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Autore: ellephedre    28/06/2014    14 recensioni
Makoto Kino è innamorata. Gen Masashi la segue a ruota.
Con una relazione nata nella battaglia, non hanno più segreti tra loro, eppure hanno ancora molto da scoprire l'uno sull'altro. E non vedono l'ora di farlo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Makoto/Morea, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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Corrente naturale 1

Note: in questo capitolo parlo di tante piccole tradizioni giapponesi. Come l'importanza data alle prime volte del nuovo anno - la prima visita al tempio, la prima alba - o la scrittura dei desideri su una tavoletta di legno chiamata 'ema' - una cosa che in realtà si fa un po' tutto l'anno. Una curiosità che ho scoperto: in Giappone sembra che sia considerata musica da capodanno la Nona Sinfonia di Beethoven. Per questo la nomimo :)

   

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità

   

Le una del mattino del primo gennaio. Makoto non avrebbe mai pensato di passare Capodanno sdraiata su un divano, in una casa che non era la sua.

Sorrise quando sentì qualcuno che scendeva le scale, cercando di non fare rumore. Sapeva chi stava venendo da lei, ma quasi non riusciva a crederci. 

Al buio l'ombra di Gen, imponente, entrò in salotto e si accucciò al suo fianco. «Stai ridendo?» mormorò.

«Sì!» sussurrò lei. «Sei pazzo

«Perché?» Gen sussultava come lei, di un'allegria che quietarono insieme con un bacio morbido e innocente.

Makoto gli prese la testa tra le mani e tenne la fronte unita alla sua. Era felice.

«Grazie per essere rimasta.»

Non erano necessari ringraziamenti. Si era divertita molto durante il piccolo torneo di Go che avevano fatto tutti insieme. Quando poi si erano impegnati in una partita di sugoroku, le sorelle di Gen avevano dato il meglio di sé inventandosi una battuta per ogni tiro di dadi. Erano state capaci di farle venire i crampi per le troppe risate. «Mi piace la tua famiglia.» 

«Tu piaci a loro. Hai visto che non avevi niente di cui preoccuparti?»

Non ne era tanto sicura. «Tua madre ti avrà sentito scendere. Chissà cosa starà pensando...»

Lui non se ne curava. «Sa che passo le notti da te.»

«Sì, ma...» Preferì avvertirlo. «Ora non possiamo fare niente.» 

Gli uscì un suono strozzato. Il movimento convulso delle sue spalle le fece capire che stava ridendo.

«Ehi!»

«Sono sceso solo a salutarti! Non sapevo che fossi così perversa

Lo colpì sul petto. «Quello sei tu!»

Soffocare le risate fu un esercizio di volontà per entrambi.

Makoto si tirò su e lo abbracciò.

Era stata una serata tranquilla e molto bella: aveva visto Gen ridere con sua madre e le sue sorelle, sotto il tetto in cui lui era sereno. Le giornate da incubo erano finite.

«Andrò via domattina» gli fece sapere.

«Puoi venire al tempio con noi.»

Non era il caso. «È una cosa vostra.»

Nella tradizionale visita al santuario del primo dell'anno sarebbe stato inevitabile per loro avere in mente Akito Masashi, che li aveva lasciati da soli sei mesi. A ogni capodanno lei ricordava ancora la sua famiglia, e com'era stato passare le feste assieme a loro.

«Devo andare a sistemare casa mia. Dopo il tempio puoi passare a trovarmi, se vuoi.» Aveva reso la voce ancora più sottile, forse per un recondito senso di pudore.

Per tutta la sera, in quella casa, aveva cercato di non toccare troppo Gen. Si era vergognata quando gli occhi della madre di lui si erano soffermati sul contatto di mani che Gen continuava a cercare. Le sembrava qualcosa di molto intimo tra loro, che la signora analizzava con benevolenza, ma con tutta la consapevolezza di un genitore. A Gen non era parso un problema: non c'era stato un solo momento in cui lui si fosse sentito a disagio.

«Certo che passo.» Gen si allontanò, per guardarla meglio in volto. «Intorno alle dodici?»

Come al solito era preciso. «Va bene.»

Vi fu un attimo di silenzio.

Lui mosse le mani sulle sue braccia, saggiando la sua presenza. «Non sarei riuscito a immaginarti a casa da sola questa notte. Sono contento che tu sia qui.»

Lei lo era di più. Quel giorno lo aveva scoperto allegro, rilassato e appagato. Incredibilmente, era stata lei a dargli pace.

Appoggiò la bocca sulla sua. «Ora va' a dormire.»

«Ti vergogni sul serio.»

«Certo. Sapere che ci possono ascoltare mi fa sentire...»

Divertito, lui ricambiò il bacio e si sollevò le gambe. «Domani non ci sentirà nessuno. Buonanotte.»

Lei lo lasciò andare con una carezza. «'notte.»

    


     

«Allora...» Shori Masashi entrò in cucina in pigiama, i capelli scompigliati e uno sbadiglio in bocca. «Tu e mio fratello ve la siete spassata stanotte? La vostra prima volta dell'anno?»

Makoto avvampò e controllò la porta. Non c'era nessun altro ad ascoltare. «Non...» balbettò. «Non è il...»

«Caso?»

Deglutendo, annuì.

«Ma l'avete fatto o no?»

«No!»

«Hm.»

Mentre la diabolica Shori Masashi meditava su una nuova battuta, Makoto sporse la testa verso il corridoio. La madre di Gen non era ancora uscita dalla propria stanza.

Provò a essere diplomatica. «Almeno abbassa la voce, per favore.»

«È difficile farti arrabbiare, eh?»

«Sono ospite in casa tua. Sto cercando di essere educata.»

«Secondo me sei così di natura. Remissiva e modesta.»

