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Autore: millyray    05/07/2014    1 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO TREDICI

John si svegliò dopo uno strano sogno. Non era sulla guerra in Afghanistan questa volta, era su qualcos’altro. C’era Sherlock nel suo sogno e succedeva qualcosa di spiacevole, di brutto, ma si dimenticò quasi tutto non appena aprì gli occhi. E forse era meglio così.
Gli ci volle qualche secondo per riprendere completamente coscienza e quando lo fece si accorse che qualcosa pesava sul suo corpo. Abbassò lo sguardo e si scontrò subito coi neri ricci dell’amico che gli solleticavano il mento.
Non ricordava quando si era addormentato esattamente, sapeva solo di non aver chiuso occhio finché Sherlock non si era completamente rilassato contro il suo corpo facendogli capire di aver esaurito tutte le lacrime a sua disposizione per quella notte. E poi erano rimasti in quella posizione fino a quella mattina, John disteso sulla schiena e il detective con la testa poggiata sul suo petto e una mano sul suo fianco, lì dove gli aveva stretto la maglietta.

Il dottore gli affondò una mano nei capelli e prese ad accarezzarlo dolcemente. In fondo era questo che gli serviva, no? Un po’ di conforto, di rassicurazione… di coccole. Se voleva dargli una dimostrazione di essere umano, be’, ci era riuscito alla grande. John non se la sarebbe più scordata quella notte, non solo per le lacrime di Sherlock, ma anche per la sensazione di impotenza che aveva provato, e di dolore, di…

Basta, John, alzati da ‘sto letto e fai qualcosa di concreto per aiutare Sherlock.

Cercò di scivolare da sotto il corpo dell’amico senza svegliarlo. Quest’ultimo doveva essere veramente stanco perché non sembrò aver sentito niente, dormiva della grossa. O forse faceva finta. In ogni caso era meglio lasciarlo riposare, chissà da quanto tempo non si faceva un sonno decente.

Prima di alzarsi dal letto, poggiò una mano sulla fronte di Sherlock constatando che era piuttosto calda. Dopo la pioggia di ieri sera era abbastanza normale che si fosse preso la febbre. Allora afferrò le coperte e lo rimboccò come avrebbe fatto con un bambino.
Poi scese al piano di sotto, incontrando Connie e Greg in salotto; nessuno dei due sembrava aver dormito granché.

“Ciao, John”, salutò la ragazza seduta sul divano. “Ti va del caffè?” chiese facendo per alzarsi, ma John la bloccò sul posto. “No, lascia. Faccio io”.

“Come sta Sherlock?” fece lei allora, senza perdere tempo.

John si versò del tè caldo in una tazza e si voltò per guardare Connie. “Sta dormendo. Credo abbia un po’ di febbre”.

La ragazza annuì, ma non sembrava molto attenta alle parole dell’amico. “Non l’ho mai visto così”, sospirò, gli occhi puntati per terra. “Non l’ho mai visto piangere così, nemmeno quando era piccolo”.

Greg, che per tutto quel tempo se n’era rimasto in piedi vicino alla finestra, si sedette accanto a Connie e l’abbracciò per le spalle, cercando di confortarla. E lei sembrò gradire perché si rilassò subito contro il suo petto.

“Non appena si sarà svegliato cercherò tutta la droga che tiene in casa e gliela farò buttare via”, decise lei e il tono serio non ammetteva repliche. Non che gli altri due avessero qualcosa da dire. John si sedette sulla sua poltrona e strinse forte la tazza che teneva fra le mani, non curandosi del fatto che scottava. “Sono un idiota!” pronunciò senza guardare nessuno dei presenti. “Me ne sarei dovuto accorgere prima”.

“John, non è colpa tua”, cercò di rassicurarlo Connie, gli occhi puntati su di lui.

“Invece sì. È il mio coinquilino, il mio migliore amico ed è la persona…”. Si interruppe all’improvviso. Non voleva dire quello che stava per dire, non davanti a Greg. Non era ancora pronto. “Me ne sarei dovuto accorgere. Viviamo insieme e io…”.

“Sherlock è bravo a nascondere le cose quando vuole. Nessuno se n’era accorto”.

“Sì, ma se me ne fossi accorto prima non sarebbe arrivato a questo punto”.

