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Autore: Monkey_D_Alyce    10/07/2014    5 recensioni
Si continuava a convincere di aver fatto la cosa giusta.
Non chiedeva il mondo.
Voleva solamente voltare pagina.
Eppure tutte le sfortune di questo pianeta capitavano solo a lei!
Era arrivata a Londra sotto un bell'acquazzone, ma non solo!
Ora doveva pure sorbirsi delle stupide deduzioni da parte di un detective eccentrico ed egoista di nome Sherlock Holmes!
Fantastico!
Veramente fantastico.
(SOSPESA MOMENTANEAMENTE!)
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nami, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Non-con, Triangolo
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Nuova vita al 221B di Baker Street

 


1° capitolo: Cambio casa, cambio vita
 
 
Era una giornata uggiosa sulla città di Londra.
Ma questo non importava a nessuno. I cittadini svolgevano le loro abituali mansioni come se niente fosse.
C’era chi aspettava il bus per andare in ufficio, oppure chi camminava sotto all’ombrello per le vie della città avendo come meta il mercato.
Una giornata normale, insomma.
Tutto era avvolto dallo stesso velo monotono che dava vita a quella tranquilla cittadina.
Peccato che qualcuno non la pensasse allo stesso modo…
 
“Maledizione! Proprio a me doveva capitare una giornata coì schifosa?!? Ma come diavolo fa tutta questa gente  sopportare questa maledettissima pioggia?!?” imprecò a mezza voce Nami, cercando di coprirsi con il suo gilè trasandato.
Nonostante avesse i capelli corti, quelli le si erano appiccicati al viso, facendola irritare più di quanto già non fosse.
 
Era partita da New York per cambiare vita.
Non ne poteva più di tutta quella gente ipocrita che pensava solamente alla droga e alle donne.
Abitava in un piccolo quartiere di Brooklyn assieme al suo ex-fidanzato.
La vita non l’aveva risparmiata: al lavoro veniva trattata malissimo, benché fosse una di quelle poche persone che lavorava onestamente e che non corrompeva il capo mostrando le belle gambe o il seno prosperoso.
Ma quello era niente in confronto alla sua quotidianità a casa: viveva con un fidanzato che la violentava ogni volta che beveva o si drogava, o meglio, sempre.
Era talmente stufa che una notte (parliamo di quella appena trascorsa), mentre il suo fidanzato si era addormentato dopo le ore di sesso forzato con lei, si era vestita, aveva “sbattuto” nel piccolo trolley quei pochi vestiti che le erano capitati in mano ed aveva preso il primo volo per Londra con una parte di soldi del suo ultimo stipendio.
Durante il volo aveva pensato di aver fatto la cosa giusta, che ne era valsa la pena.
Le era sempre piaciuta Londra e l’aveva visitata un paio di volte quando ancora andava a scuola.
Aveva fatto la cosa giusta.
 
“Forza Nami! Non sarà di certo un po’di pioggia ad abbatterti! Certo, il tempo non è quello che ti aspettavi, ma che ci vuoi fare?” si era incoraggiata incamminandosi verso la stazione di un bus, accendendo il suo cellulare nel frattempo.
Le arrivarono un mucchio di messaggi e avvisi di chiamate perse da un suo collega di lavoro e dal suo ex-fidanzato.
Di sicuro, la stavano minacciando di venire al lavoro o di ritornare a casa.
Poco importava.
Non rimpiangeva per niente la sua scelta “improvvisa”.
Dopo circa cinque minuti di “vagabondaggio” arrivò alla stazione del bus, fermandosi a fissare un volantino di un locale in affitto che sarebbe stato condiviso con altri due inquilini.
“221B di Baker Street…sembra interessante! Devo solamente far cambiare i soldi e posso presentarmi!” esclamò in un improvviso impeto di felicità, attirando l’attenzione dei curiosi, che la guardarono con disapprovazione.
Lei non ci badò e cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di una banca nei paraggi, che scovò quasi subito di fianco ad un’edicola dietro di sé.
“Scusi se la disturbo, signore: mi saprebbe indicare dov’è Baker Street?” chiese ad un uomo vicino a lei.
Era vestito con abiti piuttosto pesanti per quella stagione.
Un largo giubbotto blu scuro gli copriva la parte superiore del busto, facendolo somigliare all’omino della Michelin.
Indossava pantaloni, anche essi scuri, e scarponi da montagna, mentre un berretto nero gli copriva parte del viso.
“E’ dall’altra parte della città. Dovrà prendere l’autobus delle 15.25, signorina” le rispose non degnandola di uno sguardo.
“La…ringrazio” lo salutò Nami allontanandosi con passo svelto, dirigendosi verso la banca.
Quell’uomo era veramente strano, pensò voltandosi ancora una volta verso di lui, ma era già sparito nel nulla, facendole correre un piccolo brivido lungo la spina dorsale.
 
