Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: axSalem    15/07/2014    2 recensioni
[AkuRoku]
L’equilibrio è stato creato per essere infranto.
La corsa si fa più affannata e le gambe più pesanti. La vita gli sta sfuggendo di mano. La velocità cala e lascia un generoso vantaggio al suo carnefice, che non indugia a far di lui la sua misera vittima.
Un’antica colpa che rende più lenti.
Rivoli di tragedia sbavano il colore ancora fresco della vita.
Genere: Angst, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Naminè, Riku, Roxas, Sora
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ceramica.



L'equilibrio è stato creato per essere infranto.
I muscoli si sforzano, il respiro si infrange, il cuore sussulta. Nella fuga la malattia divora e assieme ai timori non alza mai lo sguardo dal proprio pasto; né pietà, né umanità. L'ansia non è l’unica sensazione malsana che lo insegue, ma con follia e orrore non gli lasciano respiro.
La corsa si fa più affannata e le gambe più pesanti. La vita gli sta sfuggendo di mano. La velocità cala e lascia un generoso vantaggio al suo carnefice, che non indugia a far di lui la sua misera vittima.
Un'antica colpa che rende più lenti.
Rivoli di tragedia sbavano il colore ancora fresco della vita.
Non è la prima volta, ma si avvicina all'ultima.
 
Come ogni mattino si riuniscono al bar, sempre allo stesso tavolo: in fondo a destra, lontano dal bancone e più isolato rispetto agli altri, nell'angolo cieco delle grandi vetrate che danno panorama sul centro cittadino.
Chi li vede non può certo immaginare: da lontano sembrano lo specchio di una malata bellezza intaccata dall'infamia dei segreti, e ad una data bellezza nessuno ci si avvicina. È strano vederli insieme, loro: una donna dalle forme ancora acerbe in uniforme, un giovane che tale non sembra per la serietà dello sguardo -sempre tanto grave e sempre tanto apatico-, due ragazzi che paiono bellissime bambole di porcellana non volute e trascurate, e una giovine piena di amara vivacità.
«Allora, Riku, come è andata?» L'interpellato guarda di sbieco la ragazza, c’è qualcosa di sbagliato nell'innocenza che le danno i baffi da cappuccino.
«C’è bisogno di chiederlo? Ne parlano tutti i telegiornali.» Risponde Roxas, e Riku e Xion scrollano le spalle in contemporanea.
«Curiosità.» Un attimo di silenzio, la ragazza di pulisce le labbra. «Il prossimo è tuo.»
«Lo so.»
«Sicuro di riuscirci?»
«Forse.» L’aria è tesa, Xion scrolla ancora le spalle e volge lo sguardo verso Naminé, intenta ad inzuppare un biscotto nel the.
«Sì, ci penso io alle informazioni.» Il biscotto si spezza.
 
Elegantissima nella sua divisa blu senza pieghe procede lungo i corridoi lunghi e stretti, scala i piani dell'edificio con la stessa facilità con la quale ha scalato i piani della gerarchia, fino a giungere a dove è ora, fino a giungere all'ultimo piano, dove scompare dietro ad una grande porta di legno scuro dopo aver fatto un lieve cenno di saluto alla segretaria.
 
La ceramica cuoce e si fonde a temperature altissime, prende la forma di chi la contiene e fredda e dura e liscia e bellissima si crea.
È arte fine e complicata. Splendida. Crudele.
 
Due ragazzi identici siedono sulla scalinata del giardino interno del liceo; si differenziano fra loro per il taglio di capelli, e per gli occhi.
I loro occhi non sono occhi normali, c’è qualcosa di anomalo: Roxas è il fratello più grande, ha gli occhi seri e gelidi, un grande lago in inverno, una tempesta che ti sorprende in mezzo all'oceano, affogherai, ti dicono; Sora è più piccolo di soli cinque minuti, e sembra avere portato con sé tutta la vita della placenta, i suoi occhi sono vivaci e caldi, un grande lago estivo, la calma che ti strega in mezzo all'oceano. I loro occhi non sono normali, hanno qualcosa di anomalo: ti guardano attraverso.
«Rox.»
«Umh?»
«Ce la farai?» Roxas non risponde, si stringe nelle spalle e abbraccia le ginocchia, Sora lo guarda e la paura lo strazia. Sora appoggia il capo alla spalla di Roxas.
Uno dei loro occhi non è normale, ha qualcosa di anomalo: è di ceramica.
 
Si avvicina con fretta, in poche lunghe falcate attraversa i corridoi asettici e troppo silenziosi. All'ultimo piano entra in un ufficio dalla porta di legno scuro, ignorando gli schiamazzi della segretaria.
«Ho un appuntamento.» Si limita a dire prima di essere inghiottito dalla stanza luminosa e impersonale. «Naminé.» Silenzio, la donna non risponde e non alza nemmeno il capo dai documenti sull'immensa scrivania. «Non puoi.» La voce è calma e strabocca di rabbia.
«Forse hai dimenticato che da sola non ho il potere per cambiare le cose.»
«Lo hai eccome! Abbiamo sempre lasciato a te l’organizzazione!»
«Avevamo deciso così sin dal principio, e nonostante questo abbiamo sempre rimandato. Le cose non cambieranno, Roxas ce la farà.» Il capo ancora chino, non lo guarda negli occhi. Riku batte irato un pugno sulla parete, il bianco immacolato si sporca di rosso. «Gli invierò le informazioni a breve. Puoi andare, Riku.»
 
