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Autore: Proiezioni    19/07/2014    8 recensioni
Serie oro
Trunks, ormai uomo adulto nonchè imprenditore a capo della sua azienda, racconta della sua famiglia col senno di poi... Alla gente sembravamo un famiglia strana. In effetti lo eravamo, tuttavia rimanevamo assemblati perfettamente.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie SILVER'
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3.

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Non so di preciso come i miei dormissero. Non so se riposassero abbracciati, a cucchiaio o dandosi le spalle. Quando ero piccolo li avevo scorti qualche volta nella stessa stanza al mattino o di sera tardi se facevo storie per addormentarmi, in genere aprivano la porta quando erano completamente svegli e mio padre se ne stava ancora buttato sul letto in pantaloncini. Avevo all’incirca cinque anni quando mi intrufolai attraverso la finestra dopo essermi arrampicato lungo il cornicione. Ero sfuggito al controllo di mia nonna mentre rimboccava le lenzuola dei letti e sistemava la stanza, penso fossero le otto di mattina su per giù, a dire il vero non lo ricordo con precisione ed il mio è un ricordo poco chiaro ma comunque ancora impresso nella mia mente: avevo l’indole selvaggia e paterna che mi scorreva nel sangue, spingendomi ad assecondare impulsi pericolosi anche se i miei non sembravano eccessivamente preoccuparsene. Probabilmente davano per scontato avessi la pelle coriacea e non si davano pena all'ipotesi che io cadessi malamente o mi rompessi qualcosa correndo da una parte all'altra della casa come un tornado incontenibile - e l'energia di mio padre d'altronde, dovevo pur spurgarla almeno correndo... - In genere, almeno all’epoca della mia infanzia, mio padre era mattiniero e si svegliava sempre all’alba; tuttavia spesso rimaneva nel letto a trastullarsi fino all’ora di colazione, prima di chiudersi nel trainer per tutto il giorno e rimanerci fino al pomeriggio - io lo spiavo spesso bramando il giorno che mi sarei allenato con lui, e osservavo i suoi movimenti, notando i suoi orari seppur con vaga consapevolezza e comprendendo poco responsabilmente quel suo da farsi a cui volevo unirmi -. Quella mattina in cui ero svignato alle cure apprensive di mia nonna e mi ero intrufolato nella camera dei miei genitori attraverso la fenditura della finestra socchiusa nel bagno, avevo scorto per la prima volta i miei nello stesso letto ancora intontiti dal risveglio, forse reduci da qualcos’altro – e penso avessero passato insieme la notte in certi termini intimi di cui non parlo, perché ricordo che sul pavimento c’erano dei panni che io avevo evitato con i miei passi incerti, capi lasciati per terra con noncuranza, caduti con fretta -.

Talvolta mio padre dormiva solo, qualche volta l’avevo trovato persino sul divano o su una sdraio del balcone in piena notte, e per me è sempre stato normale che lui lo facesse. Se mia madre lo raggiungeva a sera inoltrata e quando tutti stavano dormendo - ed io magari fingevo di essermi addormentato da un pezzo - , al mattino lui si alzava molto presto mentre lei rimaneva nel letto fino a tardi. Voi vi chiedere come faccio a ricordarlo… Avevo notato questi ritmi insoliti nelle abitudini della mia strana famiglia, ero comunque loro figlio, vivevo a contatto con loro gran parte della mia esistenza a quell’età... In effetti, oggi e col senno di poi, penso che mio padre non fosse abituato a dormire con qualcun altro e che la presenza di mia madre lo rendesse più scattante al risveglio, come se ci fosse accanto a lui una persona di troppo. Eppure negli anni, crescendo, non avevo certo non notato che i miei avevano iniziato a dormire insieme molto più spesso e che la mattina si alzavano con grande calma: mio padre non era più un guerriero frenetico e mia madre non era più la donna in carriera volubile che era stata nella sua giovinezza.  Penso che la ritrovata maternità, dopo la nascita di mia sorella, l’avesse rasserenata ulteriormente, e avevo notato anche che il rapporto con mio padre era cambiato in certe sfumature, che lui sorrideva più spesso, che si isolava meno, che rimaneva con noi più a lungo in certe circostanze, che mi coinvolgeva negli allenamenti e nelle sue conversazioni adulte più spesso: ero cresciuto, forse mi considerava alla sua altezza e in grado di capirlo, e questo mi rendeva contento.

Quella mattina ad ogni modo, dopo aver socchiuso la porta del bagno ed aver camminato quatto quatto sulla moquet attento a non inciampare nei panni buttati per terra a casaccio, avevo scorto la schiena nuda di mio padre sul bordo del materasso e tra le sue gambe appena scoperte dal lenzuolo chiaro, altre gambe più sottili e chiare. Girando attorno al letto a cui arrivavo a malapena al bordo, avevo visto che mio padre dormiva e che accanto a lui, a pancia in sotto, riposava anche mia madre. Ed aveva anche lei le spalle nude e scoperte.  Certo ai tempi non avevo colto con malizia la loro nudità celata dal lenzuolo sciatto, ma quando mio padre aveva aperto un occhio, perché in realtà aveva percepito la mia presenza, ero scappato via con la coda tra le gambe…

Mi ero vergognato moltissimo e avevo temuto il momento in cui l’avrei rivisto durante la giornata. Mi aveva raggiunto lui poco dopo, captando la mia aura nel salotto.

