Serie TV > Teen Wolf
Ricorda la storia  |       
Autore: Inessa    03/07/2014    11 recensioni
Una diciassettenne un po' ingenua e un po' sola lancia un incantesimo d'amore per attirare a sé il proprio ragazzo ideale. Qualcosa però non va come dovrebbe e l'incantesimo finisce per colpire Derek, che si ritrova innamorato di Kira. L'imminente arrivo della luna al suo perigeo rende inoltre gli incantesimi più forti e più difficili da spezzare. Come se non bastasse, sembra che Derek avesse già una relazione di cui il resto del branco non era al corrente. [Sterek]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Kira Yukimura, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: Questa storia è ambientata grossomodo alla fine della 3B, ma non tiene conto di diversa roba che alla sottoscritta non fa comodo. La storia è divisa in tre parti, questa è la prima e la seconda è già praticamente pronta, manca soltanto la terza.

Ringrazio Graffias per il betareading e per la sopportazione dei deliri derivati dalla stesura di questa storia XD tutti gli errori che senza dubbio ho dimenticato di correggere sono colpa del mio cervello rotto (cit.)

L'incantesimo citato viene da qui (sì, seriously, la gente ci crede) e ce ne sono diversi altri, per chi volesse provare xD

E poi sicuramente volevo dire qualcos’altro, ma non mi viene in mente, quindi okay. Lunga vita al Merthur! (era da tanto che non lo scrivevo) E allo Sterek (che in qualche modo mi sta spingendo oltre tutti i miei limiti scrittori)!





1. Incenso planetario della luna





L’estate quell’anno non sembrava avere nessuna intenzione di abbandonare le strade e le foreste di Beacon Hills. Settembre volgeva ormai al termine e rischiava di scivolare in uno degli ottobre più caldi di tutti i tempi. Soffiava un vento desertico, che bruciava la pelle come un incantesimo e rendeva impossibile concentrarsi su qualcosa per più di dieci minuti.

Il liceo di Beacon Hills era stranamente silenzioso in quei giorni, pieno di studenti più pigri del solito che si trascinavano per i corridoi sfiancati dalla calura. Scott passava le ore di lezione a passarsi una mano sulla fronte e domandarsi se lui in quanto licantropo sentisse il calore più degli altri, e per di più aveva ancora meno voglia di studiare di quanta ne avesse in genere. Aveva preso l’abitudine di tenere dentro lo zaino una bottiglietta d’acqua fredda, ma già a metà della seconda lezione, quando la afferrava assetato, la trovava calda come il brodo di pollo che gli preparava sua madre quando era malato. Prima del Morso, s’intende.

Lydia sembrava sempre fresca ed in ordine ed approfittava dell’estate prolungata per sfoggiare vestiti dal taglio stravagante ed acconciature alte. Si controllava però allo specchio con più frequenza del solito (il che era tutto dire) e spesso si lamentava sottovoce del trucco che colava, ma nessuno la sentiva, a meno di non avere un udito da creatura mannara.

Kira aveva passato spesso le vacanze estive nel nord del Giappone, quindi era ancora nella fase in cui riusciva a godersi qualsiasi temperatura elevata, anche quando sforava nel bollente. D’estate da quelle parti la temperatura si aggirava intorno ai 26° C, il resto dell’anno era generalmente abbastanza freddo ed il cielo era spesso coperto da nuvoloni. Il sole quindi le piaceva e sopportava bene la calura secca di Beacon Hills, che a volte faceva crepitare piacevolmente l’elettricità sotto le sue dita.

Stiles… Stiles era più iperattivo del solito. Scott temeva che fossero ancora le conseguenze del nogitsune e spesso gli aveva chiesto a cosa pensasse, dopo averlo visto perso con lo sguardo nel vuoto per diversi minuti, con una penna in bocca che faceva saltellare su e giù. Ma Stiles rispondeva con una scrollata di spalle, una risatina e diceva che non pensava a nulla e che aveva solo troppo caldo per concentrarsi. Scott non era lo Sceriffo Stilinski e sapeva riconoscere le bugie di Stiles, ma considerato che nulla di strano stava succedendo, almeno per il momento, e che per il resto Stiles sembrava stare bene, non aveva le forze per indagare oltre. Forse Stiles aveva davvero semplicemente caldo.

Quella mattina, come di tacito accordo, il branco si incontrò nel parcheggio della scuola, all’ombra di un grande albero. Quando Scott arrivò, Lydia aveva un quaderno in mano e mostrava qualcosa a Kira. Parlavano insieme di un esercizio di matematica che avrebbero dovuto svolgere a casa, quando Lydia, interrompendosi bruscamente, domandò, “Dov’è Stiles?”

Si guardarono intorno tutti e tre, come se Stiles potesse comparire dal nulla e saltar fuori da un cespuglio.

_



Derek si svegliò con un cuscino sopra la testa, sdraiato a pancia in giù al centro del suo materasso a terra e per metà coperto da un lenzuolo, con di sottofondo il lieve ronzio del condizionatore, una voce chiara e distinta che parlava dall’interno della sua stanza ed una più lontana e metallica. Stiles era seduto sul bordo del letto, aveva il cellulare all’orecchio e la voce metallica era quella dello Sceriffo. La radiosveglia sul comodino diceva che era troppo presto perché Stiles fosse già in piedi, ma, a giudicare dalla conversazione, suo padre doveva essere rientrato prima ed avere trovato la sua stanza vuota.

“Sono uno studente serio, papà, cosa vuoi che ti dica?” domandò Stiles nervosamente e si portò una mano dietro la nuca, grattandosi piano.

Derek ridacchiò e si tolse il cuscino da sopra la testa, allungando una mano verso la base della schiena nuda di Stiles. Gliela accarezzò con i polpastrelli, in movimenti circolari, e sorrise quando lo vide contorcersi e voltarsi a metà per allontanarlo, tentando di restare concentrato sulla conversazione con suo padre.

