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Autore: bloodingeyes    17/07/2014    1 recensioni
Questa storia fa parte di "The Mage" e non penso possa essere letta senza aver letto la storia principale.
Alexander, ancora bambino, si nasconde nella biblioteca del padre per sfuggire all'arcigna maestra e legge un libro sulla creazione del suo mondo e dei doni che un dio cattivo ha fatto a tutti i popoli.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Alexander entrò di soppiatto nello studio del padre, trovandolo vuoto e silenzioso, il posto perfetto per nascondersi da quell’arpia della sua maestra di etichetta. Odiava quella vecchia bacchettona che si divertiva a frustargli le mani o il sedere quando non stava ben dritto o si impappinava mentre parlava. Quel giorno poi sembrava ancora più scorbutica del solito e Alex se ne voleva proprio stare alla larga da lei e dal suo frustino.

Sapeva che suo padre era ancora via per lavoro mentre sua madre era da una sua amica. Quindi sapeva che nessuno lo sarebbe andato a cercare nello studio di suo padre, dato che l’accesso era limitato ad un paio di servitori e ai membri della famiglia. Alexander chiuse la porta a chiave, gusto per avere il tempo di nascondersi se qualcuno fosse entrato, e andò alla ricerca di qualcosa da leggere per passare il tempo. Sulla scrivania c’erano molti appunti e libri che sapeva non avrebbe neppure dovuto sfogliare ma c’erano anche tanti ripiani con disposti libri su libri ma erano testi complicati, che nessuno pensava sarebbero stati interessanti per un bambino di 5 anni. Ma Alexander adorava leggere quelle cose, anche se spesso non le capiva del tutto. Erano i trattati e gli studi alchemici che lo affascinavano: trovava incredibile poter creare da delle semplici erbe quello che richiedeva immense quantità di magia. Peccato che nella sua famiglia l’alchimia non era vista come una vera e propria arte magica, quindi non gli veniva insegnata. Alexander cercava sempre di informarsi e studiare le proprietà delle piante e quel giorno avrebbe fatto lo stesso se non avesse notato un libro nuovo.

Era viola molto scuro, con delle scritte bianche in rilievo, dalla copertina ruvida e consunto nei lati. Non era molto grande e le pagine erano spesse. Alexander rimase un po’ perplesso da quel libretto che sembrava un nano in mezzo ai grandi tomi che lo attorniavano, così decise di leggerlo anche se non gli sembrava molto interessante. Il titolo era “Storia del dio traditore”. Iniziò a leggerlo.

 

Capitolo I

Della creazione

All’alba dei tempi, quando nulla di ciò che conosciamo esisteva ancora, gli dei che governano la nostra realtà guardarono il nulla che li circondava e ne rimasero rattristati perché le loro grandiose menti immaginavano cose che non erano mai esistite e che desideravano vedere compiute.

Il signore degli dei, Tron’ra Kar, chiamò quindi a consiglio tutti i suoi fratelli e disse loro:

“Molto tempo ormai è passato da quando ho iniziato ad esistere, da quando tutti noi abbiamo iniziato ad essere, e mai, in questo nulla che ci circonda, abbiamo trovato appagamento. Noi guardiamo l’assenza e il caos senza provare nulla. Siamo in uno stato vegetativo da così tanto tempo che alcuni di noi stanno diventando a loro volta assenza” gli dei furono d’accordo con lui, molti si stavano spegnendo davanti a quel nulla. Tron’ra Kar parlò ancora “nella mia mente e nei miei pensieri vedo cose che non esistono e a cui vorrei dare un nome senza riuscirci. Vedo forme e colori che questo nulla non mi mostreranno mai. So che per molti di voi è lo stesso” ancora assenso da parte degli altri dei “Per vedere compiuto ciò che desidero ho deciso quindi di usare me stesso, la mia stessa energia, e creare dal nulla ciò che sogno”

 

Alexander sbuffò e iniziò a saltare le pagine di quel capitolo noioso. Tutti conoscevano la storia della creazione del mondo e dell’universo, di come il signore degli dei Tron’ra Kar aveva modellato il cielo e le stelle, la terra e i mari. Di come la sua compagna Isiesis aveva creato i primi esseri viventi, piante e animali. Di come Partavin avesse modellato i prototipi di tutte le razze senzienti conosciute: umani, elfi, nani, gnomi, orchi e altri che ora non esistevano più. Di come Avelar avesse infuso in loro un intelletto al di sopra di quello di tutte le altre creature, la voglia di imparare, scoprire il mondo e di migliorarlo secondo i loro desideri. Ed, infine, accortosi che non tutte le creature desideravano creare e migliorare la loro terra ma, anzi, la volessero conquistare e distruggere, Morvar le differenziò, non più solo nell’aspetto, ma anche nelle capacità e nell’intelletto.