Non se la sarebbe mai perdonata una cosa del genere. Non era solo il suo migliore amico, era anche la persona che amava e se ne sarebbe dovuto accorgere fin da subito, che in Sherlock qualcosa non andava. E invece lui era stato troppo occupato a pensare a se stesso e ai suoi sentimenti, al fatto che Sherlock lo evitasse perché non lo volesse avere più attorno per colpa di quel bacio, perché lo volesse allontanare perché lui non provava le stesse cose.
E invece tutto quello non c’entrava niente.

“Ascoltate!” esclamò Connie tutto d’un tratto, saltando in piedi come punta da una vespa. “Non dobbiamo farne una tragedia, non fa bene né a noi né a Sherlock. Non ha ancora superato il limite, non come prima, quindi si può ancora recuperare. E noi lo aiuteremo, d’accordo?” Fece un sorriso ai due uomini guardandoli speranzosa e loro non potevano far altro che essere contagiati dalla sua tenacia. In fondo, non aveva tutti i torti.

“Certo, tesoro”, acconsentì Greg, alzandosi anche lui e sistemandosi la camicia. “Io però ora dovrei andare al lavoro. Ce la fate voi due da soli?”

“Sì, vai pure”.

“Chiamami se hai bisogno di qualcosa”.

“D’accordo”.

Lestrade si avvicinò alla ragazza e le diede un rapido bacio sulle labbra. Poi afferrò la sua giacca e uscì dall’appartamento.
Connie allora si diresse a passo spedito verso la cucina e aprì il rubinetto del lavello per lavare le tazze e i piatti che erano rimasti ancora dall’altra sera.

“Devo chiamare Mycroft e dirgli quello che è successo”.

“Vuoi che lo faccia io?”

“No, gli manderò un messaggio. Gli dirò di venire qui così glielo dico in faccia. Sono proprio curiosa di vedere la sua espressione”.

John non poté fare a meno di notare una certa nota ironica nell’ultima parte della frase. Forse questa sarebbe stata la volta buona per capire che cosa non andasse tra i due. Non poteva solo trattarsi di quel bacio che si erano scambiati per sbaglio Sherlock e Connie.

“D’accordo. Io vado a vedere se Sherlock si è svegliato”.

“Portagli una tazza di tè”.

 

Quando John entrò nella stanza di Sherlock, trovò il detective ancora addormentato, questa volta sdraiato sulla schiena, i capelli scuri sparsi sul cuscino. Era piuttosto pallido, tanto che quasi si poteva confondere con le lenzuola, se non fosse stato per i capelli.

Poggiò la tazza di tè fumante sul comodino e si sedette sul bordo del letto, rimanendo a guardarlo. Gli piaceva guardarlo dormire, non sembrava più lui. E in quel momento pareva così piccolo e indifeso.

Dopo poco, però, lo vide aprire gli occhi, lentamente, come se stesse cercando di abituarsi alla debole luce che entrava dalle finestre. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di inquadrare il viso di John.

“Ciao”, lo salutò questi. “Come ti senti?”

Sherlock lo guardò leggermente confuso, poi si portò un braccio alla fronte e richiuse di nuovo gli occhi. “Ho mal di testa”.

“Hai la febbre. Ti porto delle pastiglie”, poggiò le mani sul letto per aiutarsi ad alzarsi, quando ci ripensò. “O forse è meglio di no”.
Il detective inclinò il capo come incuriosito.

“Ti ho portato del tè. E dovrei misurarti la febbre. E dovrei anche…”.

“Sei arrabbiato con me?” lo interruppe il moro guardandolo con quei suoi penetranti occhi azzurri. John rimase leggermente basito. “Arrabbiato con te? No”.

“Allora sei deluso. Il che forse è peggio. O forse no. Non lo so”.

“Sherlock, ma che stai dicendo? Non sono né arrabbiato né deluso. Sono solo preoccupato e spaventato perché tu ora hai un problema, come qualsiasi altro essere umano, ed è perfettamente normale. Non c’è niente di cui vergognarsi. Ti aiuterò… ti aiuteremo”.

Il detective si mise seduto di scatto, le mani poggiate sul letto perché lo sostenessero. “Perché sei sempre così, John? Perché… perché mi giustifichi sempre? Avrei preferito che ti fossi arrabbiato e che mi avessi gridato contro. Non puoi sempre essere dalla mia parte, non puoi…”.

John aveva ascoltato quelle parole rimanendo impassibile, nonostante il tono decisamente contrariato dell’amico. Capiva perfettamente la reazione di Sherlock. Ma al detective ancora non era chiara una cosa: che era ora di smetterla di avere paura.

Avvicinò il proprio viso a quello dell’amico, così vicino che avrebbe potuto baciarlo, e fissò i propri occhi in quelli dell’altro. “Sherlock, tu sei il mio migliore amico e io…”.

