! »
 
All’improvviso urlò, e la pistola sembrò tremare pericolosamente fra le sue mani.
 
Il giovane lo osservò per un attimo, analizzando l’arma che, nonostante il tremore delle dita, sembrava impugnare con facilità.
 
Si trattava di una Colt M1911, una semiautomatica ad azione singola. Avrebbe potuto disarmarlo prima che riuscisse anche solo a introdurre il primo colpo nella camera di scoppio, ma era importante tenere sotto controllo le sue reazioni.
 
« Mettila giù », la giovane agitò un braccio nella sua direzione, « possiamo... Possiamo parlarne. Trovare una soluzione. Sai che non è quello che vorrebbe mia madre. »
 
Tentava di farlo ragionare, di cercare un barlume del buon senso di cui l'aveva sempre creduto capace, eppure tutto quello che sentiva come una necessità fisica era semplicemente eliminarlo dalla faccia della Terra, estirpare la minaccia che aveva mandato in pezzi la sua vita e quella di tutte le persone che amava.
 
Clarke sentì crescere dentro di sé un fulmineo odio per se stessa, per l’ingenuità con cui aveva permesso alle cose di precipitare così velocemente e così a fondo. Ma, sopra tutte le altre, per il sincero affetto che aveva lentamente iniziato a nutrire per quel verme che ora si trovava davanti.
 
Quello che ora la minacciava con una pistola era un perverso folle che aveva distrutto la sua vita senza che nemmeno se ne accorgesse, e lei lo aveva permesso, lei non era stata in grado di riconoscere i segni.
 
Allo stesso tempo però sentiva di dover mantenere la calma, doveva nascondersi dietro una maschera di empatia ed evitare di complicare ulteriormente la critica situazione. Non poteva perdere tutto proprio ora che aveva capito, ora che finalmente aveva compreso ciò che era successo.
 
« Niente sarà come prima. » Sussurrò lui sbarrando gli occhi e agitando l'arma davanti a Clarke e Bellamy, puntandola prima sull'una e poi sull'altro.
 
« Ehi! » Lo richiamò il maggiore dei Blake, tentando di attirare la sua attenzione, « non vuoi che le cose finiscano così. Dammi la pistola. »
 
Fece un passo avanti con cautela, come se il pavimento sotto di loro potesse crollare da un momento all'altro. Sapeva che un criminale come quello, un malato psicopatico privo di qualsiasi tipo di rimorso o capacità di provare emozioni reali, doveva essere trattato nel modo giusto, oppure non avrebbe esitato ad ucciderli entrambi.
 
« Avvicinati ancora e le pianto un proiettile in testa! »
 
La figura davanti a loro urlò nuovamente, stendendo il braccio armato e mirando proprio verso la bionda. Bellamy si immobilizzò sul posto e le lanciò un'occhiata fugace.
 
« Andrà tutto bene », sussurrò voltandosi appena verso di lei, « non ti accadrà niente. »
 
« Smetti di parlare! » L'uomo sembrò crollare su se stesso, si prese il volto fra le mani e si premette il calco della pistola contro la tempia.
 
« Non riesco a pensare... » Bisbigliò poi fra sé e sé, chiudendo le palpebre e facendo un respiro profondo.
 
Il moro sfruttò l'attimo di distrazione e avanzò cautamente, senza distogliere per un attimo lo sguardo dall’individuo davanti a sé.
 
« Non avvicinarti! » Gridò di nuovo e tornò a puntare l’arma da fuoco, questa volta verso di lui. 
 
« Giuro che ti sparo. Se provi a fare solo un altro passo avanti, sarà l'ultima cosa che farai. Pensi che abbia paura di usarla? », indicò con un cenno della testa l'arma, « pensi che abbia paura di ucciderti? »
 
« No, non lo penso. » Bellamy lo assecondò, mentre calcolava mentalmente la distanza fra loro due e quanto gli sarebbe occorso per raggiungerlo, privarlo dell’arma e metterlo KO.
 
Doveva trovare un modo di avvicinarsi e disarmarlo, e doveva farlo subito.
 
Perso nei propri pensieri, sentì vagamente il corpo di Clarke muoversi dietro di lui e compiere due passi avanti.
 
