Film > X-men (film)
Segui la storia  |       
Autore: tunztunzwaffle    30/06/2014    1 recensioni
|| Hunger Games!AU ||
"Un talento naturale, eh?" Fa una voce roca e profonda dietro di me. Mi volto di scatto e vedo Erik Lensherr sorridermi con aria amichevole. "Non mi risulta che nel Distretto 9 si faccia questo grande uso dell'arco. O almeno non credevo, dato che eri coperto di grano, alla sfilata." Mi giro di scatto, dandogli le spalle. Cosa vuole da noi? "Non mi risulta che siano affari tuoi." Gli dico tranquillo, sorridendo e scoccando un'altra freccia, ancora sorprendentemente vicina al centro.
---
Spingo la sua mano lontana da me e mi dirigo a grandi passi verso l'ascensore, mentre lui si gira a guardarmi. Con lo scendere dell'ascensore, non riesco a sganciare lo sguardo da quello di Erik, che scompare lentamente dal mio campo visivo, ma che rimane accanto a me tutta la notte, con il suo sarcasmo, i suoi dannati intenti e il viso truce con cui mi ha fissato questa sera.
Charles è stato sorteggiato assieme a sua sorella e decide di lottare per farla sopravvivere.
Ma non può immaginare che un altro tributo gli metterà i bastoni fra le ruote.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Raven Darkholme/Mystica
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note.
In primis, sappiate che mi ha sorpresa che nessuno ci avesse pensato prima. Questo è il mio debutto nel fandom /e/ su efp. Precisazioni. Dato che i personaggi che avevo intenzione di usare sono latentemente più grandi di diciottenni, ho manipolato un po' le regole dei giochi, portando il limite di età a 25 anni. Questo vuol dire tredici anni di mietiture, wow. In più: ho combinato la tematica Panem con quella dei mutanti, ma i chiarimenti li avrete leggendo -dato che la letture del Trattato del Tradimento durante la mietitura, mi ha dato la scusa di riassumere la storia di Panem lievemente diversa da quella originale. Non appariranno personaggi dei libri se non quelli estremamente secondari, come Flickerman; per esempio, il Presidente non è Snow, ma un personaggio legato alla saga degli X-Men. Il Distretto 9 non è mai stato descritto e si sa ben poco su di esso -tralasciando le immagini ufficiali che sono da poco state rilasciate in vista di Mockinjay(che mostrano un abitante per ogni Distretto)- quindi mi sono presa un minimo di libertà, attenendomi alle informazioni ricevute. Ci saranno dei momenti-tributo al libro, o, in ogni caso, per qualche particolare della storia mi ispirerò al libro. Qualsiasi espediente sarà in ogni caso usato in un contesto ed una maniera differente. Remy Etienne Lebeu è Gambit, nei film appare soltanto in 'Wolverine: Le Origini'.
Nei capitoli, nel caso in cui creda siano necessari chiarimenti, inserirò piccoli numeri sopra le parole che vi riporteranno alle note in cima al capitolo, come segue.
1. Parla di Johanna Mason, riferimento al libro.
2. Armando Munoz è il Darwin di First Class; lì non ha un fisico molto imponente, ma nel fumetto è considerevolmente più grande di corporatura e ho deciso di prendere quella in considerazione, giusto per non avere troppi tributi minuti, lol.


.La Mietitura

Un'improvvisa e violenta folata di vento mi prende di sorpresa. Succede poco spesso che mi distragga dal mio lavoro e se lo faccio, normalmente la mia fuga si svolge su un piano puramente fantastico; ogni giorno mi allontano dalle risaie , invisibile agli occhi dei Pacificatori, e corro nei campi di papaveri rimasti, quel poco di terreno incolto che prima o poi verrà distrutto in virtù della nascita di qualche altra piantagione. Ma è solo un riflesso, un pensiero che mi copre gli occhi mentre tengo il capo chino sul mio lavoro.
