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Autore: Bloomsbury    21/07/2014    9 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"Take, take all you need
And i'll compensate your greed
With broken hearts 
Sell i'll sell your memories
For 15 pounds per year
But just the good days

Say, it'll make you insane
And it's bending the truth
You're to blame
For all the life that you'll lose and you watch this space
But i'm going all the way
And be my slave to the grave
I'm the priest God never paid."

The Small Print- Muse 

 
 


26. The Small Print
 
“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”
Haruki Murakami
 
 
Odiava le feste.
Nello specifico odiava le persone che vi incontrava.
Per giorni Brad aveva cercato di convincerlo a presenziare, finché ci era riuscito, o meglio, lo aveva costretto velatamente.
Dopo essersi vestito elegante per il grande evento al quale avrebbero partecipato, a detta di Brad, alcune delle personalità di spicco del business londinese, si fissò allo specchio per qualche istante e dopo mesi aveva veramente guardato il suo riflesso.
Non gli era più interessato conoscere il proprio aspetto; non pensava fosse importante sapere se era bello, brutto, ordinato, elegante: ormai il suo specchio era Brad, anzi, la sua espressione.
Quella sera lo aveva guardato estasiato e soddisfatto.
 
«Truccati.» gli “consigliò” mentre il ragazzo abbottonava i polsini.
«Mi hai preso per uno spaventapasseri?» chiese senza neanche guardarlo.
Brad si avvicinò, ponendosi alle sue spalle; lo afferrò dalla vita trascinandolo verso di sé dalla cinta, per poi poggiarsi con il mento sulla spalla del ragazzo. Squadrò il loro riflesso allo specchio e con estremo compiacimento sorrise: amava ciò che vedeva.
Senza distogliere lo sguardo gli morse il collo, godendo del contatto visivo. Dopo avergli passato la lingua sulla pelle lasciò che i bollenti spiriti si calmassero: «Truccati.»
«Non uso farlo, non ho l’occorrente.».
Lo liberò di colpo per dirigersi in bagno; ne uscì con ciò che serviva.
 

Jay pensò che quella pretesa fosse solo un'altra delle sue tante fantasie erotiche; tesi avvalorata dagli sguardi accaldati e ammiccanti che spesso gli aveva lanciato durante il viaggio in macchina.
Abbandonato sullo schienale dell’auto, Jay fissava la strada cercando di capire dove questa fantomatica festa privata avrebbe avuto luogo.
Vide riflessi al finestrino i suoi occhi contornati dalla matita nera che, con linee marcate, faceva risaltare il colore chiaro delle sue iridi: disgustoso.

***
 
Arrivarono nei pressi di Kensington e dopo aver percorso Holland Park Avenue si fermarono davanti ad uno dei tanti lussuosi condomini del quartiere.
Scese dall’auto guardando in direzione dell’attico ben visibile per via delle ampie vetrate che fungevano da pareti. Tutto l’attico dava spettacolo di sé, riuscendo ad illuminare con le sue luci finanche la strada: «Un’umile dimora. Il proprietario sarà felice di dire al mondo quanto è figa la sua casa.» disse ironicamente, schiacciando al suolo la sigaretta appena accesa e che Brad gli aveva strappato prontamente dalle labbra prima che potesse fare il primo tiro: «Fai meno il sarcastico, Jay. Ti farò conoscere la gente che conta».