Vedendo ciò che avevano creato gli dei si sentirono stanchi e felici. Decisero quindi di bearsi della loro opera, guardando i frutti del loro lavoro crescere e diventare più belli di come mai avrebbero potuto sognare.

Alexander saltò quei capitoli e riprese a leggere da dove la storia sembrava diventare interessante.

 

Capitolo V

Del dono di Quarv

Il dio Quarv aveva partecipato con la sorella Avelar alla creazione delle menti di tutte le razze e aveva molto amato ciò che era riuscito a creare. Esso vedeva ciò che di bello le sue creature riuscivano a fare ma il suo sguardo non riusciva a cogliere che erano poche le razze che creavano e, invece, erano molte quelle che si limitavano a gioire dei frutti della terra. Pochi erano, allora, quelli che desideravano distruggere dato che rispecchiavano la mentalità di chi li aveva creati. Gli dei Quarv e Avelar avevano creato qualcosa di sublime quando avevano infuso l’intelligenza nelle razze senzienti, ma il loro lavoro si era limitato a quella fatica, mentre le altre divinità avevano aiutato i loro pari a creare molte cose diverse. La voglia di distruggere di alcuni esseri non era, però, del tutto una cosa cattiva, dato che essi desideravano distruggere per far spazio a cose più belle e grandiose, non per il semplice gusto di cancellare qualcosa che altri avevano creato.

Morvar, però, non riusciva a capacitarsi che si potesse voler distruggere ciò che veniva creato e pensò che fosse una cosa malvagia. Parlò quindi con il signore degli dei, Tron’ra Kar, e gli disse che Quarv e Avelar avevano fallito nel loro compito: avevano creato, si, esseri in grado di rendersi simili agli dei nel creare cose ma anche esseri infinitamente pigri e altri molto malvagi che avrebbero lasciato decadere o avrebbero distrutto ciò che altri creavano. Morvar non fu giusto, nel parlare in quella maniera dell’opera delle altre divinità, ma non riusciva a capire la mentalità di quegli esseri e degli dei fratelli. Neppure Tron’ra Kar riusciva a capire quelle menti e lo spaventò il pensiero che un giorno tutto sarebbe potuto tornare al nulla. Così ordinò a Morvar di fare in modo che quegli esseri smettessero di oziare e distruggere, diventando come gli altri che creavano. Ma per il dio non fu possibile cancellare quello che Quarv e Avelar avevano creato e quindi differenziò le razze, cercando di rendere più forti e numerosi quelli che creavano. Saputolo, Avelar non se la prese molto, in fondo sapeva che erano stati lei e il fratello a dare vita a quelle creature che altrimenti sarebbero state solo bestie, ma Quarv si sentì tradito.

Aveva infuso tutto il suo amore e il suo ingegno in quel progetto e non poteva credere che il signore degli dei non avesse compreso il motivo del suo operato, ma l’avesse semplicemente considerato maligno e avesse dato il compito ad un altro di porvi rimedio.

Quarv era cosciente del motivo per cui certi esseri non producevano e altri distruggevano: il dio aveva una mente acuta e sapeva che se tutti quegli esseri avessero iniziato a creare insieme avrebbero sommerso in fretta l’intero mondo del loro operato, senza però godersi i frutti del loro lavoro. Aveva quindi pensato di renderli creativi ma anche introspettivi e desiderosi di migliorarsi. Ecco perché alcuni rimanevano oziosi e altri distruggevano ciò che creavano, per potersi godere la vita e migliorarla.

