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Autore: mamihonda    01/07/2014    3 recensioni
| CRISSCOLFER OS.
No hard feelings, please.
"Darren era una forza superiore. Lo era smettendo di coccolare Cooper come se facesse parte del suo mondo da sempre, lo era restandosene nel salotto di casa Colfer come se fosse stato progettato per fare parte di quel quadro, lo era quando finalmente tornava a rivolgergli uno sguardo carico di aspettativa."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Colfer, Darren Criss
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Okay, ci siamo.
Ogni volta non so mai cosa dire, specie se sono nuova nel fandom (okay, no, non lo sono perché faccio parte del fandom da anni, ma non ho mai pubblicato niente su Glee).
C’è sempre una prima volta per tutto e sì, non volevo farmi odiare, ma penso che dopo questa mi eviterete come la peste.
Giuro che qualche volta so scrivere fluff. I mean it.
Comunque qui lo dico e lo confermo: a chiunque non piaccia la ship, è pregato di evitare di perdere tempo per leggerla e commentarla, se il pretesto è solo quello di attaccare e offendere. Sono una che accetta di buon grado le critiche, purché siano costruttive.
Prima di lasciarvi alla lettura voglio solo dire che ringrazio la mia Fede per il betaggio/supporto morale durante la stesura di questa tortura cinese, e dedico questa OS, oltre che a lei, anche al Crisscolferateci il Mister dei Crisscolfer, ha!, e alle mie adorate Marika, Giusy, Maggie, Marianna e Sara. Boh, vi adoro da morire e riempite le mie giornate. :’) ♥
 
 

 
Your words in my head, knives in my heart.
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Christopher non era mai stato solito perdere tempo nelle cose, e sebbene non si definisse uno stakanovista, ci era pericolosamente vicino. Casa sua, oltre che avere quasi ogni superficie disponibile coperta da lattine di Diet Coke, aveva anche vari vestiti sparsi per il salotto abbandonati sulle sedie, e calzini sporchi sul pavimento del bagno. Non è che si aspettasse visite nell’immediato futuro, in ogni caso.
Ecco perché, quando diceva di non essere molto simile a Kurt Hummel, c’era da crederci. Un Kurt Hummel in casa Colfer si sarebbe fatto prendere da una crisi di nervi nel vedere dei vestiti abbandonati sulle sedie e pronti a rovinarsi. Li avrebbe piegati e riposti nell’armadio in maniera schifosamente ordinata – non dopo aver vomitato sulle sue felpe decisamente demodè. Insomma, per certi versi Christopher era l’antitesi del personaggio che interpretava nella serie televisiva che l’aveva reso tanto famoso.

Quindi non si preoccupò certamente di come era messo, nel momento in cui sentì bussare insistentemente alla porta di casa. Cooper iniziò ad abbaiare e si avviò scodinzolando alla porta, svegliando al contempo un Brian addormentato al fianco dello scrittore; per un attimo rimase come bloccato con le dita a sfiorare la tastiera del proprio laptop, seduto a gambe incrociate sul tappeto del salotto. La schiena ancora a sfiorare i cuscini del divano e gli avambracci poggiati sul tavolino in vetro proprio di fronte alla TV spenta. Attese qualche attimo in cui gli occhi erano ancora incollati allo schermo, salvo poi batterli ripetutamente all’ennesimo bussare forsennato dall’altra parte della casa. A quel punto, sbuffando, distolse lo sguardo dal documento word e si issò sulle gambe per andare alla porta. Indossava un paio di pantaloni della tuta blu, una maglia con la stampa di paperino e le ciabatte ai piedi, da bravo vincitore di Golden Globe che era.
Giunse alla porta carezzando distrattamente la testolina di Coop, perdendosi un attimo nell’osservare dallo spioncino chi vi fosse dall’altra parte. Dopo un sospiro quasi impercettibile ecco che andò ad aprirla, rivelando un uragano che entrò trafelato ed un pelo sconvolto.

“Dov’eri?” domandò il moro, portando le braccia conserte e corrugando le sopracciglia a triangolini. Chris si prese un attimo per osservarlo in tutto il suo splendore, nei suoi jeans blu denim e maglia bordeaux della UMich. Sembrò avere ancora il fiatone, con l’addome che si alzava e si abbassava in maniera irregolare. Si lasciò andare contro il portone di casa ormai chiuso, la schiena a cozzare contro il legno bianco, gli occhi di un grigio limpido che non lasciavano mai quelli di Criss. Lo osservò divertito attraverso gli occhiali, mentre l’altro tentava ancora invano di mantenere un cipiglio severo, ignorando Cooper che gli faceva la festa saltandogli sulle gambe e attentando alla sua stabilità.

