~Tanabata~
Le
missioni erano state completate. L’atmosfera si
era rasserenata. I nervi di tutti erano distesi.
Ma non per lui. Oh, no. Saix avrebbe davvero voluto prendersi un
momento di
pausa, ma l’ingrato compito che gli era toccato gli impediva
perfino di poter
pensare a qualsiasi
altra cosa che non
fosse il suo lavoro.
Nonostante avesse una propria stanza adibita come un perfetto studio,
il luogo
preferito per fare il check finale di tutti i rapporti e dello stato
attuale
del completamento di Kingdom Hearts era la zona grigia.
Un po’ per l’immensa ampiezza della sala, un
po’ perché i cuscini dei divani lì
erano sublimemente comodi, un po’ perché di tanto
in tanto passava qualche
membro e si sentivano delle chiacchiere interessanti. Non che a lui
interessasse, sia chiaro. Solo, era alquanto…piacevole
sentirsi arrivare alle
orecchie parole che non riguardassero conti e resoconti. Per sua
sfortuna –o fortuna?-
il resto dei membri non lo avevano mai temuto particolarmente
(nonostante i suoi
innumerevoli tentativi di stabilire una qualche sorta di
autorità, ma…) e
quindi non avevano alcuna soggezione nel parlare del più e
del meno nello
stesso luogo in cui il glaciale Numero Sette revisionava
l’andamento della
giornata. E così quella sera ne aveva sentite un bel
po’: Xigbar si era
lamentato con Xaldin, ancora una volta, di quanto fosse carina quella
tipa che
aveva visto ad Agrabah, e di quanto gli fosse dispiaciuto non poterla
abbordare
nemmeno per gioco; Demyx si era messo a suonare il suo Arpeggio seduto
in modo
scomposto (“Giù quei piedi dal divano!”
aveva sbottato Saix, ma dopo un primo
timoroso tentativo di obbedienza, Demyx era già tornato alla
posizione di
prima) finchè Larxene non era arrivata irritata
–per qualche motivo-
sbraitandogli di smetterla e dandogli un sonoro ceffone. E poi.
E poi arrivò lui.
Il
numero Otto. Pur volendolo ignorare, non avrebbe
potuto. Con quella spavalda voce. Chiassosa. Irritante.
Con i due marmocchi al seguito, naturalmente. Anche
loro decisamente irritanti.
Davvero, non voleva alzare il viso. Voleva far finta che quei tre che
avevano
messo piede nella sala avessero la stessa valenza di un soffio di vento
spifferato dalla porta, ma per qualche ragione, qualche assurda forza
oscura,
diresse lo sguardo in direzione delle voci ridenti.
…e così incrociò i suoi occhi.
I suoi meravigliosi occhi verdi…
Se avesse avuto un cuore, forse Saix se lo sarebbe sentito sobbalzare
nel
petto. Ma siccome quello non era altro che uno sciocco pensiero dovuto
ai
ricordi,non ci fece troppo caso. Al contrario. Tuffò
nuovamente il naso tra le
sue scartoffie, perché quello che il trio di marmocchi
–fisicamente e non-
stava facendo non era affatto affar suo. E poi sapeva che si sarebbe
trattato
di qualcosa di estremamente infantile. Lo intuiva.
E ne ebbe la certezza quando accanto a sé si vide arrivare quel…coso dagli occhioni blu
ed il sorriso demente.
Il suo stesso sorriso demente. D’accordo
che Axel era incaricato di insegnargli tutto, ma…aveva
decisamente esagerato. Come aveva osato
prendere anche il suo
sorriso.
Roxas era quasi timoroso, e diligente, con le manine dietro
alla schiena e
l’aria da scolaretto in punizione.
Saix alzò il viso, l’aria visibilmente scocciata.
Non disse nulla, ma gli occhi
dorati parlavano da soli.
“Che diamine vuoi.”
-Mh…Saix…- iniziò Roxas, a voce un
po’ troppo bassa, dondolandosi lievemente.
Saix sbuffò sonoramente, poggiando il pugno chiuso su un
fianco.
-Ti sarei grato se ti sbrigassi con quanto hai da dire, Numero Tredici.
Non ho
tempo di giocare.
