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Autore: Tigre Rossa    12/07/2014    2 recensioni
"Il giovane sospirò e si passò una mano sugli occhi.
Quanto avrebbe desiderato avere un po’ di luce.
Gli sarebbe bastato il fievole bagliore della stella più piccola e lontana.
Era tutto ciò che desiderava.
Solo un po’ di luce.
Quel poco che bastava per illuminare l’oscurità in cui viveva da quando, due settimane prima, si era risvegliato senza ricordare nulla di sé stesso e del proprio passato.
Già, lui non ricordava più nulla.
Assolutamente nulla.
Della tartaruga una volta chiamata Leonardo non restava che una creatura sperduta e senza memoria, una creatura facile da ingannare e da manovrare.
Un creatura che, pian piano, avrebbe smarrito sé stessa e la propria luce."
Leonardo ha perso la memoria e non ricorda più nulla di sè o del proprio passato, così Shredder decide di approfittarne e lo trasforma in uno dei suoi più fidati ninja. Ma Splinter, Raffaello, Michelangelo, Donatello, April, Casey e il resto della banda faranno di tutto per riavere indietro il loro leader, il quale dovrà combattere la più dura delle battaglie: quella della ricerca della verità.
Universo 2003
Genere: Azione, Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Karai, Leonardo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Shredder/Shrell/ Oroku Saki, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Quando l’oscurità inghiotte la luce
 


Frammenti
 
 
 


 
“ Andatevene . . . vi prego, andatevene . . . andatevene! No, No! No!”
 
Leonardo si svegliò di soprassalto, gridando con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre il suo cuore batteva così forte e così velocemente che sembrava voler esaurire in quel breve momento tutti i battiti disponibili per una vita intera.
 
Spaventato, il mutante si guardò attorno senza veramente vedere ciò che lo circondava e poi si accasciò contro il muro della sua stanza, cercando di riprendere fiato e, soprattutto, di calmarsi.
Lentamente, man mano che il battito del suo cuore si attenuava, egli chiuse gli occhi, tentando disperatamente di trattenere frammenti di quel sogno, anzi, di quel incubo che lo tormentava.
 
Per quanto gli infondesse nell’anima un intenso sentimento di paura e ansia, infatti, il giovane non riusciva mai a ricordare molto una volta sveglio e così, nei fragili momenti che separavano la consapevolezza del risveglio dal regno dei sogni, cercava di trattenere tutto ciò che poteva.
Era convinto, infatti, che quell’incubo ricorrente fosse una tessera misteriosa ma essenziale per ricostruire lo strano puzzle che era diventato il suo passato. O almeno, lo sperava. Dopotutto, era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi, in quel momento.
Fino ad allora, però, era riuscito ad afferrare ben poco: il freddo di una serata autunnale, il suono di una risata allegra, la consapevolezza di essere inseguito, il luccichio di un raggio di luna sulla lama affilata di una spada, un dolore intenso proprio nella zona offesa della sua spalla destra, un grande senso di preoccupazione e d’urgenza, e ora . . . ora un’altra immagine confusa.
 
La tartaruga strinse gli occhi con più forza, cercando di concentrarsi e di mettere a fuoco quel frammento di immagine.
Un arma, ecco cos’era. Un arma strana, inusuale, ma . . . familiare, in qualche modo.
Somigliava . . . somigliava a una specie di pugnale, si. Era un pugnale, ma era uno strano tipo di pugnale. Aveva tre lame, una centrale più lunga, due, lievemente curve, laterali, e un lungo manico fasciato di rosso. Aveva un suo nome, quel pugnale . . . un nome preciso, specifico . . .
Sai pensò a un certo punto il mutante Quell’arma è un Sai.
Si sentì stupito e un po’ confuso da quel suo pensiero. Come sapeva il nome di quell’arma? Come faceva a essere così certo del nome di un oggetto mai visto prima d’allora, un pugnale visto in un sogno?
E poi, cosa centrava un Sai, un tipo di arma antico e ormai superato, in quel suo sogno e con il suo passato?
 
