Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: TheHeartIsALonelyHunter    29/06/2014    1 recensioni
“Perché questa sfida, Clove?” domandò, sempre più curiosa. La gola le si stava seccando lentamente, a casa del fumo nocivo, e gli occhi iniziavano a lacrimarle, aumentando la sensazione di abbandono completo che le gravava sulle ossa e sui sensi. “Perché sfidarsi in questo modo?”
Clove si girò nuovamente verso di lei, la testa ora appoggiata all’erba verde. Nyx abbassò automaticamente anche il suo capo, come a un tacito comando, e la fissò negli occhi con bramosità crescente.
“Perché?” ripeté Clove, lievemente accigliata.
[Partecipa al contest a turni "1 su 24 ce la fa" indetto da ManuFury]
[Vincitrice del premio speciale "Psicologa"]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clove, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '1 su 24 ce la fa!'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nick sul forum/ Nick su EFP (segnalare quello che si vuole avere sul Banner): TheHeartIsALonelyHunter
Tributo: Clove
Turno: Quarto
Titolo Storia: Galeotta fu la sigaretta
Pacchetto (se presente): 13. Il Tributo inizia a fumare (+1 punto se convince qualcuno a lui caro a fumare con lui).
Genere: Introspettivo, Generale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Missing Moments, Femslash
Pairing (se presente): CloveNyx (OC)
Note (facoltative): Ok, ho MOLTE cose da dire.

Prima di tutto: ho inventato di sana pianta la madre di Clove e il suo nome. Visto che solitamente la Collins utilizza nomi latineggianti o mitici ho pensato di attribuirle quello di Danae. Come la madre di Clove ho inventato anche suo padre, nominato una volta (Poseidon). In pratica il padre è morto (al lettore capire come e quando) e la madre sfoga il suo dolore nel fumare e, se volete credere così (io lo credo), anche nel bere. Se ve lo chiedete, la madre è morta, anche se non l'ho specificato nella storia ma si opuò intuire dal fazzoletto sporco di sangue (non so quanto il fumare possa favorire la tubercolosi, ma di sicuro non fa bene).

Per il tempo: secondo "Hunger Games Wiki" Clove aveva 15 anni nel film, quindi non essendo sicura di quanto avesse mi sono detta "OK, facciamo che ha quindici anni!". Quindi la prima cicca le viene offerta a 10 anni.

Ho immaginato che ci fosse una specie di organizzazione, l'Istituto, che prepara i ragazzi del Distretto 2 (ma magari di altri Distretti) per gli Hunger Games (perchè sappiamo tutti che erano preparati. Era ovvio) e che Clove fosse stata "iniziata" a questo gruppo da bambina insieme a altri ragazzi.

Nomina inoltre il nonno che, per chi non avesse letto la mia "You're still an innocent", era un ex vincitore degli Hunger Games ma in un certo senso "pentito" del suo destino, che Clove ha amato e poi odiato profondamente.

Nyx l'ho inventata di sana pianta, e diciamo che è molto simile a Clove. Il nome deriva da una divinità greca (credo), la Notte. Sia chiaro che il bacio che si scmbiano non è perché si amano o altro, ma per mera e semplice attrazione fisica, per una follia momentanea. Per quel bacio mi sono ispirata completamente e quasi esclusivamente a questa clip meravigliosa: http://www.youtube.com/watch?v=i4mYRaa1ipQ. Mi ha colpita sin dal primo istante in cui l'ho vista e DOVEVO usarla in qualche storia.

A un certo punto Clove può sembrare lievemente OOC, ma penso che a volte anche lei abbia i suoi momenti di debolezza: si sfoga con Nyx, spiegandole perché deve andare agli Hunger Games. Certo, per tutti i motivi che sappiamo, ma anche per sfidarsi nuovamente, per sapere che può vincere, come invece non ha vinto contro il fumo.

Ripetizioni varie sono volute e anche frasi iniziate con preposizioni. Mi scuso per errori vari ed eventuali.

Ah, mi pare ovvio che il titolo e la citazione sono ispirate al famoso verso della Divina Commedia nel brano di Paolo e Francesca.

