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Autore: Francine    17/07/2014    7 recensioni
Tutti abbiamo degli scheletri nell'armadio, segreti che non vorremmo che mai e poi mai fossero rivelati, giusto? Bene. Anche Milo di Scorpio ne ha uno. E bello grosso, pure. Che proviene dritto dritto dal suo passato. E che salta fuori, all'improvviso, da un anonimo quaderno con la copertina bordeaux...
[Baby!Gold Saint!]
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Aries Shion, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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IL risveglio è il momento più duro.
Le sarebbe piaciuto tagliare la corda prima, mentre lui dormiva ancora come un sasso. Mettere le sue cose in valigia e andarsene quatta quatta, in punta di piedi, per evitare silenzi assordanti. Ma lui l’ha cercata, nel sonno. Le ha messo un braccio attorno alla vita e l’ha attirata a sé, come avrebbe fatto un bambino con il proprio orsacchiotto, e tutta la sua determinazione è evaporata nel momento in cui le ha sussurrato un «Rimani qui» a fior di pelle.
Brava, brava. Brava davvero. E adesso?, si chiede coprendosi con il lenzuolo, tirandolo fin sotto il mento. Per quanto tempo ancora potrà fingere di stare dormendo?
Lui è già sveglio. È uscito. È rientrato. Ha armeggiato in cucina fino a pochi minuti fa. E lei non riesce a pensare ad altro che ad una patetica colazione di benservito, mentre la sua dignità e il suo amor proprio minacciano il suicidio mostrandosi con tanto di corda attorno al collo.
Che ieri sera fossero ubriachi l’ha capito troppo tardi. Troppo retsina tracannato dalla bottiglia a sorsate generose. Troppa euforia per le strade di Tripiti in onore di Agia Marina. E quella luna che brillava dietro le sue spalle, così enorme, così splendente e così vicina da darle la certezza di poter allungare una mano e strapparla dal cielo nero per mettersela in tasca.

La luna. Dietro le sue spalle.

Chiude gli occhi, le guance in fiamme e i denti che mordono piano il labbro inferiore. Non riesce a scacciare dalla mente il ricordo dei suoi occhi che brillavano - che scintillavano - nel buio.

Stupida! Stupida! Stupida! In che situazione ti sei andata a cacciare?!

Il suo peso sul letto. Lei serra ancora di più gli occhi. Se ne andrà se mi crede addormentata?, pensa.

Se ne è già andato. Ed è tornato. Perché questa è casa sua, ricordi?

Lui si sdraia al suo fianco. Il suo profumo le accarezza le narici. Le scosta i capelli dalla fronte e lei pensa che deve andare dal parrucchiere. Poi un bacio a fior di labbra. E una carezza di velluto e rugiada che corre lungo il suo naso. Pensa alle olimpiadi invernali. E al salto con gli sci.

Io sto male. Tanto male.

Apre gli occhi e vede una candida rosa in boccio, dal fragrante profumo di… croissant?!
Sbatte le palpebre. Annusa l’aria, come un cane che ha perduto la pista, e si volta a cercare il suo sguardo per sapere che succede.
«Buongiorno», le dice. Soffiandole sul naso. A due centimetri dal suo viso. Ha un sorriso indecifrabile.
«B… buongiorno», risponde lei.
«Buon compleanno», le sussurra prima di stamparle un bacio delicato sulla punta del naso. «Dormito bene?»
«Sì. Tu?»

Parliamo a monosillabi? Brutto segno...