“Non voglio mai più beccarti a spiare” mi aveva redarguito mentre facevo colazione e mia nonna cinguettava in sottofondo come se nulla fosse. “Mi hai capito, Trunks?”

Avevo abbassato lo sguardo annuendo, colpevole…

“Non volevo farlo, papà”.

“Tu fa’ in modo che non riaccada”.

I miei genitori avevano una grande e riserbata intimità a cui mio padre teneva particolarmente. Averla violata per me era stato un po’ come rubare qualcosa di loro, un pezzo del loro amore segreto che io sapevo esistere mentre rimanevo fuori dalla camera da letto.  Mi ero sentito a disagio sotto la sua occhiata severa ma calma, mio padre aveva quello strano e evidente potere di farti tremare anche con uno sguardo, con la voce modulata come si intonano gli ordini irreprensibili, e solo col tempo ho compreso quanto fosse radicata il lui la carriera militare che aveva fatto.

Era un soldato anche in famiglia.

Era schivo e non si scioglieva, ma dietro quella sua corazza era buono, noi lo sapevamo, mia madre mi aveva insegnato a capirlo, e nonostante ci litigasse di frequente, quando lui entrava in una stanza veniva attratta da lui come un satellite si lega ad un pianeta a cui vota l’esistenza: il loro era un insolito modo di rapportarsi, molto diverso da quello delle altre famiglie sotto alcuni aspetti,  ma nonostante ciò il legame che li univa so che era forte immensamente. Lo percepivo anche se non riuscivo né ancora riuscirei a spiegarlo con chiarezza, perché era come una carica elettrica che si sente a fior di pelle. Certe cose non si possono mettere per iscritto né si possono provare a raccontare a tono alto. Certe cose le avverti, sono percezioni che ti rimangono dentro.  Come posso spiegare la profondità con cui mio padre sapeva guardarla? Io lo spiavo dal basso, delle volte, e sembrava che i suoi occhi brillassero di uno strano possesso, e ora che sono un uomo adulto sono in grado di  comprendere quelle sfumature che un legame come il loro faceva affiorare dagli occhi.

Era il suo modo di amarla. Lo faceva con gli occhi prima di usare le mani, perché mio padre non era un tipo bravo con le parole né tantomeno coi gesti, e faceva davvero fatica ad esternare il suo affetto nei nostri confronti, eppure bastava uno sguardo e le sue iridi scure sembravano infiammarsi della profondità dell’universo: posso leggergli adesso, pur nel ricordo, che talune volte mentre fissava mia madre le diceva le cose più belle solo con gli occhi. E lei non cessava mai di ricambiarlo, ma sembrava fiorisse…

Comunicavano spesso così, solo guardandosi. E nessuno di noi poteva intromettersi perché non conoscevamo quel loro linguaggio.

La loro intimità era un avamposto insormontabile e solo mia madre ogni tanto faceva trapelare la complicità che li legava: non erano che accenni della sua esuberanza, momenti di euforia in cui riusciva a mettergli scherzosamente le braccia al collo e mio padre si tendeva a disagio, evitando i nostri sguardi infantili e importunanti, perché non l’avevo mai vista stringersi realmente e con passione a mio padre fino all’età di diciassette anni. E dirvi che era stato strano non renderebbe la sensazione che mi ha pervaso quando come una cosa sola, ho scorto la loro sagoma in un unico abbraccio…

Come vi ho raccontato mio padre era dovuto andare di nuovo a combattere con Goku ed io, in quell’occasione, l’avevo cercato con rabbia perché volevo che lui mi portasse con sé in battaglia, che mi osservasse fargli onore mentre mettevo in atto i suoi insegnamenti. Volevo la sua stima ottenendola attraverso il combattimento, per me era come avere la possibilità di giocarmi l’asso nell’ultima carta vincente ed essere impedito nel farlo: lui non mi aveva dato modo di agire, non aveva voluto che lo facessi, e forse solo la concitazione di mia madre che già temeva la sua morte disperandosi, non gli aveva fatto distinguere il mio apprestarmi alla porta. Dall'uscio semiaperto li avevo poi visti parlare e avevo udito mio padre zittirla. Ero divenuto testimone di qualcosa che non mi avrebbero fatto vedere diversamente… Avevo dovuto spiarli pur senza volerlo, per sapere…

“Piantala di preoccuparti. Non posso fare altro che andare, che cosa pretendi che faccia, che rimanga qui a guardare?”

“Non dimenticarti che i tuoi figli ti amano, se te ne vai sai quanto gli mancherai?” Lei aveva abbassato gli occhi. “E quanto mancherai a me?”

Mia madre gli aveva parlato di mancanza e non nego che mi aveva fatto molto strano sentirla rivolgersi così a mio padre, la roccia austera capace di resistere forse a tutto ma non al suo volto.