Makoto si mangiò un sorriso. Solo un membro della famiglia Masashi poteva descriverla in quel modo.

«Anche ieri sera eri cauta» continuò Shori-san. «Come un gigante sgraziato in una casa di nani.»

Già. Era stata attenta, per non rischiare di rovinare in partenza il rapporto con la famiglia di Gen. Comunque... «'Nani'? Tu sei alta quasi quanto me.»

«Non mi riferivo all'altezza.»

Il tono di Shori-san era allusivo. Makoto si domandò cosa volesse dire.

Lei sciolse le braccia piegate. «In ogni caso, mi vai a genio. Almeno finché vai a genio a lui.»

C'era qualcosa di incomprensibile nell'atteggiamento della sorella di Gen. «Anche tu non sei male. Però preferirei che non mi prendessi in giro.»

«Allora sciogliti un po'.» Shori sorrise. «O non farlo, non so. Scommetto che a Gen piace stuzzicarti.»

Makoto evitò di rispondere, ma la sorella di lui non ebbe bisogno di sentirla parlare.

«Lo sapevo. Conosco mio fratello e le sue ragazze.»

Le sue ragazze?

Shori-san si appoggiò al bancone, per mettersi comoda. «Ero curiosa e a volte ne ho incontrata qualcuna. Alte, basse, sportive, studiose, belline, molto carine, veri e propri schianti, altezzose, divertenti... lui le ha provate tutte. Ma avevano una cosa in comune: Gen le aveva conquistate. E a loro la cosa piaceva molto.»

Il discorso le ricordava qualcosa.

Nella sua mente fece un rapido riepilogo del rapporto tra lei e Gen, dal momento in cui era nato fino a quel giorno. Nella sua testa si insinuò un minuscolo dubbio.

Shori continuava a fissarla. «Ora sei preoccupata?»

«... io e tuo fratello ci conosciamo da poco.» Anche se si amavano molto; di questo era sicura.

«Tu hai qualcosa di diverso dalle altre.»

Makoto sorrise. «Che cosa?»

Shori-san fissò gli occhi su suoi, come aspettandosi una sua precisa reazione. Quando non la ottenne, non disse niente.

Infine, si staccò dal bancone. «Be', lui ti ha presentata a mamma. Vado a farmi una doccia. Ci si vede, Kino-san.»

«... Ciao.»

La sorella di Gen era una ragazza assai particolare.

    


    

Hatsumode, la prima visita al tempio dell'anno.

Non avevano avuto scelta sul luogo a cui andare: Gen si era informato e sapeva che, in tutta Minato, esisteva un solo tempio accessibile con la carrozzina. 

Durante il tragitto verso il piazzale sopraelevato, lungo il corridoio adattato per i disabili, Shori e Miki non si erano allontanate da lui e mamma, per non rischiare di perdersi tra la folla. Comunque sarebbe stato impossibile per Gen non notarle tra la gente: indossavano un kimono rosa e azzurro ed erano colorate come non le aveva viste da molto tempo. Lo avevano fatto per creare allegria, supponeva, ma non per se stesse.

«C'è più ressa del solito.»

Shori aveva ragione. «Le persone sono qui per paura.»

Mentre avanzavano, sua madre prese una mano a Miki. «Sono giorni incerti. Ma noi siamo insieme, sani e salvi. Vostro padre ci veglia dall'alto.»

Man mano che il tempo passava, Gen si rendeva conto di un nuovo dolore, non proprio: sua madre non era più parte di una coppia. Lei guardava avanti sapendo che avrebbe vissuto metà della sua esistenza senza la persona che amava. Si faceva forza pensando a loro, ma lui aveva già trovato qualcuno, e Shori e Miki stavano crescendo lentamente, inesorabilmente. Come figli si sarebbero allontanati prima o poi. E lei... cos'avrebbe fatto? Sarebbe rimasta sola, o si sarebbe sposata di nuovo?

Lui non voleva. Nella sua mente, i suoi genitori esistevano solo l'uno per l'altra. Per sua madre era ancora così, un'idea che faceva male.

«Per cosa pregherai, mamma?»

A chiedere era stata Miki.

«Rivoglio le mie gambe.»

Causò un sorriso a tutti e tre, per una forza d'animo che non svaniva mai.

Sua madre piegò la testa all'indietro, per guardarlo. «Quest'anno mi impegnerò per tornare a camminare. Poi pregherò perché voi ragazze diate il meglio per gli esami di ammissione.»

«Manca un anno!» Fu un coro a due.

Sua madre picchiettò entrambe su un braccio. «Non è mai troppo presto per cominciare. Sistemate voi figlie, pregherò perché Gen torni a studiare sereno all'università. Al resto dei suoi desideri lui ha già pensato da solo.»

Miki ridacchiò. «Mi piace Kino-san! Non lasciarti con lei, vuole insegnarmi a cucinare!»

«Cosa?» Gen si divertì.

«Ha tentato di corromperti?»

Miki scosse la testa in direzione di Shori. «Voglio fare le torte come lei. Gliel'ho chiesto io!»

«Fatica sprecata. Sta per aprire una pasticceria. Non hai capito che avremo scarti a volontà sulla nostra tavola?»

«Sbagliato» precisò Gen. «Anche gli scarti si pagano. Non saremo dei parassiti per un'impresa appena aperta.»

Shori si indignò. «Scarti, Gen, scarti! Non li venderebbe comunque. Ma non ha senso parlarne con te: basterà chiedere a lei, scommetto che non sa dire di no.»

«Secondo te io lascerò che te ne approfitti?»

«Non intrometterti nella relazione tra due future cognate.»

Gen chiuse la bocca. Meno parlava, meno forniva a sua sorella materiale per battute improprie.