Non riusciva a capirlo, come per la maggior parte delle cose che salvava dal suo incubo, tra l’altro. Quasi nessuna confermava la storia che gli aveva raccontato Karai su come era stato trovato e raccolto dal Caln del Piede. Forse solo la consapevolezza di essere inseguito. Ma il resto? No, non lo capiva affatto.
E poi c’era quella preoccupazione, quell’urgenza, quell’ansia così forti e travolgenti . . . non riusciva a togliersi dalla mente la certezza che quei sentimenti non erano per lui o la sua situazione, no . . . erano per qualcos’altro. Qualcun’altro. Ma chi? Chi?
 
Leonardo sospirò, scoraggiato, aprì gli occhi e guardò fuori dalla finestra.
Doveva essersi addormentato mentre guardava il cielo, come al solito. Ed a giudicare dalla luce doveva aver ‘riposato’per circa un paio d’ore, non di più. Erano probabilmente le sei di mattina, giudicò osservando il sole che sorgeva piano.
Erano da due settimane che dormiva due, tre, quattro ore al massimo e poi si svegliava. Non gli serviva molto sonno. Probabilmente era un tipo mattiniero, prima di tutto questo.
 
Il mutante si guardò le mani.
Prima di tutto questo.
Cos’era lui, prima di tutto questo? Chi era? Cosa faceva? Com’era la sua vita? Aveva amici, una famiglia a cui tornare? Cosa gli era successo?
Non sapeva darsi alcuna risposta, benché la cercasse senza mai stancarsi.
I medici avevano detto che la sua era un tipo di amnesia completa, difficile da combattere, e che non poteva far altro che aspettare e di fidarsi di chi gli stava accanto.
Ma lui non riusciva ad accettarlo.
 
Come poteva una vita, un’intera esistenza, cancellarsi così, tutta d’un tratto, senza lasciare alcun ricordo a chi l’aveva vissuta?
Come poteva qualcuno trovarsi di punto in bianco senza più un passato, un posto dove stare, dei visi conosciuti, dei semplici ricordi a cui aggrapparsi la notte?
Come poteva qualcuno dimenticare per sempre ciò che era e che era stato?
Come poteva?
 
La tartaruga si prese la testa tra le mani, mentre la sua mente tornava ai fatti avvenuti due settimane prima, gli unici che riusciva a ricordare.
 
La prima cosa che ricordava era che si era svegliato legato su un lettino di ferro, circondato da strani individui, e che si era fatto prendere dall’agitazione. Beh, chi non si sarebbe fatto prendere dall’agitazione, svegliandosi legato da pesanti cinghie e circondato da persone sconosciute con in mano strani attrezzi medici e scientifici?
 
Aveva fatto la prima cosa che gli era venuta in mente, quella che l’istinto gli aveva suggerito.
Fingendosi ancora confuso e senza forze, aveva cercato di aprire le cinghie che gli tenevano ferme la mano destra e, una volta liberato l’arto, aveva approfittato di un momento di distrazione di uno dei tizi a lui più vicini, aveva afferrato un piccolo coltello che spuntava da una delle sue tasche, aveva velocemente tagliato le altre cinghie e, quando gli uomini avevano cercato di fermarlo, aveva combattuto.
Non sapeva neanche lui perché o come ciò fosse successo, ma gli era venuto così naturale, così istantaneo . . . sembrava quasi che fosse nella sua natura combattere. Che lui fosse nato per combattere.
Poco dopo, era apparsa una giovane ragazza dai corti capelli neri e dagli occhi verdi come la giada.
L’aveva attaccato e lui aveva risposto, un po’ sorpreso dal fatto di riconoscere alcune delle complicate mosse che la giovane utilizzava. Era forte ed aveva autorità. Probabilmente era lei il capo, lì. Le aveva urlato ‘Chi sei? Dove sono?’ e lei era sembrata per un attimo sorpresa dalle sue domande.
 