Cambiò i soldi in fretta e furia, per poi andare in un piccolo bar a prendere una tazza di caffè caldo durante l’attesa.
“Le 15.20. Spero solamente che le informazioni di quello sconosciuto fossero esatte…” mormorò sorseggiando un altro goccio di caffè bollente.
Aveva un effetto veramente rilassante su di lei. Le bastava sentire quel liquido scorrerle lungo la gola e già le si distendevano i nervi.
Si alzò dal tavolino lasciando i soldi per saldare il conto e si diresse verso la fermata del bus, dove già si vedeva il mezzo di trasporto fermarsi.
“Ho fatto la cosa giusta” si ripeté per l’ennesima volta, partendo per la sua prossima meta.
 
Dopo circa un quarto d’ora di viaggio, raggiunse la sua destinazione, chiedendo all’autista di fermarsi.
Doveva ammettere che nonostante gli sguardi freddi e impassibili, le persone londinesi erano cordiali e si senti un poco rincuorata, proseguendo con una nuova forza verso l’indirizzo che si era predisposta.
“Chissà che tipi sono i coinquilini…” pensò a voce alta, suonando il campanello della dimora.
 
221B faceva parte di un gruppo di case a schiera, semplice ma molto carina.
Il suo indirizzo in metallo color ottone “spiccava” sul legno verde scuro (quasi nero) della porta a forma d’arco, mentre una finestra la affiancava poco lontano.
 
“Oh, salve!” rispose calorosamente all’appello una donna sulla sessantina ma dall’aspetto abbastanza giovane.
Aveva corti capelli biondi e gli occhi scuri.
Portava un vestito lungo fino alle ginocchia con motivi floreali e uno scialle rosa chiaro a coprirgli le spalle e le braccia.
“Buongiorno, signora! Sono qui perché ho letto il suo annuncio!” ricambiò Nami con lo stesso tono.
“Sono molto contenta che sia qui! Ma venga dentro! Sarà molto stanca e infreddolita!” la invitò la signora facendosi da parte, mostrandole così, parte della casa.
A parte la soglia dell’ingresso, il pavimento era rivestito da una moquette abbastanza chiara, per poi estendersi fino al salotto, “arricchito” dal divano in pelle marrone, da un tavolino in legno e dalla libreria.
Poteva vedere anche le scale che davano al piano superiore.
“Ti posso dare del tu, mia cara?” domandò la signora chiudendo la porta alle sue spalle dopo che Nami fu entrata.
“Ma certo! Nessun problema!” rispose regalandole un sorriso.
“Come ti chiami?”
“Nami, signora! Piacere di conoscerla!” si presentò porgendole la mano.
“Mrs. Hudson! Il piacere è tutto mio!” ricambiò la stretta lei.
“Ascolta mia cara: Sherlock e il suo amico John non sono ancora tornati. Nel frattempo ti posso offrire una tazza di thè e informarti sull’affitto!” le propose Mrs. Hudson, lasciando per un attimo Nami sorpresa.
I suoi nuovi coinquilini erano due maschi…come potevano essere?
Antipatici? Cattivi? Drogati? Alcolizzati?
Quelle domande cominciarono a invadere la mente della ragazza, facendola rabbrividire ancora una volta, proprio come era successo con quello sconosciuto alla fermata del bus.
La Signora Hudson la spinse con delicatezza verso la scale che davano al piano superiore, dicendole di aspettare nel salotto sulla sinistra, mentre lei avrebbe preparato il thè e i biscotti.
 
