Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Call it Maglc    03/07/2014    6 recensioni
Elsa non avrebbe mai dovuto fare la conoscenza del traditore nelle prigioni. Hans non avrebbe mai dovuto rivelare i segreti più oscuri della sua famiglia alla regina che aveva cercato di uccidere. Ma le aspettative esistono per essere infrante.
{ Hans/Elsa | Long fic | 101648 parole | Fire!Hans | Traduzione di Hiraeth | In revisione }
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna, Elsa, Hans, Kristoff
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): e questa volta ritorno su EFP con la traduzione di una long-fic. Una long-fic! È praticamente un suicidio a lungo termine, ma sono sicura che la gratificazione sarà enorme. In più non vedo l’ora di mettere mano ai capitoli più in avanti, che sono praticamente gloriosi. (Sì, va be’, evito di farmi viaggi mentali quando sono ancora al primo capitolo).
 Su Fanfiction.net a questo indirizzo trovate il link originale di questa storia, che per concessione della (gentilissima!) autrice mi trovo a portare anche nel fandom italiano. Spero che piacerà almeno quanto è piaciuta a me! Buona lettura!











The Phoenix and the Snowbird
di Call it Maglc











Uno



S’incrociaron allo albore d’avosto dua vie diritte,
La Fenice et lo Junco¹ achataron, sed si perdero.
Lo lilium da cendri rinasto, la rosa da paure discomfitte,
La Fenice et lo Junco viderosi et si speliarno invero.
Ben cetto cassellarno tempo et pugnae lor idilli,
La Fenice et lo Junco d’altero curaron li cori.
Sic fuit li quali, ambedue co foco et gelo, devisi eppur eguali,
La Fenice et lo Junco caciron preda dro giuoco d’amori.


Il principe Hans delle Isole del Sud era morto.

 O almeno, era stato creduto morto fino a meno di un’ora prima.

 Con il suo costante camminare su e giù dopo aver appreso la notizia, Anna avrebbe potuto scavare un solco nel tappeto. Sproloquiava senza sosta, ma Elsa non riusciva a concentrarsi sulle sue parole. Un terrore corrosivo l’attanagliava allo stomaco, gli infelici ricordi di quando Anna era quasi morta che risalivano a galla, come solevano fare sempre. Ma adesso la situazione era diversa e in qualche modo anche peggiore, ora che l’uomo che le aveva fatto del male se ne stava in una cella a poche rampe di scale da loro.

 «Non ha senso! Lui è morto!» esclamò Anna per la settima volta: Elsa le aveva contate. «La gente non annega per poi, tra tutti i posti che ci sono al mondo, tornare ad Arendelle senza un motivo! Non pensa di averne prese abbastanza? Perché ooh, se gli darò una ragione per andarsene via».

 Anna si voltò di nuovo in quel suo giro intorno al tappeto del salotto. Le trecce sbattevano contro la sua schiena come se fossero arrabbiate quanto la loro proprietaria. Aveva le sopracciglia estremamente corrucciate e la bocca sparava a raffica. Trovando una sorta di pace nel guardarla, Elsa seguiva con lo sguardo la scia del vestito color melagrana della sorella, che sfrusciava fluido per il tappeto.

 Probabilmente sarebbe stato più opportuno avere una reazione simile a quella di Anna, ma non ce la faceva. Non poteva pretendere di trovare una soluzione limitandosi a mormorare delle imprecazioni contro l’uomo. Ciò che faceva, invece, era rivivere di nuovo nella sua testa l’immagine di Anna che congelava. Anna che congelava perché sua sorella le aveva ghiacciato il cuore. Che congelava perché l’uomo che adesso era in una cella l’aveva lasciata morire. La sequenza di immagini si ripeté migliaia di volte nella mente di Elsa, talvolta mostrandole scenari in cui Anna non era in grado di scappare dal palazzo, congelava davanti al camino e si scioglieva, sicché tutto quello che rimaneva di lei era una macchia bagnata sul tappeto.