Lui non era riuscito a sostenere a lungo lo scontro. Non solo perché il suo corpo era ricoperto da molte ferite e la spalla destra era ridotta in condizioni pietose, ma anche perché era ancora molto indebolito e rallentato, probabilmente dall’effetto di un sonnifero.
Era bastato un secondo di distrazione, ed ecco che quella ragazza, approfittando di tutto ciò, gli aveva piantato nella spalla sinistra una siringa piena di una qualche strana sostanza che gli aveva fatto perdere i sensi.
 
Quando si era nuovamente svegliato, si era ritrovato nella piccola stanza che successivamente sarebbe diventata il suo alloggio. Era stato nuovamente legato, ma non era più circondato dagli uomini con gli attrezzi dall’aria letale. Era solo. O quasi.
Di fronte a lui, infatti, c’era la ragazza dagli occhi verdi.
 
Il suo primo istinto era stato di tentare di attaccarla, ma la sostanza che gli aveva iniettato lo rendeva debole e le cinghie con cui era stato legato stavolta erano molto più forti e strette delle precedenti.
Così era stato costretto a rimanere immobile ed a ripeterle le domande che le aveva fatto già prima. “Chi sei tu?” le aveva chiesto, infatti, con la voce ancora un po’ impiastrata “Dove sono? Perché . . . perché mi hai portato qui?”.
La donna, allora, aveva incrociato  le braccia e aveva risposto piano “Il mio nome è Karai e sono la seconda in comando del Clan dei Ninja del Piede. Ma dimmi . . . tu chi sei?”.
Il mutante era rimasto stupito da quella domanda, e ancora di più dal rendersi conto che non sapeva rispondere.
“Io . . . io non lo so . . .” aveva mormorato confuso “Non ricordo . . . “.
Lei lo aveva scrutato “Sai dirmi ciò che ti ricordi prima del tuo risveglio qui?” aveva insistito.
Aveva tentato di spremersi le meningi, di ricordare qualcosa, ma era impossibile. La sua mente era come una lavagna che un professore frettoloso aveva cancellato troppo presto e senza aspettare che l’alunno finisse di copiare ciò che c’era scritto sopra.
“Io . . . io non ricordo  . . . non ricordo nulla . . . perché non ricordo? Cosa mi è successo?” aveva detto ancora più confuso e stupito.
La giovane, allora, aveva fatto un piccolo sospiro, si era seduta su una sedia che prima non aveva notato e aveva iniziato a parlare, anche se sembrava che ogni singola sillaba le costasse un’enorme fatica.
 
Il Clan dei Ninja del Piede, aveva raccontato la ragazza, era un’antica organizzazioni di guerrieri di New York ma originaria del Giappone guidata da un grande e nobile maestro ninja, Oroku Saki.
Il Clan, fin dalla propria fondazione, era un ordine di ninja votato alla giustizia e da sempre in lotta contro la malvagità, la criminalità e il male, e da qualche tempo era anche entrato in contatto con alcune cavie della crudele ed avventata mutazione genetica esercitata da alcuni –molti, a dire il vero,-  laboratori dello Stato.
A volte queste cavie erano semplici umani raccolti per strada o rapiti dalle proprie case o dai loro posti di lavoro e poi modificati geneticamente, ma più spesso erano animali di varie specie e caratteristiche, che venivano sottoposti agli esperimenti più crudeli e pericolosi senza alcuna pietà. Da quando avevano scoperto tale cavia, i ninja del piede gli avevano sempre offerto il loro sostegno e aiuto e avevano tentato di ostacolare la mutazione genetica ad ogni costo.
Il più grande laboratorio, contro il quale stavano cercando di combattere e dal quale provenivano i mutanti più provati e malvagiamente trattati, era il laboratorio dell’agente Bishop, un agente dell’FBI crudele e senza pietà.
Proprio lì, lei e un gruppo dei suoi ninja l’aveva trovato steso a terra in stato d’incoscienza mentre cercavano d’entrare senza essere notati nell’edificio, due giorni prima.
Era stremato e pieno di ferite, alcune delle quali abbastanza profonde e gravi.
Non gli era servito molto per capire che doveva essere uno dei mutanti di Bishop scappato per miracolo dalla propria gabbia, e, impietositi dalle sue condizioni, l’avevano raccolto e portato al loro quartier generale.
 