Esegui senza dire una sola parola, per poi gironzolare per le varie stanze: salotto con vicina quella che faceva da cucina e soggiorno , tre camere da letto, di cui due occupate e un bagno abbastanza spazioso.
Non doveva preoccuparsi più di tanto, alla fine.
Dopo aver messo il trolley nella sua nuova stanza, ritornò al punto di partenza, aspettando Mrs. Hudson vicino alla finestra del salotto, che dava su un’altra strada poco trafficata e altre innumerevoli case.
“Eccomi Nami! Scusa se ti ho fatto attendere troppo!” la richiamò dai suoi pensieri la signora, entrando con un vassoio su cui erano poggiate due tazze di thè e un piattino con dentro qualche biscotto.
“Non si preoccupi! Ho avuto il tempo di ambientarmi un po’!” la perdonò Nami raggiungendola per aiutarla.
“Sei molto gentile, mia cara! Sono sicura che ti divertirai tantissimo assieme a Sherlock e John! Sono due bravi ragazzi! Avranno la tua età più o meno! Lavorano tantissimo in questo periodo! Hanno un caso da risolvere!” le spiegò la Hudson prendendo due sedie e mettendole accanto ad una delle due poltrone che “troneggiavano” per tutto la stanza.
Erano poste una di fronte all’altra. L’unica cosa che le divideva era il tavolino in legno scuro.
“Un caso?” chiese Nami in cerca di spiegazioni, che non tardarono ad arrivare.
“Ma certo! Sherlock fa in consulente investigativo, mentre John fa l’infermiere, anche se aiuta molto Sherlock nel lavoro. Ma dimmi di te! Hai viaggiato molto per arrivare sino a qui?”
“Beh…sì…vengo da New York, Brooklyn”- disse Nami con una nota di malinconia e delusione nella voce- “Ho voluto cambiare vita perché…perché…non me ne va di parlare…mi dispiace molto”
“Oh, piccola mia! Non ti devi scusare! Vedrai che stando qui ti cambierai la vita in meglio, te lo assicuro!” la rassicurò Mrs. Hudson poggiando il thè sul tavolo, avvolgendole le spalle con un braccio, regalandole un abbraccio caldo e un po’materno.
Nami credette alle sue parole e si lasciò “coccolare” dalla gentile signora, sorseggiando il suo thè mentre la Hudson parlò di alcune delle mirabolanti avventure di Sherlock e John e dell’affitto che sarebbe stato condiviso in futuro con i due ragazzi…
 
 
Quando rientrarono a casa erano le 18.03 e Sherlock si rese conto da subito che c’era una “nuova presenza” al piano di sopra. Una…donna…
Era confermato dal fatto che non aveva mai sentito la Signora Hudson canticchiare allegramente, andando su e giù per i due piani della dimora, inoltre si sentiva un lieve profumo maschile mischiato ad un’altra fragranza più forte, molto dolce.
Era sicuramente di una ragazza.
“Mrs. Hudson! La vedo di buon umore, stasera!” osservò John salutandola.
“Eccome se lo sono! Finalmente non sarò più l’unica donna che abiterà in questa casa!” esclamò in risposta al settimo cielo, fermandosi di fronte a loro.
“Unica…donna? Credo di non capire…” disse con una nota di incertezza John, facendo roteare gli occhi al cielo a Sherlock.
“John. Abbiamo una nuova coinquilina. Per di più è giovane” gli spiegò con fare saccente, provocando un moto di interessamento al suo amico.
“Sherlock ha ragione!” gli diede man forte Mrs. Hudson.
Come volevasi dimostrare.
Nulla era mistero per l’infallibile Sherlock Holmes!
Anche se non lo dimostrava apertamente, si sentiva “onnipotente” quando spiegava le sue deduzioni: aveva un’intelligenza superiore agli altri, come affermava lui.
La sua mente non smetteva di elaborare informazioni un solo minuto, a detta sua, dando così un grande contributo a Scotland Yard nei casi difficili.
Era un ragazzo giovane, alto e magro.
I suoi capelli ricci gli davano un’aria sbarazzina, messi in contrasto dai suoi occhi color ghiaccio e dalla sua pelle nivea.
Vestiva con un completo scuro elegante, tenendo la camicia aperta sui primi due bottoni superiori.
Il tutto era accompagnato da una sciarpa azzurro scuro e un cappotto lungo, indossati quando usciva per lavoro.
John Hamish Watson era più basso di Holmes e aveva un fisico piuttosto muscoloso.
In confronto al suo amico, aveva una “mente normale”, ma abbastanza intelligente, secondo il parere di Sherlock.
Aveva capelli biondi e occhi azzurri.
Vestiva in modo semplice e un po’sportivo per comodità.
 