 Elsa batté le palpebre e sua sorella fu di nuovo in vita, ancora che andava su e giù per il pavimento; dietro di lei stava il camino, il colpevole nel suo sogno. Elsa non si era accorta che il battito del suo cuore era accelerato, ma impose a se stessa di rallentarlo, così che il martellare nelle sue orecchie calasse di volume e lei potesse ascoltare Anna.

 «Okay, okay. Che ne dici di questo?» Anna smise di camminare e tese le mani, gesticolando mentre esponeva ciò che aveva da dire. «Si è impossessato in qualche modo della nave ed è salpato verso casa sua. Adesso sta tenendo prigionieri gli ambasciatori francesi, ma non vuole far sapere in giro che in realtà sono ancora vivi».

 «Allora perché mai sarebbe tornato qui?» fiatò un’altra voce, il tono grave dell’ex custode di Arendelle, Ingvalda, che aveva regnato il paese al posto dei genitori delle sorelle fino all’incoronazione di Elsa. La novella regina non aveva mai stretto un legame particolarmente profondo con Ingvalda (dopotutto, lei non aveva mai stretto legami particolarmente profondi con nessuno) e la vedeva come una specie di prozia. Di recente aveva iniziato a trascorrere molto più tempo in sua compagnia e Ingvalda le faceva di continuo presente la buona etichetta di un monarca, scrutandola al di sopra della spalla per assicurarsi che niente andasse storto. Elsa rimuginò che, sebbene dovesse esserle grata per l’aiuto che le forniva, non si sentiva mai a suo agio sotto l’occhiataccia vigile di Ingvalda.

 Anche adesso la donna, con le zampe di gallina attorno agli occhi e il vestito di seta color oliva che fasciava la sua figura sottile, non la perdeva di vista. Elsa cercò di non notarlo, ma avvertì comunque un bruciore alla nuca.

 Anna ricominciò a camminare su e giù, borbottando qualcosa riguardo la tendenza delle navi a scomparire sempre una volta imbarcate e perché lui era tornato ad Arendelle?

 Solo a tre mesi di distanza dall’incoronazione della regina Elsa, giorno in cui erano stati rivelati i suoi poteri, e dall’accordo con l’ambasciatore francese per riportare Hans alle Isole del Sud, era pervenuta una lettera. Era del re della Catena dell’Ovest, in Francia, che domandava dove fossero finiti i suoi delegati. La nave francese non era ancora giunta sana e salva a destinazione e, a dire la verità, non era giunta in generale da nessuna parte. Nessuno degli undici alleati commerciali di Arendelle – adesso nove, dopo che erano stati rotti i rapporti con Weselton e le Isole del Sud – l’aveva avvistata o ne aveva sentito le notizie. Si era creduto, quindi, che l’ambasciatore francese, i suoi uomini e Hans fossero periti in mare.

 Ormai era passato più di un anno da quell’inverno di mezza estate, per cui Elsa e Anna si sentirono completamente prese alla sprovvista quando Kai interruppe il loro tè per riferire la sconcertante novità. Il principe Hans era stato catturato e arrestato, colto nel tentativo di rubare una nave da uno dei moli di Arendelle. Aveva opposto resistenza alle guardie, annunciò Kai dopo che Anna fece cadere una tazza, tanto era scioccata, ma erano state in grado di trattenerlo abbastanza a lungo da riuscire a buttarlo in prigione. Avevano comunicato che l’uomo bolliva dalla rabbia e che, quando lo avevano condotto nella cella assegnatagli, era parso più caldo di una stufa.

 Anna aveva iniziato ad andare su e giù per il tappeto sin da quando il loro tè quotidiano era stato interrotto e non dava segni che si sarebbe presto o tardi fermata. Ingvalda si era unita a loro nello studio non appena aveva appreso le circostanze, ma non aveva offerto alcun consiglio sul da farsi.