“Scrivevo.” Ammise con un filo di voce, spingendosi coi reni in avanti e tornando ad ampie falcate verso il salone, dove Brian si era sapientemente accoccolato sopra la tastiera del computer. Si perse così un Darren vinto dalle effusioni di Cooper, abbassandosi per grattargli dietro le orecchie e sotto il muso. Fu solo quando affondò sul divano e prese di forza Brian sul grembo, che tornò a guardare l’altro beccandolo ad osservarlo in rimando ancora vicino a Cooper. Ancora inginocchiato sul parquet del salotto.
“Dovresti provare a riposarti.” Disse il moro come a conversare del tempo. Come se non ci fosse nient’altro ad aleggiare fra le loro teste come una cappa pesante ed opprimente. Come se non vi fossero interrogativi bramanti di una risposta, silenzi carichi di aspettativa.
Chris rilassò le spalle, abbassando lo sguardo verso lo schermo del computer ormai in stand-by. “Mi piace portarmi avanti con tutto quanto. E scrivere mi rilassa.”

Non erano parole nuove, non erano grandi scoperte. Le parole di Chris giunsero a Darren con la solita scioltezza che acquisivano quando l’altro era sincero. Sapevano entrambi che in momenti come quelli le barriere erano solo delle sciocche imposizioni atte a rovinare la loro vita, la loro stabile instabilità. Il loro equilibrio precario che oscillava fra malelingue e ipocrisie.
Il moro si alzò facendo leva sui talloni, raggiungendo l’altro senza davvero guardarlo. Si perse nella familiarità di quel posto che aveva vissuto davvero poco, davvero superficialmente. O almeno era ciò che si ostinava a pensare, per evitare che il sopracitato equilibrio andasse bellamente a puttane. Si lasciò andare su uno dei cuscini più distanti da Chris, abbandonando un braccio sullo schienale e restando voltato verso Christopher.
“Lui non c’è.” Sbuffò, e le parole si confusero col proprio respiro, arrivando indefinite alle orecchie dello scrittore, che tuttavia comprese ed annuì solenne.
“Mi serviva del tempo, Dare.” Rispose con un’altra constatazione a quella che invece voleva essere una domanda velata, non distogliendo lo sguardo dal volto del ragazzo che, però, non ricambiava com’era solito fare. “Ho bisogno di sapere perché sei qui.” Se ne uscì diretto, perché lui era uno che non le mandava a dire. E, forse, essere troppo diretto era ciò che serviva per avere l’attenzione di Darren, che subito sollevò lo sguardo a lo piantonò sul proprio color pioggia. E vi rimase.

“Non potevo passare a salutarti?” Domandò in maniera pacata, mentre Cooper tornava a stabilire un contatto con la mano abbandonata al proprio fianco, dapprima col naso umido, e poi leccandogliela in maniera sconsiderata.
Chris a quella visione accennò ad un sorriso, interrompendo solo per un secondo il contatto visivo con l’altro. Poi però vi ritornò subito, come attratto da quella calamità senza nome né ragione. Si era arreso da tempo nel cercare anche solo di capirla, e sebbene non accettasse passivamente le calamità naturali, a Darren dovette arrendersi fin dal primo momento: aveva al contempo scoperto cosa volesse dire sapersi difendere e, allo stesso modo, rimanere inermi davanti a forze superiori.
Darren era una forza superiore. Lo era smettendo di coccolare Cooper come se facesse parte del suo mondo da sempre, lo era restandosene nel salotto di casa Colfer come se fosse stato progettato per fare parte di quel quadro, lo era quando finalmente tornava a rivolgergli uno sguardo carico di aspettativa.

Ah, già, doveva rispondergli.

Inspirò a fondo, non permettendo a quell’accenno di sorriso di sparire dal proprio viso. “Sai che puoi passare quando ti va. Quante volte devo ripetertelo?” Domandò, inarcando un sopracciglio alla McGonagall. Darren non si perse d’animo difatti, scuotendo il capo con un sorriso mesto ad incorniciargli le labbra.
“Non voglio disturbarti. So che hai sempre da fare ultimamente.”
No, quel sorriso tra il triste ed il rassegnato non gli piaceva. Non sui tratti del volto del moro, non su di lui. Darren non poteva concedersi di essere triste; era atroce al pari dei peggiori disastri ambientali.
Scosse ancora il capo, Chris, imperterrito. “Di nuovo, D? Non importa cosa io stia facendo, per te ci sarò sempre. Siamo amici, no?”
Il sospiro di Darren fu chiaro e netto, quasi come a voler sancire la fine di quel discorso. Generalmente quando si addentravano in discorsi simili, finivano sempre con un sospiro ed un cambio repentino di argomento.