Lui era rimasto incosciente a lungo, e i dottori del Clan avevano si erano messi a studiarlo per poter poi curare le sue ferite, tenendolo ben legato in caso si fosse risvegliato e dimostrato pericoloso.
Dopo alcuni test che avevano confermato che la sua forma originale fosse non quella di un umano, bensì quella di una tartaruga, avevano curato le sue ferite con attenzione.
Il problema più grave in questo ambito si era dimostrato, oltre la spalla destra il cui muscolo era stato quasi del tutto tagliato, una ferita alla testa.
I medici avevano supposto che, quando era riuscito a fuggire, gli addetti alla sicurezza del laboratorio avevano tentato di fermarlo e uno aveva avuto una mira così pessima che il coltello che gli aveva lanciato contro gli aveva appena sfiorato la testa. Ma questo era bastato ad aprire quella grande ferita.
E proprio quella ferita aperta e sanguinante era la causa della sua perdita di memoria.
 
Infatti i medici, dopo aver esaminato la ferita ed ascoltato il racconto dei ninja che l’avevano trovato, avevano supposto che, una volta lontano dalle guardie armate, lui poteva aver perso i sensi e sbattuto proprio con la parte della testa ferita contro il marciapiede, causando così una grave amnesia. Le loro erano solo supposizioni, semplici ipotesi causate dalla gravità della ferita, ma ne avevano informato Karai, la quale aveva notato lo sguardo ‘sperduto’, aveva detto proprio così, del mutante durante il loro breve combattimento e aveva iniziato a sospettare che non fossero del tutto infondate.
Allora ne aveva parlato con il maestro Shredder, capo clan del Piede e suo padre adottivo, il quale le aveva ordinato di accertarsi di ciò e, se l’amnesia si fosse rivelata reale, di fare ogni cosa per aiutarlo in quella difficile situazione.
 
“Mio padre Oroku Saki ha preso molto a cuore il tuo caso.” gli aveva spiegato la ragazza “ Mai, prima d’ora, avevamo incontrato un mutante con tale coraggio ed iniziativa da sfuggire ai propri aguzzini. Ha dato precise istruzioni di prenderti cura di te nel migliore dei modi. Ti aiuteremo a guarire ed a recuperare la memoria. I nostri migliori medici si occuperanno personalmente di te e, attraverso alcune spie infiltrate nel laboratorio dell’agente Bishop, tenteremo di scoprire tutto ciò che possiamo su di te e sulle procedure a cui ti ha sottoposto. Chiaramente, però gradiremmo la tua collaborazione. Niente più attacchi ai nostri medici. Sono dottori, non ninja. E, soprattutto, non sono tuoi nemici. Nessuno di noi, qui, è tuo nemico.”.
E, quasi a sostegno di quell’ultima affermazione, l’aveva liberato dalle cinghie e gli aveva lasciato lì accanto una zuppa calda e un bicchiere di acqua, per poi andarsene senza neanche guardarlo un’ultima volta.
 
Leonardo all’inizio non aveva creduto a quella storia, né aveva accettato il cibo o le cure del Piede.
Non riusciva a fidarsi di quei ninja. Qualcosa, dentro di lui, gli diceva di non essere al sicuro. Di essere in pericolo.
Con il passare del tempo, però, aveva iniziato ad abbassare le difese.
Perché, si era chiesto, continuare a respingere il loro aiuto, l’unico aiuto in cui poteva sperare, tra l’altro?
Perché continuare a tenere le distanze?
Non gli avevano fatto nulla di male, anzi.
L’aveva preso sotto la loro ala protettiva.
Si erano occupati di lui quando nessun altro l’avrebbe fatto.
Gli avevano offerto un rifugio, cibo, cure mediche.
Non gli avevano fatto del male, nonostante la sua diversità.
Così, aveva permesso ai medici di controllare le sue ferite una volta ogni giorno, aveva ingoiato qualche boccone di pane e mandato giù un po’ di zuppa ad ogni pasto ed aveva risposto alle domande che Karai gli faceva ogni sera, quando veniva a vedere come stava.
Aveva iniziato a fidarsi.
 
