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Autore: Water_wolf    19/07/2014    8 recensioni
{Prima Classificata + Vincitrice Premio Best Carachter al contest "Un'offerta per gli dei (no, spiacente, niente pizza carbonizzata) indetto da Fantasiiana sul forum di EFP }
Credo che questa sia la prima fic interamente dedicata al Signor D., fatto che dimostra un'altra volta che sono una fan dello scrivere su chi viene generalmente ignorato. Basta che non ignoriate me, però.
Ma, in fondo – molto in fondo –, al Signor D. piaceva il Campo Mezzosangue, allo stesso modo in cui una bambola bruttina e rattoppata continua ad essere il giocattolo preferito di una sedicenne. Ci si era affezionato.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Artemide, Dioniso, Percy Jackson, Zeus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nome autore (sia su EFP sia sul Forum): Water_wolf
Titolo della storia: Alle diese gestorbenen Sterne
Genere: Introspettivo, Angst
Rating: Verde
Coppia scelta: Nessuna
Tema: Stelle
Note dell'autore: Il titolo significa "tutte queste stelle morte" in tedesco. Per il resto ci vediamo giù. Niente spoiler!

 

Alle diese gestorbenen Sterne

(Il Signor D. non ricorda)

 
Dell’arte di perdere si è facili maestri;
ogni cosa pare così colma dell’intento
d’andar persa, che perderla non è un disastro.
 
Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta l’estro
delle chiavi perse, dell’ora senza sentimento.
Dell’arte di perdere si è facili maestri.
 
Poi allenati a un perdere ulteriore, a un perdere più lesto:
luoghi, nomi e ogni dove che la mente
voleva visitare. Nulla di ciò sarà un disastro.
 
Ho perso l’orologio della mamma. Impiastro!
E di tre amate case non ho salvato niente.
Dell’arte di perdere si è facili maestri.
 
Perfino nel perderti (un riso nella voce, un gesto
che amo) non avrò mentito. È evidente,
dell’arte di perdere si è facili maestri
anche se può sembrare (e scrivilo!) un disastro.
 
Elizabeth Bishop, Dell’arte di perdere si è facili maestri.



 
 