 Il salotto, che aveva sempre fatto sentire Elsa al sicuro, adesso le sembrava strano e rigido. Il divano non era più comodo, a prescindere dalla posizione in cui lei si metteva, e aveva la sensazione che centinaia di schegge di ghiaccio fossero conficcate nella stoffa del sofà. Il camino era vuoto, dato che la calura di agosto forniva sufficiente riscaldamento. Elsa aveva udito dalle cameriere che a loro non sarebbe dispiaciuto un altro “inverno perenne”, ma lei era consapevole di non essere ancora abbastanza in controllo dei suoi poteri per creare un nevischio confortevole. Ormai non portava più i guanti, ma si trattava comunque di qualcosa che lei non si riteneva capace di gestire.

 «Doveva proprio tornare qui?» brontolò di nuovo Anna, voltandosi nel suo giro. «Non poteva andarsene da qualche altra parte e rubare le navi a loro? Sono tipo vicina così dal dirigermi io stessa giù nelle prigioni e pretendere delle risposte» disse, avvicinando talmente tanto il pollice e l’indice che solo un ago poteva passare attraverso l’esigua distanza.

 «No» rifiutò immediatamente Elsa, finalmente contribuendo a quella che era stata fino a quell’istante una discussione molto unilaterale.

 Anna smise di camminare per guardare negli occhi la sorella, sorpresa che la sua invettiva fosse stata interrotta.

 «Non voglio che ti avvicini a lui di un centimetro» spiegò con calma Elsa, le mani nude sul grembo. Anche se aveva un’aria rilassata, internamente era tutto l’opposto. Le sue dita si erano irrigidite e contemplava con avversione l’idea di congelare qualcosa per sbaglio, come andando a sbattere contro un muro di mattoni, per colpa di un improvviso scoppio emotivo. Sperava che, nel caso tale avvenimento succedesse veramente, la vittima fosse il suo vestito blu scuro e non un oggetto (o una persona) importante.

 Quando Anna si allontanò dal tappeto e le si sedette accanto sul divano, la confusione dipinta sul volto della principessa si trasformò in delizia. «Aww, Elsa, non devi preoccuparti per me! Posso prendermi cura di me stessa. Ho preso quel tizio a pugni in faccia e l’ho buttato in mare, ricordi?» le rammentò, sollevando il braccio e piegandolo scherzosamente. «Ci penserà due volte prima di provare a ingannarci di nuovo».

 Elsa fu lì lì per abbozzare un sorriso, ma rimase in silenzio. Non importava quanto in gamba fosse sua sorella, lei non avrebbe mai e poi mai smesso di preoccuparsi per Anna. Avrebbe potuto prendere a pugni e buttare in mare un centinaio di omoni crudeli ed Elsa sarebbe stata comunque esitante a lasciarla avvicinarsi a loro.

 Anna sospirò e affondò un po’ di più tra i cuscini, le gambe che sbucavano da un angolo della gonna a campana del vestito. «Vorrei solamente sapere cosa ci fa lui qui. Impazzirò se non otterrò una risposta».

 Elsa era conscia che era vero. Se lasciata sola, Anna si sarebbe inventata teorie su teorie. Tempo un giorno e lei sarebbe praticamente irrotta in prigione per pressare l’uomo a dirle la verità. Elsa rabbrividì un po’ al pensiero di Anna nella stessa stanza con Hans. Prima che fosse troppo tardi, decise di prendersi lei quella responsabilità.

 «Gli parlerò io».

 Anna e Ingvalda fissarono Elsa come se lei avesse suggerito di metterlo al rogo.

 «Tu… gli parlerai?» chiese Anna, raddrizzando la schiena e sedendosi dritta.

 «Ciascuna di noi desidera conoscere cos’è successo» disse Elsa, guardando ovunque tranne che sua sorella. «Mi farò dire ogni cosa e poi ti racconterò, se è questo che vuoi».