Lui sorride, e un fuoco d’artificio le esplode nel petto.
«Poco», e un lampo malizioso gli accende lo sguardo. Come se ce ne fosse bisogno… «Ma ne è valsa la pena, no?»
Lei annuisce. Che altro può fare? Dirgli di no? E poi… sì, ne è valsa la pena. Eccome. Anche se questo ha sbaragliato qualsiasi equilibrio.
Le porge la rosa. «È per te», e lei la osserva come se fosse un oggetto mai visto prima. «Non è stagione di narcisi, questa», si giustifica accarezzandole una guancia.
Lei la porta al viso. Si nasconde dietro quella corolla ancora socchiusa, come se potesse salvarla dal lupo cattivo.
«Grazie.» Non sa cosa aspettarsi.
Lui sorride. «La colazione è pronta», le dice. Poi la prende tra le braccia e la solleva. Lei riesce a coprirsi con il lenzuolo, la rosa tra di loro come una spada. «Ecco qui. Yogurt. Caffè. Tè. Frutta. E dei cruassà
È spiazzata. Non sa cosa dire. Anzi, sì.
«Croissant», lo corregge. È più forte di lei.
Lui la osserva sollevando un sopracciglio, come a dirle «Devi sempre cercare il pelo nell’uovo, eh?».

Fai la carina. Fai. La. Carina.

Sorride. «Hanno un aspetto delizioso», e piega la testa da un lato.
«Sono i migliori di tutta l’isola.»
Sì, sì. Come no?, pensa lei. «Mettimi giù. Mi lavo, mi vesto, e… » mi eclisso. Prima che sia troppo tardi.
«No, no», l’interrompe lui. «Faremo colazione a letto», le dice e la deposita con dolcezza, ignorando i suoi «ma?» di confusione e protesta. «È il tuo compleanno, no? Dobbiamo festeggiare.»
Posa il vassoio sulle lenzuola – lei riesce a coprirsi – lui si sveste e la raggiunge.

Giusto. È il mio compleanno. E tu mi hai fatto la festa, vero?

«Zucchero?», le domanda versandole del tè in un bicchiere celeste.
C’è un che di surreale in tutto ciò. Lui si comporta come se fossero intimi da anni, e lei pensa che sia perché sta cercando di indorarle al meglio la pillola. Si aspettava delle gentilezze da parte sua, certo; non ha mica a che fare con un bruto che mette le donne alla porta con un ciao ed una stretta di mano, ma lei si domanda se la cura non sia peggiore del male. Lui scherza. Ride. Fa battute sulla festa della sera prima. Si comporta come se tutto fosse normale. Giusto così, in qualche modo.
Lei lo osserva di sottecchi. Addenta un croissant e sì, è davvero buono. Sorseggia il tè. Mangia a morsi una pesca-noce. E aspetta solo che lui entri in argomento, dopo averci girato attorno. Perché lui glielo dirà. Sicuro come il sole sorge ad est.
«Eravamo ubriachi ed abbiamo commesso un errore», questo le dirà, o magari qualcosa di meno brutale. Non sarà la prima volta che liquida una donna, no? Sarà ben in grado di… di dirglielo senza massacrare il suo amor proprio e la sua autostima, no?
Ecco perché lei cerca nel suo cervellino una risposta brillante da dargli, qualcosa che non gli faccia intuire che si sente più fragile di un filo di ragnatela ghiacciato e quanto le battesse forte il cuore, ieri sera, mentre la luna splendeva oltre le sue spalle e il mare cantava la sua ninnananna nella notte di velluto.
Ma non le viene in mente nulla.
E la colazione sta per finire.
E lui posa il suo bicchiere.
E la guarda negli occhi.
E le dice: «Senti…».

Ecco. Ci siamo. Arriva la mazzata.

Lei trattiene il fiato. Serra i muscoli della mascella e si prepara all’impatto.
«Sì?», soffia fuori, a fatica, come se avesse un enfisema.
Lui abbassa gli occhi. Si porta l’incavo della mano sinistra a coprirsi la bocca. Lei aggrotta le sopracciglia e un enorme punto di domanda le si disegna sul viso. Ancora non sa che lui compie quel gesto quand’è imbarazzato.
«No, niente. Lascia stare…», e poi scrolla la testa, come a scacciare via quel pensiero, quasi fosse una mosca fastidiosa che ronza sopra il pane caldo.
«No, no. Dimmi.»

Oh Dio, no. Ti prego, no. Tutto, ma i voti no.

«Non è niente, davvero.»
«E tu dimmelo lo stesso», insiste lei. Si sta innervosendo.

