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Autore: EvgeniaPsyche Rox    22/07/2014    7 recensioni
Roxas Lachance aveva ormai compreso che con certe cose non si raggiunge mai effettivamente l'inferno, bensì si continua a precipitare, precipitare e precipitare, proprio come la povera Alice -Tra l'altro da bambino quella fiaba lo spaventava a morte- aveva fatto per inseguire quell'antipatico del Bianconiglio.
La sua storia però era un po' differente: al massimo in comune con quella stramba ragazza aveva i capelli biondi e gli occhi blu -O forse quelli di Alice erano azzurri?-, ma il suo era un incubo mascherato da fiaba e il suo amato Bianconiglio che lo aveva spinto a precipitare all'infinito era conosciuto ufficialmente come ''eroina.''
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Hayner, Roxas, Xion
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
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                                                                        A place where the sun is silent.



«Per cosa avete litigato questa volta?»
«Le solite cazzate». Xion annuì leggermente e si alzò dal tavolo, intuendo che il giovane non aveva alcuna voglia di parlare, come sempre d'altronde; mise il thè a bollire e diede la schiena all'altro presente, il che fu un sollievo per Roxas, dal momento che detestava dialogare con una persona guardandola dritta negli occhi.
Soprattutto quando si trattava di lei.
«Non ci torno più lì. Dico davvero. Se mi rivorrà in quello schifo di appartamento dovrà chiedermelo strisciando». Ma Roxas sapeva che non sarebbe mai andata così, e perfino Xion, che conosceva Hayner solo dai racconti del biondo, lo aveva capito.
Quella fu l'ultima frase che si udì nella casa, poi i due ragazzi rimasero in silenzio fino a quando il thè non fu pronto; vi era solo il ticchettio dell'orologio a pendolo nel soggiorno che scandiva il tempo e alcuni tuoni che si perdevano nella notte in qualche città più lontana in cui molto probabilmente stava piovendo.
Come al solito i genitori di Xion erano fuori paese e come al solito lei sembrava dare poco peso alla cosa; si comportava normalmente, si muoveva con estrema tranquillità in cucina e ascoltava con attenzione le parole dell'amico.
E Roxas era stanco di tutto questo. Era stanco del fatto che Xion non crollasse mai. Era stanco di non averla mai vista piangere per se stessa, né quando era morto il suo amato gattino bianco due settimane prima, né quando i suoi genitori l'avevano lasciata sola in casa per cinque giorni di fila. A Roxas il thè faceva venire la nausea, e odiava la casa della corvina perché era maledettamente lontana e ci impiegava secoli per raggiungerla a piedi. 
Roxas era disgustato da come Xion si piegasse alla propria situazione, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo.
 

 






Roxas Lachance aveva ormai compreso che con certe cose non si raggiunge mai effettivamente l'inferno, bensì si continua a precipitare, precipitare e precipitare, proprio come la povera Alice -Tra l'altro da bambino quella fiaba lo spaventava a morte- aveva fatto per inseguire quell'antipatico del Bianconiglio. 
La sua storia però era un po' differente: al massimo in comune con quella stramba ragazza aveva i capelli biondi e gli occhi blu -O forse quelli di Alice erano azzurri?-, ma il suo era un incubo mascherato da fiaba e il suo amato Bianconiglio che lo aveva spinto a precipitare all'infinito era conosciuto ufficialmente come ''eroina.''
Tra l'altro Roxas non sapeva se prima o poi avrebbe toccato il fondo. Magari già l'aveva fatto, solo che attualmente invece di precipitare stava cercando l'inferno scavando freneticamente con le sue stesse unghie.
E la cosa peggiore era che i momenti in cui gli importava di se stesso stavano diminuendo gradualmente. Si trovava spesso in bilico tra un senso di irrealtà opprimente, una forte sensazione di non appartenere più a sé, di essere divenuto solamente un burattino della droga, e un menefreghismo totale verso tutto ciò che faceva. 
Roxas pensava di essere spacciato. Sì, letteralmente spacciato, proprio come si spacciava l'eroina e tutto il resto. Allora si giustificava con questa stronzata, con il fatto di essere spacciato, si diceva che sarebbe morto comunque, e che quindi non sarebbe più servito a nulla tentare di salvarsi, tentare di farsi salvare.
Nei pochi momenti di lucidità si domandava se questo significava arrendersi, o comunque piegarsi al proprio destino, alla propria esistenza: un'Alice imprigionata nel proprio mondo di fantasia, un'Alice che mai più riaprirà gli occhi.
Ma quel pensiero lo disgustava, perché quella era la condanna di Xion, non la sua. E piuttosto che piegarsi preferiva uccidersi direttamente.
No, l'eroina era il prezzo da pagare per essere liberi. L'eroina era la roba degli anticonformisti, era l'apice dell'inferno e la sensazione più elevata che un essere umano potesse mai provare. L'eroina era l'arma contro la vita, l'esistenza con i denti, la società che plasmava e modellava ogni individuo. 
Se per essere liberi si rischiava la morte, gli andava bene in ogni caso.
In fondo Roxas aveva sempre pensato che Alice fosse stata una vera tonta a non rimanere in quel Paese di matti solamente per tornare dal suo gattino Oreste. Pure Wendy era stata un' imbecille a non essere rimasta con Peter Pan nell'Isola che non c'è.
Erano tutti particolarmente stupidi secondo Roxas, soprattutto perché almeno loro non rischiavano di morire.