***
 
Non fu la ricchezza ostentata a sconvolgerlo, neanche il sontuoso salone pieno di gente ben vestita, ma il fatto che ogni uomo si accompagnasse ad un ragazzino, pressappoco della sua età, con gli occhi truccati di nero. Ognuno era la copia dell’altro. «Che cazzo di festa è questa?» balbettò indietreggiando, vittima di un inspiegabile paura che lo costringeva a spostare convulsamente lo sguardo da un paio di occhi all’altro, sempre più velocemente, rivedendo se stesso in ognuno di essi.
«Calmati. Non ho intenzione di venderti o di cederti o qualsiasi altra cosa tu stia pensando. Non ti divido con nessuno.» sibilò Brad servendogli un sorriso di scherno.
«Non è questo il punto.» precisò deglutendo a fatica «Mi hai marchiato?»
«Ma come ti viene in mente?» l’uomo rise divertito, bloccando Jay sul posto con la mano, stringendogli la spalla «Hai una fervida fantasia, piccolo.»
«Non mi fare questo. Tutto, ma questo no.» pregò guardandolo, stavolta, supplichevole.
«Non essere ridicolo. Non ti accadrà niente, non esagerare. È una festa privata tranquillissima. È solo un modo per passare una serata liberamente. Condividiamo i nostri segreti in questo appartamento, tu sei il mio “segreto” e tutti i ragazzi che vedi sono i “segreti” altrui. Invece di impaurirti e pensare chissà che cosa, conosci qualcuno e divertiti!»
«Qualsiasi cosa sia, mi fa schifo.»
«Come ogni cosa che mi riguarda, Jay.» concluse Brad con pacata irritazione, stampandosi in viso un sorriso di circostanza per poi lasciare il ragazzo in mezzo alla stanza raggiungendo uno dei tanti uomini cartolina fatti di apparenze ma, anche, di “segreti” marchiati di trucco nero sulle palpebre.
Strinse gli occhi per allontanare da sé l’agitazione e il disgusto e si allontanò dal salone, raggiungendo le scale che portavano al piano di sotto dell’appartamento: il piano più nascosto, quello senza vetrate.
Camminò incerto, mischiandosi tra quella gente. Odiava far parte di quella calca, ma ormai ci era dentro con tutte le scarpe.
Vide le coppe di champagne abbandonate su un grande tavolo moderno in laminato e cercò senza successo una bottiglia ancora piena: avrebbe bevuto, così per passare la serata con più serenità. Senza alcun motivo posò gli occhi su un ampio divano illuminato da un curioso lampadario moderno che scendeva a pioggia dall’alto e dirigendosi in quella direzione, si accorse delle persone sedute. Non ci aveva fatto caso inizialmente, ma su quel divano c’erano uomini occupati a chiacchierare distintamente, fumando sigarette; qualcuno abbracciava il proprio “segreto” muto e silenzioso e proprio mentre il suo sguardo venne catturato da due occhi neri e vuoti di uno di questi, la sua attenzione, in automatico, si spostò sull’elegante signore accanto a lui.
Lo stupore non gli fece accettare subito ciò che vide e si arrestò sconvolto. Lo shock superò di gran lunga la rabbia, perciò rimase impalato, muto, inchiodando con gli occhi suo padre.
George Hahn beveva champagne serenamente, chiacchierando in modo amichevole e del tutto informale mentre, con un braccio, cingeva avidamente le spalle di un ragazzino silenzioso e assorto.
Per minuti interminabili lottò con il suo cervello che, d’istinto, non riusciva a collocare suo padre in un posto neanche lontanamente paragonabile a quello in cui in realtà si trovava ma, poi, quell’immagine divenne una certezza.