Ma non oggi.  I Pacificatori sono impegnati, non se ne vedono. Almeno non qui intorno. Sono seduto su una sottile striscia di terreno che divide una coltura dall'altra, la stessa sul quale tutte le mattine cammino prima di impegnarmi nel curare le piante verdi e tenere che solleticano il pelo dell'acqua. Ho le gambe raccolte al petto, nel tentativo di sedermi senza dovermi necessariamente inzuppare fino alle ginocchia. Tutta questa situazione è familiare: il fruscio del frumento, che vedo distendersi per poi tornare elasticamente alla sua posizione originale; il vento che si insinua fra ogni girasole, sussurrando parole che non riesco a comprendere; la luce forte di un mezzogiorno caldo e afoso, che picchia sul terreno deserto. Succede solo una volta all'anno che ogni contadino eluda il lavoro, preso da altri pensieri. Il giorno della mietitura. Ho sempre pensato che fosse ironico si chiamasse proprio così, dal momento che abito nel Distretto 9, dove la parola 'mietitura' appare spesso come un'innocua parola quotidiana -magari non amica, ma quantomeno normale. Ma ogni anno, nello stesso giorno, assume un significato sinistro. Due di noi verranno scelti per sentire il fiato della morte, disgustarsene e per esserne inghiottiti. Che i settantaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!, penso, con amara ironia. Punto lo sguardo verso la rete elettrificata sormontata da filo spinato, davanti alla quale ci sono i pochi Pacificatori che sorveglieranno quella che può essere l'unica via per un disperato tentativo di fuga e tiro un sospiro, sfiorando il collare che ho al collo. A volte, per qualche secondo, mi illudo di essere libero, felice. Dura poco, con tutti questi elementi a ricordarmi quanto, ogni minuto di più, la gabbia che mi imprigiona sembra progressivamente restringersi, dandomi la sensazione che un giorno le sbarre arriveranno a soffocarmi. Ma non oggi. Oggi, tutti i miei pensieri sono rivolti ad una sola persona che ha bisogno di me, non posso permettermi di lasciarmi morire.  "Ancora qui?" Squilla qualcuno accanto a me. Vengo percosso da un brivido. Non avevo sentito nessuno avvicinarsi, ma il mio sussultare dipende più che altro al fatto che oggi sento di non poter abbassare la guardia.  "Sono così tremendamente spaventosa?" Scherza la ragazza che mi si è appena accucciata accanto. E' Raven. L'ho conosciuta quando, ancora ragazzino -avrò avuto nove o dieci anni- l'ho trovata a bazzicare vicino a casa mia un po' troppo oltre l'orario prestabilito. Quella notte, credo di averla salvata per un pelo dall'essere scoperta in giro a quell'ora -avrebbero subito pensato che volesse rubare del cibo dalle riserve- e da quel momento in poi, è rimasta con me e mia madre. I suoi genitori erano morti da poco e mi ha confessato che la sua azione non era priva di motivazioni. Avvolta dal buio e tremante, aveva capito che non ce l'avrebbe fatta. Che non era in grado di continuare da sola; diceva di non avere forza, né carattere. Ha saputo dimostrarmi il contrario, e io ho deciso che l'avrei protetta, ad ogni costo, anche da se stessa e dal suo tentativo di farsi catturare. Ora che ha ventidue anni, splende di una luce propria, fiorita nel migliore dei modi in una generosa giovinezza. Si scosta i capelli dal viso, portandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio. Sorride e la cosa mi rende perplesso. "Sarà la tua faccia" rispondo, ridendo e voltandomi verso di lei. Meglio sdrammatizzare, no? E' già pronta. Indossa un vestito rosa con decorazioni floreali che le si stringe in vita grazie ad un fiocco color confetto. E' un po' logoro, probabilmente una volta è appartenuto a mia madre, ma è comunque in ottime condizioni e riesce a mettere in risalto il fisico snello ma non privo di forme di quella che io considero mia sorella. Indossa un cappello di paglia con un fiocco rosa, per proteggersi dal sole cocente della giornata. Lei continua a sorridere, senza mai rivolgermi uno sguardo. "Charles," esordisce. Capisco immediatamente che qualcosa non va e so anche di cosa si tratta. Il nostri nomi appaiono fin troppe volte in quella lista. Se poi penso a tutte le nomine in più che ho io per le tessere, credo di poter intuire cosa sta per dirmi. Chiudo gli occhi, preparandomi ad un augurio, come quelli che mi fa ogni anno e che io faccio a lei. "ho paura." Mi volto, le sorrido quanto più pacificamente posso. "Raven, devi stare tranquilla, in confronto a molte persone che conosco, dieci nomine sono-" mi interrompe, proseguendo quello che sembrava un discorso terminato. La sua voce si incrina, ma lei continua a negarmi uno sguardo. "Tu non hai dieci nomine." Dice convinta. Prima che io possa ribattere, mi frena con altre parole, sempre più sussurrate, sempre più sofferte. "Non voglio perderti." Soffia, prima che una lacrima le righi il volto. Mi avvicino di scatto, abbracciandola. Cosa posso dirle? Ha semplicemente detto ad alta voce quello che stavamo pensando entrambi. Cerco comunque di tranquillizzarla. "Raven, ho venticinque anni. Per me, questa è l'ultima mietitura" mi allontano da lei, senza mutare la mia espressione distesa "Andrà tutto bene." Le asciugo la lacrima solitaria, prima che questa possa raggiungere il mento. "Ce la siamo cavati fino ad ora, no? Conto su di noi." Finisco le mie argomentazioni, nella cieca speranza che le mie parole di rassicurazione riescano a frenare quel terrore che la divora da dentro e che io ho sempre dovuto nascondere per essere lo scudo della mia famiglia. Lei. Devo proteggerla, essere la sua roccia. Questo è il mio compito e farò tutto ciò che è in mio potere per portarlo a termine, fino in fondo.