 






Aprì lentamente le palpebre, infastidito dai primi raggi di sole della giornata che filtravano attraverso le tende. 
A seguire vi fu un secondo fastidio, seppur decisamente più familiare; Roxas spostò le iridi verso il proprio braccio sinistro e notò la presenza della siringa che era rimasta attaccata alla pelle. Se la tolse con estrema velocità e la lasciò scivolare sul pavimento prima di alzarsi faticosamente dal materasso; aveva i muscoli ancora intorpiditi, era fradicio di sudore e aveva la gola secca. 
«Alleluja!», tuonò una squillante voce dall'altra parte della stanza, provocando il terzo fastidio della mattinata del biondo. «Finalmente ti sei svegliato. La roba non spunta fuori da sola, lo sai?»
Roxas si stropicciò gli occhi assonnati e si diresse verso il minuscolo bagno ancora imbrattato di sangue dalla settimana precedente; si sciaquò distrattamente il volto e sbuffò rumorosamente, tentando di ignorare i continui rimproveri di Hayner sul fatto che fosse uno scansafatiche di categoria A e che tutto il lavoro sporco toccasse a lui.
«Mi stai ascoltando?». Roxas voltò la testa e notò la presenza di quello che ormai poteva definire il proprio coinquilino sulla soglia del bagno: la T-shirt bianca stracciata, le braccia con ancora più buchi delle sue, e delle mostruose occhiaie che cerchiavano le iridi marroni a spillo. 
Si limitò a superarlo senza dire mezza parola e guardò con fare assente lo squallido monolocale in cui aveva deciso di trasferirsi da un mese circa per fuggire dalla comunità in cui lo avevano mandato con la forza i suoi genitori: scrutò con occhi spenti il pavimento coperto di tappeti su cui vi erano un paio di siringhe, alcune chiazze di sangue e qualche cucchiaio sparso. Successivamente spostò le iridi ai due materassi privi di coperte e il tavolo al centro sul quale o si facevano o Hayner discuteva con i suoi venditori. Il frigo era diventato praticamente un raduno di ragnatele e polvere talmente era inutilizzato.
Infine c'era quell'unica finestra sulla parete scrostata con le persiane abbassate di giorno e sollevate di notte; quella piccola finestra che si riversava sulla strada, la stessa strada in cui Axel ogni volta gli faceva cenno di scendere o di aprirgli la porta, dal momento che i citofoni dell'intero edificio erano guasti.
«Quando è stata l'ultima volta che abbiamo mangiato?»
Roxas si voltò e notò che Hayner stava tirando un paio di colpi al televisore nella speranza di ripararlo, come se si fosse accorto solo allora che la loro TV non avesse mai funzionato decentemente. 
«L'altro ieri, credo.»
Hayner dunque si irrigidì un poco e si infilò di scatto una mano nella tasca di jeans, estraendone un paio di monete; poi guardò Roxas e storse leggermente le labbra. «Andrò a comprare da mangiare, tu cerca i soldi per l'ero.»
«E se per una volta facessimo il contrario?», si azzardò a chiedere il biondo, restringendo nel frattempo la cintura dei propri pantaloni.
«Ma non dire stronzate, che l'ultima volta sono stato io quello che ha rischiato. E poi tu sei ancora minorenne, lo sai che alla fine non ti rompono le palle più di tanto.»
Di fronte alla solita scusa che Roxas aveva udito almeno un centinaio di volte, decise di lasciar perdere e di sospirare rumorosamente, sdraiandosi nuovamente sul proprio materasso semi distrutto. 
«Allora ci vediamo 'sta sera. Se non mi trovi qui sarò in discoteca. O altrimenti... Beh, cercami.», mormorò infine Hayner prima di prendere il proprio mazzo di chiavi; dopodiché fece un cenno con la testa all'altro e abbandonò l'appartamento in fretta e furia.
Ma Roxas non rispose e mantenne le iridi blu fisse sul pezzo di carta che avevano utilizzato la sera prima per appoggiare il cucchiaio; lo raccolse e riconobbe il volantino sulla droga che il suo professore di biologia aveva consegnato alla classe.
Trattava di una certa anatomia della trappola.
Già, la trappola in cui ormai era caduto. 
Ma c'era ancora speranza?
No, probabilmente no.
Roxas accartocciò il volantino verde e decise che non sarebbe andato a scuola nemmeno quella mattinata perché altrimenti non sarebbe riuscito a procurarsi i soldi in tempo.