“Sì, te l’ho già detto, quando non ci sei punto la sveglia due volte,” si passò il telefono da una mano all’altra per afferrare la mano di Derek e piazzarci sopra un cuscino, sperando di farlo stare fermo, “E visto che mi sono svegliato subito, ho pensato di alzarmi per evitare di riaddormentarmi.”

Il tono di voce di Stiles era così nervoso che solo al telefono e ad orecchie umane poteva risultare vagamente convincente. Sbuffando, Derek si alzò e si mise a sedere accanto a lui sul lato del letto. Gli portò le mani ai fianchi ed gli affondò il viso nella curva del collo, ispirando forte. Stiles rabbrividì, ma stavolta non lo allontanò e, piuttosto, sorrise e strusciò un po’ la guancia contro la sua testa, mentre ascoltava lo Sceriffo che gli parlava dell’importanza di essere maturo e responsabile e non cacciarsi nei guai.

“Non posso essere più responsabile di così, papà, mi sono alzato un’ora prima!” ripeté Stiles esasperato.

“Non hai la voce di uno che si è svegliato presto ed è già a scuola.”

Derek rise di nuovo, stavolta silenziosamente. Non per nulla il padre di Stiles era lo Sceriffo di Beacon Hills.

“È perché…” Stiles mosse una mano per aria, cercando una scusa.

“Caffè,” sussurrò Derek contro il suo orecchio.

“Non ho ancora preso il caffè, ecco, grazie,” Stiles trasalì, “No, non ho detto ‘grazie’, cioè, sì, l’ho detto… alla cameriera. Sono in uno Starbucks. Sto prendendo il caffè, appunto. Per svegliarmi. Perché sto andando a scuola.”

Derek scosse la testa divertito, gli baciò la mandibola e fece per allontanarsi per andare a preparare davvero il caffè. Stiles lo fermò mettendogli una mano sulla nuca e facendogli alzare il viso verso di sé. Gli diede un bacio a bocca chiusa, solo uno sfiorarsi di labbra, per evitare di emettere qualsiasi suono che potesse insospettire ancora di più suo padre. E poi avevano tutti e due l’alito mattutino.

“Va bene, papà. Ciao,” disse alla fine Stiles e chiuse velocemente la chiamata.

“Aaaaah,” si mise le mani sulla faccia, “Quando la mia vita è diventata un telefilm per adolescenti?”

Sei un adolescente, Stiles,” Derek si alzò e, tirandolo per una mano, fece mettere anche lui in piedi, “La tua vita è per forza di cose destinata ad essere un telefilm per adolescenti.”

“Oh, sicuro,” disse Stiles aggrappandosi al braccio di Derek per ritrovare l’equilibrio che aveva ovviamente perso nell’alzarsi, “E i lupi mannari, i coyote mannari, le kitsune del tuono, le kanima, i branchi di alpha, le tresche con un licantropo più grande di me sono assolutamente ordinarie e adolescenziali.”

Derek non rispose, si infilò i boxer e lanciò a Stiles i suoi, raccattandoli da terra. Stiles li afferrò, rischiando solo una volta di farli finire di nuovo per terra, e stava per imitarlo, ma poi guardò il suo borsone adagiato su una sedia e decise di andare a fare direttamente una doccia. Derek gli si avvicinò, gli poggiò le mani sui fianchi e gli sussurrò “Dopo,” respirandogli direttamente sul collo. Stiles pensò che un sorriso così predatore a quell’ora del mattino non dovesse essere permesso a nessuno, nemmeno a Derek Hale.

Annuì ed indossò i boxer. Lui e Derek avevano un meccanismo più o meno consolidato per nascondere la loro relazione al branco e gli odori erano importanti, nonostante l’unico rimasto ad avere un super olfatto fosse in realtà soltanto Scott. E Scott era… be’, era Scott, e quando si trattava di rapporti era un po’ troppo ingenuo. Tuttavia, Derek gli aveva consigliato di fare la doccia per ultima cosa prima di uscire di casa sua e Stiles aveva pensato che fosse meglio essere previdenti.

Qualche minuto dopo, il loft fu avvolto dal piacevole odore del caffè appena preparato. Stiles annusò l’aria, contento, e si avvicinò alla schiena nuda ed invitante di Derek, avvolgendogli le braccia intorno alla vita. Lo osservò in silenzio, con il mento poggiato sulla sua spalla destra, mentre versava il caffè in due tazze e metteva due toast su un piatto.

Mugugnò soddisfatto strofinandogli il naso contro il collo, “Ti adoro, adoro svegliarmi qui la mattina.”

Derek si voltò e gli mise una tazza in una mano e il piatto nell’altro, “Tu adori il mio condizionatore, è diverso.”

Stiles si sedette al tavolo e poggiò tazza e piatto, per poi afferrare un toast e dargli un morso, “È vero, adoro il tuo condizionatore,” disse mentre masticava, “Il tuo condizionatore è super sexy e la notte mi fa delle cose meravigliose,” bevve un sorso di caffè, “Il tuo caffè è migliorabile, ma adoro anche quello, soprattutto perché non devo prepararmelo da solo.”

Il timer del tostapane trillò, e Derek preparò due toast anche per sé, prima di raggiungerlo al tavolo. Mangiarono in silenzio e poi Stiles, alzandosi e stiracchiandosi con un gesto ostentato, annunciò che sarebbe andato a farsi finalmente una doccia.

“Vado, Derek. A fare una doccia,” disse di nuovo, per chiarire il concetto. Derek lo guardò da dietro la sua tazza, senza scomporsi.

“Ho capito, Stiles.”