Entro il pomeriggio, sono pronto anche io. Indosso la camicia meno sgualcita o rovinata che ho e credo di poter dire lo stesso dei pantaloni. Ai piedi ho i mocassini di mio padre, a cui Raven ha dato una ripulita ieri sera, con un sorriso illusorio dipinto sulle labbra. Ha cercato di non pensarci, ma alla fine è esplosa; tipico di lei. Mia madre non è in casa. Deve essere già in piazza, anche se dubito sia lì per fare il tifo per me, quanto più perché è costretta ad assistere. Non indugio troppo a pensare a lei, come lei avrà sicuramente fatto con me, ed usciamo di casa, rendendoci conto che rischiamo di arrivare in ritardo. Fino alla piazza vige un religioso silenzio, che potrebbe anche risultare fastidioso, pesante o imbarazzante, se non credessi che sia meglio così; sono troppo impegnato a districarmi fra i miei pensieri per costruire una conversazione, troppo preoccupato per apparire sollevato e leggero come sempre. Allungo il passo, non ci possiamo permettere di arrivare tardi. Ma, allo stesso momento, sento crescere dentro il desiderio che quella strada che in pochi istanti ci porterà al patibolo. duri in eterno, diventando un corridoio senza fine. Cosa darei per far durare quest'istante per sempre? Ma non ho nemmeno il tempo di desiderarlo che siamo già in piazza. Ci registriamo. Credo che il mio cuore abbia smesso di battere e mi muovo quasi incosciamente nell'area degli uomini, senza però perdere di vista neanche per un secondo mia sorella, sfilando davanti ai Pacificatori. Sul palco, un uomo giovane e curato, siede fra il sindaco e sua moglie, sfoggiando un sorriso di circostanza ai sorteggiabili e ai loro famigliari, riuniti attorno alla zona delimitata, silenziosi e scossi da paure più che legittime. Battono le due e il Sindaco si alza, avvicinandosi al microfono. Ha un'aria tetra, cupa. Legge la solita solfa. La storia di Panem, la Fenice del Nord America, uno stato travagliato e distrutto da una feroce guerra nucleare. Panem nacque per mano degli umani sopravvissuti alla distruzione totale che presero il controllo con un unico obbiettivo: proteggersi dai Figli Dell'Atomo, i mutanti che, crudeli e spietati, volevano sottrarre loro la loro terra promessa. Ma grazie alle Sentinelle -armi che ormai solo di rado si possono vedere in giro- e ai collari inibitori, finalmente i mutanti sono stati domati e resi docili. E nella loro enorme magnaminità, gli esseri umani hanno concesso comunque loro fette di terra e lavoro, distruggendo l'ultima minaccia rimasta: il Distretto 13, il Distretto dei ribelli. Da quel giorno in poi, Panem vive in pace e ogni anno i Giorni Bui nei quali i mutanti si erano ribellati agli umani, vengono ricordati con gli Hunger Games. Le regole sono semplici: ogni Distretto, come punizione, deve fornire due partecipanti fra i dodici e i venticinque anni, i tributi. I ventiquattro partecipanti verranno poi lasciati in un'arena -che può essere una foresta così come una spiaggia tropicale- ad uccidersi fra loro. L'ultimo rimasto, vince. Ascolto ogni parola del discorso, ingoiando velono e capisco che il Sindaco stesso odia le parole che sta dicendo, che sembrano talmente false in certi punti da sembrare sarcastiche. So che questa storia è di parte, e dubito molto di come certi passaggi vengono esposti. "E' il giorno del pentimento ed è il momento del ringraziamento" intona cupo e solenne il nostro Sindaco. Ci fanno vedere un video che testimonia la distruzione del Distretto 13 e il disgusto che provo verso questa situazione germoglia dall'indifferenza che riesco gelidamente a mantenere per il resto dell'anno; gli Hunger Games si prendono gioco di noi, ci umiliano, riuscendo a colpire ognuno nel proprio piccolo mondo personale. Mandano al macello dei ragazzini e degli uomini appena