Roxas si destò allora dalla sua timida riverenza, parlando
tutto d’un fiato.
-…ci presti dei fogli?
Saix alzò un sopracciglio.
-…prego?
-Dico, dei fogli di carta…
-Ho capito, mi domando solo per quale assurda motivazione
possano…
Ma Saix venne interrotto, e non da Roxas. Lui non avrebbe osato.
Nemmeno quel pupazzetto che amava portarsi in giro avrebbe azzardato di
interrompere il secondo in comando.
Quell’idiota dai capelli rossi, invece, sì.
-Ci servono per il Tanabata, Saix- spiegò velocemente,
prendendo dei fogli
senza fare troppi complimenti dal tavolino proprio di fronte al divano
dove era
seduto il ragazzo coi capelli blu. -…Potresti non guastarci
la festa almeno
dopo il lavoro? Sì?- domandò poi, con una vocina
irritantemente stucchevole.
Saix dovette trattenere un moto di rabbia, e tenere a bada quel pugno
che da lì
a poco, ne era certo, avrebbe incontrato la guancia di Axel.
Lui e la sua dannata faccia da schiaffi.
Invece, portò quello stesso pugno davanti alla bocca,
tossendo per schiarirsi
la voce.
-…potresti non insegnare ai novellini queste sciocchezze? Li
distraggono dal
lavoro- borbottò nervoso, fingendo di trovare nuovamente un
malsano interesse
per gli stupidi documenti tra le sue mani.
Questo di certo non fermò Axel, che con estrema nonchalance,
iniziò a strappare
i fogli in tante striscioline di carta. E continuò a
parlare, ignorando le
richieste di Saix e continuando ad addestrare i suoi pulcini, da brava
chioccia
qual era. -…ora questi si chiamano tanzaku,
e voi potete scriverci tutto ciò che desiderate.
-Ma perché si fa, Axel?- domandò curioso il
numero Quattordici, irritando i
nervi del povero Saix.
Beh, non ci si poteva aspettare altro, da uno stupido pupazzo.
-…una stupida leggenda riguardo una tessitrice ed un
mandriano, puniti per aver
dimenticato i loro doveri a causa del loro amore- spiegò
stesso lui, con fare
saccente. -…e fu loro concesso di incontrarsi una sola notte
all’anno. Il sette
luglio, appunto. Perché credete che si chiami Tanabata?*
Ma Xion già non stava ascoltando. Si era fermata alla parola
‘amore’, mentre
Roxas stava dando una mano ad Axel coi tanzaku.
-E’…è così
romantico…- sospirò sorridente, stringendo le
mani al petto.
Saix non trattenne un moto di disgusto. Perché fingere
così palesemente di
avere un cuore per provare certi stupidi momenti di smarrimento.
Finalmente, Axel tornò a parlare, sorridendo soddisfatto.
–Ora, Xion, Roxas…scrivete
pure i vostri desideri sui tanzaku. Dovremmo appenderli su un albero di
bambù,
ma…- sospirò, portandosi le mani ai fianchi e
guardandosi intorno, come se si
aspettasse di vederne uno nei paraggi da un momento
all’altro. -…temo che
dovremo farne a meno.-
Saix stava ancora fingendo di trovare il tutto fastidioso e fuorviante,
quindi
si costrinse a rileggere per la quarta volta il settimo rigo del
rapporto di
Demyx. Pessimo, come sempre.
Ma fu un’ottima copertura per poter ascoltare indisturbato
quanto stava
accadendo.
-Che desiderio scriverai, Xion?- cominciò Roxas, prendendo
una delle penne che
Axel stava porgendo.
Se si era portato le penne, perché
disturbarlo
nel chiedergli la carta?
-Non lo so, ne ho così tanti! Forse quello di riottenere un
cuore…?- rispose
Xion, ottenendo un moto di disapprovazione dal biondino.
-Buh! Che noia che sei. Axel, tu già stai scrivendo?
Ed infatti era così. Piegato sul tavolino, Axel stava
componendo il suo
desiderio, con una calligrafia decisa e vagamente sgraziata.
Annuì soltanto,
accennando un ‘mh-mh’ mugugnato appena.