“Perché poi devo andare a scuola. Via. Esco,” continuò con movimenti plateali.

“Te lo sto per caso impedendo?” domandò Derek indicandosi e fingendo in maniera palese di non cogliere i non detti di Stiles. Non è che Stiles stesse tentando di invitarlo a fare la doccia con lui (non più di tanto almeno), ma, per quanto ridicolo, dopo non avrebbero potuto per niente toccarsi; faceva tutto parte del piano anti-odori. E, se Stiles era stato costretto a svegliarsi in anticipo per colpa della telefonata di suo padre, voleva almeno poter molestare Derek il più a lungo possibile.

“Sei frustrante, Derek, te lo ha mai detto nessuno?” domandò infine rinunciandoci e dirigendosi verso il bagno. Guardiamo il lato positivo, pensò andando a prendere il borsone con il cambio di vestiti in camera di Derek, Almeno oggi arriverò puntuale a scuola.



_



Scott guardò l’orologio e constatò che mancava meno di un minuto al suono della prima campanella. Provò a concentrarsi sui rumori della strada, ma non gli sembrò di sentire la Jeep nelle vicinanze.

“Il mercoledì suo padre ha il turno di notte. Quando la mattina deve svegliarsi da solo è sempre in ritardo,” rifletté infine Scott con una scrollata di spalle. Lui non riusciva a dormire molto con quella maledetta afa, ma Stiles non rinunciava mai ad arrivare in ritardo quando ne aveva l’occasione.

“Negli ultimi tempi mi sembra che sia sempre più in ritardo sempre più spesso,” sussurrò Lydia arricciando le labbra, a metà tra il mostrarsi in ansia e l’essere ad un passo dal risolvere un enigma.

Il suono della prima campanella li spinse ad avvicinarsi ai cancelli e, mentre camminavano verso l’ingresso, Scott mosse veloce le dita sullo schermo del cellulare.

“Dove diavolo sei, amico?”

Non ricevette nessuna risposta, ma qualche secondo dopo vide Stiles correre a perdifiato verso l’ingresso della scuola, travolgendo più persone nel processo. Sorrise e pensò che, se Stiles riusciva ancora ad essere puntuale per le prime lezioni, non c’era tanto da stare in pensiero.



Stiles era arrivato a scuola puntuale, ma solo per un miracolo. Derek ci aveva messo ben tre minuti prima di alzarsi dal tavolo, raggiungerlo in camera sua, gettarlo con poca grazia sul letto, mettergli le mani dappertutto e poi prenderlo in bocca. Stiles sospirò, muovendo su e giù la penna con i denti, le mani strette forte al bordo del suo banco, perso nel piacevole ricordo. Se si strofinava un po’ il collo, poteva sentire ancora un lieve bruciore dove Derek aveva sfregato la barba.

Stiles?” sussultò e si girò verso la voce che lo aveva chiamato con tono esasperato. Era Scott, seduto alla sua destra, con l’aspetto accaldato e la sua ridicola bottiglietta d’acqua che gli gocciolava sul quaderno per via della condensa.

Che c’è? Domandò muovendo solo la bocca e riparandosi metà del volto con una mano, ostentando un gesto di concentrazione per non farsi notare dal coach. Scott lanciava occhiate nervose verso di lui e gli faceva degli strani cenni con il mento. Stiles sollevò uno zigomo e scosse la testa, dando a vedere che non aveva capito cosa stesse cercando di dirgli.

“STILINSKI!”

Stiles trasalì e quasi cadde dalla sedia, rendendosi conto che il coach era proprio davanti a lui, con le braccia incrociate davanti al petto e le sopracciglia aggrottate. Ebbe la dignità di arrossire nel sentire le risate dei suoi compagni di classe. Scott si stava passando una mano sulla faccia, chiaramente in imbarazzo per lui.

“Salve, coach!” disse ridacchiando in maniera nervosa.

“Ciao, Stilinski. Scusa se interrompo i tuoi sogni erotici,” rispose il coach con il suo caratteristico tono amichevole. Stiles arrossì ancora di più e sentì un brivido di terrore attraversargli la schiena, tanto che quasi gli era sfuggita la seconda ondata di ilarità che aveva attraversato la classe, “Ma, forse, se risponderai alla mia domanda, non ti farò marcire tutto il pomeriggio a scuola insieme a me.”

Stiles si grattò la testa, “Certo, coach, la sua domanda, che era…” lasciò la frase in sospeso, ma il coach rimase impassibile, “Era così chiara che non ha bisogno di ripetermela!” disse decidendo di cambiare tattica. Si dondolò indietro con la sedia per avvicinarsi il più possibile a Scott, sperando che lui gli suggerisse la risposta, ma venne accolto da una scrollata di spalle e l’espressione di uno che non sapeva nemmeno di cosa si stesse parlando.

“Uhm,” Stiles allungò lo sguardo verso il manuale di economia aperto sul suo banco, sperando di essere il meno sfacciato possibile, “Il coefficiente di Gini?” domandò con poca convinzione, leggendo le prime parole in grassetto che gli capitarono sotto gli occhi.

Il coach sospirò ed aprì le braccia, che fino a quel momento erano state serrate intorno al suo torace, e Stiles si vedeva già a dover dire a suo padre che era stato messo in punizione per l’ennesima volta.

“Ringrazia la tua buona stella, Stilinski,” disse invece il prof tornando verso la cattedra.

Stiles tirò un sospiro di sollievo ma la sensazione di scampato pericolo durò appena il tempo di vedersi lo sguardo di Lydia puntato addosso, gli occhi penetranti ed un’espressione inquietantemente concentrata. Sollevò un sopracciglio, interrogativo, ma Lydia non lo stava guardando in faccia. Stava fissando un punto da qualche parte all’altezza del suo collo. Stiles si portò una mano alla clavicola, sentendosi in soggezione, e guardò in giù, deformando la faccia per guardarsi. Tirò un po’ la stoffa della maglietta e vide un segno rossastro e arrabbiato che forse sbucava appena dal colletto. Già dimentico della scena imbarazzante di poco prima, afferrò irritato il cellulare, e scrisse in fretta un sms.

