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Autore: visbs88    12/07/2014    6 recensioni
Caroline aveva trovato un nome ai propri fantasmi: li chiamava “ombre di ghiaccio”.
Un delitto, bugie, intrighi, orrori: al suo ritorno a New York da un viaggio in Europa durato un anno, una giovane critica d'arte dovrà affrontare ricordi del passato e violenze del presente, mentre i suoi spettri si agitano e accolgono tra loro nuovi compagni pronti a distruggerla.
E lei non è mai stata forte.
[Scritta per il contest Giallo a scelta multipla indetto da Faejer sul forum di Efp]
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Contest: Giallo a scelta multipla indetto da Faejer sul forum di Efp.

Note: la storia si svilupperà secondo le linee del contest a turni a cui partecipa; colgo l'occasione per ringraziare la giudice, che sono certa farà un ottimo lavoro e che mi ha permesso di concepire questo piccolo progetto, sebbene io non nutra grandi speranze per il risultato finale. ^^' Il rating potrebbe salire più avanti, mentre dubito che la lunghezza dei capitoli sarà mai eccessiva, anzi; spero che ciò non vi infastidisca e che possiate apprezzare almeno questo prologo. Grazie in anticipo a chiunque passerà a dare un'occhiata e buona lettura ^^

 

 

 

Frozen Shadows

 

 

 

1. In the sun

 

Caroline aveva trovato un nome ai propri fantasmi: li chiamava “ombre di ghiaccio”.

Pensava fosse una definizione poetica, terribile e perfetta. Non che fosse una sua invenzione: il destino le aveva donato una sensibilità all'arte e alla bellezza fuori dal comune, ma le aveva negato l'abilità di crearle, perlomeno nei modi in cui avrebbe desiderato farlo.

Era stato in una mostra a Parigi che aveva trovato quel connubio di parole che l'aveva colpita così a fondo, risvegliando i recessi più remoti della sua anima. Era stato il quadro di un emergente pittore francese: “Come ombre ghiacciate nella pioggia”, il titolo dell'opera. Senza di esso, il dipinto forse non avrebbe suscitato il suo interesse; ma, oh, quelle vaghe figure umane, perse in un diluvio di pennellate dai colori del gelo e dell'acqua chiarissima, sullo sfondo blu della neve livida e del cielo al crepuscolo... ombre ghiacciate nella pioggia, e una scheggia si era fatta strada nel suo cuore, come il frammento di specchio della Regina delle Nevi nello spirito del piccolo Kai.*

Così, anche in quella splendida giornata di sole estivo, i cui raggi si riflettevano mille e mille volte sui grattacieli di Manhattan, il ghiaccio era al centro dei suoi pensieri.

Perché un'ultima ombra si era aggiunta di recente alle più vecchie – ed era già puro cristallo, acuminato, doloroso e brillante.

Caroline piangeva lacrime fredde che scendevano lente sulle sue guance arrossate dal caldo dei primi di agosto. Avrebbe voluto smettere: per questo camminava senza meta, in mezzo alla folla degli abitanti di New York mescolati ai turisti, in mezzo a mille colori, mille lingue e mille volti. Cercava nel caos un sollievo che la distraesse, qualcosa di bello e di familiare, qualcosa di magico da guardare come se fosse la prima volta, come se in quella città non fosse cresciuta e vissuta durante l'intero corso della propria vita, fatta eccezione per l'ultimo anno.

Il vetro e l'acciaio, gli eleganti uomini d'affari e i venditori ambulanti di hot dog, Harlem, Little Italy e Chinatown non avevano avuto né il tempo né lo spazio di mancarle, mentre viaggiava nella lontana Europa; li aveva allontanati del tutto dalla propria mente per fare spazio alle meraviglie di un mondo per lei del tutto nuovo, per lasciare che la sua sensibilità non fosse offuscata da ricordi o confronti. Adesso, tra il cemento, i taxi e gli odori, le costruzioni surreali di Gaudì a Barcellona, il pittoresco porto di Nyhavn a Copenaghen e l'imponenza del Colosseo di Roma sembravano terribilmente lontani e sfuocati – come se li avesse visti solo in qualche foto, in un album sfogliato senza nemmeno troppo interesse. Tutto questo malgrado l'arte acclamata, celebrata e famosa in tutto il mondo l'avesse estasiata, senza alcun dubbio, sfavillando di fronte a lei dopo essere stata studiata con tanta cura su libri illustrati e precisi; anche l'arte novella non l'aveva certo lasciata indifferente, poiché il panorama in apparenza desolato dei nuovi geni doveva essere solo scrutato con maggiore attenzione per diventare più ricco di quello che le aspettative di molti si figuravano. Infine, e per questo Caroline piangeva, l'arte più pura l'aveva sedotta, annichilita e abbattuta. Dove sperare di trovarla, se non nelle spiagge bianchissime della madre più feconda di ogni bellezza, se non nel mare più scintillante che tanti eroi erranti avevano solcato, se non nelle isole verdi della Grecia?