“Q-quindi hanno accettato la sua offerta…Mrs. Hudson?” chiese ancora per assicurarsi che fosse tutto vero.
“Ma certo che sì!” sbottò spazientita, agitando la mano in un moto di stizza.
“Inoltre sta uscendo dalla sua camera proprio ora, John. Avrà appena finito di farsi la doccia” osservò Sherlock, cominciando a salire le scale verso il piano superiore.
“E- e tu come lo sai, Sherlock?” gli domandò Watson.
Anche se ci era abituato, certe volte non poteva fare a meno di sorprendersi un poco per le sue brillanti deduzioni.
Lo lasciavano a bocca parte tutte le volte.
“E’ piovuto fino a poco tempo fa, John. Non aveva l’ombrello e si è bagnata. Elementare” ribatté con fare ovvio, non degnandolo di uno sguardo, entrando nel salotto del piano superiore senza aspettare l’amico e la signora.
“Ma come lo sai?” domandò con fare insistente, raggiungendolo.
“Il pavimento all’ingresso presenta impronte di scarpe da ginnastica e gocce intorno ad esse, ma non c’è traccia di gocce che tralascerebbero gli ombrelli tenuti in mano o di fianco o davanti, inoltre, parte dello scialle della Signora Hudson è ancora umido. Si sarebbe potuto asciugare, ma non tenendolo steso si asciuga in molto più tempo” spiegò Sherlock togliendosi la sciarpa e il cappotto, poggiandoli sull’attaccapanni, seguito a ruota da John.
“Incredibile, dico…”
“Oh, mia cara! Entra pure, così ti presenterai ai tuoi coinquilini!”.
Mrs. Hudson interruppe il commento adulatorio di John, richiamando così l’attenzione di tutti e due sulla figura ferma sullo stipite della porta.
 
Si era fatta una bella doccia rilassante e si era cambiata gli abiti, indossando dei pantaloncini corti fino a metà coscia e un top sportivo a maniche lunghe, che le lasciava scoperti la spalla sinistra e parte della sua pancia piatta.
Osservò i due ragazzi con un po’di timore, cercando però, di non darlo a vedere.
Era abbastanza orgogliosa, anche se certe volte dimostrava il contrario, facendosi proteggere dagli altri quando aveva paura.
Era una delle sue caratteristiche: sfrutta gli altri e vivrai ancora un po’.
 