 






Nonostante quel giorno avesse il cervello fuori uso dal mix di eroina e cocaina che si era fatto, ricordava perfettamente ciò che era successo, quando ancora viveva con i suoi genitori.
Ricordava di aver faticato un po' ad aprire la porta perché continuava a ridacchiare, e ricordava la propria immagine che attraversava lo specchio del corridoio per affrettarsi a salire in camera, come faceva sempre, per inviare un messaggio ad Axel e ringraziarlo della serata da sballo.
I suoi genitori gli lasciavano sempre molta libertà perché sapevano che l'adolescenza era un'età difficile da gestire e che Roxas era un ragazzo che amava avere i propri spazi.
Almeno, quella era la situazione fino a quando Roxas, già pronto a salire il primo gradino, non aveva udito la voce bassa e piena di rammarico di suo padre che si era appoggiato alla soglia del soggiorno: «Roxas, da quanto tempo ti droghi?»
Da quanto tempo ti droghi, Roxas?
Roxas, da quanto tempo ti droghi?

Roxas Lachance era rimasto fermo, perfettamene immobile, la mano ancora appoggiata sul corrimano, il piede destro posizionato sul primo gradino, le iridi blu dilatate perse nel vuoto.
C'era una serenità irrequieta dentro di lui, un'ansia che batteva violentemente dietro una porta di ferro, un oceano racchiuso in una spessa lastra di ghiaccio, le nuvole che erano coperte dal sole, e il temporale che era costretto a tenersi tutto dentro.
Roxas si era sentito proprio così, a cavallo tra la pace interiore data dall'eroina, quella che gli annullava le preoccupazioni, i pensieri, quella che gli permetteva di avvicinarsi ad Hayner, ad Axel, quella che lo portava in Paradiso trascinandolo all'Inferno. 
Si era sentito così, a cavallo dell'eroina e del proprio cuore che stava accelerando precipitosamente: a cavallo della serenità fasulla data da una sostanza e delle emozioni vere, la realtà, quella da cui si stava allontanando giorno dopo giorno, Alice che combatteva per riaprire gli occhi e cercava di scacciare lo Stregatto dalla propria mente.
Roxas così si era voltato, l'espressione attonita, un senso di realtà addosso, quella che non gli apparteneva, non era la sua vita, ed era combattuto tra la voglia di fuggire, di piangere, di implorare perdono, di pregare di essere aiutato.
Ma sarebbe stata tutta una messa in scena. Avrebbe mentito ai suoi genitori, a se stesso. Perché i tossici sono tutti così, dei subdoli bugiardi che credono sempre di avere la situazione sotto controllo.
E con questa consapevolezza Roxas si era voltato, aveva incrociato gli occhi arrossati dal pianto di suo padre, aveva udito i singhiozzi di sua madre dal soggiorno, e li aveva odiati, li aveva odiati più che mai, e aveva detto: «Da quando ho scoperto di essere morto.»