Alcune espressioni dialiettali o parole "popolane" come "cicca" sono assolutamente volute.



La prima cicca gliel’aveva passata sua madre, un giorno cupo e scuro di cinque anni prima.
Danae Travers era la fumatrice più accanita che avesse mai conosciuto, e ne aveva conosciute veramente tante in quella specie di centro di riabilitazione in cui doveva accompagnarla ogni settimana, ogni volta sostenendola un po’ più forte, sentendo le sue gambe traballare un po’ di più e il suo peso riversarsi dolorosamente sulle sue spalle di bambina.
Sua madre arrivava anche a un pacchetto al giorno, quando gli girava male, quando il ricordo di Poseidon le invadeva la mente, quando sentiva che non c’era più nessun altra soluzione se non quella di trovare un po’ di conforto attraverso la dolce e effimera nicotina.
Le prime quattro o cinque sigarette non le facevano praticamente effetto, non più: le gettava nel posacenere con irruenza, inveendo e bestemmiando con quanta forza aveva, tremando incontrollabilmente mentre, con sicurezza quasi ossessiva, ne prendeva un’altra, afferrava l’accendino e dava una boccata liberatoria.
Dopo la sesta il suo viso iniziava a distendersi in un’espressione di quieta calma, il suo respiro diveniva rilassato e sereno, tutte le rughe che la vecchiaia prematura le aveva portato si distendevano dolcemente, e Clove era certa che mai avrebbe visto sua madre più tranquilla di quando fumava quella sesta cicca, seguita da una settima, un’ottava, una nona…
Danae Travers fumava fino a che tutti i suoi sensi urlavano per lo sfinimento, fino a che la tosse non iniziava a divenire, da leggera e controllata, a insopportabilmente forte e fastidiosa, fino a che non scuoteva tutto il suo essere, e Clove la vedeva reggersi al tavolo con una mano come se da un momento all’altro avrebbe potuto cadere.
E una volta era davvero caduta, Danae, da quella sedia. Clove ricordava ancora l’istante in cui, avvicinandosi al suo corpo rantolante e scostando lievemente il fazzoletto dal suo viso aveva visto del sangue ricoprirlo.
Era stata lei a passargli la prima cicca, con lo sguardo perso nel vuoto, con le sue dita scheletriche che la spaventavano tanto, con quella voce vecchia e sibilante, rauca come poche, simile a quella di un gigante:
“Prendila”.
Clove non sapeva esattamente cosa l’avesse spinta ad accettare quel dono inaspettato. Forse era stato il sorriso beato con cui Danae la guardava, un sorriso calmo e freddo, di chi è stato appena anestetizzato; forse era stato il delicato gesto con cui gliela offriva, così inusuale per quella madre che, nei momenti peggiori, picchiava la figlia senza neppure chiedere scusa.
Forse era stata la sua folle curiosità, il desiderio prorompente, la voglia celata di conoscere cos’era quell’oggetto strano e proibito allo stesso tempo farmaco e danno di sua madre.  Forse era semplicemente la sua testardaggine, la sicurezza spavalda che, qualsiasi cosa fosse accaduta, lei non sarebbe mai arrivata al livello di quella donna odiata, lei non si sarebbe fatta soggiogare, lei sarebbe stata più forte di quella strisciolina di carta. Era sempre stata così, lei: accettava le sfide solo per il gusto di trionfare, impugnava le armi più pericolose per poi riuscire a governarle, rifiutava le bambole e i ninnoli perché non erano abbastanza “eccitanti”. Era troppo facile tagliare la testa a una bambola.
Clove l’aveva agguantata con sicurezza e l’aveva osservata per alcuni istanti, scrutandola in ogni particolare, esaminandola come fosse uno strano reperto, annusando lievemente la strana erba che la riempiva. Era un oggetto tanto familiare quanto estraneo per lei: mai sua madre le aveva permesso di avvicinarsi ai suoi pacchetti, e l’unica volta che aveva osato arrivare a tanto Clove si era beccata un bel ceffone in faccia.
Sua madre si era sporta tremante dalla sedia su cui era accasciata, reggendosi con una mano al legno sicuro, tenendo con l’altra l’accendino.
“Ecco…” sussurrò, con quel sorriso rassicurante e terrificante al tempo stesso. Glielo accese in faccia, invitandola silenziosamente, tentando di mantenere la mano ferma e l’accendino con lei.
Clove era rimasta un attimo incerta, come se la sicurezza che l’aveva presa fosse improvvisamente svanita. Poi, con la mano minuta, aveva avvicinato la mano all’accendino e aveva acceso, lentamente, la sigaretta.
 