 «Elsa, se lo stai facendo per me, non devi—»

 «No, no, affatto» assicurò Elsa, alzandosi dal divano, che le lasciò un formicolio sulla pelle, e gesticolando per indicare che le andava bene. Ingvalda continuò a fissarla con uno sguardo da rapace, senza battere le palpebre. «Dopotutto, io sono la regina. È mia responsabilità scoprire come e perché lui è qui».

 L’espressione sulla faccia di Anna metteva in mostra il suo conflitto di emozioni. Della gratitudine e un pizzico di paura, ma soprattutto curiosità, che Elsa realizzò non sarebbe diminuita fino a quando non avrebbe avuto il quadro della situazione.

 «Sei sicura? Voglio dire, convincerò Kristoff a—»

 «È tutto a posto, Anna. Sto bene» garantì Elsa, anche se non si sentiva bene per niente. Avrebbe potuto scrivere una lista lunghissima di cose che preferirebbe fare piuttosto che affrontare di nuovo Hans. Ma era una lista misera se paragonata alla ragione per cui era disposta a fare praticamente qualsiasi cosa: Anna.

 Ingvalda strizzò gli occhi: sembrava che riuscisse a leggere il disagio che provava Elsa, come se fosse stampato sulla sua fronte. «Consiglio di non fare visita a quest’uomo» proferì, il naso in aria come sempre, sprigionando una grazia regale che, Elsa sapeva, lei non era in grado di emanare. «I vostri sentimenti si metteranno di mezzo all’interrogazione, specie considerata la loro negatività».

 «Grazie, ma sono perfettamente preparata a questo» asserì Elsa, raccogliendo la gonna per congedarsi. «Tornerò prima di cena. Non attendetemi».

 Con un leggero cenno, Elsa uscì dalla stanza e si fece scappare un sospiro profondo. Si guardò le mani, che stavano tremando al solo pensiero di recarsi nelle prigioni. L’ultima volta che si era trovata lì era stato durante l’episodio dell’anno prima, quando era stata dichiarata colpevole di alto tradimento.

Anche tu potresti essere ritenuta una traditrice sussurrò una vocina. Dopotutto, il ghiaccio che ha quasi ucciso la principessa è stato scagliato per mano tua. È stato solo per un colpo di fortuna se Anna è sopravvissuta.

 Elsa abbassò le palpebre e scosse il capo, cercando di sbarazzarsi di quei pensieri assillanti, senza però riuscire a scrollarsi di dosso quella parola: tradimento.

 «Bene» mormorò a se stessa. «Allora me la caverò. Si tratterà semplicemente di un incontro fra traditori di Arendelle».

 E riacquistando forza con quella riflessione bene in mente, Elsa si diresse verso le prigioni, fermandosi per una sola piccola deviazione verso camera sua. Aveva bisogno dell’assistenza dei suoi vecchi amici confinanti, i guanti. Il Cielo solo era a conoscenza di cosa avrebbe provato parlando con quell’uomo pericoloso. Anche se congelargli il cuore non le sembrava una brutta idea, i guanti le avrebbero sicuramente impedito di perdere il controllo. E lei aveva bisogno di tutto il controllo possibile.




Quando entrò nella cella, la prima cosa che Elsa notò fu la calura. Dato che erano nel bel mezzo dell’estate, faceva caldo in tutto il castello, ma in quella stanza in particolare la temperatura era infernale. Forse era solo colpa della sua accentuata sensibilità rispetto alle altre persone; ad ogni modo, non poté fare a meno di arrotolare le maniche fino ai gomiti e allentare il nodo del suo mantello, mentre gocce di sudore si formavano sotto la frangetta.

 La seconda cosa che notò fu la misera figura che sedeva sulla brandina della cella. I suoi piedi erano incatenati a un punto nel centro del pavimento, il che era un cambiamento, in confronto alle manette studiate per ingabbiare le mani di Elsa. Rabbrividì al loro ricordo, al fatto che erano state realizzate apposta per lei. Non appena se le era sentite alle mani, aveva capito che erano state costruite quando suo padre era ancora re. Provò a scacciare quei pensieri. Quelle manette erano state da tempo distrutte e lei doveva concentrarsi sulla sfida che aveva di fronte a sé.