« Ascoltami... » Provò lei, ma subito fu interrotta dall'ennesimo grido desolato.
 
« Vuoi morire, Clarke? Vuoi raggiungere tuo padre sottoterra? Eh? »
 
Il soggetto si avvicinò pericolosamente e Bellamy, senza nemmeno riflettere, si pose fra i due.
 
« Non azzardarti nemmeno a guardarla. »
 
« O forse ucciderò te, detective. »
 
Ancora una volta la sua attenzione vagò fra lui e Clarke, concentrandosi su Blake, e quello fu il momento.
 
Subito il più giovane gli fu addosso: colpendolo con un destro in pieno volto, sfruttò l'occasione per tentare di disarmarlo, ma l'altro fu più veloce e scattò lontano da lui.
 
Il movimento non fu sufficiente, però, perché il moro fu in grado di attaccarlo nuovamente, questa volta colpendolo con una ginocchiata allo stomaco.
 
E tutto accadde in un battito di ciglia: lo sparo partì e il rumore sembrò riecheggiare troppo forte nei suoi timpani.
 
Bellamy si diede la spinta con le gambe e lo caricò, buttandolo a terra.
 
L'adrenalina scorreva libera e potente fra le sue vene e tutto sembrava in movimento, tutto pareva scivolare via e confondersi nel buio della notte.
 
Lo colpì al volto con il pugno destro, poi con il sinistro, ma l'altro brandiva ancora la pistola e si avventò sulla sua spalla, facendolo rotolare sul fianco.
 
Le posizioni si invertirono di nuovo, portando l’uomo in vantaggio: era più pesante di lui, più alto, ma Bellamy riuscì a schivare il secondo colpo e a togliergli l'arma di dosso.
 
La pistola scivolò di qualche centimetro lontano da loro, mentre i due uomini lottavano e cercavano di abbattere l'avversario.
 
Il più giovane sentì il sapore metallico del sangue confondersi alla saliva, ma nulla in quel momento importava; doveva liberarsi, doveva proteggere Clarke e mettere fine a tutta quella follia.
 
I suoi pensieri si concentrarono per un istante su di lei: non riusciva a vederla, con l'uomo che ancora lo costringeva a terra, ma il silenzio che otteneva in risposta non gli fece presumere niente di buono.
 
E fu allora che Bellamy tentò di ferirlo nuovamente, provando poi a stringergli il collo con le braccia, ma non servì, perché l'altro cozzò contro di lui con la testa, colpendogli il naso.
 
Subito un rivolo di sangue cominciò a scendergli sulla bocca e sul mento, gocciolando sulla maglietta e mischiandosi al sudore, ma paradossalmente non sentiva nulla.
 
Mentre lottava per la propria vita, il maggiore dei Blake capì immediatamente cosa significava sentirsi vivi, e lui non lo era mai stato più di allora.
 
Un’ altra percossa lo costrinse a piegare il volto di lato, e fu in quel momento che vide la pistola.
 
Le sue braccia si mossero ancora prima che il cervello mandasse loro l'impulso, afferrò l'arma e la scaraventò con tutta la forza che gli rimaneva: sentì il calco colpire la tempia dell'uomo e subito dopo il suo peso cadergli addosso. Bellamy rantolò e spostò il corpo incosciente lontano da sé.
 
Rimase lì sdraiato a riprendere fiato solo per qualche secondo, prima di ricordarsi che c'era qualcun'altro, su quel tetto. « Clarke... » Mormorò mettendosi seduto e cercandola con lo sguardo.
 
Oh, no.
 
Clarke era sdraiata sul cemento duro del pavimento e poteva percepire la sua figura tremante anche da quella posizione.
 
Gli tornò alla mente lo sparo, il rumore dell’impatto ignorato durante la lotta.  « Clarke! » Gridò correndo verso di lei e raggiungendola in un attimo.
 
La testa di Bellamy sembrava vicina all'implosione, ogni parte del suo corpo doleva e il sangue gli colava dal viso come lente gocce di pioggia, ma nulla sembrava importare.
 