“Non posso rinnegare quello che sono. E se vado è anche perchè quella bestia prima o poi vi ammazza, lo sai che i terrestri non sono in grado di fermarla”.

Mia madre si era girata facendo una smorfia infelice e aveva poggiato la fronte e i pugni contro il muro, come se cercasse da quell’appiglio la forza. Mio padre in silenzio invece le aveva preso una spalla e l’aveva costretta a voltarsi.  E poi contro il muro le aveva detto qualcosa che non avevo distinto, forse un guardami a cui mi madre aveva risposto alzando solo lo sguardo.

Piangeva.

“Non trattarmi come se fossi una debole… Non lo sopporto” lo aveva redarguito con la voce tremante.

La dolcezza di mia madre era infinita, ma nonostante ciò rimaneva immutata la sua forza interiore, quella sua percepibile grinta che la rendeva capace di essere la moglie di un uomo come mio padre.

Lui dal canto suo l’aveva guardata un lungo istante, poi con le dita ruvide aveva cancellato la scia di lacrime sulla sua guancia e mia madre in risposta aveva posato le mani sul suo petto. Era stato strano vederli comportarsi con quella franchezza, con quel sentimento che non avevo mai scorto, non così, non con tale spudoratezza che per gli altri era parte della normalità e per me invece dell’assurdo. Con le orecchie spalancate e con avidità, nascosto dietro la striscia di luce che proveniva dalla porta, avevo spiato quel momento cercando di sentire i loro discorsi. Stavo venendo meno agli ordini di mio padre. Li stavo spiando di nuovo, come tanti anni prima...

“Tu sei forte dentro, donna.”

La chiamava così ogni tanto, lo faceva quando in lui il principe saiyan prendeva il sopravvento, quando si arrabbiava o quando le stava dicendo qualcosa di importante. Era lo strano modo di esprimersi di mio padre, di rappresentare il suo secondo volto, di sentirsi ancora nel proprio mondo antico, vicino alle sue radici guerriere. Ciò che si apprende in infanzia del resto è duro a morire nella mente.

E credo che in rimando mia madre gli avesse mormorato abbracciami , non riuscivo a leggerle con chiarezza le labbra ma mi era sembrato di interpretare così quel movimento, perché mio padre all’improvviso le aveva preso le spalle, le aveva agguantate con decisione come se volesse fare qualcosa, ma lei l'aveva anticipato e dopo qualche istante gli si era stretta addosso. Non saprei neppure descrivere com’è stato vedere le mani di mio padre, il guerriero capace di trucidare impietosamente, aggrappate alla schiena di mia madre con quella forza, come se volesse distruggersi con lei; scorgere i polpastrelli ruvidi e callosi stringere il tessuto della canotta  e poi cogliere - con timidezza che ancora sento - il suo capo selvaggio avvicinarsi al suo volto e vederlo insinuare il naso tra i suoi capelli, all’altezza dell’orecchio. Aveva annusato in un respiro il suo odore, lo avevo visto, l’aveva respirato come si inspira l’aria in alta montagna: a polmoni completamente aperti, profondamente, e mia madre l’aveva stretto a sua volta con le braccia aggrappate alla sua schiena enorme senza riuscire a trattenerlo. E giuro che abbracciandola con quella forza disperata sembrava averle urlato sei la luce della mia vita in tutte le lingue del mondo ma con una fierezza immane e assurda.  

“Non aspettarmi, Bulma”.

Gliel’aveva detto come si pronuncia un verdetto o una condanna, con quel tono assolutista di un monarca che mio padre sapeva avere all’occorrenza, ma so che era stato il suo modo di dirle che l’amava senza provare vergogna. Non aveva aggiunto nient’altro, aveva preso da lei le distanze trovando il suo sguardo disperato che aveva ricambiato con serietà assoluta e inequivocabile. Se ne stava andando, niente di più facile per mio padre l’averla così distrutta, con quella scelta. Ne sono stato certo dopo aver visto negli occhi di mia madre guizzare una luce d'ansia e disperazione.

Lei aveva cercato di trattenerlo con la forza di parole che erano uscite dalla sua bocca e dall'espressione amareggiata con rabbia e tristezza. “Le vostre guerriere seguivano i loro compagni in battaglia… No? Per te sono solo un peso perchè sono una terrestre, non è così?”

Lui si era fermato sull’uscio calamitato da un qualche pensiero sorto nella sua mente senza preavviso, scoppiato come una stella che collassa, e si era girato verso di lei. Una parte del mio cuore aveva sperato che avesse cambiato idea, che forse il suo orgoglio immenso lo lasciasse cedere alla richiesta di mia madre di rimanere, ma mio padre le aveva solo lanciato uno sguardo strano, complice eppure duro, e ricordo la sua voce ferma e sicura, senza un minimo accenno di debolezza. Aveva un tono profondo.

 “Tu per me non sei una guerriera o una terrestre. Tu sei mia moglie. È molto diverso”.

 

 

Continua…

  
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