Roxas si avvicinò curioso. E anche Saix, a quel punto,
pensò che forse non gli
sarebbe dispiaciuto sapere…
-Che cosa stai chiedendo?- si intromise il numero Tredici, sbirciando
con
noncuranza.
Saix si sarebbe immaginato una reazione indignata da Axel. Roba tipo
‘è una cosa personale,
fatti gli affari tuoi!’
. Ed invece…
-…di avere sempre i denti in buona salute per mangiare
gelati.
-…Axel, ma sei peggio di Xion!|
-Lo so!- commentò ridendo il ragazzo coi capelli rossi,
ammirando in tutto il
suo splendore il suo stupido desiderio. Perfino per i gusti di Saix era
troppo
ridicolo.
Finchè Axel non aprì di nuovo bocca, dopo qualche
secondo di contemplazione.
-…è che i desideri davvero importanti, purtroppo,
non si avverano.
La frase destò un moto di delusione in Roxas e Xion.
Ed una strana fitta a Saix, che sollevò lievemente lo
sguardo, senza farsi
notare.
-Perché dici così?- si lamentò Xion,
stringendo i pugni.
Ma Axel non rispose. Rimase fermo, a fissare il suo tanzaku con aria
assorta,
come se avesse scritto il poema del secolo.
Roxas voleva sapere. Xion voleva sapere.
Ma Saix chinò il viso, guardando un punto non ben definito
della stanza.
Lui sapeva la risposta.
-Isa! Isa presto!-
Isa dovette sollevare lo sguardo dal proprio libro, sbuffando
sonoramente e
guardando irritato l’amico coi capelli rossi, agitato davanti
a lui come se
stesse per scoppiare una guerra.
Si era messo comodo, lì, nel giardino di casa sua,
accompagnato da un bel tè
ghiacciato ed il suo romanzo preferito, ed ora doveva stare a sentire
le
chiacchiere infantili di quello che malauguratamente era ormai
diventato una
costante fissa delle sue giornate.
…malauguratamente, si fa per dire.
-Cosa Lea. Cosa c’è, stavolta.- mormorò
secco, rivolgendogli tutta l’attenzione
–e la pazienza- che poteva.
Lea era lì, con un pennarello e due fogli di carta sottili
tra le dita.
-Presto, Isa. Prima che faccia sera. Dobbiamo scrivere i nostri
desideri e poi
salutare Orihime e Hikoboshi!-
Isa potè notare, a quel punto, che Lea aveva perfino deciso
di indossare uno
yukata arancione, e nonostante potesse constatare che gli stesse
davvero molto
bene, non potè non pensare a quanto fosse stupido tanto
entusiasmo.
Insomma, era forse l’unico ragazzino della loro
età che stava prendendo la cosa
davvero sul serio. E poi non era da ragazzine indossare lo yukata?
A quanto pare per Lea questi erano solo dettagli, perché
continuò imperterrito,
come un razzo.
-E poi c’è la fiera, e ho una voglia matta di
mangiare dei takoyaki!
-Perché, li fanno?- commentò annoiato Isa,
poggiando il libro sul tavolino ed
alzandosi di malavoglia.
Lo sapeva che Lea non avrebbe smesso tanto facilmente. Tanto valeva
assecondarlo.
E poi, c’era da dirlo. A quel punto diventava
quasi…contagioso. Ma sì. Una
passeggiata in mezzo alla gente non poteva essere tanto malvagia, no?
Le guance di Lea si colorarono per la gioia di vedere che il suo
migliore
amico, finalmente, avrebbe partecipato al suo entusiasmo.
Porse il pennarello ed un foglio di carta. Isa lo guardò
incerto.
-…e che devo farci?
-Scrivere un desiderio, te l’ho detto!
-Non ho desideri- tagliò corto Isa, infilandosi le mani in
tasca.
Ma Lea già aveva gonfiato le guance, pestando un piede. Come
il bambino
capriccioso che era.
-Insomma, la vogliamo fare bene questa cosa sì o no?
Isa sbuffò di nuovo, e sospirò così
forte che si sentì il suo ‘aaahhh’
riecheggiare per l’aria.