 

Il suo nome rimandava al guerriero più forte, alla perfezione più alta, alla gloria più eterna; i suoi capelli non erano la chioma d'oro decantata nell'Iliade, ma ricci neri come nei dipinti lucidi sui vasi di terracotta modellati e decorati dagli artigiani di quei tempi lontani; nei suoi occhi, il blu delle onde che portarono la grande flotta alle porte di Troia. Sul volto abbronzato dal sole ridente un sorriso più candido del marmo delle statue l'aveva lusingata e ammaliata come il fascino di Ulisse aveva stregato Circe, Calipso e Nausicaa.

L'amore era stato romantico, profondo, intenso; la passione e la dolcezza si erano intrecciate sotto i cieli che avevano visto amanti Enea e Didone.

Caroline non avrebbe mai avuto l'ardire di paragonarsi davvero alle dee, alle ninfe, alla tormentata regina di Cartagine, ma di quest'ultima ormai poteva quantomeno intuire i sentimenti con un senso di sorellanza e affinità molto più bruciante che in passato.

Tutto aveva avuto l'aspetto di un poema d'altri tempi, nella poesia di ogni parola, di ogni gesto, di ogni sguardo. Ma Caroline viveva nel presente, con i suoi problemi e i suoi ostacoli pungenti, insormontabili.

Del Pelide immortale lui aveva ereditato anche la caparbietà e i capricci; lei aveva un lavoro da seguire, fiutare, rincorrere lontano ovunque fosse necessario, insieme ad una casa a cui tornare, alla fine di tutto. Le richieste e le preghiere di accompagnarla servirono solo ad irritarlo, le lacrime furono inutili. Per rinnegare quei progetti messi a punto con cura tanto minuziosa e che la sua mente non poteva vedere sconvolti, Caroline non era stata abbastanza forte; la sua indole era di quelle che seguivano le correnti senza mai deviare, non per determinazione, ma per inerzia, per debolezza, per una pigrizia e una codardia dell'anima che nemmeno quella volta aveva saputo combattere.

Forse, se lui non fosse stato altrettanto egoista e meno radicato nella sua oasi di pace, la storia sarebbe continuata anche nelle vie di Brooklyn e del Queens, ma si interruppe con un volo verso Vienna.

 

Ormai quel viso lontano era un'ombra di ghiaccio perfetta, striata di rimpianto e scheggiata di rimprovero. Ombra perché lontano, scuro, sfuggente; ghiaccio perché doloroso e freddo. Come tutti.

Central Park verdeggiava sotto ai suoi piedi mentre Caroline continuava a camminare. C'era solo una differenza tra lui e gli altri: graffiava, mentre il resto era oblio. Il gelo, alla lunga, non brucia più; quando il dolore è troppo, la pelle smette di sentire e si consuma in silenzio.

La nostalgia e i dubbi erano più intensi, ora che la culla dei luoghi natii l'aveva riaccolta lasciandole lo spazio di pensare a ciò che non fosse un albergo da trovare, un monumento da visitare, una mostra a cui recarsi per lavoro.

Questo pensiero le ricordò Rosaline. La riportò al sicuro sulla spiaggia dopo il suo essersi smarrita tra i flutti, sussurrandole di lasciare entrare l'estate nel suo cuore come la città le suggeriva con i suoi turisti sgargianti e i gelati variopinti. Tra le ombre di ghiaccio, Rosaline era l'ultimo raggio tiepido che rimaneva. Caroline e ogni sua certezza si erano sempre aggrappate a lei, e viceversa. In ogni momento buio, in ogni respiro, in ogni giornata vissuta insieme, fianco a fianco, sempre unite, perché il cielo le aveva volute così: gemelle dagli identici tratti e dagli identici sentimenti, con mani fatte per incastrarsi le une nelle altre senza nessun ostacolo o difetto.

Quando tanti dei loro amici erano andati incontro a destini strani e orribili, senza la possibilità di tornare indietro; quando voci attonite e mormorii incerti avevano bisbigliato l'ipotesi atroce che Sean, il brillante della classe, scomparso nel nulla, ora uccidesse per lavoro; quando tutti gli altri spiriti gelidi nel passato si erano persi nei vicoli più malsani del Bronx, vendendo la droga e le notti, le sorelle così legate a quei compagni di vita avevano resistito insieme non come rami simmetrici di un albero comune, ma come un unico tronco, tenace solo finché completo.