Incide sulla parete premendo forte con la mano, l’intonaco cade sotto la lama dello scalpello e attutito arriva ai suoi piedi, sporcando il parquet scalfito dal tempo, dalla rabbia.
Si allontana e ammira il suo operato illuminato con delicatezza dalla luce soffusa della luna: sul muro sono incisi a migliaia i giorni passati da quella notte, dalla notte dell’incendio, dalla notte dove ha guadagnato la libertà –troppo tardi, troppo tardi-.
Xion li guarda, ma non sono abbastanza.
 
Esce di casa in silenzio, è piena notte e nessuno lo sente. Fuori dal cancello c’è lui che lo aspetta in macchina, guardigno lo sguardo che frenetico si sposta da un punto all'altro. Sale nell'automobile e veloci se ne vanno.
Non hanno tempo per amarsi.
Non hanno tempo per il loro amore proibito.
 
«Nami, fra quanto deve andare?»
«Fra tre giorni.»
«Lui, chi è?»
«Lui si occupava della realizzazione delle protesi.» Xion geme in modo grave.
 
Si muove fra le macerie, fra le pareti annerite come un ballerino esperto: con grazia e leggerezza, senza mai alzare cenere o polvere. Quel luogo gli mette addosso una grande nostalgia che gli aderisce al corpo e alla mente come pelle. Perfette le sue movenze che lo fanno sembrare un felino, spesso scatta come se fosse in attesa di un pericolo, ed in effetti, quei giorni passati lì erano così.
Riku ricorda benissimo l'antico splendore di quell'edificio stato poi divorato dalle fiamme e dalla cattiveria e dai sensi di colpa: i corpi pieni di vita -vita piena di vile paura-, e poi carbonizzati; la prigione rimasta prigione ma poi corrosa dalle fiamme; le prove che hanno cancellato, ma il dolore ancora vivo e pulsante sotto la pelle, nelle ossa, intrappolato nella cassa toracica; le cicatrici del fuoco a sfigurare e le cicatrici delle crudeltà ricevute che fanno ancora male, non fisicamente, ma dentro la testa.
Si sfiora come segno di stizza la mano di ceramica nascosta dal guanto di pelle.
 
«Quanti anni sono passati da allora?»
«Non abbastanza.»
 
Roxas non riesce a provare rancore per lui.
Sono passati gli anni, si è costruito una vera vita, una famiglia, degli amici, delle abitudini, vere abitudini, abitudini che non gli incutono paura. I ricordi e l'orrore sono ancora vivi, strisciano ancora infimi nelle vene, mischiati con il sangue, pompato dal cuore, distribuito in tutto il corpo, senza esclusioni. 
Gli altri, la sua famiglia, con Sora e Riku e Xion e Naminé, provano odio perché non sanno cosa Loro hanno negli occhi, cosa coloro che hanno ogni colpa –colpa di ogni crudeltà inflitta ai loro corpi- hanno negli occhi: non c’è felicità, né orgoglio, né l'ombra di una pace interna, ma il fantasma del risentimento verso sé stessi, del ribrezzo per le azioni da loro compiute, della ricerca di un perdono che loro che sono sopravvissuti non gli hanno mai concesso.
Axel sente il peso di ogni sua passata azione, di ogni esperimento sui loro corpi: del suo occhio destro e del sinistro di Sora, la mano mancina di Riku, la gamba destra di Xion, e l'orecchio di Naminé; quelle parti che sostituì con la sua fine arte di ceramica, resistente ma morta, fredda, inanimata. Roxas lo vede nei suoi occhi che ogni giorno la colpa lo sopprime, che la paura lo insegue, sempre di più, sempre più lenta, inesorabile e velenosa. Axel soffre sempre più spesso di attacchi di panico, le mani gli tremano ogni giorno di più, lo sguardo sempre più circospetto. Sa cosa lo aspetta: la sorte di tutti gli altri, la sorte dei passati carnefici che diventano misere vittime.
Roxas lo bacia dolcemente, non riesce a provare rancore per lui, e ad ogni suo tocco i suoi muscoli si rilassano, come se le sue dita fossero bollenti e sciogliessero la cera che li legano, che li rendono rigidi e attenti. Axel lo ricambia e con altrettanta dolcezza lo stringe a sé, prezioso per lui e fragile e bellissimo, completamente dimentico del piacere che aveva tratto scavando inumanamente nell'orbita del suo occhio per sostituirlo con la sua bellissima opera in ceramica, bellissima e crudele. Quel ragazzo che prima lo guardava come se fosse un mostro -un mostro da addomesticare, un mostro da attrarre-, gli è sempre piaciuto, e ora meglio di allora può stringerlo e amarlo senza timore di doverlo ferire.
«Ehi, Roxas…»
«Sì?»
«Hai paura di me?»
«No.» Roxas lo guarda negli occhi, serio, i suoi occhi sono ghiaccio e vedono attraverso. «Ma tu sì, tu hai paura di te stesso.»
«Io ti amo, Roxas.»
«Ma non ami te stesso.» Se non ami te stesso non puoi concederti il lusso di amare gli altri.
«Ma io ti amo.» Silenzio. «Ti amo.» Axel e Roxas si amano più di ogni altra cosa.
Axel e Roxas non hanno tempo di amarsi.
Axel e Roxas non hanno tempo per il loro amore proibito.
 