“mi hai lasciato un succhiotto gigante in territorio proibito derek ti odio”

“Hai finito la punteggiatura e le maiuscole, Stiles?”

Roteò gli occhi. Derek era un cretino.

“TI ODIO.”



Alla fine della lezione il coach spiegò i dettagli del saggio che avrebbero dovuto presentare la settimana successiva, lavorando in coppie. Aveva scritto i loro nomi su dei pezzetti di carta e li aveva divisi in due contenitori di plastica. Man mano che ne estraeva uno da una parte ed uno dall’altra, annunciava chi avrebbe fatto coppia con chi e lo appuntava sul suo registro personale.

Quando furono rimasti solo un bigliettino in un contenitore ed uno in un altro e solo Stiles e Scott non erano stati chiamati, il coach li guardò con aria sospetta, come se avessero potuto in qualche modo falsificare le coppie. Stiles avrebbe voluto dire che non erano in Harry Potter e il calice di fuoco, ma per quel giorno aveva già ricevuto troppa grazia.

“Ed ovviamente,” disse il coach prendendo ed aprendo il primo bigliettino, “Infine abbiamo McCall,” aprì il secondo, “E Stilinski. Stilinski, oggi è la tua giornata fortunata,” appuntò con fare minaccioso il suo nome sulla lista.

“Fortunata, coach?” chiese Stiles, “Ha visto di recente i compiti in classe di McCall?” indicò Scott, che fece ‘ciao ciao’ con la mano, “Le dico solo che ha una sfilza di vocali e nessuna è una A. In più da quando fa così caldo penso che gli si sia fritto del tutto il cervello.”

“Grazie, amico,” sussurrò Scott, “Me ne ricorderò la prossima volta che rischierai di essere folgorato mentre dormi ad occhi aperti,” disse senza reale astio.

Scott sapeva che Stiles era felice di poter lavorare con lui, ma lui si premurò di comunicarglielo con una pacca sulla spalla. E poi poteva andare seriamente peggio, si disse Stiles, pensando che non invidiava per niente il poveretto con gli occhiali che era capitato con Malia. Nemmeno a Kira doveva essere andata benissimo, visto che era ancora nuova ed era finita con una tipa strana con il rossetto nero, lo smalto nero, e vario ferrame ai polsi e al collo. Doveva chiamarsi Madeline o Marleen, una cosa con la M. Tuttavia, lei sembrava esserne felice e si stava già scambiando il numero di telefono con la tipa, mentre si mettevano d’accordo per incontrarsi quel pomeriggio stesso. Perlomeno, Lydia era stata fortunata ad essere capitata con Danny.

-

Kira scese dall’autobus, pregando di essere nel posto giusto e domandandosi cosa avrebbe fatto nel caso in cui così non fosse stato. Il cartello accanto alla fermata dell’autobus recitava “Decimo chilometro”, che corrispondeva a quanto Margaret le aveva scritto in un sms quando le aveva dato le indicazioni per raggiungere casa sua. Sia a destra che a sinistra, si distendeva una strada molto larga, che da una parte portava al centro di Beacon Hills e dall’altra si perdeva, ad un certo punto, in mezzo alle foreste.

Di fronte a lei c’era una decina di villette a schiera, che sembravano sbucare dal nulla, e solo poche macchine parcheggiate sul ciglio della strada. Tutto intorno non c’era anima viva e la calura e il tremolio tipico dell’asfalto nelle giornate bollenti davano alla scena un’aria di pigrizia estiva. Kira attraversò la strada e strinse gli occhi per distinguere i numeri delle villette, alla ricerca della casa di Margaret.

C/da degli Angeli Caduti

Non ebbe bisogno di controllare l’sms per essere sicura di essere nel posto giusto, un nome simile era difficile da dimenticare o da confondere. Quando ebbe identificato la casa, che più o meno si trovava nel mezzo, Kira schiacciò l’unico pulsante, senza etichetta, posto sopra il citofono. Si domandò come facessero a ricevere la posta, dato che il nome non compariva, ma poi realizzò che forse la domanda giusta da porsi era se ricevessero la posta in un luogo così sperduto.

Disse il suo nome quando una voce femminile rispose, aggiungendo che era una “compagna di classe di Margaret”. Con un ronzio, il portoncino si aprì e lei entrò nel giardino ben curato della casa. Margaret le corse incontro, salutandola con un entusiasmo che Kira non avrebbe associato, a prima vista, a tutto il trucco nero che la ragazza portava di solito.

“Hai avuto difficoltà a trovare il posto? Scusa, mamma non poteva venire a prenderti, è a lavoro fino alle sei,” disse tutto d’un fiato, quasi saltellando.

Kira sorrise un po’ in imbarazzo, “No, no, le tue indicazioni erano molto chiare, non ti preoccupare.”

“Accomodati pure sul divano,” l’invitò Margaret conducendola in soggiorno, “Ti offro qualcosa da bere? Ho della Coca, 7Up, RedBull, acqua tonica… l’aranciata non c’era, ma…”

“Una Coca andrà benissimo,” Kira le sorrise interrompendo il suo fiume frenetico di parole.

“Oh, e vuoi qualcosa da mangiare? Ho delle patatine e…”

“No, grazie,” vide il volto di Margaret un po’ deluso e subito raddrizzò la schiena e chiarì, “È che ho pranzato da poco, ma dopo faccio volentieri uno spuntino.”