“Lo sai cosa intendo.” Ed evidentemente non era questo il caso.

Entrambi avevano perso interesse sia in Cooper ormai accucciato ai piedi del divano, sia in Brian che tornava a dormire raggomitolato sulla porzione di divano che li divideva. Entrambi, in quel momento, erano nella loro bolla, al sicuro da interferenze esterne.
“No, Darren, non so cosa intendi”, ammise Chris, forse in maniera fin troppo brusca, perché il viso prima rassegnato del moro, si rianimò di una frustrazione che prima non c’era.

“Non voglio venire a trovarti sapendo che stai scrivendo già l’ultimo libro. Non voglio venire a trovarti e sapere di poter essere di troppo e no – fammi finire”, continuava a parlare a ruota libera, Darren, sempre in un tono moderato – forse non vuole svegliare Brì, pensò Chris in un momento di folle raziocinio.
Rimase a bocca aperta come per voler rispondere, ritrovandosi ad ascoltare ancora una volta disarmato tutto il tormento di un Darren in piena. “Non voglio vederlo, Chris. Proprio non mi va, non quando non è più come prima.” Non quando non siamo più solo io e te, ma io, te e lui.

Chris lo capì senza che desse voce a quei pensieri. Chris lo capì e non poté concedersi il lusso di sentirsi ferito, perché era da lui stesso che era partito tutto, mesi e mesi prima.
Chris non poté concedersi il lusso di prendersela, di alzare la voce, di sentirsi proprio come Darren, proprio perché lui non era Darren. Lui era dall’altra parte.

Così fece l’unica cosa che gli restava da fare. Si sporse, ignorò i lamenti di Brian che sgusciò via come un tarantolato alla ricerca di un posto più comodo dove appisolarsi, e afferrò una mano di Darren. La mano che si trovava arpionata in maniera convulsa alla spalliera del divano.
Era ghiacciata.
“D...” Esalò, ricercandone uno sguardo che tentava di sfuggirgli in ogni maniera possibile, guizzando con quell’ambra lucida da una parte all’altra della stanza alla ricerca di un appiglio, o quantomeno di un nascondiglio che lo tirasse via da quella posizione angusta.
Non trovando più alcuna resistenza, Chris non si perse d’animo e continuò. “Non riaffrontiamo questo discorso, ti prego. L’ultima volta ha fatto male ad entrambi, e non credo che sia saggio – “
“Saggio, dici? E cosa, di grazia, lo sarebbe? Ignorare tutto quanto? Tornare a non rivolgerci la parola neanche per sbaglio?”
A quel punto Darren aveva sgusciato via la mano da quella tiepida di Chris, alzandosi in piedi e cercando di porre un’ulteriore distanza fra loro. Quasi vi fosse un raggio d’azione pronto a colpirlo qualora cercasse di avvicinarsi troppo. E forse era davvero così, perché Chris si appiattì contro lo schienale del divano per lunghi attimi, inspirando dal naso, con gli occhi lucidi di lacrime che no, non sarebbero uscite con così tanta prepotenza. Non davanti all’altro.

Lo guardava quasi implorandolo di non continuare, di non affondare in quegli abissi e costringerli ad annegarvi insieme, che non ne sarebbero più tornati a galla. Ancor meno separatamente.
Lo guardava quasi pregandolo di non seviziarsi ancora anima e cuore davanti a lui, che avrebbe preso a sanguinare in rimando, perché erano collegati.
Darren strinse i pugni e lo guardò sconfitto, ma ancora quella rabbia baluginava sugli occhi color tramonto, segno che qualunque cosa fosse, non l’aveva ancora disinnescato, il suo cuore.

L’aria era così densa da colare sui loro corpi come lava ghiacciata che, insidiandosi all’interno della loro pelle, la bruciava di gelo. La sbrindellava e cauterizzava come se fosse male e cura allo stesso momento.
Un telefono sul tavolo in vetro davanti a loro prese a squillare.