fatti, pretendendo che noi li consideriamo una festa. Dobbiamo considerarla una cosa divertente. E la nausea culmina nel pensare che c'è davvero un gruppo di persone dalle menti perverse che crede che tutto questo sia buffo, un semplice programma, nulla di più. Sono delle vite. Ma loro non lo capiscono, i privilegiati, gli umani, troppo coccolati dai loro benefici per rendersi veramente conto di qualcosa. Ma non li colpevolizzo. Sono ciechi ed incoscienti di quello che sta succedendo, gli abitanti di Capitol. Trattengo il fiato. Come di consuetudine, viene letta la lista dei vincitori del Distretto. Ne abbiamo 5, ma l'unico ancora vivo è Logan Howlett, un uomo ruvido e muscoloso, che porprio ora sta salendo sul palco, senza privarsi del sigaro che sta fumando, con un'espressione scocciata. Il Sindaco non si cura troppo di lui, e presenta l'accompagnatore del Distretto: Remy Etienne Lebeu. Questo libera la sedia che si trova fra il Sindaco e la moglie, mentre Howlett occupa la sua ai margini del palco. "Felici Hunger Games!" Biascica, con un'accento di Capitol City così marcato da farlo sembrare uno straniero. "E possa la fortuna essere sempre a vostro favore!" Esclama poi, frizzante come sempre. Ha ancora qualche speranza di vedere i suoi Tributi trionfare, e chissà, magari pensa che questo sia l'anno buono. Tengo lo sguardo fisso su di lui, come tutti gli altri, del resto. L'attesa sta martoriando tutti, come un chiodo che, piantato sul dorso della mano, viene spinto giù con una lentezza sadica ed infinita. In diretta nazionale. "Prima le signorine!" Continua, avvicinandosi a una delle due bocce di vetro e violandola con una certa delicatezza, probabilmente per aumentare la suspance. Alla fine, pesca una strisciolina di carta,  simile a molte altre. Legge silenziosamente, per poi recitare il nome con lentezza, per assicurarsi di non sbagliare. Lo sento, eppure mi sembra così irreale da non poter essere vero. Sento un tuffo al cuore. Lebeu, ha appena letto il nome Raven Darkholme, scritto il bella calligrafia sul foglietto che stringe fra le dita. I miei occhi saettano fra la folla e vedo le altre ragazze farle spazio per passare. Poi incrocio il suo sguardo. Ha paura, ha gli occhi lucidi. Sa di non avere speranze di tornare indietro, mentre io muoio dentro, aggrappandomi però a quella sottile corda che è la possibilità che lei vinca in ogni caso gli Hunger Games. Sento gli occhi inumidirsi e penso in fretta alla mia mossa. C'è un unico modo per stare accanto a lei. Ma la sorte è ironica, e decide di rendermi tutto più semplice e diretto. Remy si avvicina col passo leggero e femmineo di una ballerina all'altra boccia ed esegue lo stesso rituale, mentre il mio respiro si fa più pesante, nel mantenere il contatto ottico con Raven. "Charles Xavier!" Sento il mio nome. Per riflesso la mia mano scatta appena verso l'alto, ancor prima che io possa realizzare che tutti mi stanno facendo strada, con espressioni dispiaciute. Tossisco appena, imbarazzato dal gesto che ho appena fatto -che finirà appunto, sulle bocche di tutti- ed inizio ad incamminarmi verso il palco. Lei crolla. Inizia a piangere silenziosamente sul palco, gettando gli occhi azzurri e grandi verso il basso, mentre io intercetto lo sguardo del nostro mentore, che ha alzato gli occhi al cielo, in evidente segno di disperazione. Rassicurante, è la prima affermazione che, con laconica ironia mi si disegna nella mente. Io e mia sorella siamo sul palco, uno accanto all'altra. La differenza è che lei si è spezzata, mentre io no. Ed è proprio questo a rendermi più determinato; capisco che il mio unico obbiettivo nell'Arena, sarà vivere abbastanza da far tornare indietro l'unica persona a cui sento realmente di voler bene.                                