La cosa dovette far felice l’altra, che subito schizzò fuori dalla stanza per tornare dopo pochi secondi con un vassoio su cui erano poggiati due lattine e due bicchieri.

“Possiamo salire a studiare in camera mia,” propose Margaret indicando il piano di sopra, “Così ti faccio fare anche un tour della casa.”

La casa all’interno era arredato in maniera piacevole e del tutto ordinaria. Non che Kira avesse immaginato qualcosa di particolare, ma di certo Margaret era un po’ sui generis e, pensò con una punta di senso di colpa, lei si aspettava che vivesse in una casa meno normale. Margaret le indicò i due bagni e si assicurò di ripeterle più volte di sentirsi come a casa sua.

“E questa è camera mia,” infine Margaret aprì una porta e indicò l’interno con un gesto ampio della mano, “Non è niente di speciale.”

In effetti, pensò Kira, era la stanza di un adolescente qualsiasi, se non fosse stato per una collezione di fate in abiti neri e sfere di cristallo di varie dimensioni che occupava quasi interamente la scrivania. “Sono molto belle,” si complimentò Kira guardandole da vicino.

“Faccio collezione da quando avevo cinque anni,” rispose Margaret guardando la scrivania con una punta di orgoglio, “Allora, vogliamo iniziare?”

Kira annuì e tirò fuori dalla sua borsa il portatile, un quaderno ed una penna.

“Hai per caso una penna in più?” le chiese Margaret un po’ imbarazzata dopo aver rovistato per qualche secondo prima nel suo zaino e poi nei cassetti, “Devo aver dimenticato la mia a scuola e ho finito la mia scorta.”

“Certo,” Kira aprì di nuovo la borsa, estrasse una penna laccata di nero con dei brillantini bianchi e la porse a Margaret.

“Che carina,” sussurrò l’altra affascinata, rigirandosela tra le mani, “Dove l’hai comprata?”

“Uhm, puoi tenerla, se vuoi,” disse sorridendo. Margaret la guardò ed aprì la bocca, allungando già la penna verso Kira per restituirgliela, “Tranquilla! Le danno in omaggio a mio padre in una cartoleria in cui compra sempre un sacco di roba, ne ho almeno altre due uguali a casa.”

Margaret guardò di nuovo la penna, sembrò colta improvvisamente da un’idea e la ringrazio con un sorriso ampio ed anche un po’ esagerato dato il piccolo regalo.



“Adesso devo proprio andare,” disse Kira qualche ora dopo guardando l’orologio del cellulare e strofinandosi le dita con un tovagliolo. Era stato un pomeriggio molto produttivo, Margaret era molto diligente, anche se l’economia non era proprio nelle sue corde, e alla fine avevano deciso di concedersi le famose patatine, che Margaret aveva comprato in quantità industriale. Kira si era domandata più di una volta dove facesse la spesa, visto che si trovavano nel bel mezzo del nulla, ma non aveva avuto cuore di metterla in imbarazzo, anche perché sembrava succedere con molta facilità.

“Uh, sì,” Margaret si alzò ed iniziò a ripulire il tavolo, “Quando ci vediamo la prossima volta?”

Kira arricciò le labbra, pensandoci su, “Domani io non posso, devo vedere…” arrossì e si fermò prima di completare la frase.

“Scott McCall?” domandò Margaret con genuina curiosità ed uno sguardo un pizzico sognante, “State insieme?” aggiunse poi prima che Kira avesse il tempo di rispondere.

Se possibile, Kira diventò ancora più rossa e si guardò intorno.

“Scusa, scusa,” Margaret mosse le mani davanti a sé, in un gesto nervoso, come per cancellare la domanda di poco prima, “Non sono fatti miei, non dovevo intromettermi,” fece una pausa, diventando un po’ più pensierosa, “Pensavo solo che deve essere… bello avere qualcuno.”

L’ultima parte l’aveva appena sussurrata, con molta malinconia, e Kira, non sapendo se l’affermazione fosse in effetti rivolta a lei o solo una sorta di monologo ad alta voce, optò per non rispondere e non aumentare ancora di più l’imbarazzo.

“Dài, sentiamoci in questi giorni! In fondo oggi abbiamo fatto un bel po’ di lavoro,” disse con un sorriso timido e richiudendo la borsa. Margaret assentì e la accompagnò all’ingresso.



Non appena Kira oltrepassò il cancello e Margaret la vide dirigersi con calma verso la fermata dell’autobus, si lasciò prendere da una certa anticipazione. Accarezzò la penna che Kira le aveva regalato e la guardò di nuovo. Le piaceva proprio un sacco ed era praticamente perfetta per quello che aveva in mente. Non appena l’aveva vista, aveva pensato ad un segno del destino, e quando Kira gliel’aveva addirittura regalata, aveva capito che era quello il giorno giusto per mettere in atto il suo piano.

Saltellò per la felicità e salì le scale di corsa per raggiungere camera sua. Aprì il browser e ritrovò tra i segnalibri il sito che aveva salvato ormai due settimane prima.

“Come lanciare un incantesimo d’amore per trovare l’anima gemella.”

Adesso, non è che lei credesse davvero a questo genere di cose, ma che male poteva fare provare? Sua madre l’aveva chiamata Margaret in onore della Margherita di Bulgakov e a lei era sempre piaciuto pensare che un giorno sarebbe diventata una strega ed avrebbe volato sulla città per andare al ballo di Satana e poi ricongiungersi col suo amore perduto. Aveva sempre creduto di avere un nome magico, ma la sua vita sentimentale si era rivelata del tutto piatta e sfigata. Mentre tutte le sue compagne di classe avevano uno o più ammiratori e anche tutti i ragazzi sembravano più o meno felicemente accoppiati. Be’, tranne forse Stiles Stilinski, che era un po’ sfigato come lei. Se l’incantesimo avesse funzionato, avrebbe potuto consigliarglielo, pensò. Avrebbe potuto iniziare un business ed aiutare i cuori solitari come lei, si disse fiduciosa. Sì, avrebbe portato felicità nel mondo.