“Così tu devi essere Nami” ruppe il ghiaccio con una delle sue deduzioni Sherlock, lasciandola sorpresa, dandosi della stupida subito dopo: avrà letto il nome sulla collana che mi ha regalato Nojiko in passato.
Pensò avvicinandosi un poco verso di loro.
“Esatto! Tu devi essere Sherlock!” rispose a sua volta, sorridendo mestamente.
“Sherlock…c-come hai fatto a scoprire il suo nome? Mrs. Hudson non l’ha mai detto…” osservò John con fare pensieroso, volgendo prima un’occhiata al suo amico e poi alla giovine che stava ferma di fronte a loro.
“L’ha letto sul mio ciondolo” Nami precedette il consulente detective, mostrando a John l’oggetto preso in questione.
“Wow! A quanto vedo esistono anche persone che sono in grado di pensare prima di parlare!” si complimentò Sherlock guardandola dritto negli occhi, mettendola in soggezione.
La ragazza non riusciva a capire cosa provasse in quel momento il detective: se ammirazione o disprezzo.
“Sherlock, smettila” lo rimproverò debolmente John, massaggiandosi le tempie.
Non voleva sorbirsi altre sue deduzioni con lo scopo di far scappare quella ragazza in meno di due secondi.
Almeno per quella volta poteva contenersi, cercando di essere educato e cortese.
Cosa che invece non accadde.
“Hai accento americano, però sono della idea che tu sia di New York. Ti piacciono le girandole e i mandarini, ma questo era più che comprensibile dal tuo tatuaggio sul braccio sinistro, ma deve essere per forza legato alla tua infanzia assieme alla tua famiglia, soprattutto con tua sorella. Infatti indossi ancora, dopo molto tempo, la collana che ti ha regalato.
Sei voluta diventare indipendente e trovarti un lavoro, infatti, facevi la giornalista e ti davi molto da fare, anche se quel lavoro non ti piaceva: lo si capisce dalle tue mani, inoltre, continui ad infilare la mano nella tasca posteriore dei pantaloni, quasi cercassi il tuo taccuino degli appunti.
Sei partita ieri notte in fretta e furia, dopo aver avuto rapporti sessuali (hai un succhiotto sul collo). Potrebbe essere stato il tipico incontro da una botta e via, ma io non credo, altrimenti avresti sopportato tutto, persino il tuo lavoro deludente.
Avevi un fidanzato possessivo e che ti costringeva a fare ciò che lui voleva, stando zitta e buona.
Ed è così, che hai voluto rischiare: partendo verso una nuova città, prendendo i vestiti che ti sono capitati in mano e l’ultimo tuo stipendio. Ho dimenticato qualcosa?” disse tutto d’un fiato il consulente, lasciando tutti a bocca aperta, soprattutto Nami.
Sherlock la considerava come una piccola vendetta per averle rubato le parole di bocca poco tempo prima, inoltre, voleva scoprire di più sul suo comportamento.
Non che provava una certa attrazione nei suoi confronti. Voleva solamente sapere la sua reazione e sapere se sarebbe scappata a gambe levate, lanciandogli insulti coloriti.
La ragazza boccheggiò due o tre volte, per poi stringere i pugni con talmente forza da farsi sbiancare le nocche.
Di certo non bastava quel detective da strapazzo per farle cambiare idea: aveva sopportato di peggio, persino umiliazioni veramente sfiancanti.
“E’…stata la più bella presentazione che abbia mai sentito…ti sei mostrato per ciò che realmente sei: un uomo che si crede chissà chi, facendosi vedere il re del mondo intero con delle stupide deduzioni del cavolo. Hai sbagliato solamente una cosa: intrometterti nei miei affari.
La prossima volta…vedi di farti i cazzi tuoi, detective dei miei stivali” ribatté con tono acido, uscendo dalla stanza per andare in camera sua, sbattendo violentemente la porta.
 
Nel salotto calò un silenzio di tomba, rotto solamente dai sospiri di John e Mrs. Hudson.
“Hai esagerato” disse John guardandolo con rimprovero.
Aveva superato davvero il limite, quella volta.
“Non posso essere che d’accordo!” rincarò la dose la Signora Hudson, sbattendo il piede a terra in un moto di stizza e delusione.
“Ho solamente detto ciò che pensavo, o meglio, la verità” si difese senza battere ciglio Sherlock.
Aveva avuto una bella lezione! Mai interromperlo quando stava per parlare, rubandogli le parole di bocca.
“Sherlock! Tu lo hai fatto per vendicarti! D’accordo! Come ha detto Nami ti vuoi credere il re del mondo. Sempre. Ma hai superato il limite! Voglio che tu le chieda scusa!”
“Se l’è meritato”
“Piantala di essere così egoista! La conosci da nemmeno cinque minuti e già la tratti come un cane!”
“Non hai capito ciò che ho detto poco fa? Ti ridevo dire la storia della sua vita, scrivendoti pure il libro? John! Usa il cervello!”
“Chiedile. Scusa. Non lo ripeterò un’altra volta!” e detto questo, se ne andò dalla stanza e dalla casa, andando a farsi un giro per le vie della città.
Doveva schiarirsi le idee e far pentire Sherlock di ciò che aveva detto.
Di sicuro non avrebbe funzionato, perché Sherlock non provava sentimenti, a detta sua.
Forse aveva ragione.
Per l’ennesima volta.
Per l’ennesima, maledettissima, volta.




Angolo di Alyce: Salve a tutti!
Ok, questa è una delle tante idee malsane che mi sono passate per la testa.
Ho deciso di "affidare" Nami nelle mani del grandissimo Shelrock Holmes e del suo caro amico John Watson!
Ci sarà da divertirsi!
Ad una prima occhiata, Nami e Sherlock hanno subito dato giudizi senza nemmeno conoscersi.
E al povero John tocca rimediare.
Bisognerebbe fargli un monumento per la sua infinita pazienza.
Non ho nient'altro da aggiungere.
Ci si legge al prossimo capitolo!
Buonanotte a tutti!
Alyce :)
  
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