Ma questo gli altri dei non lo capivano e Morvar, soprattutto, pensava che in Quarv ci fosse qualcosa di sbagliato, pensava che l’altro dio odiasse quello che stavano facendo e che volesse distruggerlo, per tornare al nulla da cui tutto era cominciato. Nulla sarebbe mai stato tanto lontano dai desideri di Quarv ma presto nessuno desiderò più avere a che fare con lui, neppure l’amata sorella e nel suo animo iniziarono a nascere pensieri e sensazioni orribili, che mai nessuno aveva provato, e che vennero trasmesse alle razze in cui lui aveva infuso l’intelligenza.

Gli esseri che prima distruggevano solo sporadicamente ora divennero sempre più cruenti e iniziarono a trarre piacere da quello che facevano, tanto che non fu più sufficiente, per loro, distruggere cose inanimate. Iniziarono a torturare i componenti delle altre razze, cercando un modo di distruggerli ma, al tempo, non esisteva la morte, così che i prigionieri erano costretti a subire infinite torture senza riuscire a trovare pace.

Terrorizzato da quello che la sua rabbia stava producendo, Quarv cercò di riequilibrare le forze che erano state divise da Morvar molto malamente. Le razze creatrici erano intelligenti e prolifiche, protetti da belle e solide città ma erano deboli e, una volta catturati, soffrivano molto e non riuscivano a scappare o ribellarsi. Le razze distruttrici erano, invece, forti ma stupide, guerrieri poco prolifici e nomadi. Abituati al dolore e ai patimenti, avevano un grande spirito.

Quarv, amava entrambe le razze, e non desiderava la scomparsa di nessuna delle due. Diede quindi la magia alle razze creatrici, che sarebbero quindi riuscite a proteggersi, e diede la pietà e l’amore per la famiglia agli altri, così da mitigare la loro brama di sangue. E a tutti diede la possibilità di morire, lasciando i patimenti e la miseria, anche se decise che alcune razze sarebbero state più longeve di altre, in base alla loro intelligenza e voglia di migliorare. Pensò di aver fatto un lavoro sublime e di essersi riscattato per i suoi errori ma gli dei non riuscivano a vedere il suo lavoro oggettivamente e si fissarono soltanto su quella sua strana creazione: la morte. Troppo simile alla distruzione per loro. Non vedevano la liberazione negli occhi dei poveri prigionieri che erano stati torturati per tanto tempo e ora non sentivano più il dolore.

Ton’ra Kar chiamò Quarv al suo cospetto e gli impose di cancellare la morte ma il dio non poteva farlo. Venne allora definitivamente allontanato dalla corte degli dei e mandato sulla terra per vedere la disperazione delle creature che l’abitavano e pentirsi di quello che aveva fatto.

 

La storia continuava con la permanenza del dio Quarv sulla terra e dei suoi pensieri sugli esseri che la popolavano. Il capitolo si concludeva con il ritorno del dio nelle aule degli dei, sempre convinto di aver agito bene e sempre allontanato dai suoi simili.

 

Capitolo VII

Dell’annullamento

Gli dei da molto tempo avevano perso interesse per il primo pianeta da loro creato e se ne erano completamente disinteressati, andando a concentrare i loro sforzi e i loro pensieri nella creazione di altri posti. Ma a Quarv non era stato permesso di seguirli, dato che tutti ormai pensavano che lui fosse malvagio e non volevano che corrompesse di nuovo l’operato delle altre divinità. Quarv rimase quindi a vegliare sul primo pianeta creato e amò profondamente tutto ciò che in esso nasceva e mutava. Non aveva più il potere di mutare nulla lui stesso, dato che grande fatica gli era costato riparare ciò che Morvar aveva malamente cercato di aggiustare. Quarv però poteva sussurrare alle orecchie delle sue creazioni, così che loro scoprissero più facilmente come affrontare un problema. Il dio amava così tanto quel mondo che non gli mancavano i suoi simili che gli avevano ormai completamente voltato le spalle e avrebbe solo desiderato esserne parte integrante.