La mattina sul prato era calda e soleggiata, e l’erba sotto le sue mani era gradevolmente bagnata dalla rugiada che l’alba aveva illuminato.
La ragazza era protesa all’indietro, le mani appoggiate al terreno, lo sguardo rivolto al sole alto. Nella bocca, alta e svettante, stava una sigaretta accesa, che emanava un fumo leggero e quasi invisibile nella lucentezza del giorno.
Si avvicinò a passi leggeri, lasciando che i piedi frusciassero nell’erba, che il suo passo facesse rumore, che la ragazza si accorgesse della sua presenza. Ma Clove non dava segno di averla sentita: era ancora lì, la bocca semi aperta, gli occhi socchiusi, il viso contratto in un’espressione di calma placida.
Per un istante credette quasi di avergliela fatta, che non avesse davvero percepito la sua presenza. Ma era una speranza quanto mai vana, quando si trattava di lei.
“Non sperare che non ti abbia notata, Nyx”.
La sua voce la pietrificò con la gamba protesa in avanti e un’espressione di sorpresa attonita (subito rimpiazzata da un sorriso sardonico) sul volto.
“Non volevo essere invisibile, Clove” spiegò la ragazza, avvicinandosi all’altra con sicurezza. Lei si raddrizzò lievemente, appoggiando più stabilmente le mani al terreno e alzando la testa per scrutarla, il mozzicone ancora in bocca. Le dava un’aria strana, come da cowboy di quei vecchi film che sua madre adorava. Le mancavano solo il cappello a larga tesa e gli stivaloni. Ma probabilmente non avrebbe mai accettato di indossarli.
“Anche perché so che sarebbe inutile” le fece notare Nyx, sedendosi accanto a lei e portandosi le gambe al petto.
Clove sorrise, levandosi lentamente la sigaretta dalla bocca e tenendola con fare provocante tra l’indice e il medio. Lo sguardo di Nyx indugiò per un istante su quelle dita, e un brivido freddo la percorse tutta: sebbene fossero coperte di cicatrici e ferite più o meno recenti, avevano il taglio classico delle statue greche, e si muovevano eleganti come quelle di un pianista. Strane dita, per un’assassina. Eppure il contrasto era quanto mai interessante, e straordinariamente allettante per lei.
“E fai bene a saperlo…” commentò, con un fare tra il sarcastico e il serio. “Perché nessuno percepisce il nemico come Clove la Magnifica…”
Una risatina rauca le uscì dalla gola, come il suono di un violino scordato. Nyx alzò lievemente un angolo della bocca, troppo presa a guardare con aria critica la sigaretta per rispondere adeguatamente.
Alle volte aveva pensato cosa ci trovasse di tanto eccitante in quelle dannatissime cicche, e una fitta di dolore panico non poteva fare a meno di coglierla quando percepiva che una di quella era un minuto in meno di vita per lei.
“E così…” commentò, tentando di fare conversazione. “… Ho sentito cheti offrirai volontaria per i prossimi Hunger Games”.
Clove si rinfilò la cicca in bocca e tirò una boccata profonda. Nyx la osservò compiere il gesto senza commentare.
“Esattamente” sussurrò, soffiando lentamente il fumo nell’aria. Lo sguardo della castana si perse per qualche istante a osservare quella nuvola salire lentamente in cielo, con fare melanconico. Nyx non credeva di aver mai visto Clove così silenziosa all’Istituto, né tantomeno credeva di poterla vedere così.
La ragazza, sistemandosi meglio le braccia al petto, chiese, con fare curioso:
“E cosa ti spinge a farlo?”.
Clove si girò verso di lei, come se avesse appena chiesto qualcosa di totalmente inutile o addirittura idiota. Nyx si sentì avvampare come non mai a quello sguardo. Era strano, ma solo in quel istante si accorse del fatto che Clove era straordinariamente attraente.