Avrai bisogno di:

Un foglio di carta speciale, che significhi qualcosa per te;

Uno strumento di scrittura rituale, non la penna che usi tutti i giorni per scrivere la lista della spesa;

Incenso planetario della Luna;

Carbone;

Una scatola a forma di cuore o una scatola con decorazioni a forma di cuore;



L’incantesimo doveva essere effettuato dopo il tramonto, preferibilmente con la luna crescente. Margaret digitò calendario lunare su Google e rimase un po’ delusa quando vide che in quei giorni la luna era calante. Sbuffò, sarebbe stato perfetto fare l’incantesimo con le condizioni ideali, ma aveva già aspettato tanto e adesso che finalmente aveva tutto, non voleva attendere ancora. Tra l’altro, non era una condizione necessaria che la luna fosse crescente, era solo preferibile. Annuì convinta e dispose le sue sfere di cristallo in un cerchio largo su una coperta, per creare un po’ d’atmosfera. Sarebbe andata a fare una doccia e a prendersi un po’ cura di sé in attesa che calassero le tenebre e che tornasse sua madre. A lei avrebbe detto che era stanca e che andava a dormire, così si sarebbe assicurata la tranquillità necessaria.

Nonostante tentasse di fare tutto con calma, si sentiva abbastanza nervosa. Che la magia esistesse o no e che lei potesse davvero lanciare un incantesimo o meno, la sola idea la riempiva di aspettativa e sentiva il battito cardiaco accelerato ma non tanto da essere spiacevole, mentre già immaginava una vita piena d’amore insieme al suo ragazzo perfetto.

Quando fu finalmente sola nella sua stanza, dopo cena, indossò un pigiama nuovo e si sedette sulla coperta, al centro del cerchio. Le istruzioni dicevano che doveva accendere l’incenso e il carbone con la sua mano del potere, riflettere sulle caratteristiche del suo partner perfetto, scriverle sul foglio di carta e poi leggerli a voce alta per tre volte. Dopodiché, avrebbe solo dovuto chiudere il foglio nella scatola, conservarlo in uno spazio pieno di energia positiva ed aspettare che l’incantesimo facesse il suo effetto.

Decise che avrebbe conservato la scatola dentro il cassetto della scrivania, sotto la sua collezione di fate e sfere di cristallo. Adesso doveva solo capire quale fosse la sua mano del potere, perché l’incenso e il carbone potevano essere accesi solo con quella e rigorosamente con un fiammifero, niente accendino. Essendo ambidestra, Margaret decise di usare la sua mano sinistra.

Con mano un po’ tremante, sfregò un fiammifero, si concentrò per qualche secondo sulla fiamma ed accese l’incenso. Attese che il profumo si spendesse un po’ nell’aria e poi, con un nuovo fiammifero, passò al carbone. Usare la mano sinistra le venne un po’ scomodo, ma ormai non pensava fosse il caso di cambiarla. Si sdraiò poi dentro il cerchio e, accarezzando la penna, iniziò a pensare alla sua potenziale anima gemella. Moro? Biondo? Occhi blu? Verdi? Marroni? Voleva più uno Stiles Stilinski o uno Scott McCall? O un Jackson Whittemore? Dio, se lo ricordava bene Jackson. Aveva certi pettorali... Stava con Lydia Martin. Lydia Martin riusciva sempre ad avere i ragazzi più fighi e lei l’aveva sempre invidiata un sacco. E poi era una specie di genio.

Scosse la testa e si concentrò. Doveva allontanare da sé tutti i pensieri negativi e concentrarsi solo su pensieri piacevoli sulla sua anima gemella. Forse lo preferiva moro, magari un po’ tenebroso. Mosse la testa a destra e sinistra per rilassare i muscoli del collo. Rifletté a lungo, finché la bacchetta d’incenso non fu quasi consumata del tutto. Allora si alzò di nuovo a sedere, afferrò la penna e la pergamena e scrisse in un soffio tutti i suoi desideri.

Come da istruzioni, li lesse tre volte, poi piegò con cura il foglio e lo infilò dentro la scatola a forma di cuore. Afferrò anche la penna, con l’intenzione di riporre tutto dentro il cassetto, ma, appena toccatala, prese la scossa e la penna le cadde dalle mani, di nuovo sulla coperta, proprio nel momento in cui l’incenso si estingueva con un filo di fumo particolarmente denso.

-

Kira sussultò. Era seduta sul letto a guardare un film con il computer portatile in grembo, quando all’improvviso la lampada sul suo comodino si era spenta e riaccesa un paio di volte e poi aveva iniziato ad emettere delle scintille, per morire infine definitivamente con uno sfrigolio simile a quello dell’olio bollente in una padella.

Si portò una mano al petto per lo spavento. Poi sbuffò, si alzò dal letto ed aprì uno dei cassetti del suo armadio, dove teneva una massiccia scorta di lampadine. Da quando i suoi poteri si erano “svegliati”, ne aveva fulminate senza volerlo diverse, ma negli ultimi tempi era migliorata molto nel controllo delle sue capacità e non aveva più avuto bisogno di cambiarle così spesso. La cosa strana era che di solito, quando le succedeva, era nervosa o arrabbiata, non tranquillamente sdraiata sul letto a fare altro. Cambiò la lampadina e mise la vecchia dentro la scatola, per poi gettarla nel cestino sotto la scrivania. Infine tornò al suo film e si dimenticò presto dell’accaduto.