Il Sindaco riprende a parlare, duro e distante, e conclude infine l'interminabile e monotono Trattato di Tradimento; ci impone di stringerci le mani. Prendo la mano di Raven e la stringo nella mia, nel modo più rassicurante che riesco a simulare, con forza. Voglio farle capire che io ci sarò, sarò pronto a difenderla. Intreccio le mie dita con le sue, e lei ricambia debolmente, resa fiacca dalle lacrime che le scivolano copiosamente sul volto. Se ha fortuna, potrebbero decidere di lasciarla in pace proprio per questo; era successo in passato che una ragazza di cui non ricordo il nome(1), a forza di pianti e lamentele, avesse finito per essere considerata completamente innocua. Fu lasciata per ultima dai tributi più forti, e alla fine si scoprì che era capace di ucciderli tutti. Aveva vinto. Io cerco di mantenere la calma, ma è davvero difficile. In ogni caso, prima che io abbia il tempo di abituarmi realmente all'idea, dei Pacificatori ci invitano a seguirli e ci scortano dentro al Palazzo di Giustizia. Veniamo portati in due stanze diverse e io so che ho un'ora per salutare amici e parenti. Ma chi incarna queste due parole sta aspettando in una stanza simile le stesse visite. Entrano dei conoscenti, mi guardano con gli occhi lucidi con cui si guarda un malato terminale di cui appena si conosce il nome. Sono sicuro che provano pena per me, ma nessuno di loro soffrirà non vedendomi ritornare. Porgo i miei ultimi saluti nascondendo la riluttanza a parlare e dispensando invece sorrisi di circostanza. Alla fine, entra mia madre.                      
Ha un aspetto orribile. Come sempre. Continuo a sorridere placidamente, mi forzo di farlo, mentre lei mi guarda seria e torva, con occhi vitrei, senza parlare. Vedo il rossetto sbavato e il trucco pesante coprirle le palpebre sfumato dal sudore, per non parlare del vestito rosso e apparentemente molto scomodo che indossa, e capisco cosa ha fatto stanotte. Mia madre ha sempre ritenuto troppo faticoso impegnarsi in lavori manuali per guadagnarsi da vivere, quindi si cimenta in attività di tutt'altra natura in cambio di cure mediche e qualcosa da mangiare. E so anche che mi odia per questo. Era un'abitante di Capitol, prima che io nascessi e venisse trovato in me in gene X, quello che mi rendeva inaccettabile ed inadatto a trovarmi lì, in un ospedale. Così la trasferirono nel Distretto 9 insieme a me e mio padre. Lui sopportò, e finché non morì, anche mia madre sembrava reggere. Ma dopo la morte di mio padre, tutto sembrò crollare; capìi che la mia famiglia e l'affetto di mia madre erano tanto effimeri quanto un castello di carte. Ma l'uomo è fatto per adattarsi e io mi abituai agli sguardi colmi di risentimento della mia stessa madre, che preferiva il silenzio a qualsiasi altra forma di violenza. Ma credo che sia riuscita a ferirmi nello stesso modo, se non di più. E ora mi fissa, senza dire nulla. Vedo scenderle una lacrima lungo la guancia. Ho deciso di prenderlo come una parola di gentilezza non detta, uno 'scusa' frenato dall'orgoglio a dal dolore; ma d'altra parte so benissimo che potrebbe semplicemente essere la perdita dell'ultimo legame che ha col mondo, per quanto sottile sia. O ancora, credo che ora, nei miei occhi, veda tutto ciò che ha perso per colpa mia, che venga presa infine dal tremendo rimpianto che l'ha perseguitata per una ventina d'anni a parte: perché gli ho dato la vita? Le sorrido, e mi rendo conto di essermi commosso, proprio come lei. Un Pacificatore rompe la nostra bolla di dolore muto, dicendoci che il nostro tempo è finito. Continuo a sorriderle mentre la vedo andarsene, senza mai staccare gli occhi dai suoi, che rimangono fissi su di me fino a quando in Pacificatore non si frappone a noi.                                                                                                                                
Il viaggio sino alla stazione è in macchina. Ho cercato di rimuovere le prove delle mie lacrime, ma non sono sicuro di riuscirci; lo spero, in ogni caso. Raven continua a piangere ininterrottamente e io continuo a stringerle la mano, cercando di corrucciare la fronte, simulare un'espressione dura. In non molto tempo, arriviamo alla stazione, sapendo che ad aspettarci ci sono altre telecamere. Scendiamo dall'automobile assieme ad Howlett, che non ci ha degnati di uno sguardo per tutto il viaggio, ed un entusiasmato Remy, che invece non ha smesso di farfugliare cose senza senso per tutto il tempo, mantenendo però una cadenza regolare ed elegante e quel suo strano accento.