 






Continuò a guardarsi i palmi, tremando, e di certo non per la pioggia o per il freddo di Novembre.
Anzi, a malapena si accorse che era notte inoltrata.
Tremava per la rabbia e perché era in piena balìa di un viaggio dell'orrore; vedeva orribili facce intorno a sé, sull'asfalto bagnato, i tombini diventavano denti aguzzi, gli alberi si trasformavano in tentacoli pronti a strangolarlo e Roxas tremava più che mai, sperando che tutto finisse al più presto.
Non era colpa di quelle pasticche, lo sapeva, era colpa di quello stronzo di Axel che lo aveva lasciato per strada nel bel mezzo del suo primo trip perché aveva saputo che un amico aveva dell'ero da dargli a prezzo stracciato.
E quel suo amico ''si sarebbe girato le palle a vedere un ragazzino in trip, poi gli fai qualche casino e addio roba''.
Roxas era rimasto per un tempo indeterminato a tremare sul marciapiede, immobilizzato dalla paura di tutte quelle figure striscianti che la sua mente proiettava sulla realtà, lo stomaco sottosopra da come Axel lo aveva obbligato a scendere dall'auto.
A tremare.
Era rimasto a tremare nella notte.
Alice dispersa nelle tenebre: che direzione seguire?
Ed ecco il sorriso dello Stregatto, che le dice di andare a prendere una tazza di thè con il Cappellaio Matto.
Ecco lo Stregatto, che la caccia più che mai in quel mondo al rovescio.
Successe più o meno la medesima cosa a Roxas, quella notte. 
Solo che Xion Hale era il giardino in cui Alice si era addormentata; era il gatto Oreste e quegli sciocchi dei fratelli di Wendy.
Xion era la realtà a cui si piegava giorno dopo giorno senza versare una lacrima, senza abbandonarsi a nulla, senza cercare una via d'uscita.
Xion era la vita vera che a Roxas disgustava tanto; eppure, quella notte, la realtà lo salvò, miracolosamente. Xion gli si avvicinò e gli domandò se stava bene, quella notte, e lui scosse la testa, o forse pensò solo di farlo, continuò solo a tremare, tremare e tremare.
Xion non fuggì via solo perché era un ragazzino drogato.
Xion lo portò in quella casa in cui era quasi sempre sola; Xion gli disse che non c'era nulla di spaventoso tra gli alberi, quando lui si ritirava inorridito, sconvolto, atterrito. Xion gli disse che stava piovendo, che faceva freddo e che erano quasi le tre.
Lo riportò nello spazio e nel tempo.
Gli preparò una tazza di thè e lui corse in bagno a vomitarla perché aveva ancora lo stomaco sottosopra. Passò la notte lì, nella realtà, in compagnia dell'esistenza palpabile e tangibile, e anche se Roxas dormiva profondamente Alice in realtà aveva riaperto gli occhi, anche se solo per un po'.

 