Miki si unì a Shori davanti alla carrozzina, incrociando le braccia con lei. «Hai visto che scenette ieri sera?»

«Certo.» In due dondolarono con le mani unite. «'Gen, no! La tua famiglia ci vede!'»

«'Figurati, Mako-chan! Su, incrociamo le dita sotto il tavolo. Ti voglio bene!'»

«'Anch'io! Non farmi arrossire!'»

Se solo lui avesse potuto investirle con la carrozzina...

Sua madre stava ridendo di gusto.

«Anche tu?» protestò Gen.

«Sono spassose! E poi è vero, era bello guardarvi ieri. Lei era così timida...»

Adesso era Shori a interpretarlo, le mani sulla testa di Miki. «'I tuoi capelli sono così morbidi, Mako-chan...'»

«Basta!»

Le sue sorelle ridacchiarono e scapparono, quasi scontrandosi tra loro. Sarebbe stata una giusta punizione, ma erano arrivati al torii posizionato all'ingresso del tempio.

Shori si portò dietro di lui. «Spingo io la mamma, tu cerca di capire dove dobbiamo andare. Non si vede niente da qui!»

Con un po' di fortuna, individuarono prima l'altare e poi il gazebo dei talismani. Per avvicinarsi a quelle postazioni c'erano lunghe code da fare, perciò tutti insieme scelsero di fare prima un giro lento dei dintorni.

Quando fu tempo, Gen recuperò un ema in legno per sua madre. Con lei si erano fermati sul ciglio del giardino che circondava il santuario, minuscolo rispetto al boschetto del tempio Hikawa. Miki e Shori erano in coda per comprare degli omamori e un paio di omikuji.

Gen porse a sua madre il pennarello a punta grossa che si era portato da casa, proprio per scrivere sulle tavolette. «Ti lascio da sola?»

«No. Ne hai un altro?» Gli indicò il pennarello.

«Sì.» Si era premunito, ne aveva quattro.

«Allora scriviamo insieme i nostri desideri.»

Lui tolse il tappo al suo strumento di scrittura. Per qualche momento tenne la punta sospesa in aria.

Qualche settimana prima, parlando con Makoto, le aveva detto che con riguardo a lei il suo desiderio era quello di conoscerla di più. Dopo gli ultimi eventi, tutti i suoi auspici per il futuro potevano essere riassunti in uno solo.

Abbassò il pennarello e scrisse.

'Voglio vita'.

Vita per sua madre, che era stata troppo vicina alla morte quell'anno.

Vita per Miki, che doveva crescere ancora molto e diventare adulta.

Vita per Shori, che lui doveva proteggere di più, affinché lei potesse vivere serena.

Vita per Makoto, che doveva vincere tutte le proprie battaglie, uscendone sana e salva.

Infine, vita per se stesso. Per avere ancora molti giorni da passare con la sua famiglia e con la ragazza che gli stava cambiando l'esistenza.

«Cosa hai scritto?»

Mostrò l'ema a sua madre. Lei sorrise e gli fece vedere la tavoletta col suo desiderio.

'Ai'.

Amore.

Sua madre si spiegò. «Mi auguro che ci sia molto amore nella nostra famiglia. Tra di noi, ma non solo. Voi figli state trovando il vostro amore lontano da casa ormai.»

«Siamo ancora con te, mamma.»

Lei lo tirò per un braccio, imponendogli di inginocchiarsi. «Tu ormai passi metà del tuo tempo fuori, Gen.» Aprì la bocca assieme a lui, facendogli capire che non aveva finito di parlare. «Sono contenta. Kino-san mi piace come futura nuora.»

Lui arrossì. «Veramente...»

«È presto? Certo, ma non togliere la speranze a una madre che si illude. Sai, una volta ho parlato con una delle tue ragazze.»

Ah, sì? «Chi?»

«Non ricordo il nome. Capelli vaporosi, ben truccata...» Scosse la testa. «Vi avevo visti da lontano. Mi sono avvicinata per un saluto dopo che vi siete separati. Per il modo in cui lei rideva, l'avrei strozzata.»

Gen ebbe l'impressione che stessero parlando di Chiyako Mizui, una ragazza che aveva lasciato per la facilità con cui rideva a battute idiote. Lei aveva nascosto quel lato del suo carattere per le prime due settimane in cui si erano conosciuti, perciò lui non se n'era accorto prima.

Notando che aveva capito, sua madre annuì. «Vedi? Da allora avevo il terrore su chi mi avresti portato a casa. Il sospiro di sollievo che mi è uscito ieri ha fatto vento in Cina.»

Gen rise e sua madre gli afferrò la faccia con le mani. Come fosse un bambino, gli stampò un bacio sulla fronte. «Continua a fare buone scelte, Gen, e la vita ti sorriderà.»

«Oggi sei piena di massime.»

«È il primo dell'anno. Se non oggi, quando?»

Dalla sua posizione in coda, Miki li salutò agitando a ruota la mano.

«Spero che compri un omamori per lo studio» commentò sua madre. «O per un ragazzo.»

«Meglio che Shori non lo faccia. Dovrebbe comprarne tre o quattro.»

Sua madre sospirò. «Quella ragazza...» In lei crebbe una risata bassa, che si sciolse nel silenzio.

Tra il vociare della gente si sentiva il frusciare del vento tra le foglie.

«Tuo padre sarebbe felice.»

Gen non riuscì a commentare. In gola gli si era formato un blocco, pesante come pietra.

Era già passato mezzo anno.

Se cercava di ricordare la voce di suo padre, non era più così semplice riportarla alla mente. Aveva ancora la sensazione di lui in testa, ma vi si erano sopravvrapposti nuovi ricordi. Più faceva come avrebbe voluto suo padre - andare avanti - più lo lasciava indietro. Era arrivato a un punto in cui non avrebbe più azzerato gli ultimi mesi pur di parlargli un'ultima volta.