-

Quando lo Sceriffo, durante la cena, aveva ricevuto una telefonata dalla centrale di polizia ed era stato convocato con urgenza, Stiles era riuscito a mandare un sms a Derek ancora prima che suo padre chiudesse la chiamata. Stiles sapeva che avrebbe dovuto sentirsi almeno un po’ in colpa per il suo comportamento, ma, davvero, per quanto ci provasse, non gli riusciva.

“Non sono il tuo dannato booty call, Stiles.”

“Non indosso biancheria intima”

Non era vero, ma Derek non aveva modo di saperlo, a meno di non smettere di fingersi frigido e andare a trovarlo.

“Non hai proprio nessuna vergogna?”

“Mi sto toccando pensando a te”

Nemmeno quello era vero, anche perché suo padre era ancora in camera sua a mettersi la divisa. Se Derek non si fosse presentato, comunque quello sarebbe stato lo scenario più plausibile, ma Stiles sapeva che Derek non lo avrebbe lasciato lì da solo.

“Arrivo.”

Sorrise e fece un gesto di vittoria, stringendo la mano a pugno ed abbassando il gomito.

“Perché tanta esultanza, ragazzino?” domandò suo padre sistemandosi il colletto della giacca.

Stiles si guardò il pugno, come se gli fosse spuntato proprio in quel momento alla fine del braccio, “Sto… facendo pesi. Immaginari, perché… urgh, non è l’orario adatto per fare pesi.”

Lo Sceriffo lo guardò con una punta di esasperazione, “Non muoverti di qui mentre non ci sono, intesi?”

“Affermativo, Sceriffo Stilinski,” rispose Stiles accennando un saluto militare e buttandosi sul divano e guardando suo padre mentre usciva. E chi si muoveva?



“Sta’ fermo,” disse Stiles sollevando i polsi di Derek sopra la sua testa e spingendolo ancora di più contro il letto. Derek sollevò i fianchi, rivolgendogli un sorriso di sfida che gli fece roteare gli occhi.

“Ho detto sta’ fermo,” ripeté Stiles stringendo la presa. Era seduto a cavalcioni sui fianchi di Derek, sul letto della sua camera. Derek era arrivato circa quindici minuti dopo che suo padre era uscito di casa, gli aveva chiesto se la casa fosse libera e, al cenno affermativo di Stiles, gli aveva afferrato il volto tra le mani e lo aveva baciato, mormorando tra uno sfioramento e l’altro di labbra qualcosa su quanto fosse ridicolo e quanto lo avrebbe fatto impazzire un giorno. Dopo una sessione di baci infuocati sul divano, Stiles aveva trascinato Derek in camera sua e adesso stava tentando di immobilizzarlo al letto.

“Stai fermo da solo o devo legarti con le mie manette impregnate di strozzalupo?” domandò guardando Derek negli occhi e leccandosi le labbra.

“Non ce le hai le manette impregnate di strozzalupo, Stiles,” disse Derek tra i denti. Oh, Stiles aveva per caso sentito un ringhio?

“Vuoi scommettere?” si abbassò e gli baciò una guancia, per poi risalire con una scia di baci umidi fino al suo orecchio, “Cosa ti costa stare fermo e farmi felice?” sussurrò per poi mordicchiargli il lobo, “Per favore?”

Finalmente sentì Derek rilassarsi, borbottando qualcosa in assenso. Derek era uno stupido maniaco del controllo, ed era impulsivo e predatore, ma Stiles adorava convincerlo ad abbandonarsi alla sua mercé e costellare la sua pelle di baci e carezze. C’erano diversi punti del corpo di Derek che lo facevano vibrare e Stiles amava stuzzicarli tutti, uno per uno, fino a far diventare Derek una massa bollente che si contorceva sotto di lui.

Gli baciò il collo, passandogli le mani a palmi aperti sul basso ventre ed ondeggiando appena i fianchi. Poi si abbassò e gli sollevò piano l’orlo della maglietta, senza sfilargliela. Gli percorse con la lingua la linea che separava la gamba dal bacino, ma Derek si irrigidì di colpo, proprio nel momento in cui la luce del lampadario prese a vibrare.

Derek si sollevò sui gomiti e Stiles raddrizzò le spalle.

“Che succede?” domandò Stiles nervoso. Sembrava un banale abbassamento di tensione, ma una cosa così banale non avrebbe messo Derek in allerta. Allungò una mano per prendere la sua e tranquillizzarlo, ma sentì una scossa di elettricità attraversargli le dita.

“Che diavolo…” Stiles rimase pietrificato, vedendo che attorno ai polsi di Derek era visibile uno scintillio di elettricità. Durò pochi secondi e poi sparì.

“Ti ha fatto male?” gli chiese afferrandogli entrambi i polsi ed avvicinandoseli al viso per guardarli meglio.

Derek si leccò le labbra, “No, ma non è stato per niente normale,” disse lasciandosi cadere all’indietro sul letto. Stiles lo seguì e gli si sdraiò sopra. Derek gli diede un bacio sulla tempia e poi Stiles sentì le sue braccia circondarlo e muoversi piano su e giù contro la sua schiena, con movimenti rassicuranti. Peccato che il battito cardiaco di Derek sotto il suo orecchio raccontasse un’altra storia.

-

La sera dopo, Scott e Kira si erano appena allontanati da casa Yukimura, quando lei, gridando per farsi sentire da sotto il casco, fece notare che il serbatoio era quasi vuoto. Scott lo guardò perplesso, pensando sul momento di non aver capito, ma dovette constatare che aveva ragione. Cambiò tragitto e si diresse verso il distributore di benzina più vicino, godendosi sulla pelle accaldata l’aria fredda provocata dall’accelerazione.

Si fermò davanti al distributore e fece a Kira segno di scendere dalla moto.

“Che strano, ho fatto il pieno prima di venire a prenderti,” disse togliendosi il casco.