“E tu?”

Io ti amo.

“… ti voglio bene. Quindi, non mi interessa che cosa farai, ti aiuterò. Sempre”.

Sherlock aprì bocca per aggiungere qualcos’altro, ma venne interrotto dall’arrivo di Connie che restò perplessa per qualche attimo nel vederli così… intimi.

“Scusate, ho interrotto qualcosa?”

 

Era tutta la mattina che la più piccola della famiglia Holmes cercava di mettersi in contatto col fratello maggiore; gli aveva mandato una decina di messaggi, chiamato almeno cinque volte, ma quello si ostinava a non rispondere.
Sperava solo che non lo stesse facendo perché non voleva parlare con lei. Ma se così fosse stato, lo avrebbe preso a pugni fino a staccargli tutti i denti. Non poteva ignorarla, gli aveva scritto in maiuscolo che c’era un problema e che si trattava di Sherlock. Mycroft sarebbe accorso, per forza.

Aveva chiamato persino Molly, pregandola di venire e di aiutarli e la ragazza si era precipitata da loro arrivando in Baker Street in venti minuti. E solo perché aveva un lavoro urgente da finire, altrimenti sarebbe arrivata prima.

John era di nuovo in stanza con Sherlock quando la patologa bussò alla porta. Il detective era rimasto a letto praticamente tutto il tempo, troppo spossato per alzarsi a causa della febbre e del mal di testa.
Era mezzo addormentato persino quando il dottore gli legò un laccio emostatico attorno al braccio per fargli un prelievo di sangue. Infilò l’ago nella vene, trovandola un po’ dura, ma il moro non reagì. Doveva esserci abituato.
Riempì qualche provetta, poi estrasse l’ago e gli attaccò un cerotto. Stava per rimettergli il braccio sotto le coperte quando qualcosa attirò la sua attenzione: c’erano delle cicatrici bianche sul polso di Sherlock. Sembravano essere piuttosto vecchie, ma erano chiaramente delle cicatrici. Ed erano presenti su entrambi i polsi.
Non le aveva mai notate perché il detective portava sempre le maniche lunghe o i guanti. A questo punto un atroce dubbio lo assalì.

Scese al piano di sotto dove consegnò le provette a Molly, raccomandandole di fare in fretta nell’analizzarle.

“Non ti preoccupare, John, farò prima che posso. Piuttosto, come sta Sherlock?”

“Non molto bene. Ma si riprenderà”. John cercò di sorridere rassicurante all’amica, ma non credette di esserci riuscito granché.

Il campanello della porta suonò di nuovo e Connie si precipitò sperando che fosse Mycroft. Invece era solo Lestrade, seguito dalla Signora Hudson, la quale era rimasta piuttosto scioccata nello scoprire che Sherlock aveva fatto uso di droghe.

Mycroft arrivò finalmente nel tardo pomeriggio, impeccabile come sempre, con l’immancabile ombrello appeso al braccio e quella faccia che alla sorella faceva sempre venire voglia di prenderlo a sberle.

“Ero bloccato ad una riunione importante”, disse come scusa, piuttosto incuriosito nel vedere l’appartamento pieno di tutta quella gente. “Che è successo?”

“Già, il lavoro è più importante della tua dannata famiglia”, lo riprese Connie, incrociando le braccia al petto e guardandolo di sbieco.

Mycroft sembrò fare appello a tutto il suo autocontrollo per non dire o fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito. “Non girarci troppo attorno, Constance e dimmi cos’è successo”.

Connie attese per un po’ prima di rispondere, guardando il fratello dritto in viso: “Nostro fratello ha ripreso a drogarsi”.

 

 

MILLY’S SPACE

Lo so, Mycroft non sta facendo una bella presentazione. Ma si rifarà, lo prometto. È solo che mi è uscito così, non posso farci niente ^^

Vi ho fatto attendere troppo, scusate, ma avevo gli esami da finire. E ora sono libera come l’aria XD

Bene, è molto tardi, quindi non mi dilungo troppo.
Ma vi prego, lasciatemi una recensione, please :3

Ah, prima di andare volevo chiedervi una cosa: avevo pensato di pubblicare dei Missing Moments su questa fanfic per raccontare qualche episodio dell’infanzia e dell’adolescenza di Sherlock. Vi piacerebbe? Vi avverto già che sarà molto angst ^^

Fatemi sapere.
Un bacio,
M.

  
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