Sei davvero qui, da qualche parte?

Si apppoggiò allo schienale della carrozzina di sua madre. Posò la fronte contro la nuca di lei. Quando i loro respiri si armonizzarono, seppe che stavano pensando a suo padre insieme.

Shori tornò indietro. Era riuscita a fare i suoi acquisti.

Mostrò loro un foglietto. «'Grande benedizione'» lesse, fiera. «L'ho aperta pensando a tutti e quattro. Vado ad apprenderla all'albero!»

Gen fu felice per tutti loro.

    


    

«Sono dei dango.»

Sulla porta di casa sua, Gen le offriva un pacchetto.

«Non ho trovato nient'altro di aperto sulla strada» si giustificò lui.

Raggiante, Makoto ricevete il piccolo vassoio in cartone e lo appoggiò sul bancone della cucina.

Lui gradì molto la sua reazione. «Il primo sorriso dell'anno.»

Il primo? Era almeno il centesimo per lei. «È solo il primo che vedi bene.» Ed era tutto per lui.

Gen fece un passo in avanti, entrando in casa. «Questo invece è il primo bacio.»

Lei non capì cosa intendesse finché lui non le separò le labbra con la bocca, cingendola per la vita mentre la assaggiava con la lingua, intensamente, facendole perdere forza nelle gambe.

Riuscì a staccarsi da lui. «Il primo bacio è stato ieri sera.»

Pochi secondi dopo la mezzanotte, Gen non aveva resistito e le aveva sfiorato la bocca con la sua davanti a tutta la sua famiglia - un momento in cui Makoto si era sentita affogare in un mare di imbarazzata felicità.

«Questo era il primo vero bacio.» Lui si chinò a togliere le scarpe. «Il primo di un migliaio, se teniamo un buon ritmo in questo 1997.»

Ridendo, lei lo aiutò a spogliarsi della giacca. «Grazie del cibo.» Al pensiero, sospirò. «C'è una cosa che non potrò fare bene quest'anno: il primo pranzo. Ho la dispensa vuota.»

Non aveva avuto il tempo di passare in un supermercato.

Gen ricordò la ragione e scosse la testa, per non pensarci. «Non importa. Mangiamo fuori.»

«I ristoranti saranno pieni.»

«Troveremo qualcosa. Nel frattempo, i dango terranno tranquilla la fame.»

Non era una cattiva idea.

Gen captò i suoni nell'aria. «La nona di Beethoven?»

«Sì, come da tradizione.» L'aveva ascoltata in sottofondo a ogni capodanno quando viveva con i suoi genitori. Conservava la musicassetta di quella melodia classica come un tesoro.

Mostrò a Gen la cucina. «Stavo cercando di tirar fuori una torta da portare a Rei.»

Lui si chetò. «Allora oggi hai sentito di nuovo le tue amiche?»

«Stanno tutte come ieri. Nessuna di noi crollerà all'improvviso, non preoccuparti.»

«Non temevo questo.»

Forse, ma lui le aveva guardate tutte come se fossero bombe a orologeria colme di spavento, pronte a scoppiare a piangere da un momento all'altro.

«Siamo abituate. Abbiamo molta esperienza.»

Gli lanciò un'occhiata e vide la stessa espressione che lui aveva avuto sulla spiaggia di Yokohama, mentre osservava disperato la sua gamba squarciata.

Makoto la agitò inconsciamente, come per accertarsi che ci fosse ancora. «Stiamo bene. Forse oggi Usagi vorrà parlare del matrimonio. Comunque avremo da lavorare.»

«Lavorare?»

«Be', il nonno di Rei ci ha ospitato per giorni, no? Rei lo aveva convinto dicendo che lo avremmo aiutato al tempio per Capodanno. Oggi sono carichi di lavoro.»

Lui si ricordò dell'incombenza e trinse i denti. «Giusto.»

Makoto ridacchiò. «Non preoccuparti, lavorerò io per tutti e due. Hanno bisogno soprattutto di qualcuno che distribuisca i talismani al tempio.»

Lui le sfiorò una ciocca di capelli, sull'orecchio. «Indosserai un kimono?»

«Quello che mi darà Rei.» Quasi si vergognò. «Non ho un bel kimono da mettere. Non pensavo che...»

«Non ti sto criticando» rise lui, ma Makoto si appuntò di andare al più presto in un buon negozio, a prendere due kimono: uno per l'inverno, elegante e caldo, e uno per l'estate, fresco e seducente. Finalmente aveva qualcuno per cui agghindarsi. «Sono sempre andata al tempio con le mie amiche. Pensavo di prendere un bel kimono per la festa dei vent'anni...»

«Ti stai giustificando.»

Sì, non poteva farne a meno.

Sereno, Gen si sedette al tavolino, invitandola con una mano a riposarsi vicino a lui. «C'era una cosa che avrei voluto fare con te, oggi.»

«Hm?»

«Il primo sole dell'anno. Volevo andare da qualche parte a vedere la prima alba.»

A Makoto mancò il fiato. Era un'idea tremendamente romantica, una cosa che aveva sempre desiderato fare col suo ragazzo. «Tecnicamente, non si è ancora visto il primo sole.»

«Perché è nuvoloso?»

Esatto. «Se ti va - se puoi - magari domattina...»

Il sorriso di lui conteneva una traccia di tenerezza. «Non chiedermelo come se potessi dirti di no.»

Ma lui poteva.

«Makoto, . Andiamo domani, dove vuoi tu se hai in mente un posto.» Fece una pausa. «Ah, però...»

«Cosa?»