Non riesco a capire se sia davvero l'accento di Capitol o se sia semplicemente un modo di parlare tutto suo dato che, per esempio, non ho mai sentito Flickerman parlare in questo modo. Sarà perché fa più tendenza? Inizia la nostra sfilata fra le telecamere; cerco di rimanere fermo, duro, cerco di sorreggere Raven mentre le stringo la mano, ma per qualche secondo, riesco a vedere la mia immagine su uno schermo e mi deludo del mio risultato. Ho gli occhi arrossati, per le lacrime che ho trattenuto e per quelle poche che ho versato poco fa; fra l'altro ho un'espressione tirata e tesa, una faccia di bronzo forzata e malriuscita. Prendo un respiro e riesco ad apparire tranquillo, in pochi attimi. Calma la tua mente mi dico, nel tentativo di apparire più rilassato. Incredibilmente, mi riesce. Vedo un volto tranquillo sullo schermo mentre continuo a camminare e mi impegno addirittura a sorridere. Sento un risultato abbastanza naturale e pacato e mi complimento interiormente con me stesso. Sarò riuscito a non apparire debole?                              

Il treno è un lusso. E' la prima volta che salgo su un treno passeggeri, certo, ma dubito che siano tutti così. Ognuno di noi ha una cabina personale. Dico a Raven che ho bisogno di farmi una doccia e le suggerisco di fare lo stesso. Ci ricongiungiamo alla cena, vedendo che il nostro accompagnatore e il nostro mentore si sono già accomodati. "Le posso suggerire di spegnere il sigaro?" Sta chiedendo Remy, proprio mentre noi entriamo, rivolto ad Howlett. Il tono è delicato ed educato, ma percepisco una sfumatura tagliente nel modo in cui l'ha detto, nonostante le 'r' ridondanti e tutti i suoni affusolati che si schiudono amorevolmente dalle sue labbra. L'altro alza lo sguardo, apparentemente infuriato -anche se, data la sua espressione di default, credo che sia semplicemente infastidito- e risponde secco: "No." Etienne rimane a fissarlo qualche attimo e sta già per riprendere a parlare, evidentemente più animato, quando decido di interrompere il momento con un lieve colpo di tosse, per far presente ai litiganti che siamo arrivati. La situazione strappa un sorriso a Raven e anche io non posso fare a meno di sentirmene divertito. I due si girano verso di noi quasi contemporaneamente. "Oh, che bello avervi finalmente qui, giusto in tempo!" Ci accoglie il primo. Logan non sembra intenzionato a fare conversazione. Riusciremo a guadagnare sponsor con un mentore simile? Questa preoccupazione ha iniziato ad insinuarsi sibilitante fra i miei pensieri. "La cena sta arrivando!" Continua l'altro, sempre giocondo. Detto questo, si impossessa del telecomando ed accende la televisione, mentre alcuni addetti iniziano a portare le pietanze. Mia sorella punta subito lo sguardo sull'anatra all'arancia che ci hanno appena messo davanti, mentre io non riesco a staccare gli occhi dalla televisione, in attesa che facciano chiaramente vedere i partecipanti. Passano in rassegna le mietiture in ogni distretto, ed i commentatori non si risparmiano. Nel primo Distretto si sono offerti due ragazzi maturi, credo che abbiano più o meno la mia età. Il maschio sembra molto più grande, è un bestione biondo che ghigna famelico alle telecamere; Victor Creed. L'altra invece è una donna elegante ed affascinante: è talmente bionda da sembrare che abbia forgiato i suoi capelli dal platino, e ha due grandi occhi azzurri che tiene socchiusi, sprigionando un'aura maliziosa. Il secondo Distretto invece conta un solo volontario: Alex Summers, anche lui biondo, ma molto più giovane dei primi due. Avrà diciotto anni, ma sembra carico di rabbia ed ha i muscoli al posto giusto. La ragazza invece era spaventata, è evidente, e non si è offerta volontaria. La guardo con le sopracciglia corrucciate, ma qualche secondo dopo, mi sono già dimenticato il suo nome. Non tutti riescono a restarmi in testa, ma alla fine del resoconto, oltre ai primi riesco a ricordarmi solo 7 o 8 tributi. Il primo è  Hank McCoy, un ragazzo mingherlino