Ma gli altri dei avevano ancora paura di lui e temevano che avrebbe trovato un modo per distruggere ciò che di nuovo stavano creando. Decisero quindi che era il momento di mettere fine alla sua esistenza. Quarv lo sentì che loro stavano per venirlo a prendere ed ebbe paura per il suo pianeta perché una volta che lui fosse stato annullato loro avrebbero potuto distruggere anche il pianeta. Decise quindi di annullarsi da solo per proteggere il mondo che amava. Fece a pezzi la sua essenza e la tessé per creare una barriera che proteggesse il pianeta ma, in quel momento, ebbe paura e capì di non volersi annullare del tutto. Provò un terrore che mai prima di allora nessuno aveva provato e le creature che tanto amava provarono per la prima volta quello che anche lui provava. La notte era calata su quelle terre e la paura del dio fece nascere degli incubi e delle cose malvagie che iniziarono ad infestare come un cancro la terra, i cieli e i mari. Il dio ebbe ancor più paura, temendo di aver commesso un errore irreparabile e cercò in tutte le maniere di porvi rimedio prima di scomparire per sempre ma non aveva più il potere di proteggerli.

Quarv fece quindi l’unica cosa che gli riuscì ad escogitare in quei momenti concitati. Staccò dei piccoli pezzi di sé stesso e li lasciò cadere sulla terra come piccole sfere di luce. Chiunque le avesse trovate sarebbe stato investito da poteri che gli avrebbero permesso di controllare la paura e i demoni. Alla morte della persona che aveva trovato l’energia del dio, essa si sarebbe sprigionata e sarebbe andata a cercare un altro corpo in cui insediarsi. Il dio strappò dodici pezzi di sé stesso ma infuse solo tre poteri in essi, perché era riuscito a pensare solo a tre modi per combattere la paura e i demoni.

Il primo dono che fece al mondo fu “Voce di comando”. Con esse le persone avrebbero potuto piegare la paura e i demoni con un urlo o un semplice sussurro. Voce di comando era un potere che permetteva di controllare la paura e di modificare i pensieri di chi ne veniva assoggettato per renderlo immune ad essa e farlo combattere per un bene superiore.

Il secondo dono che fece fu “Necromanzia”. Con essa si sarebbero potuti risvegliare i morti per farli combattere al posto delle persone vive e anche controllare quei mostri che non erano più vivi. Necromanzia era un potere pensato per liberarsi dei demoni ma anche per proteggere ciò che viveva.

Il terzo e ultimo dono fu “Chiaroveggenza”.

 

Alexander si fermò per un attimo, stupito, ma poi riprese a leggere.

 

Il terzo e ultimo dono fu “Chiaroveggenza” Con esso si sarebbe potuto sapere in anticipo dove i demoni avrebbero attaccato e schivarli o annientarli. Chiaroveggenza era un potere pensato per proteggere e conservare ciò che di buono c’era al mondo.

Quarv, una volta donato ciò al mondo, non ebbe più paura perché il suo più grande desiderio si era avverato: ora lui faceva parte del mondo che amava e l’avrebbe protetto in eterno. Gli dei, vedendo ciò che Quarv aveva fatto, dovettero ricredersi e seppero che lui era stato il migliore e il più amorevole di tutti loro.

 

Alexander chiuse il libro e rimase a fissare il vuoto per alcuni minuti, come svuotato. Ripose il libro e uscì dallo studio del padre per guardare il cielo. Era rimasto profondamente colpito da quel racconto come non lo era mai stato da nient’altro, neppure dai racconti macabri che sua nonna gli aveva sempre letto prima di andare a letto. Per una qualche strana ragione ora sentiva il suo dono di prevedere il futuro come una grande responsabilità e ne aveva paura. Il suo era il dono di un dio e con esso lui avrebbe dovuto proteggere e combattere i demoni e le cose cattive ma lui aveva paura e temeva di fallire perché si sentiva debole. E questi sentimenti sarebbero solo peggiorato con il tempo dato che non sarebbe riuscito a salvare il proprio padre e altre brutte cose.

Ma al momento giusto, anche se non poteva ancora saperlo, Alexander sarebbe riuscito ad accettare il dono e avrebbe perso per sempre la paura di fallire. Quel giorno non era ancora arrivato, però era arrivata la sua maestra di etichetta, infuriata e con il frustino già pronto per lui. Alex ritornò al presente e si preparò a subire una sonora sculacciata dalla maestra e poi da suo padre, che non voleva che lui saltasse le lezioni.

   
 
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