«Avevo pensato di recuperare l'appuntamento della vigilia di Natale. C'è quel posto che non ti ho ancora fatto vedere. Be', possiamo tardare di un altro giorno se...»

«No!» lo bloccò lei. «Voglio andarci!»

Lui avvicinò il volto al suo. «Avevi scritto 'felicità'.»

Makoto non capì.

«Sulla tua agenda. L'ho visto il giorno che ho lavorato al tuo negozio.»

Oh, sì. E in quel ventiquattro dicembre lei lo aveva quasi perso. «La felicità dev'essere domani.» Non voleva più rimandarla. Ogni momento era prezioso e sfuggente.

Lui stava riflettendo. «Può essere una felicità completa. Se ti va un tour de force, possiamo svegliarci alle sei e goderci l'alba delle otto. Poi torniamo in città e ti porto a-»

Lei gli coprì la bocca con un dito. «Non dirmelo.»

«Vuoi la sorpresa?»

«Sì.» Proprio come lui l'aveva originariamente concepita.

Gen respirò contro la sua bocca. «C'è un problema con questo piano.»

«Quale?»

«Questa notte con te io non voglio dormire.»

Quando la baciò, per un momento neppure Makoto desiderò un istante di sonno. Era passata una giornata intera da quando lo aveva avuto in sé, tra le braccia, pelle contro pelle nel suo letto. In quelle ore aveva pensato a un mucchio di cose diverse, ma quando lo aveva avuto accanto, la consapevolezza dei loro corpi vicini le aveva causato fremiti continui, deliziosi in quanto intensi e brevissimi. Era in grado di controllarsi, ma ora che erano da soli, senza nessuno a disturbarli...

Gli offrì il collo scoperto. Sentendo la mano di lui sulla parte bassa della schiena, si lasciò trascinare sopra le sue ginocchia. C'era qualcosa che stava dimenticando, qualcosa di importante...

Se ne ricordò quando strofinarono tra loro i bacini. «Oh.»

«Cosa?»

«Non...» Fu travolta dalla delusione. «Oggi non posso.»

«Non puoi?»

«Noi... Questo.»

Gen si allontanò un poco. «Questo?» Incredulo, la sfiorò sullo stomaco, sotto la maglia.

Addolorata, lei annuì.

«... perché?»

Vinse l'imbarazzo per parlarne. «Io... non potrò per qualche giorno.»

Gen ebbe mille pensieri prima di trovare quello giusto. Gli si deformò la faccia.

Lei riuscì a stento a evitare la risata. C'era una parola giusta per descrivere la reazione di lui e non era delusione. «Sei affranto

Il divertimento di Gen si mischiò alla disperazione. «Ridi di me?»

Makoto lo abbracciò. «Mi dispiace. Il mio ciclo è iniziato ieri.»

Lui esalò un sospiro di patimento. «... fino a quando?»

Lei si fece due conti. «Altri tre giorni, compreso oggi.»

«Quindi... per il quattro?»

«Sì.»

«È il mio compleanno.»

Makoto quasi cadde a terra. «Mi ero dimenticata! Non ho ancora pensato al tuo regalo!»

Gen la strinse più forte. «Sistemato. Sarai tu il mio regalo.»

«Ma figurati. Pensavo a un regalo serio.»

«Più serio di te? Magari con quella vestaglia rosa e niente sotto...»

Lo colpì giocosamente su una spalla. Le morì la battuta in gola quando si ricordò un altro particolare. «Il quattro gennaio tu compi...»

«Ventidue anni» completò lui, incerto.

Lei non ebbe nulla da dire.

«Non lo sapevi?»

No. Aveva intuito che lui avesse quell'età - per via dell'anno che frequentava all'università - ma non ne era stata sicura. Non aveva chiesto.

Invece di trovarla una mancanza terribile, Gen si intenerì. «Abbiamo tante cose di cui parlare.»

Lei gli accarezzò una guancia. «Sì.»

«E pensare che hai già conosciuto la mia famiglia...»

Infatti era imperdonabile. «Tu hai ascoltato tante cose di me... Ho parlato più io, vero?»

Sotto le sue mani, lui scrollò le spalle. «Se vorrai sapere qualcosa di me, basterà chiedere.»

Be', di fronte a tanta apertura... «Secondo te, a Shori io piaccio davvero?»

«Hm?»

«Oggi sembrava che mi stesse ancora valutando.» Anche se, la sera prima, avevano trovato una bella intesa durante la loro sfida a Go. Makoto era partita con l'intenzione di perdere per entrare nelle sue grazie, ma la determinazione di Shori l'aveva portata usare tutto il suo ingegno per vincere. Alla fine aveva perso per una singola mossa sbagliata, ma persino la sorella di Gen si era resa conto che la sua era stata pura sfortuna. A fine gara si erano strette la mano.

«Ho sorpreso Shori portandoti a casa nostra» spiegò Gen. «Lei fa sempre così: quando pensa di aver concesso troppo, fa un passo indietro. Stamattina già andava scherzando sul fatto che eri la sua futura cognata.»

In estasi, Makoto quasi non riuscì a crederci.

«Ti ha accettato» confermò Gen. «È solo che le piace fare la misteriosa.»

Lei sperava che fosse così. Scese dalle gambe di lui, per smettere di tentare entrambi. «... hai avuto tante ragazze.» Lo sapeva già, ma voleva avere una sensazione più chiara del passato di lui.

Gen era confuso: non capiva cosa gli stesse chiedendo.

«È stata tua sorella a parlarne. Diceva che... le hai provate tutte.»

«Ah, ha detto così?»

Non era quella la parte importante. «Ti piace conquistare. Hai conquistato anche me.»

Lui provò a capire dove lei stesse andando a parare.

«Voglio essere io a conquistarti, Gen.»