 Si schiarì la gola per annunciare la sua presenza, dato che, da quando era entrata nella stanza, la figura non si era mossa. Diede ordine alle guardie di andarsene, sapeva badare a se stessa, e stette sola in quella calda cella.

 La figura alzò la testa, rivelando un uomo molto diverso dal principe che aveva incontrato il giorno dell’incoronazione. I suoi pettinati capelli rossi adesso erano così scompigliati da rendere evidente il fatto che non se li spazzolava da settimane, o addirittura mesi. La giacca bianca con cui era stato arrestato e incarcerato nella nave era lacera e sporca e appariva bruciacchiata in diversi punti. Ormai era più marrone che bianca. Una sottile barba rossiccia ricopriva la parte inferiore del viso. Anche gli occhi erano cambiati. Non c’era più traccia dell’amabile e piacevole uomo dalle iridi verdi e sorridenti di cui Anna si era tanto innamorata. No, quel vispo verde si era trasformato in pietra, era chiaro dall’occhiataccia che lui lanciò alla regina.

 «Oh, sei solo tu» disse, tornando a guardare di nuovo in basso.

 Elsa lo fissò per un secondo, cercando di dare un significato a quelle parole. La sua noncuranza delle formalità era irritante, ma non la sorprese troppo.

 «Solo io?» chiese Elsa. «Sono la regina, non “solo” io».

 Lui alzò di nuovo la testa, in una maniera che mostrava più sarcasmo che riluttanza.

 «Perdonatemi, “Vostra Maestà”. Credevo che, del vostro comitato di benvenuto, la prima persona a venire a farmi visita sarebbe stata vostra sorella. A cosa devo l’onore di essere ritenuto talmente speciale da incontrare la regina stessa?»

 «Non datevi troppe arie» replicò freddamente Elsa. «Non potevo permettere che Anna si avvicinasse a voi. Ha espresso il desiderio di salutarvi con un altro pugno».

 «Dovrei ringraziarvi per essere stato risparmiato?» chiese Hans, la schiena ancora piegata, i gomiti che riposavano sulle ginocchia e le mani mollemente lasciate cadere.

 Vedendo che le chiacchiere non andavano a parare da nessuna parte, Elsa incrociò strettamente le braccia al petto. «Voglio sapere che razza di affari intrattenete ad Arendelle».

 «Sono affari miei» sogghignò Hans.

 «E sono affari miei scoprire il motivo per cui la nave degli ambasciatori francesi non è mai arrivata alla Catena dell’Ovest e per cui voi siete saltato fuori dopo quasi un anno dalla sua scomparsa» pretese Elsa, ringhiando dalla frustrazione.

 La risoluta espressione sul volto di Hans divenne indulgente, seppur per un attimo solo, prima di corrucciarsi nuovamente. Le sue labbra rimanevano cucite. Non aveva intenzione di rivelarle niente.

 «Perché Arendelle?» ritentò Elsa, le mani che stringevano l’un l’altra, strati di stoffa che impedivano a esse di toccarsi. «Tra tutti i posti in cui non siete più il benvenuto, l’ultimo regno da cui vi dovreste aspettare un aiuto è Arendelle».

 Il muro di pietra irradiava calore ed Elsa avvertì una goccia di sudore scenderle lungo il collo. Si augurò che Hans non pensasse che lei stesse sudando per il nervosismo. Non che non fosse nervosa, certo, ma sperava che non fosse troppo evidente.

 Che la calura gli fosse di disturbo o meno, lui non lo diede a vedere. I suoi occhi fissavano la calda parete di rocce in fronte a lui e ancora si ostinava a non parlare. Il suo silenzio iniziò a irritare Elsa. Ma che altro si era aspettata, in fondo? Che Hans fosse un libro aperto? L’ultima volta che era venuto ad Arendelle, il suo vero io era stato sepolto così profondamente da farle addirittura dubitare che si trattassero della stessa persona.