Prese il foglietto, sgraziatamente, e la penna. Ci pensò su
solo qualche
istante. Poi poggiò tutto sul tavolo, e dopo pochi gesti
veloci, la sua
calligrafia così precisa e ordinata sfavillava sul foglio.
Lea allungò il collo impunemente, curioso da morire.
…solo che venne deluso, e non poco.
-Ma che desiderio è? – si lamentò,
cercando lo sguardo dell’amico che al
contrario, sembrava completamente soddisfatto di quanto aveva scritto.
-Non c’è niente di male nel voler avere successo
nella vita- affermò orgoglioso
Isa, incrociando le braccia ed esibendo la sua espressione
più snob.
-…sì, ma… ‘voglio passare
l’anno con tutti 10’. Dai Isa. Lo sappiamo entrambi
che sarà così!
-Ma perché? Che desiderio avrei dovuto scrivere?-
brontolò Isa a quel punto,
porgendo a sua volta la penna all’amico, che si fece subito
pensoso.
Per poco. Perché si mise dalla parte opposta del tavolo, e
coprendo con un
braccio, iniziò a scrivere.
-…non lo so, ma qualcosa
di…importante…- rispose, assorto, mentre
sceglieva con
cura le parole con cui esprimere il proprio desiderio.
Isa faceva di tutto per sembrare disinteressato, ma più
volte si scoprì mentre
allungava il collo nel tentativo di leggere, solo per vedersi
ricambiare con un’occhiataccia
di Lea, che spostava di volta in volta il foglio, al punto che entrambi
fecero
quasi un giro completo del tavolo.
Fu a quel punto che Isa non ne potette più.
-…andiamo, cos’hai scritto?
-Non te lo dico!- esclamò dispettoso il ragazzino coi
capelli rossi, tenendo
con entrambe le mani il suo tanzaku, orgoglioso.
Isa si indispettì a sua volta, suonando quasi infantile. Eh
già. Lea aveva
questo potere.
-Io il mio te l’ho detto!
-Ma il tuo era orribile.
-Ed il tuo è meglio?- domandò indignato Isa, con
una smorfia.
-Il mio è perfetto- e con questa affermazione, Lea si
incamminò verso l’uscita
del giardino.
Isa lo fissò perplesso.
-Dove stai andando?
-Vicino alla fontana hanno messo delle piante di bambù! Vado
ad appenderlo!
-…e tu vuoi appendere i fatti tuoi così, come se
nulla fosse?
-Lo appenderò al ramo più alto!- e con questo,
Lea si congedò con un sorrisone
ed un saluto della mano. -…ci vediamo tra dieci minuti a
casa mia, andiamo alla
fiera assieme!-
-Che razza di bambino sei- fu il saluto di Isa, che si sedette di nuovo
al
tavolino, con l’intenzione di leggere il suo prezioso
romanzo. Ma il silenzio
fu quasi assordante. E…
Stupido Lea. Era colpa sua. Quando non c’era, Isa poteva
quasi sentire il
rumore del vuoto.
Ma a quel punto, rimasto solo col tanzaku, ignorò del tutto
il libro, e prese
tra due dita il suo desiderio. Effettivamente dovette ammettere che non
era un
granchè. Ma non aveva proprio idea di cosa scrivere.
Quindi, perché non prendere un po’ di ispirazione?
Ci mise poco ad arrivare alla sua meta, ed anche se
quell’idiota di Lea non
aveva specificato quale fosse la fontana adibita a ‘pozzo dei
desideri’, la
folla ridente gli indicava che quello era senz’altro il posto
giusto.
Dovette faticare un po’, perché la folla davvero
gli impediva di arrivare di
fronte ai rami coi desideri. Ma sgomitando e sgusciando
–benedetta la sua
esilità, per una volta- finalmente aveva davanti una
panoramica precisa.
Centinaia di tanzaku erano già stati appesi. Ognuno
strillava speranzoso il
desiderio del suo creatore.
Per quanto stupido, Isa doveva ammettere che…beh, era
divertente. Non appese il
suo, ma si divertì per un po’ a leggere quelli
degli altri.
‘Vorrei un nuovo lavoro!’
‘Vorrei trovare un fidanzato!’
‘Vorrei un cane!’