Lo rallegrò. «Lo hai già fatto.»

Sì, ma... «Voglio che ti affidi a me. Voglio che siamo pari nel nostro rapporto.»

«Lo siamo già.»

Come esempio di parità le veniva in mente soprattutto il loro piccolo scontro accanto al fiume, e si era trattato solo di una dimostrazione di forza fisica.

«Makoto. L'altra notte.»

«Che vuoi dire?»

«Il modo in cui mi hai fatto... abbandonare.» Lui faticò a usare quella parola. «Non mi era mai successo con nessun'altra.»

Rivivendo il momento, Makoto si riempì di un senso di vittoria sottile, una sensazione di possesso che era dolce e lenitiva. «Veramente?»

Gen annuì. «E visto che ti ho già offerto cuore e anima, tanto vale lasciare che mi pialli fino alla fine. Hai lo strumento adatto, sai? Il tuo viso, la tua voce, tu... Questa è la prima volta in tutta la mia vita che sono innamorato.»

Lei sentì il battito che accelerava. Dal petto un senso di calore e leggerezza si diffuse alle sue mani, alla testa... Era come volare, sapendo di essere a un passo dall'apice della felicità. Per raggiungerla, rischiando di esplodere, le bastava un unico tocco.

Con un brivido, sfiorò un dito di Gen. «Adesso mi sto sciogliendo.»

Sorrisero con le guance vicine. Ancora una volta lei trovò incredibile che quella prossimità le permettesse di restare intera. Ma con Gen andava così: era come disfarsi e ricompattarsi in continuazione, sapendo di essere più forte con lui e al contempo totalmente scoperta, senza difese per ogni suo gesto, per ogni sua parola.

Lui le stava baciando sulla mascella. «Se solo....»

«Cosa?» Si tenne alle sue spalle, ancorandosi per non ricadere sulla schiena.

«Vorrei essere in grado di farti sciogliere completamente già adesso.»

Bastava un po' di pazienza. «So cosa si prova.» Ne ricordava ogni particolare.

«In realtà...» Gen scosse la testa.

«Hm?»

«Ogni volta che è successo, mi hai distratto. Non ho fatto tutto quello che potevo per te.»

Lui era tornato al discorso precedente - molto dolce, ma non veritiero. «No. Mi sono davvero sciolta come neve al sole.» 

«Forse solo la volta che ho usato la bocca.»

Perché lui doveva essere così preciso? «Elimini il romanticismo.»

Gen la riportò sulle proprie gambe. «È questo che voglio dire: è sempre stato molto piacevole. Per me troppo, ma... L'ultima volta tu non sei nemmeno venut-» Si bloccò sulla parola. «Cioè, non hai provato quello che ho provato io.»

Lei non lo aveva trovato fondamentale. «Ho provato qualcosa di altrettanto bello: averti tutto per me.» Lo strinse forte.

Per qualche attimo, Gen non disse niente. «Devo rimediare» decretò infine.

Makoto sospirò. «Dai troppa importanza alle sensazioni fisiche.»

«Ne parleremo dopo la prossima volta. Se tu sapessi cosa puoi provare, non diresti così.»

Lei si allontanò fino a guardarlo in faccia. «Sei condiscendente.»

«Sei testarda. Dopo il mio compleanno, avrai cambiato idea.»

«E se non succede?»

«Proveremo un'altra volta. E un'altra volta ancora, poi di nuovo, e infine...»

Risero.

Makoto gli accarezzò la testa. «Ti amerei anche se non mi toccassi mai.»

Lui soffrì. «Ne morirei. Tu sei fatta per essere toccata.»

Era una frase eccitante, che sembrava più adatta a un film che a lei. Incoraggiata, Makoto provò un azzardo. «... sono uno schianto?»

La scelta del termine lo incuriosì.

«Tua sorella diceva che sei stato con ragazze bellissime...»

«Io sto con una ragazza bellissima. Penso a te tutto il tempo.»

Rinfrancata, volle scusarsi. «Non sarò sempre insicura. È solo che, almeno una volta, volevo sentirti dire che...» Anche se fosse stato vero solo per lui, le sarebbe bastato.

«Non l'ho detto per farti contenta.» Gen le sollevò il viso, per farsi guardare. «Non dico cose a cui non credo. Ma se non ti dirò abbastanza cose belle, picchiami, perché sarò bugiardo per omissione.»

«Parli sempre di violenza» sorrise lei, commossa.

«Non sono ancora abituato a lasciar uscire altre parole. Ma non le dirò per conquistarti, Makoto. Un tempo le ho dette con secondi fini, per uno scopo.» Incrociò i suoi occhi. «Con te no. Ci sono cose che dico senza nemmeno voler parlare, perché mi sento quasi ridicolo quando...»

Lei capiva e non aveva bisogno di sentirlo andare avanti. «In fondo, non c'è bisogno di parlarne.» Inspirò dalla sua guancia. «So già tutto.»

«Ah, sì?»

«Parla il tuo odore. È penetrante, piacevole. Dice che stai cercando di attirarmi, per stare abbracciati.» Passò le labbra sulla linea della sua tempia. «Mi fa sapere che ci tieni tanto a essere bello per me, perché mi vuoi disperatamente vicina.»

«Quante cose vere...»

Lungo tutti i punti di contatto tra i loro corpi, Makoto vibrò. Quella stava diventando una piccola e deliziosa tortura.

«Saprò sempre cosa vuoi dirmi» gli disse.

«Forse ti sorprenderò lo stesso.» Con la punta della lingua, Gen tracciò una scia lungo il suo collo, fin dietro l'orecchio.

Ansimando, lei si staccò. «I dango.»

Lui abbassò la mano, smettendo di toccarla. «I dango.»