“Non abbiamo fatto tanta strada,” rispose Kira, “Forse il serbatoio è bucato?” chiese guardandosi intorno.

Anche Scott diede un’occhiata nella direzione da cui erano venuti, ma sapeva che non ci avrebbe visto niente, perché se avessero perso benzina ne avrebbe sentito l’odore. Sospirò, pensando ai soldi che aveva già sborsato quel pomeriggio per fare il pieno. Mentre pagava per fare di nuovo rifornimento, sentì il rombo di un’auto familiare alle sue spalle.

“C’è Derek,” gli disse Kira indicando la Toyota parcheggiata alle sue spalle.

Derek scese dalla macchina e, senza dar segno di averli visti, andò subito a controllare qualcosa sul retro. Guardò la strada e poi Scott gli vide fare un movimento con il collo all’insù e capì che anche a lui era successa la stessa cosa e stava annusando l’aria per sentire eventuali tracce di benzina.

“Ehi, Derek,” lo salutò ondeggiando una mano e attirando così la sua attenzione, “Tutto okay?” domandò mentre Derek si avvicinava a lui facendo un cenno di saluto in direzione di Kira.

“È successo anche a te qualcosa di strano?” chiese Derek a sua volta senza rispondere alla domanda.

Scott annuì, mentre sganciava l’erogatore e lo avvicinava al serbatoio della moto, “Ho fatto il pieno qualche ora fa,” disse indicando la moto, “E adesso sono a secco. Anche tu?”

Stavolta fu Derek ad abbassare la testa in un segno di assenso, con le sopracciglia aggrottate, “Che diavolo significa?”

“È una maledizione che risucchia la benzina ai lupi mannari?” domandò Scott ridendo, per allentare la tensione. Derek sembrava aver preso la cosa in maniera molto seria.

“Ieri sera ti è successo qualcosa di strano?” gli chiese ad un certo punto Derek, dopo averci riflettuto.

“Strano di che tipo?” Scott provò a pensare alla sera precedente, “Sono stato da Stiles a studiare.”

Dopo,” specificò Derek, “Sul tardi.”

Scott stava per domandare cosa ne sapesse Derek di quando lui era andato via da casa di Stiles, ma l’altro lo interruppe, “Tipo una scarica elettrica, un abbassamento di tensione?”

“No, amico, mi dispiace, ma non ricordo nulla del genere,” rispose Scott dopo aver ripercorso con la mente gli eventi della serata. Dopo essere stato da Stiles era tornato subito a casa ed aveva cenato con sua madre e poi aveva completato un saggio che avrebbe dovuto consegnare quella mattina.

“Non credo che possa essere importante,” disse Kira timida, comparendo alle spalle di Scott, dopo che per qualche secondo nessuno aveva detto nulla, “Ma una lampadina nella mia stanza ha tremolato e poi si è fulminata, emettendo delle scintille. Non è la prima volta che succede, però, da quando ho scoperto i miei poteri, per questo non ho prestato molta attenzione alla cosa.”

“È stato intorno alle dieci e mezzo?” le chiese Derek scrutandola con una punta di sospetto. Kira annuì.

“Che succede, Derek?” Scott lo guardò preoccupato mentre una macchina che passava gli illuminava meglio l’espressione del viso.

“Magari non è niente,” disse infine Derek, “Ma se succede qualcosa di strano avvisiamoci subito a vicenda,” concluse con un movimento sbrigativo della mano. Poi si girò per andare a recuperare la macchina e fare benzina.

Dopo pochi secondi, Scott percepì un ronzio strano, che fu subito seguito da una luce vibrante. Kira urlò alle sue spalle e poi si udirono un tonfo e un lamento di Derek. Quando si voltò, Scott vide Kira sull’asfalto, in ginocchio, e Derek, poco più avanti, che si contorceva per terra. Dai palmi delle mani di Kira, che in quel momento erano aperti, era visibile una corrente bluastra di elettricità, che, muovendosi con suoni secchi come colpi di frusta, arrivava dritta ai polsi di Derek.

La corrente sparì all’improvviso, lasciando solo delle scintille sull’asfalto. Scott si accovacciò accanto a Kira, che tremava aprendo e chiudendo le mani, “Io…” sussurrò lei con voce instabile.

Derek si alzò e la raggiunse a grandi falcate, - Che stavi tentando di fare? – domandò, la sua voce suonava più che altro come un ringhio e i suoi occhi rilucevano di blu. Quando Scott notò che aveva anche i canini allungati e gli erano apparsi gli artigli, avvolse le braccia attorno a Kira e, con gli occhi rossi, ringhiò a sua volta in direzione di Derek.

“Stalle lontano,” gli intimò.

“Hai visto anche tu cosa ha fatto, Scott!” rispose Derek incurvando le dita, come per trattenersi senza però abbassare la guardia.

“Non sono stata io,” sussurrò Kira, “Non l’ho fatto apposta,” aggiunse.

“Allontanati, Derek,” ordinò Scott di nuovo, tirando fuori gli artigli.

Derek li guardò con gli occhi spalancati che tradivano l’istinto di attaccare, ma poi fece come gli venne detto. Non appena fu accanto alla macchina, cadde di nuovo nello stesso punto di prima, bloccato a terra da un nuovo flusso elettrico.

Kira si guardò spaventata le mani e Scott si allontanò un po’ da lei d’impulso, per non essere colpito.

“Non riesco a controllarla,” mormorò Kira, con la luce arancione negli occhi. Poi la corrente sparì di nuovo, di colpo, e Scott vide che l’aveva lasciata scossa e con gli occhi lucidi.

“Non appena Derek si allontana, per qualche motivo, i tuoi poteri lo attaccano,” disse Scott con gli occhi spalancati, muovendo lo sguardo tra lei e Derek, che tentava di rialzarsi.

   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Inessa