Ancora, però, non riusciva ad accettare ciò che gli avevano raccontato.
Il suo essere stato una cavia da laboratorio. La sua mutazione. La sua fuga. Gli sembrava tutto così incredibile, così . . . così strano.
Ma quale altra spiegazione poteva esserci?
Per quanto si sforzasse di pensarci, non riusciva a trovarne.
Tentava disperatamente di ricordare, di ritrovare sé stesso, ma qualsiasi tentativo era inutile.
Il suo passato sembrava essersi dissolto completamente, come neve al sole.
Era una creatura sola e senza memoria, persa in un’oscurità che nessuna luce riusciva a illuminare.
 
La tartaruga sospirò e chiuse gli occhi.
 
A volte, quando era così affranta e sentiva la malinconia stringergli il cuore, avvertiva anche qualcos’altro. Una strana sensazione, che non riusciva a spiegarsi.
La sensazione che qualcosa, o meglio, qualcuno lo stesse cercando, fuori da lì. E non, come aveva rivelato a Karai la sera prima, per catturarlo e  riportarlo indietro, ma perché era preoccupato per lui.
Forse era una sua illusione, ma . . . ma questa sensazione era così forte, così tangibile, così vera, che lui non riusciva ad ignorarla. Qualcuno lo stava cercando, lì fuori. Qualcuno che era preoccupato per lui. Ma chi? Chi poteva essere?
Forse le stesse persone per cui avvertiva quella preoccupazione così intensa nel suo incubo?
Forse c’era davvero qualcuno, là fuori, a cui tornare?
Qualcuno che faceva parte del suo passato e che avrebbe potuto aiutarlo a ricostruire la sua vita e la sua memoria?
 
 
Un familiare rumore di passi distolse Leonardo dai suoi pensieri.
Cosa ci fa qui Karai a quest’ora? Pensò sorpreso alzando la testa ed osservando la porta aprirsi con uno scricchiolio.
La ragazza non entrò né lo guardò in faccia “Il maestro vuole vederti. Seguimi.” mormorò a bassa voce, prima di voltarsi e di riprendere a camminare.
Il mutante rimase per un attimo immobile, troppo sorpreso per muoversi.
Shredder vuole vedere me?
Ignorando la strana sensazione, un misto di ira, paura e preoccupazione che per un attimo l’aveva assalito, egli si alzò e, andando contro il suo istinto, seguì Karai.
 
 
 
 
 
La tana dell’autrice
 
Ed eccomi tornata con il capitolo su il nostro amato Leo, come promesso!
 
Allora, questa volta ho cercato di narrare un po’ ciò che il nostro mutante ha passato – o meglio, ciò che ricorda di aver passato-, i suoi pensieri e le sue emozioni. Non sono granché sicura del risultato, ma . . .
Comunque, dal prossimo capitolo si entra nel vero centro della narrazione e dell’azione! Non voglio anticiparvi niente, ma ci saranno un paio di sorpresine . . .
 
Ah, volevo dirvi che ho finalmente trovato le colonne sonore di questa mia fic!
Dovete sapere che io, come molti scrittori di fanfiction del resto, scrivo sempre con una canzone in sottofondo legata a ciò che sto scrivendo . . . ho penato molto per trovare le canzoni adatte a questo lavoro, ma finalmente ci sono riuscita!
Sono due, ‘Somewhere’ e ‘Lost’, entrambe dei Within Temptation. Se volete ascoltarle – secondo il mio modesto parere sono tutte due molto belle- vi do’ i link con il lyrics :
http://www.youtube.com/watch?v=EEq4ipHJ6Mo
http://www.youtube.com/watch?v=mhQUXASkffE
 
Se, come me, preferite sentire la canzone e al contempo saperne il significato, vi do anche i link con le traduzioni in italiano :
http://www.youtube.com/watch?v=m30GPiaHaWo
http://www.youtube.com/watch?v=vGYPz1HaoKM
 
Un bacio e a presto . . .
Cowabunga!
 
T.r.
  
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