Si inginocchiò vicino a lei solo per percepire il liquido denso e vermiglio bagnargli i pantaloni, e non era il proprio. Individuò la ferita non appena la osservò con attenzione; la gamba sinistra di Clarke ondeggiava e sussultava completamente ricoperta di sangue.
 
Un unico pensiero attraversò la sua mente:  Fa’ che non sia l'arteria femorale, oh Dio, fa’ che non sia l'arteria femorale, fa’ che non sia l'arteria femorale.
 
Bellamy sapeva bene cosa avrebbe significato: sarebbe morta prima di poter lasciare quel dannato tetto.
 
No, non voleva nemmeno prendere in considerazione l'idea. Non poteva perderla, semplicemente non poteva.
 
« Clarke... » Sussurrò di nuovo, incapace di formulare alcuna frase coerente, mentre tastava con delicatezza la sua gamba, cercando il foro di entrata.
 
« Bell... », la bionda tossì e sbarrò gli occhi, tentando di tirarsi su con l’aiuto dei gomiti ma ricadendo di schiena con un tonfo secco.
 
« Ehi, Principessa! » La sua voce tremava, così come le proprie mani su di lei.
 
« Fa male! » Rantolò lei, afferrando la sua mano e stringendola così forte da poterla rompere. Era qualcosa che aveva imparato a fare quasi inaspettatamente, come un meccanismo di difesa contro tutto il resto del mondo esterno: qualsiasi cosa fosse successa, lei gli avrebbe stretto la mano e la paura sarebbe semplicemente scomparsa.
 
« Lo so, ma andrà tutto bene, andrà tutto bene. Te lo prometto, starai bene. Ho bisogno... Ho bisogno che tu mi dica se... »
 
Non riuscì a continuare la frase. Avvertì con desolante chiarezza la stretta della mano di Clarke svanire dalla sua presa e divenire sempre più fredda, solo per poi scivolare via. Clarke non stava più stringendo la sua mano.
 
« Ehi, ehi, devi rimanere sveglia! Non chiudere gli occhi, ti prego! » Urlò così forte da sentire l'eco disperata della sua voce nel silenzio che la seguì, mentre stringeva ancora di più le sue dita immobili fra le proprie.
 
Doveva salvarla, doveva ripulirla da tutto quel sangue e impedire che ne uscisse ancora, perché era prezioso, perché non poteva immaginare un mondo in cui la sua coraggiosa principessa non si svegliava più, ma cosa avrebbe potuto fare? Era lei il futuro medico, lui in quel momento si sentiva una nullità.
 
Poi, come un'illuminazione, gli tornarono alla mente le lezioni di pronto soccorso all'Accademia.
 
« Ok, ok, ci sono. » Sussurrò fra sé e sé, prendendo la cintura che aveva cominciato a togliersi e stringendola propria sopra il punto in cui il proiettile si era ferocemente insinuato nella pelle morbida di Clarke.
 
Bellamy si tolse la giacca mentre tremori indicibili sconvolgevano ogni centimetro del suo corpo, la ripiegò su se stessa e lo premette contro la ferita, da cui usciva copioso il liquido caldo e scuro simile alla pece sotto la luce oscura della luna.
 
« Ce la farai, Principessa! Non ti permetto di lasciarmi! »
 
Assicurandosi che la ferita fosse compressa nel modo giusto, prese la sua ricetrasmittente e comunicò con la stazione di polizia.
 
« Qui l’agente Blake, ho bisogno di rinforzi e soccorso medico sul tetto del Mount Weather Hospital. Ho in custodia un sospettato di omicidio e un civile ferito, richiedo immediatamente supporto, potrebbe trattarsi di un codice rosso. »
 
Gettò l’apparecchio lontano da sé e tornò a concentrarsi su Clarke, ancora incosciente.
 
« Andrà tutto bene, te lo prometto. Resisti, ti prego! » La supplicò per quelle che sembrarono ore interminabili, accarezzandole i capelli e il viso in punta di dita, come se la minima pressione potesse farla stare peggio.
 
L’ultima cosa che sentì prima di perdere conoscenza e abbandonarsi alla stanchezza furono i paramedici che stimavano il sangue che aveva perso e contavano pressione e battito cardiaco.
 
  
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