e con un grosso paio di occhiali proveniente dal Distretto 3, che non ha smesso di torturarsi le mani per un attimo. I commentatori sono stati crudeli con lui. Poi c'è Sean Cassidy, anche lui minuto ma apparentemente più determinato, anche se non sono sicuro di averlo visto bene, col visto seminascosto da ciuffi scomposti di riccioli rossi; Distretto 4. Angel Salvadore, Distretto 8; una bella ragazza dalla pelle olivastra. Non si scompone. Poi, dopo di loro, ricordava solo il nome di Armando Munoz, un ragazzo alto e abbastanza robusto(2), dalla pelle scura e lo sguardo inferocito. Probabilmente è la situazione in cui si è cacciato a renderlo talmente furioso. Avrò tempo per imparare i nomi degli altri tributi, ma, fra tutti, mi ha colpito uno in particolare: Erik Lensherr, il tributo maschio del settimo Distretto che, una volta chiamato, è salito senza scomporsi sul palco ed ha puntato gli occhi alle telecamere, con uno sguardo quasi indifferente. E ancora, prima di salire sul treno, ha sorriso magneticamente agli obbiettivi. Ha le spalle larghe e sembra muscoloso, anche se non è poi tanto facile intuirlo quando lo guardi indossare un dolcevita nero e non esageratamente attillato sullo schermo della televisione. Eppure, guardandolo, la prima cosa che ho pensato è che Lensherr è senza dubbio un uomo affascinante. E aggiungendo che ha dimostrato una buona dose di sangue freddo, diventa un nemico pericoloso.                                                                                                        
"Tutto bene?" Chiede Raven, accigliandosi. Mi giro frettolosamente verso di lei e le sorrido. "Sì, certo." Mi sono reso conto solo ora di star fissando la televisione con uno sguardo tetro e la fronte corrugata. Mentre i commentatori parlano dei fiacchi tributi del Distretto 12, sto ancora pensando a Lensherr che, per qualche motivo, mi è rimasto bloccato in testa più degli altri. La cena passa senza intoppi né grandi tentativi di conversazione da parte di nessuno, nemmeno Remy, anche lui concentrato nell'ascoltare ciò che dice il televisore. Dopo mi dirigo verso la mia stanza e Raven mi segue. La lascio fare. Quando entriamo nella cabina, mi volto verso di lei, sorridente. "Sì?" Le chiedo con un velo di sarcasmo, anche se immagino cosa voglia da me. "Possiamo dormire insieme?" Ci sono molte parole non dette dietro quella frase sussurrata e pudica, ma io le sento tutte, incise sulla pelle e dolorose. Lei sa che ci rimane poco tempo insieme e non vuole perderlo. E neanche io. Allungo il mio sorriso verso l'alto e annuisco. "Vai a cambiarti e poi torna qui." Le dico. Lei annuisce e ricambia il mio sorriso, anche se ce qualcosa che lo strozza, facendolo durare poco più di qualche secondo. E' successo tutto così in fretta, eppure ora sembra passata un'eternità da quando ero seduto di fronte la risaia, a guardare il nulla ed ascoltare il vento.                                                                                  
Quella notte dormiamo insieme, abbracciati e malinconici, ma finalmente più tranquilli. Lei crolla in maniera quasi istantanea, mentre io mi addormento al ritmo del suo cuore e del suo respiro regolare. Spesso, quando eravamo più piccoli, i nostri amici ci prendevano in giro, convinti che ci saremmo sposati un giorno; io non ci ho mai creduto, e ora, venticinquenne, sono ancora convinto del fatto che Raven sia la miglior sorella del mondo e del fatto che non ci sarà mai nulla di romantico fra noi e so che lei la pensa nello stesso modo. Abbiamo un legame troppo profondo, troppo viscerale, per essere cambiato. Ed in ogni caso, non ce ne sarebbe più tempo.                                                              
Mi sveglio grazie ad un raggio di luce che filtra dalle persiane di cui è dotata la mia finestra in cabina che la tinge di giochi di luci ed ombre geometrici. Mi metto a sedere pigramente, e noto che la mia occasionale conquilina si è già alzata. Mi stiro, sbadiglio e sono in piedi.