Era strano da pensare, soprattutto per quella che poteva dirsi “la sua migliore amica”, ma quel giorno Nyx sentì di aver visto Clove per la prima volta in vita sua.
“Una sfida, Nyx” spiegò lei, con fare sicuro. Un’altra boccata, se possibile ancora più profonda dell’altra. La bionda si domandò quando sarebbe finita con una sorta di preoccupazione affannata.
Non voleva sapere quante altre erano state appoggiate sgraziatamente nell’erba da quando la mattinata era iniziata.
“Una sfida con chi?” chiese, appoggiando i gomiti al terreno e stendendo le gambe completamente. Clove fece lo stesso dopo aver soffiato via il fumo, cosicché Nyx si ritrovò col suo viso a pochi centimetri di distanza. L’odore acre del suo fiato la investì tutta e, con il fumo che, lento, la circondava, le annebbiò per un istante i sensi.
“Con me stessa, penso” disse Clove, stavolta senza aspirare dal mozzicone. Lo tenne così, di fronte al suo viso, osservandola attentamente attraverso i fumi che da essa salivano. Anche per lei, strano a dirsi, il viso di Nyx sembrava una novità assoluta, e ne studiava ogni dettaglio con curiosità morbosa: i capelli biondi che ricadevano sulle spalle in boccoli scomposti, gli occhi ceruli che brillavano lievemente, la bocca rossa ben definita e le guance rosee di colore.
Nyx tossì lievemente, ma Clove non le tolse la sigaretta da davanti.
“Sai, da quando ero piccola volevo partecipare a questi Giochi” continuò, con fare quasi disinteressato. Il suo viso salì in alto, a cercare altri orizzonti e a scrutare il bel mattino che si stendeva sopra di loro. Assurdo pensare quanto, cinque anni prima, le fosse sembrato scuro il cielo.
“Per vari motivi”. La sua voce era lenta e cantilenante e mischiata agli effluvi delle sigaretta servì ad annebbiare per la seconda volta i sensi di Nyx: sembrava un’indovina nella sua bottega, circondata dal fumo chiaro e con lo sguardo in su, il tono di voce di chi vuole far credere di sapere ma che non sa.
“Il piacere di impugnare un’arma…”. Il sorriso sul suo viso si aprì ampio, rivelando una fila di denti a prima vista bianchi come perle. Nyx sorrise con lei, pensando al pugnale appoggiato nella sua camera all’Istituto, e alla gioia che le provocava impugnare una spada.
“La gloria…”. Il suo viso si rabbuiò lievemente, allarmando lievemente la bionda, che continuava a fissarla come incantata. C’era qualcosa di così remoto nel suo sorriso… Così nuovo nel suo sguardo…
“E altri motivi…”. Il suo tono era freddo e rauco, mentre si rinfilava la sigaretta in bocca, tenendola tra i denti in semi equilibrio. Per un istante, il pensiero della ragazza andò inevitabilmente a suo nonno, il nonno che aveva sempre cercato di rinnegare, il nonno che, in fondo, era una delle ragioni portanti per cui avrebbe fatto ciò che avrebbe fatto, il nonno che forse avrebbe dovuto ringraziare.
Nyx non diceva parola, mentre la nuvola di fumo si alzava sempre più densa in cielo e lo sguardo di Clove era perso nella contemplazione di chissà cosa. Sembrava talmente diversa da quella ragazza che conosceva tanto bene, con quegli occhi pensosi, la fronte aggrottata e una tacita preoccupazione che le imporporava il viso.
“Perché questa sfida, Clove?” domandò, sempre più curiosa. La gola le si stava seccando lentamente, a casa del fumo nocivo, e gli occhi iniziavano a lacrimarle, aumentando la sensazione di abbandono completo che le gravava sulle ossa e sui sensi. “Perché sfidarsi in questo modo?”
Clove si girò nuovamente verso di lei, la testa ora appoggiata all’erba verde. Nyx abbassò automaticamente anche il suo capo, come a un tacito comando, e la fissò negli occhi con bramosità crescente.
“Perché?” ripeté Clove, lievemente accigliata.