L’incontro di sguardi avvenne irreparabilmente e George, inespressivo, non distolse gli occhi da lui neanche per un istante; apparentemente non sembrava stupito, ma il cuore in realtà aveva perso un battito. Si alzò, scusandosi con i suoi interlocutori dell’improvviso congedo e, rivolgendo un cenno a Jay, sparì dalla sala.
Prima con incertezza, poi con impazienza, lo seguì lungo un corridoio che separava la zona giorno dalla zona notte e non appena si trovò nell’ufficio privato, privo di illuminazione, del padrone di casa, la luce si accese e la porta si chiuse alle sue spalle.
«Cosa ci fai qui?».
La voce di suo padre era sempre la stessa: severa, impostata, dura.
Per un attimo gli parve di essere ritornato indietro, a quel giorno in cui quello stesso uomo lo aveva schiacciato senza esclusione di colpi.
Pensò alla serie infinita di circostanze che si vennero a creare dopo quel fatto e si accorse che ne era passato di tempo; si rese conto di non essere più quello di una volta. Si voltò, trovandosi davanti l’espressione arrogante che si aspettava, ma non si fece intimorire, anzi, lo imitò alla perfezione di rimando: «Cosa ci fai tu, qui!?»
«Non credo di doverti dare spiegazioni.» rispose inarcando le sopracciglia, con aria di superiorità.
«Beh! Neanche io.» concluse con un sorrisetto sarcastico, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, appoggiandosi con le gambe incrociate alla scrivania. Nonostante il cuore battesse all’impazzata rimase calmo e irremovibile, fissandolo con aria di sfida.
«Io mi trovo qui perché conosco molti di quelli presenti. Mi hanno invitato, ma non ho niente a che fare con lo stile di vita di questa gente.» spiegò fingendosi estraneo.
«Vallo a raccontare a qualcun altro, George. Ti ho visto mentre abbracciavi quel ragazzo come fosse di tua proprietà.»
«Anche fosse, non credo tu possa giudicarmi, non sei proprio nella posizione visto il trucco che porti. Sembri una prostituta…»
«E tu un ricco pervertito. Non so chi è peggio.» lo interruppe senza andare per il sottile.
Seguirono momenti di impaccio in equilibrio tra l’intenzione di attaccarsi ancora e la voglia di scappare, ma George, con ironia, optò per la scelta meno saggia: «Quindi, il ragazzo coraggioso che è venuto a prenderti a casa e che io, sfortunatamente, non ho avuto il piacere di conoscere, alla fine ti ha ridotto ad una puttanella d’alto bordo.». Prima che potesse concludere la provocazione, si ritrovò gli occhi di Jay pericolosamente troppo vicini. Con uno scatto si era staccato dalla scrivania per raggiungerlo e sfidarlo: «Ti conviene tacere.» gridò puntandogli il dito in faccia «Quell’uomo non fa più parte della mia vita. Chi mi ha messo in questa situazione è uno come te.»
«Ti costringe, figliolo?» chiese con falsa preoccupazione «Pensavo che i ragazzini come te si vendessero spontaneamente.»
«Nessuno mi costringe…»
«Bene! Allora sono due le cose: o quel ragazzo con il quale non stai più ti ha ridotto in miseria o sei semplicemente un ipocrita arrivista. Mi aspettavo avresti trovato un’occupazione decente arrivato a questa età, invece fai la prostituta.» lo giudicò con estrema leggerezza.
«Sai cosa ho sempre ammirato in te? Sei un barrister anche nella vita privata, riesci ad attaccarti ad ogni cavillo pur di averla vinta, ma con me non attacca.» lo provocò per poi accusarlo: «Puoi offendermi quanto vuoi, ma una cosa è certa: hai umiliato, offeso e abbandonato tuo figlio di diciassette anni. Mi hai rovinato la vita e ho creduto per anni che tu fossi uno sporco omofobo incapace di ragionare e poi, alla fine, vengo a scoprire che invece non sei altro che un omosessuale represso che ha sposato una donna che, certamente, ha scopato per anni controvoglia e nel frattempo andava a caccia di giovani gay pagando il loro silenzio. Dio, quanto mi fai schifo!» esclamò alla fine digrignando i denti. La rabbia, fomentata dai ricordi che lentamente risalirono tutti in superficie, ridisegnò le linee del suo viso, rendendolo duro e spietato.