«Senta, non penso che lei abbia davvero il permesso di entrare e uscire dall'ufficio del comandante così spesso. È il terzo giorno di fila che si presenta qui, e ben la settima volta!»
Riku guarda storto la ragazza, una testa bionda compare dalla porta di legno scuro.
«È autorizzato, Kairi. Lascialo entrare ogni qual volta egli si presenta.» La segretaria tace, Riku entra nell'ufficio.
«Lo sai che Roxas non può farlo.»
«Può eccome, come abbiamo fatto più volte tutti, come ha fatto più volte lui stesso.»
«Ma lui non è come noi! Lui non prova odio per quegli esseri
«Forse siamo noi a provarne troppo. Non sono esseri, dopo tutto, sono uomini.»
«Quello che hanno fatto non ha nulla di umano!» Scopre e mostra l’arto senza vita togliendosi il guanto, e lo guarda con un misto di odio e disgusto.
«E allora perché difendi Roxas?» Riku non risponde. Esce dall’ufficio sbattendo la porta.
 
«È oggi il giorno. Come ti senti, Roxas?»
Roxas guarda Naminé attraverso il bicchiere vuoto di succo. «Pronto.» Gli trema la voce.
Attorno al tavolo si scambiano tutti sguardi colmi di dolore, sguardi che si perdono presto fingendo di concentrarsi sulla colazione.
 
«Penso che Naminé sia diventata comandante della polizia solo per vendetta.» 
 
Xion gli porge una pistola, quella che ha fornito loro Naminé, Roxas la rifiuta scuotendo il capo.
«Lasciami fare a modo mio.» Roxas vede la paura che divora gli occhi di Xion.
 
Non c’è inseguimento, non c’è preda e cacciatore, non c’è vittima e carnefice; c’è amore per l'ultima volta e veleno che scorre nelle vene e corrosione e lento omicidio.
Le carezze si rincorrono in modo quasi morboso, le bocche si cercano folli e si amano come entità separate, gli occhi non si slegano e parlano fra loro sconnessi e febbricitanti. I fantasmi si scontrano e si rincontrano e si raccontano.
C’è amore e follia e orrore ad animar la vicenda.
 
Un urlo rompe il silenzio malsano della notte, violentemente. L'abat-jour viene cercata e accesa e sembra la salvezza del suo animo corrotto. Xion si prende il viso fra le mani sudate e con gli occhi spalancati ripercorre l'incubo che da anni la insegue: un alto muro di cinta in calcestruzzo terminato con il filo spinato, i corridoi stretti e sporchi e segnati dall'umidità -unica visitatrice di quelle pareti-, le camere che erano celle e il personale dallo sguardo sprezzante e mostruoso e crudele. Il centro St.Eleonor non era un ricovero per le anime a pezzi, ma un centro di ricerca e di esperimenti su corpi umani e vivi e in trappola. Era un centro di ricerca che fu il loro più grande orrore, e lo è tutt'ora.
Orrore inciso nelle ossa.
 
Una tremula carezza piena di lacrime al corpo senza vita che non risponde al suo tocco, che non lo amerà più. Il corpo senza vita di Axel conserva ancora un leggero calore.
«Ti amo.» Sussurra fra i singhiozzi prima di far scivolare il veleno dentro la bocca, prima di far scivolare sé stesso in sogni senza fine, per la prima e ultima volta.
 
«Rox!» Gli occhi pesanti, la testa pulsa dolorosamente ad ogni rumore, la nausea lo disgusta. «Rox!» Le palpebre si schiudono faticosamente, avrebbero voluto non farlo più per l’eternità. «Rox, è finita! È finita!» Sora sorride ma non per davvero, è sollevato di vedere la vita scorrere in Roxas, vita spenta e vuota. Perché sei ancora vivo? Roxas glielo legge nell'anima.
«Non è stato prudente usare il cianuro, deve esserti entrato in circolo in un qualche modo. Ora sei salvo.» Lo informa Naminé, voce e occhi inanimati. Non avrai il tuo finale alla Romeo e Giulietta.
«È tutto finito.»
«Tutto.»
«Loro, loro sono tutti morti.» Le voci di tutti, di tutta la sua famiglia, si sovrappongono, come si sovrappongono le loro anime svuotate dalla cruda vendetta.
Gli scheletri si ammucchiano nell'armadio. Gli scheletri delle vittime diventate carnefici.
L'equilibrio è stato creato per essere infranto.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: axSalem