Scoppiarono a ridere e lei si spostò verso la cucina. «La fame sazierà gli altri appetiti.»

«Speriamo di no, o prenderò un quintale prima del quattro gennaio.»

Felice, Makoto canticchiò il ritornello della nona sinfonia di Beethoven e si mise al lavoro per servire i dolci.

    


    

«Allora non c'è più niente da muovere?»

Yuichiro Kumada si pulì le mani dalla polvere. «Niente. Grazie per avermi aiutato a spostare tutti i pacchi.»

Gli scatoloni che avevano portato nel retro del gazebo erano pieni di amuleti. Gen ne prese uno. «Li venderete tutti?»

«Oggi è giorno di grandi affari.»

«Serve una mano?»

«Sì, ma non c'è più posto per un'altra persona che serva i clienti. Lo dirò al maestro: il prossimo anno dobbiamo attrezzarci.»

Forse quell'anno i tempi erano più affollati solo per via degli incidenti su scala mondiale di due giorni prima.

Kumada osservò il suo silenzio. «Nel bosco c'è pace.» Gli indicò gli alberi dietro le sue spalle, lontano dalla folla. «Io ci vado quando voglio riflettere.»

Il consiglio era gentile. «Grazie.»

Mentre camminava sotto le fronde del bosco Hikawa - come lo aveva ribattezzato nella propria mente - Gen pensò.

Da quando aveva ritrovato Makoto a Yokohama,era la prima volta che stava da solo e si sentiva tranquillo. Come condizione gli pareva anomala. Aveva la sensazione che ci fosse ancora qualcosa da fare, una battaglia da combattere, un nemico a cui fare attenzione.

Se era tutto finito, la sua nuova vita gli sembrava ancora più strana: non voleva più stare da solo. Ogni suo pensiero, ogni minimo progetto, includeva Makoto. Aveva pensato che fosse la smania di rivederla, di avere un momento pacifico da solo con lei. Ma avevano appena trascorso insieme tante ore e, se lui pensava a un momento qualunque dei prossimi giorni, si trovava ancora a chiedersi quali programmi avesse fatto Makoto, per capire come far coincidere i loro piani.

Era assurdo. Era innamorato di lei, voleva stare con lei, ma adesso non riusciva più a esistere da solo?

Si era rimbecillito o era una cosa normale?

La sua sciarpa si era impigliata nella lampo della giacca. Mentre infilava le mani per tirarla fuori, sentì qualcosa dentro la tasca interna, all'altezza del petto.

Tirò fuori un pacchetto dimenticato di sigarette.

A Makoto non piacerà se fumo.

Per sfida a quel pensiero, tirò fuori l'ultima superstite del pacchetto e cercò l'accendino.

Quando l'ebbe in mano, giocò con la miccia e sospirò.

Probabilmente quella era l'ultima sigaretta che avrebbe mai fumato.

L'accese e inalò. Piegando la testa all'indietro, colorò il cielo di una piccola nuvola grigia - respiro caldo che si condensava al gelo e vapori tossici che macchiavano l'aria.

Già, fumare non era una cosa salutare. Lui non era mai diventato un fumatore abitudinario, ma una volta ogni tanto...

Tra gli alberi apparve Alexander -ovvero Golden Boy Foster in tutta la sua biondezza, bardato di un cappotto da sartoria con cui Gen si sarebbe fatto vedere solo ad un prossimo funerale. Il peggio era che Foster nemmeno lo faceva apposta: non si atteggiava come lui aveva pensato inizialmente. Era nella sua natura andarsene in giro come se ci fosse un fotografo pronto a immortalarlo a ogni angolo di strada.

Quando Foster lo vedeva, si impettiva, e almeno questa era una cosa che Gen riusciva a comprendere: in lui suscitava lo stesso tipo di reazione.

«Fumi» furono le prime parole del ragazzo di Ami Mizuno, un rimprovero contro cui Gen aguzzò i denti.

«Si muore di freddo.»

«Hanno inventato la lana. E le bibite calde.»

Non sopportava quel tono di superiorità. «Non ti ho offerto di farti un tiro, Golden Boy. Tieni per te i tuoi giudizi.»

Invece di rispondergli, Foster si chetò. Non lo sfidò più con gli occhi e neppure con le parole; esausto, si allontanò di un paio di passi e rimase a fissare l'orizzonte con una smorfia dolorante, appena nascosta. Aveva un po' di colore sulle guance, come se fosse affebbrato.

Si era allontanato dal fumo e Gen si sentì in colpa.

Tirò fuori un fazzoletto e spense il mozzicone semi-integro.

Con il primo argomento che gli venne in mente, provò a fare conversazione. «Sai se Makoto ha mai fumato?»

Foster non dovette nemmeno pensarci. «Compra verdure biologiche.»

Già. Se n'era accorto persino lui, che la conosceva poco. I suoi occhi erano fissi sul pugno in cui Gen teneva stretta la sigaretta.

«Stai pensando di smettere?»

«Non è mai stata un'abitudine. Era solo una cosa che facevo ogni tanto.»

Sorrise tra sé, senza darlo a vedere. Il suo mondo si era decisamente capovolto: trovava piacevole parlare con Foster, che nella sua condizione malconcia gli inspirava un minimo di simpatia.

In fondo, si trovavano in situazioni simili. Anzi, lui forse era l'unica persona sul pianeta che stesse vivendo un problema simile al suo. Da quanto aveva sentito, Foster era messo peggio: Mizuno lo aveva lo stretto attorno al mignolo e lui saltava solo quando lo diceva lei.

Le guerriere Sailor forse avevano capacità particolari di persuasione, o magari erano solo comuni ragazze - e loro dei fortunatissimi malcapitati.