Izaya era stato in grado di cancellare i momenti di dolore causati dai suoi genitori, lo aveva reso felice ma rivedere suo padre aveva risvegliato il diciassettenne distrutto e mortificato che era stato, fortificato, però, dagli eventi amari che avevano costellato il resto della sua vita fino a quel giorno.
«Io conosco l’ambiente e avevo paura che tu potessi cadere in situazioni del genere. Per questo avrei preferito più un figlio malato che gay.». L’ultima frase farcita di ipocrisia e di dilagante ignoranza stizzì Jay che, però, non si lasciò perdere l’occasione di sferrare l’ennesimo colpo: «Certo! Quindi per farmi del bene hai preferito sbattermi fuori casa: sei un genio, cazzo!» ironizzò schioccando le dita e annuendo.
«Non ti ho mai sbattuto fuori casa, te ne sei andato tu.»
«Se non me ne fossi andato probabilmente avrei fatto una fine peggiore, sarei diventato come te: un omosessuale represso pieno di rancore e rabbia. Io credo, invece, che tu avessi solo la fottutissima paura che io potessi scoprirti mentre ti scopavi i culi dei quattordicenni.»
«Non parlarmi così, non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo.» lo minacciò, puntandogli il dito contro. Era così adirato da riuscire a mutare completamente l’aspetto del suo volto; se avesse potuto l’avrebbe ucciso pur di tappargli la bocca.
Gli occhi intrisi di odio di George si scontrarono contro quelli freddi di Jay che, preso da una calma quasi disumana, si lasciò andare ad una risata provocatoria: «Paparino, hai rinunciato ai tuoi diritti di padre da un po’. Non sei nella posizione di dirmi quello che devo o non devo fare. Io so solo una cosa, però: non sono più quello che ero. Se da bambino avessi saputo tutto ciò, probabilmente ne sarei rimasto scioccato, oggi, invece, mi stupisco di me stesso perché non solo non mi sento meravigliato, ma ho quasi voglia di andare a trovare mia madre.»
«Non minacciarmi, Jay. Non metterti contro di me, ne pagherai le conseguenze.» sussurrò tremante dalle collera.
«Sai una cosa, George?» si avvicinò al suo orecchio per poi sussurragli: «Non me ne frega un cazzo. Se vuoi uccidermi mi fai solo un favore.».
Uscì dalla stanza prima che il padre potesse rispondere e non appena giunse nel salone principale vide Brad con aria trionfante scrutarlo tra la folla.
Inizialmente non capì cosa volesse significare quello sguardo, ma poi la cosa divenne fin troppo chiara: Brad sapeva che alla festa ci sarebbe stato suo padre.
Non appena questa idea lambì la sua mente, ebbe la conferma di quanto fosse meschino. Quell’uomo era un mostro e sapeva di lui più di quello che aveva sempre lasciato intendere; Jay capì quanto potesse essere pericolosamente macchinoso solo dall’espressione divertita che aveva sul volto.
Li aveva fatti incontrare volutamente a quella festa specifica, dove avrebbe potuto marchiarlo così da far capire al padre ciò che in realtà era diventato suo figlio, solo per il gusto di complicargli la vita, ferirlo a morte e, magari, metterlo ancora di più nelle condizioni di aver bisogno di lui.
Ma le sue aspettative furono tradite perché Jay, con un cenno della mano, lo invitò fuori a parlare.