C’era qualcosa di speciale nell’aggirarsi per il Campo Mezzosangue di notte.
La Casa Grande era immersa nel silenzio, rotto solo dal russare di Chirone. Il Signor D. aveva provato a fargli notare che non era affatto un’abitudine carina, no, nemmeno se eri un centauro – vecchio, tra l’altro –, ma lui non aveva considerato degno d’attenzione il suo consiglio. Seymour sognava, emettendo nel sonno grugniti, ruggiti e scuotendo la testa, ricordandosi di com’era correre in libertà. Da quando quella Ramona – o forse era Riley? Oppure Rosy? Bah, il Signor D. non se lo ricordava proprio –, il nuovo Oracolo di Delfi, insomma, aveva rimpiazzato quella rachitica d’una mummia con la pelle di carta velina, non c’erano nemmeno più gli inquietanti fumi verdi che scendevano dalla soffitta, si facevano spazio nella residenza e impregnavano l’aria dello stesso odore dell’antizanzare spray.
Ma, in fondo – molto in fondo –, al Signor D. piaceva il Campo Mezzosangue, allo stesso modo in cui una bambola bruttina e rattoppata continua ad essere il giocattolo preferito di una sedicenne. Ci si era affezionato. Dopo tutti i secoli che ci aveva trascorso per colpa del suo adorato padre, naturale.
Però non è che fosse facile capacitarsene. Cioè, bastava cominciare a riportare alla memoria i ricordi dell’anno da incubo, quand’era arrivato Percy Jackson dodicenne, per comprendere quant’era stato difficile per lui abituarsi ad avere vicino un tale piantagrane.
Sì, aveva salvato l’Olimpo da Crono. E aveva partecipato a un’impresa per conto di diverse divinità. Più volte. Ma rimaneva comunque un rompiscatole. Non doveva farci il callo, ecco. Altrimenti, che immagine sarebbe restata degli Dèi?
Dionisio rise.
Che immagine sarebbe restata degli Dèi? si chiese di nuovo, divertito, alzandosi dalla sua poltrona girevole, sistemata nel suo ufficio appositamente dai migliori addetti della Ermes Express.
Si sgranchì le membra stanche, passò accanto alla porta chiusa della stanza di Chirone – da cui proveniva il suo russare; e no, secondo Dionisio, neanche un’anima gentile l’avrebbe definito lieve – e uscì sulla veranda della Casa Grande.
La frescura della notte lo avvolse. Sarebbe stata una serata perfetta per fumare, con le spire di tabacco bruciato che si spandevano nell’aria – peccato non gli piacesse –, o per sorseggiare un bicchiere di vino. Si immaginava già ad assaporare il retrogusto di una prestigiosa bottiglia del 1912, quando si ricordò che non poteva bere. Si obbligò a riflettere sulla domanda che si era posto, spegnendo sul nascere le proteste che già s’infiammavano dentro di lui.
Un tempo, gli Dèi erano stati i veri sovrani. Ora, gli unici a credere in loro erano dei sempliciotti, dei pusillanimi, degli stupidi semidei e qualche umano che riusciva a vedere attraverso la Foschia. Il Signor D. non si sarebbe mai rassegnato all’idea che, un giorno, folle di mortali li avrebbero venerati in templi ancora più fulgidi di quelli dell’Antica Grecia.
Adesso, però, un Percy Jackson destinato a salvarli aveva portato a termine il suo compito. Più ci pensava su, più il Signor D. si sentiva come una vecchietta con deambulatore che veniva aiutata da un giovanotto ad attraversare la strada.
Da quando un dio aveva bisogno di un semidio per non scomparire nel nulla? La loro magnificenza non era già abbastanza?
Probabilmente mi sbaglio su tutto, pensò, visto che non sono nemmeno mai stato tanto tragico.
Dionisio esalò un lungo respiro. Con lentezza e studiata calma, attraversò il Campo Mezzosangue; il naso rivolto alla Luna, osservava le stelle. Cercava i Gemelli, Castore e Polluce, proprio come i suoi figli. Quando li individuò, si sentì stringere il cuore al pensiero che i suoi, di gemelli, avevano smesso di esserlo da qualche mese.
Non era più quello di prima, riconobbe.
Prima, non gli importava nulla dei propri figli. Prima, non era un genitore. Prima, non avrebbe accettato di essere soprannominato Signor D. Prima, non avrebbe finito per riferirsi a se stesso con quel soprannome. Prima, avrebbe soffocato il malessere con del buon vino. Prima, era una persona diversa.
Ma la vita andava così, giusto? Come per i semidei: un giorno prima ti arrampicavi su per la parete di roccia, quello dopo eri bell’e morto. Lo stesso valeva per lui: un giorno era un figlio di Giove qualsiasi, l’altro inventava il vino e puf!, ecco ch’era un novello dio.
I suoi occhi trovarono la costellazione della Cacciatrice, e una vampata di rabbia lo accalorò. Perché Artemide riusciva a sopportarlo? Perché lei era capace di ricordare senza soffrire? Perché?
Se avesse avuto la possibilità di vedere i suoi figli  nel cielo ogni notte, sarebbe diventato pazzo. Erano morti, e lui non poteva salvarli. Erano morti, e un padre non avrebbe dovuto sopravvivere a certi dolori per così tanto. Era per questo che aveva chiesto a Percy Jackson di tenere lontano dai guai l’unico che gli fosse rimasto, nonostante il solo ricordo della loro conversazione a riguardo lo facesse morire di vergogna.
L’aveva capito tardi, che ricordare faceva fale, che la stessa memoria era causa di sofferenza.
Da quel momento, aveva iniziato a non fare più caso a nulla. Se non t’importa del gatto dei vicini, non lo accudisci mentre loro sono in vacanza, né ti importa se muore di fame nel frattempo. Funzionava così, il suo piano: ti passava un mezzosangue davanti, facevi come se non esistesse. Non sprecava tempo a ricordare nomi di persone che sarebbe state cenere, non importava se tra uno o cent’anni.
E odiava Percy Jackson, perché quel dannato ragazzo gli aveva reso impossibile scordarsi di lui.
E odiava Genevieve, Madilyn, Georgia, Christine e tutte le donne che aveva amato, perché ricordava tutti i loro cognomi e i loro particolari – Outen, fossette quando sorrideva; Miller, amava i tulipani e detestava le rose; Allan, i cui capelli diventavano subito ricci, quando c’era umidità; Green, che, a dispetto del nome che portava, aveva la fobia degli insetti –; e di notte non riusciva a dormire, perché i loro fantasmi lo tenevano sveglio.
Ma, più di tutti, odiava suo padre, che l’aveva reso un dio. L’immortalità offerta gli era sembrata una meraviglia, finché non si era accorto che era una condanna. Sotto sotto, era contento che Percy Jackson non fosse stato tanto stupido da accettarla. Chissà; forse, se fosse stato innamorato pure il Signor D., avrebbe negato quel privilegio, a suo tempo.
Adesso, non gli rimaneva che lanciare maledizioni contro Artemide, che non provava dolore. Dionisio non si sarebbe certo abbassato a chiederle aiuto. Aveva ancora un orgoglio da difendere, dopotutto.
Si ritrovò con il torcicollo, e fu costretto ad abbassare lo sguardo dal firmamento. Scrollò il capo, domandandosi perché si fosse spinto fin quasi sulle rive del laghetto delle canoe. Cominciò a rimuginare sui suoi dolori, ripercorrendo il filo dei suoi pensieri, quando decise che era abbastanza, per quella notte. Aveva tutta l’eternità davanti, da dedicare a quegli argomenti morbosi. Tra l’altro, non gli si addicevano neppure. Ma non era stato persino questo uno spunto per parte della sua riflessione?
Bah.
Il Signor D. non si ricordava proprio.