‘Vorrei avere i capelli lunghi!’
‘Vorrei dimagrire!’
‘Vorrei essere promosso!’
‘Vorrei poter restare per sempre con Isa.’
Isa spalancò gli occhi, stupito da quell’ultimo
desiderio. Non era firmato,
ovvio, ed era stato appeso abbastanza in alto, ma aveva comunque
catturato la
sua attenzione per la calligrafia particolare.
Ed una volta compreso di chi fosse quella calligrafia…
…e…e quel desiderio…
Isa non riuscì a non arrossire, fissando quel foglietto.
Razza di idiota! Non…non
era una cosa da scrivere, quella! Qualcuno avrebbe potuto capire,
e…e
fraintendere, e…! ‘Vorrei poter restare per sempre
con Isa’…!
Ma quanto poteva essere stupido?
Era chiaro che sarebbero rimasti insieme per sempre!
Avvampò ancora di più per il proprio flusso di
pensieri. E rieccolo, il
terribile potere di Lea di trasformarlo in una donnina sentimentale.
Il suo sguardo, però, si addolcì. Nella sua
mente, riecheggiarono le parole di
Lea.
‘Deve essere qualcosa di importante!’.
-…è importante anche per me…-
sussurrò al biglietto, allungando la mano verso
di esso.
Era un dono prezioso, quello. E Isa sentì dentro di
sé la presunzione di poter
affermare che quello era un desiderio solo suo. Nessun altro avrebbe
dovuto
vederlo.
Al diavolo Orihime, al diavolo…quell’altro,
nemmeno ricordava il nome.
Ci avrebbe pensato lui ad esaudire tutti i desideri di Lea.
Si allontanò tra la folla, indisturbato, riponendo quel
pezzo di cuore nella
tasca dei suoi pantaloni.
Aveva un appuntamento, adesso.
-…e
ora dove lo appendiamo, Axel?-
La vocina irritante di Roxas lo ridestò dai suoi improvvisi
ricordi. Sbattè le
palpebre, come se non si ricordasse cosa fosse accaduto, ma dopo pochi
secondi,
tutto fu chiaro.
Giusto in tempo per vedere l’espressione riflessiva di Axel.
-…appendeteli alle vostre finestre. Orihime e Hikoboshi lo
vedranno senz’altro.
-Urrà!- fu il commento di entrambi i ragazzini, che
entusiasti, corsero fuori
dalla sala, stringendo nelle mani il loro tanzaku. Axel li
osservò mentre
andavano via, sorridendo dolcemente.
Un sorriso che rese Saix quasi geloso. O…o meglio, avrebbe
potuto esserlo se…
Ma dovette interrompersi di nuovo. Lo stava fissando. E se ne rese
conto solo
quando, imbarazzato, notò gli occhi verdi di Axel rivolgersi
verso di lui. Il
sorriso era sparito. Lo stava fissando in modo
quasi…inquisitorio.
-…tu non scrivi il desiderio, Isa?- domandò, in
un modo stranamente serio.
Saix rimase zitto per qualche secondo. Poi, rispose.
-…i desideri vengono dal cuore.-
Quell’affermazione provocò una risata sarcastica
ad Axel, che afferrò il suo
desiderio dal tavolo –qualcuno lo aveva effettivamente
letto?- e si avviò anche
lui verso l’uscita.
-Potresti
almeno provare, sai?- disse, prima di
lasciare definitivamente la sala.
E a quel punto, Saix rimase nuovamente solo.
Quelle carte tra le mani come uniche compagne.
Si sentì quasi amareggiato da quella provocazione. Desideri?
Si rendeva conto
di quanto fosse stupido anche solo parlare di desideri, per quelli come
loro?
E proprio come quando era completo, sentì
il…peso…di quel vuoto.
Quell’assenza che senti quando arriva il gelo dopo una
giornata di sole.
Purtroppo, anche senza un cuore, Axel…o meglio…
Lea…
…gli faceva ancora effetto.
In quell’eterna notte, si fece ancora più buio.
E Saix non poteva rimanere nella sua stanza. Non riusciva a prendere
sonno, non
era stanco.
E poi, aveva qualcosa da fare. Qualcosa di importante da fare.