Se non si decide a vuotare il sacco, mi alzo, ringrazio e me ne vado.

La fissa.

Allora? Vuoi star qui tutto il giorno? Dimmi quello che mi devi dire e…

«Come hai capito chi fossi?»
«Eh?» Lei non è certa di aver sentito bene. «Scusa… puoi ripetere?»
«Tu non mi conoscevi. Non mi avevi mai visto in vita tua, giusto?» Lei annuisce. «Eppure sapevi molte cose di me. Come mai?»
Oddio. Pericolo, pericolo, pericolo, pensa.
«L’armatura», risponde con un sorriso. «L’indossavi quel giorno, ricordi?»
Lui annuisce. «Me lo ricordo come se fosse ieri», e lei arrossisce. Abbassa la testa mentre lui torna alla carica. «Ma il resto?»
Non devono parlare di questo. Non ora. Non dopo ieri sera. «Lo sapevo», taglia corto, ma lui non gliene dà il tempo.
«Sì, ma come?», insiste. «È questo che non mi torna. Dimmelo, per favore», ed è il tono con cui lui pronuncia quel parakalò a far scattare un interruttore dentro di lei.

Diglielo. Tacere non ha più senso. Non dopo ieri sera.

«Ok», risponde. Posa il bicchiere sul vassoio, mentre i suoi occhi non si staccano da lei. Si umetta le labbra. Si porta i capelli dietro le orecchie. «Però promettimi di non dire nulla, nulla hai capito?, fino a quando non avrò finito. Intesi?»
«Intesi.»
Lei scende dal letto. Si avvolge meglio che può il lenzuolo attorno al corpo e cerca dove sia finita la sua borsa. La trova sotto la finestra, ai piedi di una sedia. Si accuccia. La apre. Rovista al suo interno. Ne tira fuori un libretto e torna indietro, senza pensare al fatto che sta saltellando come un canguro sbronzo.
Lui le chiede cosa diamine sia quell’affare tramite uno sguardo molto eloquente. Poi i suoi occhi si allargano. E rischiano di cadere e rotolare sul pavimento come biglie azzurro mare. Ha capito, pensa lei.
«Questo… me l’ha dato Nadja», gli dice mostrandogli la copertina, un’anonima copertina bordeaux. «Me ne ha dati un po’ quando ci siamo incontrate. Pare che il Sacerdote… sì, insomma, che Saga ci tenesse che voi…»
Lui è bianco come un lenzuolo. Ha capito, ma lei non sa dire se la cosa gli garbi o no. Per questo resta in piedi. Lui non dice una parola.
«Sì, lo so. Lo so. Ho letto i diari di un’altra persona, e non si fa, però… ne avevo bisogno!» Ed è stato anche divertente, pensa, avendo la buona creanza di tenerselo per sé.
Lui stringe un tovagliolo tra le dita. «Qual è?» Non ce l’ha fatta a non interromperla. «A che anno risale?»
«1972», risponde aprendo la copertina.
«Prima… o dopo la faccenda delle… »
«Delle pulci nel letto di Aphrodite?», domanda lei. Lui assume l’espressione di chi vorrebbe che la terra si aprisse sotto ai suoi piedi e l’ingoiasse come un bocconcino prelibato. Un senso di trionfo le gonfia il petto. «Prima, prima. Me li sto leggendo a ritroso.»
Lui rimane di sasso. Lei reprime a stento una risata degna del suo maestro. La ricaccia in gola a forza.
Silenzio.
Lui si passa una mano sugli occhi. «Perfetto…», commenta fissando il vassoio della colazione senza vederlo. E lei si sente un mostro.

Da uno a millemila, quanto ti saresti infuriata se avessero fatto la stessa cosa a te?

Si mordicchia le labbra.

Millemila elevato alla n.