NdA: Guten Abend, folk!
Wie immer, ho sempre tante cosa da dire. La prima, forse, è che ho sempre desiderato dare un titolo tedesco a una mia ff, ed ecco qui. Cioè, il tedesco è una lingua molto sottovalutata. C'è una parola per tutto: tipo, sitzpinkler vuol dire "uomo che piscia seduto".
...
Ve l'ho detto che è una figata.
Secondo: il Signor D. è molto sottovalutato. Voglio dire, HA INVENTATO IL NOMIGNOLO PERFETTO PER PERCY JACKSON, PER GLI DEI.  Perry Johnson è favoloso! Ma oltre a questo, è parte integrante del CHB. Sena di lui, non sarebbe così. Bello, divertente, pericoloso... così tutto, insomma. E, come tutti - o quasi - i pg di zio Rick, sono molto più profondi di quello che sembrano. Non ve l'eravate mai chiesto perché non si ricordava i nomi, scommetto. Be', das ist meine Antwort. Può essere pieno di headcanon, più angst, più serio, ma per me è questo Mr D. E anche se non sarà super IC, o come se lo aspettano tutti, però sono orgogliosa di aver dichiarato al mondo fandom quanto io lo adori con questa ff.
Terzo: si merita di meglio del mio solito quarto possto + premio.
Terzo: La poesia è di Elizabeth Bishop, l'ho trovata leggendo Noi siamo grandi come la vita (Love letter to the dead) di Ava Dellaira. Bel libro, sìsì. Amore per la giudicia che mi ha permesso di inserirla.
Quarto: Ero indecisa anche sulla citazione di Qualcunochenonmiricordoadessocomeadesso - L'immortalità esige l'oblio. O simile.
Quinto: La ff è ambientata poco dopo la fine di Crono e il salvataggio dell'Olimpo, ma potete anche immaginarla tra il quarto e il quinto libro.
Sesto: headcanon - Chirone russa hi,hi!
Settimo: ...
Ottavo: non ho un settimo punto.
Nono: be', anche questo e quello sopra non sono da meno.
Decimo: ...
Undicesimo: Ah, sì! Grazie per aver letto, esservi sorbiti i miei sproloqui, enjoy!

Water_wolf

 
  
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