Inspirò aria pulita, fredda. «È il primo dell'anno.» Giorno di nuovi inizi e piccole rinunce per un bene superiore. «E questa era l'ultima sigaretta che fumavo.»

«Un proposito?»

«No, uno stato di fatto. Stavo pensando che non sono più single.»

Foster lo guardò come se fosse stupido.

Gen ci passò sopra. «Mi sono reso conto che non voglio più essere single.» Terminando di dirlo, risentì la frase e fu disgustato da se stesso: che discorsi faceva con uno sconosciuto?

Aveva voglia di parlare con qualcuno che stesse vivendo la sua stessa esperienza, ecco la verità. Avrebbe scelto Kumada se non lo avesse sentito già lontano per ciò che era diventato - più simile a Makoto e alle altre che a lui.

Foster lo osservò e aggrottò la fronte. «Io non ho i tuoi blocchi emotivi.»

Ecco: provava a comunicare e si beccava un insulto. «Dovevo immaginarlo. Come una ragazzina, vivi felice l'idea della favola eterna.»

«Con più palle di te, senza lamentarmi.»

Gen lasciò perdere. Era stato uno stupido ad aprire bocca. Marciò via.

«Ehi.»

Si voltò, solo per la stanchezza con cui Golden Boy aveva pronunciato la parola. C'era un'ombra di pentimento dietro quella sillaba.

Per il freddo Foster si era stretto nel cappotto. «La tua vita non è un vizio che devi abbandonare. Non ti sembrerà così in futuro.»

Parole di incoraggiamento.

«Ci si vede, Golden Boy.»

Gen tornò indietro rinfrancato, con una destinazione in mente: il bagno di casa Hino. Al tempio chiese rapidamente il permesso a Kumada.

«Certo» rispose lui, dandogli la chiave per entrare nella loro abitazione.

Gen si rifugiò in bagno e con l'acqua e un po' di sapone provò a liberarsi di tutte le tracce di fumo. Passò un fazzoletto bagnato sulla giacca e si sciacquò la bocca. Uscì da casa Hino profumato d'aria. Andò in cerca di Makoto.

La incontrò sul retro del santuario, che parlava con Aino mentre entrambe facevano una pausa dal lavoro.

Appena lo vide, lei si scusò e gli andò incontro. «Ti stai annoiando?»

«No.» Al freddo le labbra di Makoto erano screpolate e i suoi occhi lucenti. Senza resistere, Gen le umettò la bocca con un bacio, poi la tastò sulla tunica, sopra le tasche. «Niente burro cacao, oggi?»

«L'ho lasciato nella borsa.» Makoto sorrise, tenendosi vicina a lui, splendida nel trasporto che provava, identico al suo.

Aino canticchiò. «Trovatevi una camera!» 

Lui e Makoto rotearono insieme gli occhi al cielo. 

Ti amo, pensò Gen. 

Tenné per sé la dichiarazione: certe cose non si dicevano in pubblico.

Aveva davvero bisogno di conservare un po' della virilità che aveva costruito in ventidue anni di esistenza, altrimenti Makoto non lo avrebbe più voluto.

Lei gli strinse le mani. «Hanno bisogno di me per altre due ore. Se vuoi, puoi uscire dal tempio e tornare dopo. O torna a casa; ci sentiamo per telefono più tardi.»

«No, rimango nei paraggi.» Non avrebbe resistito senza vederla fino alla mattina dopo.

Makoto si colorò di felicità, guance rosa d'eccitazione e occhi che diventavano di un verde fiammante. «Servirò più clienti che posso. Finirò in fretta!»

Aino sospirò. «Se rimango qui comincerò a cantare ballate d'amore.» Rientrò nel retro del gazebo.

Furono soli e Makoto lo guardò negli occhi, i loro respiri che si mischiavano. «Alla fine è uscito il sole...»

«Per quest'anno è andata. Ci sarà sempre il prossimo anno...»

La menzione del futuro la riempì di sicurezza.

Lui avrebbe continuato a parlarne fino a che lei non avesse più avute paure da dimenticare. «Ma se vuoi vedere un'alba insieme, devi solo dirlo.»

«Domani voglio il nostro appuntamento speciale. Il nostro primo vero appuntamento dell'anno, per cominciarlo in grande stile.»

Decisamente sì.

Come due pali della luce, rimasero coi piedi piantati nel terreno, senza trovare la volontà di staccarsi.

«Vado» disse lei.

«Vai» la incoraggiò Gen.

Makoto rubò un bacio prima di danzare via con un piccolo salto. Rientrò nel gazebo con un sorriso, chiudendo la porta prima di ripensarci.

Gen tornò a far funzionare i polmoni e sospirò.

Per la reazione, rise di se stesso lungo tutta la strada verso la scalinata del tempio. Infine, stiracchiò braccia e gambe, aprendosi al mondo.

Se quello era l'amore, lui era pronto a metterci la firma vita natural durante.

     

   

1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità - FINE

   

   


   

   

NdA: Ho scritto questa storia senza pensarci troppo. Ho voluto sentirmi come Gen e Makoto, che sono due creature d'istinto. Quando sono felici, si lasciano trasportare, non si creano tante paranoie. Be', Makoto un po' sì, ma quando non c'è davvero motivo di preoccuparsi, si lascia trascinare volentieri da Gen.

Questo sarebbe stato un capitolo molto lemon se non fosse stato per le circostanze spiegate da Makoto. Ciò vuol dire solamente che le scene che ho in mente da tipo un anno e passa per lei e Gen saranno ambientate nel giorno del compleanno di lui. Spero di far fare la ola ai fan di questa coppia :)

 

Grazie per aver letto.

Se amate questi due, spero di avervi già fatti un po' felici (loro lo sono di sicuro ;) ).

 

ellephedre

   
 
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