 Alla fine parlò. «Non ho intenzione di restare. Ho solo bisogno di una nave e poi non mi vedrete più».

 «Non avete risposto alla mia domanda» osservò Elsa accigliandosi. Lui continuò a non guardarla negli occhi.

 Passò un minuto, dopodiché Hans si alzò dalla panca, sovrastandola di soli pochi centimetri, ma emanando comunque un’aria intimidatoria. Nonostante fosse conscia che le guardie erano fuori dalla porta e lui era incatenato, Elsa si sentì allarmata lo stesso. Alzò la mano sinistra e si diede un pizzicotto all’avambraccio scoperto per riacquistare il controllo di sé.

 «Potremmo raggiungere un compromesso. Voi dopotutto siete una giusta regina, no?» disse, un accenno dell’antico fascino che trapelò dalle sue parole. Elsa non se la bevve nemmeno per un istante.

 «Non siete nella posizione per negoziare» ribatté lei, alzando il mento.

 «Voi e il resto del vostro regno volete che me ne vada via. Tutto quello che chiedo è una nave e le scorte essenziali e poi scomparirò per sempre. Non voglio i vostri soldi o i vostri uomini, né la vostra corona» continuò.

 «Non potete onestamente credere che esaudirò il vostro desidero» rispose Elsa con una tenue risatina senza divertimento. «Se avete bisogno di una nave per tornare alle Isole del Sud, posso organizzare più che volentieri—»

 «No!» la interruppe Hans, la sua maschera che evaporò in un’espressione di panico assoluto.

 Elsa batté le palpebre stupefatta, e Hans capì che si era fatto sfuggire con le azioni più di quanto avesse voluto far intendere con le parole. Guardò in basso e per un attimo si fece piccolo, come se in quel momento fosse stato messo a nudo.

 «Io… ho solo bisogno di una nave» ripeté. «E non mi vedrete mai più».

 Era una proposta molto, ma molto allettante. Tutto ciò che Elsa voleva era che Anna fosse felice e al sicuro e la presenza di Hans metteva questo a repentaglio.

 D’altro canto, l’ultima cosa che voleva era dare a Hans ciò di cui lui aveva bisogno.

 «No» rifiutò semplicemente, il mento in su.

 La faccia di Hans fu sconvolta per un secondo, per poi trasformarsi presto in furiosa.

 «Non ho ragione per fidarmi di voi. Non ho ragione per avere pietà o essere gentile con voi, non dopo quello che avete fatto» spiegò Elsa, mentre un’altra goccia di sudore le scivolava lungo il viso. Se la strofinò via, chiedendosi se il caldo in quella cella fosse dovuto all’ora oppure semplicemente alla cella stessa. «Non sono obbligata a dare a un principino viziato tutto ciò che lui vuole».

 «Viziato?» Hans rise, il sorriso che era più contorto che divertito. «Voi siete dell’opinione che io sia viziato?»

 «Un uomo che raggira e uccide due membri di una famiglia reale solo perché vuole avere un castello per sé è chiaramente stato viziato» concluse Elsa girando i tacchi. «Rimarrete qui fino a quando non decideremo cosa fare di voi».

 «Ma parlate voi di cosa significa essere viziati?» quasi urlò Hans. Elsa si voltò per fronteggiare il suo slancio emotivo, tutte le sentinelle in allerta. «Viziata è una ragazzina che esclude la sorella dalla propria vita senza spiegarle mai il perché».

 Elsa non respirava. Faceva così caldo quel giorno e la sua gola aveva anche cominciato a chiudersi. «Sta’ zitto» riuscì a dire debolmente.

 «Che fa finta che sua sorella sia invisibile a tal punto che, pur di ricevere le attenzioni di qualcuno, la sorella accetta la proposta di matrimonio di un uomo poche ore dopo averlo conosciuto».