Poi, fece una cosa inaspettata: si tolse quello che restava del mozzicone dalla bocca, lo guardò con attenzione e commentò, alzando un angolo della bocca (Nyx non sapeva se volesse ridere o piangere di sé):
“Perché c’è una sfida che ho miseramente perso”.
Passarono istanti che alla bionda parvero secoli. Clove rimase a contemplare la strisciolina di carta con fare concentrato e divertito, come chi guarda un proprio quadro mostruoso e ne gioisce, e lei non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso. Era tutto così dannatamente perfetto in lei, in quell’istante… Gli occhi del verde delle foglie più scure in autunno, il naso dritto che le dava quel tocco di classicità… E la sua bocca. La sua bocca sottile e le sue labbra carnose, quell’obiettivo che, in quell’istante, le parve desiderabile come non mai.
Nell’ubriachezza dei suoi sensi tutto pareva bello come non mai, in Clove. Era tutto, se possibile, più perfetto di quanto non fosse mai stato.
Le sue mani che correvano ad infilarsi la sigaretta di nuovo in bocca.
Il sorriso dolce amaro che le rivolgeva.
E quello sguardo che la sfidava… Che la sfidava a fare ciò che non osava fare.
Forse fu la follia del momento, forse quell’improvvisa passione che le diruppe in petto all’improvviso, forse quelle labbra tanto invitanti… Fatto sta che, chiudendo lievemente gli occhi, Nyx si sporse e, con calma e studiata lascivia, mordicchiò la sigaretta.
Clove non oppose resistenza a quell’atto e, anzi, parve gradirlo come non mai, come se lo aspettasse da sempre: si lasciò scivolare la sigaretta un po’ più giù tra i denti e posò le sue labbra su quelle della bionda.
E fu fumo, e fuoco, e il sapore aspro dell’altra che le esplodeva dentro, e la sigaretta che ancora le separava, sospesa tra le loro due bocche, sospesa tra le labbra mordaci di una e quelle più timide dell’altra.
Fu solo un istante, solo il tempo di saggiarsi e di provarsi reciprocamente, solo il tempo di giocherellare mordicchiandosi e tastandosi, solo il tempo di prendere una boccata di fumo.
Quando si separarono, Clove sorrideva soddisfatta, stringendo ancora il mozzicone tra i denti, e Nyx la guardava come se non avesse aspettato altro per tutta la vita.
“Non male, direi” commentò la prima, ridacchiando.
Era una situazione al limite dell’idiozia: aveva appena baciato quella che considerava l’unica sua amica, l’unica che avesse mai capito il piacere di impugnare un’arma e sentire di essere parte di essa.
Galeotta era stata la sigaretta, probabilmente. E la follia che con sé portava.
Con incertezza, la bionda afferrò la cicca dalla bocca dell’altra, guardandola come se quella fosse una sfida che lei le aveva proposto. Era sempre stato divertente, per lei, accettare sfide che nessuno le aveva posto, dimostrare la propria superiorità facendo ciò che la gente non si aspettava, fare follie solo per il gusto di farle. Forse per questo era l’unica ragazza di cui aveva mai accettato l’affetto.
Se la infilò tra le labbra senza dire nulla, ma continuando a guardarla e sentendosi ogni istante un po’ più persa in quella ubriachezza in cui, in fondo, era stato piacevole perdersi.
La prima boccata le si strozzò in gola e Nyx tossì sotto lo sguardo divertito di Clove.
La seconda boccata fu più cauta e la lasciò con gli occhi socchiusi e un sospiro leggero che le usciva dalla bocca.
La terza boccata la fece tenendo gli occhi serrati e godendosi ogni istante, ogni sfumatura, ogni singola venatura del sapore di Clove.
E, mentre lo faceva, sussurrò con noncuranza:
“Non male, sì…”.
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: TheHeartIsALonelyHunter