Rosaline, il lavoro, Rosaline e il suo caldo abbraccio: le ultime lacrime caddero sull'asfalto mentre riusciva a concentrarsi sul fatto che l'altra parte di sé, la sua metà – la sua metà più vera e inconfutabile – stava per sorriderle di nuovo, gli occhi pieni di tenero affetto che sarebbero stati specchio perfetto dei suoi. Non aveva voluto andare a casa prima di aver domato e sopito l'ansia e lo sgomento causati dalle memorie, che l'avevano assalita non appena i suoi piedi avevano toccato il pavimento dell'aeroporto JFK, lo stesso che l'aveva vista partire un anno prima. Non aveva voluto turbare un animo fragile quanto il suo, perché il rischio di cadere insieme, come un castello di carte colpito dal soffio di un respiro, esisteva. Avevano accettato l'addio solo sapendo di potersi scrivere, guardare, parlare, quasi sfiorare attraverso schermi e computer, in ogni istante libero, in ogni attimo delle giornate più tempestose. Quando Caroline le aveva raccontato delle proprie pene d'amore, Rosaline aveva iniziato a soffrire, perché condividevano lo stesso cuore e la stessa debolezza. Caroline non avrebbe mai sopportato di farla piangere in un momento di gioia, solo perché lei non era riuscita a frenare il proprio turbamento.

Nei momenti in cui erano state lontane come mai prima, si erano spesso fissate negli occhi grazie alle webcam, in silenzio, per poi allungare le dita l'una verso l'altra e tentare di far coincidere le loro mani, anche solo poggiandole su quel misero pezzo di vetro e plastica, che diventava appena un po' più caldo. La loro dolce e magnetica complicità non era venuta meno malgrado mille onde e mille città a tentare di frapporsi in quel legame indissolubile; avevano continuato a lavorare insieme, senza spezzare il loro prezioso equilibrio.

Critiche d'arte dal sottile intelletto e dal gusto squisito, visitavano, studiavano e scrivevano per pubblicare su articoli e giornali dedicati alla loro passione, alla cultura. L'inizio non era stato difficile come avevano pensato: la fortuna aveva eletto loro a proprie predilette, in mezzo a tutte le persone con cui erano cresciute. La via dell'affermazione e della fama cominciava a delinearsi sempre più nitida di fronte a loro, ancora giovani e fresche, un nastro d'argento che scintillava di speranza e attorno al quale stringevano le loro dita sottili: non troppo piano, per paura di smarrirlo, non troppo forte, nel timore che si spezzasse. Si erano accorte che la sua linea non era retta, ma piena di curve, e arrivava lontano: per seguirla fino in fondo, quindi, lontano era dove occorreva andare. Avevano fatto un patto tra loro, con se stesse e con la via di seta che le guidava: prima la loro terra, insieme, con cura, per tutto il tempo necessario; poi, per un anno ogni volta, Caroline l'Europa, Rosaline l'Asia, Caroline l'Africa, Rosaline l'America del Sud. Questi i luoghi in cui le avrebbe condotte quella strada sinuosa e impalpabile. Una doveva rimanere a New York, a curare e osservare l'arte di origine, per non perderla mai di vista; l'altra volare a scoprire i misteri dei mondi che più l'attiravano, a rendere più ricchi di colori gli articoli che proponevano. Una scriveva, l'altra leggeva e sognava, correggeva, domandava, suggeriva; amavano insieme, sentimenti all'unisono, menti collegate, amiche, colleghe, gemelle.

 

Rosaline l'aspettava, forse la stava facendo preoccupare: il suo vagare in città non era stato previsto, era in ritardo. Doveva tornare all'aeroporto a recuperare i bagagli e andare da lei. Lasciare che una spremuta d'arancia bevuta insieme sedute alla finestra alleviasse le pene per l'ombra di ghiaccio. Dormire sotto le stesse lenzuola, come quando erano bambine, fronte contro fronte, niente di più. Recuperare ogni singolo attimo di un anno in quei due mesi prima della partenza di lei, quando sarebbe toccato a Caroline attendere e pazientare immaginando le pagode e i ciliegi.

Abbracciarla e lasciarsi scaldare.

 

 

 

 

 

 

*La fiaba ufficiale di Andersen parla dello specchio di un troll malvagio, ma ci sono varianti in cui lo specchio è della Regina da cui il racconto prende il nome; concedetemi la licenza poetica di riferirmi a queste ultime.

 

Nota finale: la città di New York in cui è ambientata la storia, la professione di critica d'arte della protagonista e la stagione estiva in cui svolgere le vicende sono gli elementi che ho trovato nel pacchetto “Giallo” del contest.

   
 
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