Non ci metto molto a vestirmi, recuperano i vestiti curati e probabilmente molto costosi che ho indossato ieri dopo essermi fatto la doccia. Non dovrebbe mancare molto per Capitol City e so che quando arriveremo dovremo incontrare i nostri stilisti che ci prepareranno alla cerimonia di apertura. Quando vado a fare colazione, come il giorno prima, mi stupisco della quantità di cibo che è servita in tavola, ma non riesco a mangiare tanto quanto vorrei, coi pensieri diretti a tutt'altro. Remy tossisce, lanciando uno sguardo torvo ed eloquente ad Howlett, che sbuffa come un bufalo e prende parola: "Allora" inizia, roteando gli occhi e accendendosi un sigaro "qual'è il vostro gioco?" Ci chiede. Lancio un'occhiata a Raven, che sembra confusa come me. "Gioco?" Risponde infatti lei, inclinando le sopracciglia verso l'alto con evidente perplessità. Il mentore aggrotta vistosamente le sopracciglia, appoggiando gli avambracci al tavolo. "Mi state dicendo che non avete una strategia? Niente? Nessuna idea?" Inizia a tempestarci di domande evidentemente retoriche e non riesco a frenare una lieve irritazione. Non mi ero di certo preparato nei dettagli, nel caso in cui fossi stato sorteggiato. "Nessuna" confermo i suoi dubbi, seriamente. "E allora cos'era quella scenata davanti alle telecamere alla Stazione?" Continua, contrariato."Pensavo aveste un'idea, non che foste delle mammolette!" Conclude infine, senza preoccuparsi di nascondere la sua delusione. Vorrei potergli rispondere, ma non saprei come. Effettivamente, è vero, avrei voluto essere più duro, ma evidentemente quel mio unico momento di debolezza non è stato invisibile. Come avevo potuto distrarmi mente i commentatori parlavano di me? Ero ancora concentrato sugli altri tributi? Cercando di ricordare, riemerge l'immagine di Erik, che scaccio il più in fretta possibile dai miei pensieri.Prendo un lungo fiato, per evitare di apparire aggressivo nei suoi confronti e gli chiedo: "Cosa dovremmo fare, secondo te?" Lui ci squadra. "Sapete combattere?" Storco il naso. "Sappiamo usare la zappa, siamo forti." Rimbecca Raven, con una nuova luce negli occhi. Speranza. Desiderio di sopravvivere. "Potrebbe esservi utile." Fa una pausa. "Una volta che gli stilisti vi avranno messo le mani addosso, potreste anche sembrare più che decenti. Siete fidanzati?" Io spalanco gli occhi e Raven arrossisce all'insinuazione. "No, siamo come fratelli." Rispondo io, per tutti e due. Lui agrotta le sopracciglia. "Quando vi intervisteranno, ogni volta che vi riprendono, ostentatelo. Vi potrebbe aiutare ad avere più sponsor. Sapete, la storia commovente." Per qualche secondo mi sembra una follia mettere in gioco una cosa talmente personale, ma mi rendo conto quasi immediatamente del fatto che ha ragione.Gli abitanti di Capitol cercano emozioni, cercano sangue e lacrime, vogliono il dolore dei partecipanti; questo rende l'edizione più emozionante e piena di colpi di scena. Annuisco, mentre Raven rimane in silenzio, ma sembra essere d'accordo. Howlett si alza, intenzionato a ritornare nella sua cabina probabilmente. "Ah, e..." risprende, voltandosi appena verso di noi "non vi opponete a ciò che fanno i vostri stilisti. Anche se non vi piace." Esce di scena con i suoi passi pesanti, senza aggiungere altro, mentre noi lo guardiamo confusi e Remy sorride radioso. "Sarà una bellissima edizione, ragazzi!" Esclama, prima di voltarsi verso le finestre del treno. Cerco di capire se intende che abbiamo delle possibilità, o se si riferisce al semplice fatto che quest'edizione sarà più emozionante delle altre. Non riesco a fidarmi di lui. Fuori dalla finestra, c'è una folla urlante, emozionata dall'arrivo di un treno di tributi. "Salutate, sorridete, salutate" sibila Remy in un ritornello che lui rispetta alla perfezione, senza scomporre il suo sorriso. Ci avviciniamo al finestrino e agitiamo le mani, sorridendo a chi non vede l'ora di vederci morire. Ma rendersi piacevoli agli occhi della gente è il primo passo per conquistare il cuore degli sponsor.                                     
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > X-men (film) / Vai alla pagina dell'autore: tunztunzwaffle