Era una suoneria monotona, abbastanza standard per un iPhone. Il suono aveva lo stesso effetto di una lama, ed iniziò a sfilacciare quell’equilibrio che ormai presentava falle ovunque.
A Darren bastò un’occhiata fugace al dispositivo vicino al laptop ormai spento, per leggere un nome di poche lettere, con vicino la foto di un uomo sorridente che aveva popolato fin troppi sogni suoi – incubi, si corresse distrattamente, lanciando un’occhiata inespressiva a Chris.
Lo stesso Chris che ora si alzava febbrilmente, afferrava quello stesso telefono dalla bandiera britannica come cover, e silenziandolo, lo gettava sul divano dietro di sé.
Il moro prese a indietreggiare, scuotendo velocemente il capo riccio non più ribelle come un tempo.
Christopher in quel momento avrebbe voluto fermare il tempo.
Avrebbe voluto essere Conner, e poter portare con sé Darren nella Terra delle Storie e poter sfuggire da chiunque rendesse la loro vita un inferno.

Magari non avrebbe richiamato Will, magari avrebbe ignorato i messaggi di Ashley.
Magari avrebbe ignorato tutti quanti, perché era risaputo che in certi giorni Chris semplicemente non c’era. Non rispondeva, nascondendosi dietro a mille impegni e appuntamenti mondani che invece lasciava perdere.
Darren continuava a camminare all’indietro verso la porta, e lui iniziò a raggiungerlo come in uno stupido balletto in cui ci si rincorre sempre, sempre, alla spasmodica ricerca uno dell’altro. Di modo che non se ne vada mai più. Non sempre va a buon fine. Non quando il ritmo che si intraprende non è lo stesso; al momento Darren non seguiva il suo, per quanto Chris si sforzasse di stare a tempo.

“Darren, aspetta.” Rantolò col cuore in gola, e per una volta si concesse di provare qualcosa per lui, senza maschere, senza che fosse nel cuore della notte o attorniato dalle piastrelle fredde della doccia.

“Fammi spiegare – “

“Non c’è niente da spiegare, Chris. Lo so, va bene così.”

“No, non va bene così. Non è come credi.”
Darren era già arrivato alla porta, e lui riuscì a raggiungerlo col fiatone di un maratoneta.
Aveva appena percorso 70 metri quadrati, e li aveva percorsi col cuore fra i piedi.

Solo un sorriso, su quelle labbra piene e così baciabili, smorzato dal rossore di un pianto in procinto di sbocciare, e che Chris non avrebbe visto quando l’altro si voltò verso la porta ancora chiusa.  “Non credo niente, C. È per questo che fa male.”
Il tono arreso con cui lo disse fece fremere Chris di paura. Che forse, stavolta, arrendersi per Darren poteva essere un’opzione, ma non per lui. “So perché sei venuto qui.” Disse, abbassando lo sguardo.

Darren aveva la mano sulla maniglia della porta, ma si bloccò. Il volto ancora chino verso il basso, mentre la silenziosa attesa delle parole che seguivano diventava lacerante.

“Non sei nei ringraziamenti di A Grimm Warning. Lo so che sei offeso, lo so che ti ha fatto male – “

“Non è questo, Christopher.”

“ – fammi finire tu, ora. È questo, ma sai cosa stavo scrivendo, prima che arrivassi?” Il silenzio che seguì lo incoraggiò a non smettere, nonostante il riccio iniziasse ad abbassare, con estenuante lentezza, la maniglia del portone di casa.

“I ringraziamenti dell’ultimo libro. E tu sei lì. L’ultimo della lista.” Darren aprì la porta senza guardarlo in volto, così come Chris deviò lo sguardo dalla schiena del collega ad una pallina di gomma arancione abbandonata per terra. La preferita di Cooper. Era un’ammissione che gli era costata tutto – tutte le belle parole e i buoni propositi che si era detto da solo e che aveva raccontato agli altri. Peggio delle storie che scriveva per milioni di persone.

“L’ultimo della lista… Lo fai suonare quasi come se fosse un posto d’onore.”

Chris inspirò, non pronto ad un prossimo attacco, ma sicuramente in procinto di incassarlo. Come tutti gli altri.

“Eppure, nonostante lo sia, perché continua a farmi così male?”

Christopher non lo guardò sparire oltre la porta. Probabilmente neanche udì lo scatto della serratura automatica, né lo scodinzolare di Cooper nei paraggi. Non udì neanche il telefono squillare nuovamente, per le due volte a seguire.

Il silenzio che seguì fece male. Dilaniò lo spazio e il tempo.

Rimase lì, con le parole di Darren impresse sul petto ed un gigantesco senso di vuoto a carpire le membra.
Rimase lì, sfinito e sconfitto, inerme ancora una volta,  in balia della corrente del mondo, sperando che in un modo o nell’altro, quei fottuti ringraziamenti, potessero diventare qualcosa di più a discapito di tutto il resto.
  
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