Si avvicina, lo strascico del lenzuolo tra le braccia assieme al quaderno, e si siede accanto a lui. «Scusami. Non avrei dovuto farlo, lo so…»
«Magra consolazione…»
«…ma mettiti nei miei panni!»
Lui fa scorrere il suo sguardo azzurro sulla sua pelle. Lei incrocia le braccia al petto. «Intendevo in senso metaforico!», arrossisce. «Avevo bisogno di saperne di più… E la tentazione era troppo forte», aggiunge con un soffio, sperando che lui la capisca. E che non la sbatta fuori a calci. Io l’avrei fatto da un pezzo.
Lui abbassa la testa. Un respiro frustrato, poi le chiede: «Almeno, hai letto solo i miei?».
«I… i tuoi?», ripete lei, come un parrocchetto ammaestrato. «No, qui c’è un equivoco. Io ho letto solo quelli di mio fratello…»
Lui si rianima. «Di tuo… Non i miei?»
Deluso, eh?, pensa lei, chiedendosi in un angolo del suo cervello quali inconfessabili misfatti potrebbe trovare nei suoi diari. Roba con cui ricattarti a vita?
«No. Ma tranquillo, mi è bastato leggere quelli di Etienne per cogliere due piccioni con una fava.» E poi, all’epoca, non m’importava un fico secco di te.
Storce le labbra, come a cercare di mettere a fuoco qualcosa.
«1972… 1972…», ripete, nel tentativo di pescare un dettaglio, uno qualsiasi. Poi alza lo sguardo su di lei. Che si stringe tra le braccia e gli mostra quel diario dalla copertina bordeaux come se fosse la chiave di tutti i misteri.
«Devo ancora cominciarlo…»
«Non dovremmo fare una cosa del genere…», protesta lui. Flebilmente. Troppo perché lei non rilanci con un: «Tranquillo, non lo saprà nessuno. Resterà tra te e me», che farebbe capitolare anche la più riottosa delle comari. E infatti lui si volta verso di lei, solleva un braccio, come ad accoglierla, e lei si sistema contro il suo petto.
«Un giorno a testa?», chiede lei, guardandolo da sotto in su.
«D’accordo», risponde lui addentando un croissant. «Comincia tu.»




Sì, lo so.
Ho innaugurato l'ennesima storia, ma avete amato così tanto i Baby Gold Saint che non ce l'ho fatta a resistere.
Prima delle note, una brevissima spiegazione.
Nel mio headcanon il Sacerdote impone ai Santi di redigere un diario in duplice copia (lingua madre del Santo con testo in greco a fronte) per avere un resoconto delle varie missioni affidate loro. Di tutte le missioni. Compresa questa. Milo non ha redatto il resoconto, ed il Sacerdote non l'ha mai richiesto perché non ce n'era bisogno. Camus, invece, l'ha fatto, da bravo precisino quale egli era. E Milo ringrazia...
I Baby Gold Saint salteranno fuori dal prossimo capitolo, non disperate!

Il titolo è un omaggio ad un racconto di Hermann Hesse, Heumond pubblicato nella raccolta Diesseits, del 1905, inedita in Italia. I due racconti non hanno molto in comune se non essere ambientati nel mese di luglio (e prima che ve lo chiediate, per me Hesse e luglio vanno assieme come il cacio sui maccheroni, o la salsa tzatziki sull'horiatiki se preferite), ma semmai vi fosse venuta la curiosità, TEA editore ne ha fatto uscire una traduzione nel 1990, intitolata, appunto Giorni di Luglio.

Agia Marina corrisponde alla nostra Santa Margherita, protettrice delle partorienti (sia mai servisse a qualcuno); la chiesa ortodossa la festeggia il 17 Luglio, la chiesa romana, il 20. Sono molte le zone della Grecia che organizzano delle celebrazioni in onore di questa santa, e l'iter è sempre lo stesso: feste, balli, canti e fuochi d'artificio la sera precedente la festività; e la celebrazione religiosa il mattino dopo.
Se siete su Milos, potete godervela ad Halakas. Per esigenze di copione, ho spostato i festeggiamenti a Tripliti. Voi chiuderete un occhio, vero?
   
 
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