 «Sta’ zitto» ansimò, il suo cuore che fece un tonfo. Le pareva che Hans avesse trovato una lista di tutte le cose di cui si vergognava e che a ogni parola la pugnalasse, come se quei pensieri non attraversassero già la sua mente ogni giorno, ogni momento, agguantandole il cuore e marchiandolo con un dolore ustionante.

 «Viziata è una donna che non sa come affrontare le proprie paure e allora scappa da esse, non curandosi di tutti coloro che potrebbe aver ferito e di coloro che dovranno gestire le conseguenze delle sue azioni e che, dopo essere stata cercata dappertutto dalla sorella, le congela—»

 «Sta’ ZITTO» gridò Elsa contraendo i pugni, mentre la superficie dei suoi guanti si ricopriva di ghiaccio, congelandole le mani in solidi blocchi. La temperatura sembrava essere calata di almeno venti gradi e il sorrisetto malizioso di Hans scomparì quando lui cominciò ad avvertire il freddo. Piccole sagome di ghiaccio iniziarono a volteggiare dal punto in cui lei si trovava e crepitarono, diffondendosi per il pavimento.

 Elsa ansimava pesantemente quando una guardia si precipitò nella stanza, chiedendole se fosse successo qualcosa. Lei scosse leggermente il capo, abbassò le palpebre e cercò di smettere di rivivere con la mente tutti i torti che aveva commesso contro Anna. Ma quelli non si scioglievano. Si erano congelati nella sua memoria e si rifiutavano di sparire.

 Regolò il respiro fino a calmarsi e comunicò debolmente alla guardia che necessitava di un minuto. Lui si inchinò esitante e uscì dalla stanza, lasciando la porta semichiusa per lei.

 Elsa scrutò Hans un’ultima volta, il suo sguardo adesso freddo quanto lo era stato quello dell’uomo durante il loro colloquio. Lui invece ora la fissava con occhi larghi e luminosi, un’espressione che, se lei non conoscesse bene Hans, avrebbe scambiato per ammirazione.

 «Non avrete la vostra nave. Resterete qui fino a quando io e il mio popolo decideremo la vostra sorte» ripeté Elsa, cercando di suonare minacciosa, ma venendo tradita dalla sua voce titubante.

 Era sul punto di uscire dalla stanza, quando Hans provò ad avere l’ultima parola.

 «Immagina di essere al posto di Anna. Quello ero io, ma con dodici fratelli maggiori. Dodici fratelli maggiori che mi escludevano o che mi trattavano come spazzatura. Non puoi capire cosa provassi».

 Elsa si fermò alla porta, con l’intenzione di uscire senza dire altro, ma non ci riuscì. Voltò leggermente la testa, così da vedere con la coda dell’occhio i capelli rossi di Hans.

 «Non provo compassione per voi» disse e, dopo quello, annuì alla guardia ordinandole di chiudere la porta.

 Non aspettò di farsi accompagnare e camminò via il più velocemente possibile dalla cella di quell’uomo orribile. A malapena si era contenuta e non poteva ritirarsi nelle sue stanze fino a quando non avrebbe evocato dei ricordi felici dai quali attingere per sciogliere il ghiaccio dai guanti.

 Elsa aveva pensato che fuggire e diventare la regina delle nevi l’avrebbe resa finalmente felice, finalmente serena. Ma se la sua mente non faceva altro che rivivere ogni singolo errore commesso, lei non sarebbe mai stata veramente libera.

 Era scossa tanto quanto la persona che ora stava nelle prigioni, le quali erano bollenti e ghiacciate allo stesso tempo.










¹ Il junco delle nevi, detto anche junco occhiscuri (o, con il nome scientifico, junco hyemalis), è un simpatico passerotto originario del Nord America che vive negli ambienti a clima temperato e, fino a una certa latitudine, a clima artico. Qui in Italia non ce lo abbiamo, ma in Europa è diffuso soprattutto nel Regno Unito e nei paesi nordici. Negli Stati Uniti, dove vive l’autrice, il junco è presente solamente in inverno ed è per questo chiamato anche “snowbird”.

   
 
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