***
 
Lo raggiunse con cautela, togliendosi dalle labbra il sorriso che pocanzi aveva lasciato scorgere senza nasconderlo.
Jay lo aspettava appoggiato all’auto, intento a fumare una sigaretta: sembrava calmo, paurosamente controllato.
Il ragazzo che aveva difronte lo inquietava a volte: riusciva ad essere così influenzabile eppure tremendamente enigmatico.
Non sapeva cosa aspettarsi ma in quel momento colse un sentimento che fino ad allora non si era mai palesato. Nella foga di possederlo e giocare bene le sue carte non aveva mai pensato all’eventualità che, a lungo andare, avrebbe potuto affezionarsi seriamente a lui.
«Dimmi.» lo affiancò. Stavolta era Brad quello incerto e il fatto che Jay fosse in strada quieto e apparentemente impassibile lo impaurì; più che lui, la cosa che maggiormente lo spaventava era ammettere di provare qualcosa, tanto da capovolgere i ruoli e renderlo l’unica vittima del rapporto che con tanto affanno aveva instaurato.
Jay si voltò, manifestando apertamente il suo irremovibile sangue freddo; una strana luce gli riempiva gli occhi verdi. Le labbra rosse, infuocate dalla conversazione con suo padre, si mossero lentamente per formulare le parole che Brad aveva appena scoperto di temere: «Sparisci dalla mia vita.».
Era categorico, sicuro e terribilmente disperato; non di una disperazione angosciata, ma terribilmente disinteressata.
Jay non aveva più paura, aveva accettato il suo cambiamento: ormai era vuoto, privo di qualsiasi sentimento, non era neanche più irritato: era morto con Izaya.
«Sapevo che ci sarebbe stato tuo padre, per questo ti ho portato qui. Volevo aiutarti a prenderti un’ultima soddisfazione.»
«Bugiardo.» lo accusò senza alcun rancore «Non mi importano le tue ragioni, anche perché sei così abituato a mentire che ormai non te ne rendi neanche più conto. Non sono arrabbiato con te, voglio solo liberarmi di te.».
«Jay…» lo stava perdendo e solo Dio poteva immaginare quanto tutto questo gli facesse male. «Non te ne andare.» lo implorò con la voce rotta in gola. I suoi giochi stavano crollando, ciò che aveva costruito era finito sotto i piedi di Jay che, implacabile, calpestava ogni cosa.
«Non farti vedere mai più.» concluse spegnendo la sigaretta sull’asfalto.
Si voltò, staccandosi dall’auto, e cominciò a camminare, ad allontanarsi sicuro da quella casa e da quei due luridi uomini che gli avevano rovinato la vita.
Brad, di colpo, perse ogni contegno e gli corse dietro per poi afferrarlo dalla giacca: «Non te ne puoi andare. Tu non puoi lasciarmi.».
Jay si divincolò, voltandosi verso di lui senza neanche fermarsi: «Sparisci.» sussurrò.
Brad lo lasciò andare, immobilizzato dagli occhi trasparenti e freddi che lui stesso aveva valorizzato pesantemente. Il trucco ormai era sfatto, in ogni senso.
«Va bene, vaffanculo!» urlò furioso, scuotendo le mani senza alcuna logica: «Volevo aiutarti. Mi stai abbandonando, Jay. Mi stai lasciando?».
Non ricevette risposta e non appena si accorse che urlare non sarebbe servito a niente smise di farlo, continuando a scrutare la figura sicura e fiera dell’unico ragazzo che avesse mai desiderato fino alle viscere sparire all’orizzonte senza mai voltarsi.




Angolo Autrice.
Rieccomi. Spero che questo capitolo vi sia paiciuto e aspetto con ansia i vostri commenti. *è curiosa*
Non ho molto da dire, solo che sto scrivendo tanto e sono felice perché sto riuscendo a completare una storia che anche se ho pubblicato pochi mesi fa c'ho sul groppo da un anno.
Scrivere di Jay non è un peso e mi mancherà quando sarà finito, spero mancherà anche a voi, ma ultimare la storia è diventata una questione di principio U_U
Voglio ringraziare Bijouttina che so che farà i salti di gioia (ma non cantare vittoria troppo presto), Babbo Aven con il quale riesco perfettamente a scambiarmi opinioni su questa storia con totale schiettezza, LadyWolf che sa come finisce :P, Elsker che è sempre la mia piccolina adorata e che riesce sempre a stupirsi ad ogni capitolo e che mi ha consigliato questa citazione che ho scelto di inserire all'inizio di questo capitolo, DarkViolet92 che c'è sempre, Ghost che è una delle prime a sapere come finisce ma legge lo stesso con amore, Julie che proprio adesso è ai capitoli idilliaci di Izaya e ancora non sa che è morto e quando ci arriverà mi ucciderà (ho distrutto la sua ship) e poi voglio ringraziare chi è ancora all'inizio ma che arriverà alla fine, chi è sparito ma so che ritornerà: Mrs Burro, Fox, Ita, Nahash, SorellaGrimm e se dimentico qualcuno uccidetemi, e tutti quelli che leggono silenziosamente o che mi fanno sapere in altro modo cosa ne pensano: Oxymoros ad esempio :P
Ringrazio Moloko che legge e ogni tanto mi minaccia dicendomi: "ho delle cose da dire" e mi fa aspettare facendomi tremare le chiappette.
Grazie a WarHamster che mi sta dando una grande mano d'aiuto a sistemare la storia. Stiamo ancora ai primi capitoli ma presto correggeremo tutti gli scempi che ho lasciato per strada.
Grazie a tutti quelli che hanno inserito la storia nei Preferiti/Ricordati/Seguiti.
A presto.
Bloomsbury
   
 
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