Sapeva essere silenzioso, Saix.
Grazie alle sue ottime capacità di spionaggio, e
c’era da dirlo, a quegli
utilissimi corridoi oscuri, riuscì intrufolarsi
silenziosamente attraverso
quella porta chiusa. Quella porta bianca su cui padroneggiava un numero
romano
scritto in nero lucente.
VIII.
Non
poteva fare a meno di fissare il suo
ex-migliore…amico…mentre
dormiva.
Migliore amico, poi. Una risatina sommessa, amareggiata.
Lo sapeva che c’era qualcosa di più profondo, che
si nascondeva.
Qualcosa che era stata portata via dagli eventi. Qualcosa che Saix non
aveva
più.
La spavalderia del Soffio di Fiamme Danzanti spariva quando chiudeva
gli occhi,
e pur con quelle lacrime tatuate sulle guance, Saix poteva vedere il
volto
rilassato di un bambino che un tempo conosceva bene.
Gli sfiorò appena i capelli, ma i guanti gli impedirono di
sentire quanto
fossero soffici.
Un lieve moto di ansia lo spinse a non perdersi più in
pensieri. Rovistò
velocemente nella tasca destra del cappotto, per estrarne un pezzettino
di
carta. Lo aprì. La luce della luna gli permise di leggerlo,
ancora una volta.
“Vorrei poter restare per sempre con
Isa.”
-…mi spiace, piccolo…-
sussurrò malinconicamente, ripiegando il fogliettino
e piegandosi a sua volta verso il materasso del giovane, con
l’intento di
nascondere ciò che aveva in mano tra le coltri in cui
dormiva. -…non sono stato
proprio capace di esaudire i tuoi desideri…-
…ma giusto qualche istante prima che potesse appoggiare il
foglietto sotto al
cuscino del giovane, una folata di vento –lasciava sempre la
finestra aperta,
quell’idiota. Normale che poi prendesse sempre
malanni…- raggiunse
il suo collo, facendolo rabbrividire.
…e muovendo qualcosa, che causò un
fruscio…
Saix si voltò verso la finestra. E fu lì che lo
vide.
Un altro foglietto. Quasi uguale a quello che aveva in mano, piegato.
Esitò. Non poteva restare così a lungo
lì, no?
Eppure doveva ammetterlo a sé stesso. Era davvero una
persona dannatamente
curiosa.
Si rialzò in piedi, avvicinandosi cauto alla finestra.
Una lentezza estenuante, che alla luce della luna lo faceva sembrare
quasi un
fantasma.
Allungò la mano verso il biglietto, e lo staccò.
Già si aspettava di leggere quel desiderio assurdo riguardo
i gelati.
Fu per questo che, cuore o senza, sentì qualcosa
di…violento…nel proprio petto,
mentre i suoi occhi scorrevano quelle lettere.
‘Vorrei che Isa tornasse da me. Per
favore, è importante.’
Si voltò a guardare il ragazzo, ancora ignaro,
ancora stretto tra le
braccia dolci del sonno.
Saix fissò il foglio. E poi la luna. E poi di nuovo Axel.
E sentì nella sua testa una voce. Una voce che conosceva
bene.
-…è importante anche per me…-
sussurrò, le dita tremanti per…qualche motivo.
Piegò anche quel foglietto, assieme al vecchio che aveva
portato con sé.
Un’ultima occhiata al ragazzo addormentato.
-…buonanotte, Lea…-
E con lo stesso silenzio con cui era entrato, uscì dalla
stanza.
*Tanabata:
in giapponese, vuol dire ‘settima notte’.
Note.
Io ho scritto il mio desiderio.
L’ho appeso ad un poster in camera, però.
E’
dedicata a tre ragazze folli, che vedranno i loro sogni realizzati presto. Anche se una di loro mi tradisce con lo Xemsai.
E' dedicata ad un'altra ragazza, che lascia a volte i sogni da parte.
E ad altre due fanciulle piccine che mi mancano tanto.
.
E’ dedicata a ChiiCat92. Perché è tanto
dolce.
Prendete tutte carta e penna, e scrivete.
Orihime e Hikoboshi vi stanno a sentire stanotte.