Il 15 Febbraio Roxas Lachance, a soli diciassette anni, andò in overdose e sfiorò il coma. 
Quando riaprì gli occhi si ritrovò attaccato ai tubi, con il naloxone già iniettato nel corpo, un paio di medici che continuavano a scuotere il capo e in testa ancora le parole di Hayner, che quando si erano fatti continuava a ripetere di aver raggiunto definitivamente il Nirvana dell'eroina.
Era rimasto in bilico nel dormiveglia per un po', sentiva le parole dei medici lontane, aveva dei flash confusi su quanto era accaduto prima che perdesse la coscienza e fu addirittura sicuro di aver toccato definitivamente il capolinea. 
Era la sua ora, quella, e non sapeva nemmeno se fosse sollevato o meno. Aveva pensato numerose volte di farla finita iniettandosi una dose letale di eroina nelle vene, soprattutto quando non sapeva più dove cercare i soldi, mentre Hayner, in quello squallido appartamento, pativa le pene dell'inferno per le forti crisi di astinenza.
Ci aveva pensato spesso, ad uscire definitivamente da quella merda. Ma l'unico modo per farlo era uscire nello stesso tempo anche di scena.
Eppure in quel momento era terrorizzato di morire, di andarsene così, senza aver salutato Axel. 
Si assopì per un paio d'ore e quando aprì nuovamente le iridi stanche vide Xion seduta accanto al suo piccolo letto bianco. Aveva i capelli corvini leggermente spettinati, la camicetta con i bottoni fuori posto e gli occhi lucidi.
E, vedendola in quello stato, Roxas avrebbe voluto dire tante, tantissime cose.
Avrebbe voluto ridere, ridere di lei, del fatto che avesse pianto per lui, per un'Alice dispersa in compagnia del Cappellaio Matto e del Leprotto Bisestile, quando avrebbe dovuto piangere della sua vita monotona, grigia, piatta, dei suoi genitori che non le rivolgevano un solo sguardo, dei suoi infiniti pomeriggi passati sola a studiare.
Avrebbe voluto dirle che lui, nonostante avesse sfiorato la morte, nonostante fosse sottopeso, nonostante le occhiaie, le braccia bucate, stava meglio di lei, che era perfettamente sana.
Ma non lo fece, perché lei, Xion Hale, l'unica che era venuta a trovarlo, lo implorò tra i singhiozzi di smettere, di disintossicarsi una volta per tutte. 
E Roxas, nonostante la trovasse incredibilmente triste nella sua monotonia e nel suo grigiore, decise di darle retta e di accettare il suo aiuto. 
Si trasferì da lei e per quasi una settimana riuscì a non toccare nulla per miracolo, data la violenta crisi di astinenza; aveva visto Hayner in quello stato un paio di volte, ma non pensava che provarla sulla propria pelle sarebbe stato così letale. 
Non avrebbe mai scordato quei violenti brividi, il freddo inoltrato fin dentro le ossa, i rigetti di sangue, la febbre, quel feroce senso di rabbia, frustrazione, impotenza verso la propria dipendenza.
Davvero era quello il prezzo della libertà dalla società, dalla vita monotona? Bisognava incatenarsi ad altro, a qualcosa di estremamente pericoloso, per liberarsi dall'opprimente realtà?
Poco importava della risposta, dal momento che Roxas non riusciva a sopportare quelle violente crisi; dunque, in piena notte, lasciò di nascosto la casa di Xion per procurarsi un po' di roba.
Lo stesso Axel lo aiutò e Roxas lo trovò un gesto molto dolce, nonostante il rosso non fosse nemmeno venuto a sapere che era finito in overdose. 
Roxas rimase accanto ad Axel anche se, quando quest'ultimo gli domandò dove diavolo fosse finito in tutti quei giorni, lui mentì dicendogli: «Niente di che, sono stato in vacanza con i miei. Un vero posto di merda, perciò sono tornato qui.»

 






Nessuno conosceva il cognome di Axel, semplicemente veniva soprannominato nelle maniere più disparate; nella discoteca in centro città lo veneravano tutti come un Dio, dal momento che aveva iniziato a farsi le pere a soli sedici anni e nonostante ora ne avesse ventiquattro non era mai andato in overdose.
Gli spacciatori invece lo conoscevano come colui che nulla temeva, poiché Axel, pur di avere i soldi per l'ero, aveva rubato in tutti i posti inimmaginabili, senza essere preso nemmeno una volta. 
Quello che lui ricavava in un giorno, Roxas, a fatica, lo metteva insieme in una settimana; Axel pareva un individuo privo di emozioni, o almeno, di quelle più forti, come l'ansia, la paura, il terrore. Non provava niente, il suo unico pensiero fisso era procurarsi l'eroina e per farlo sarebbe stato anche disposto ad uccidere qualcuno.
Tra i ragazzi del circolo era una specie di mito, tanto che spesso gli offrivano drink e fumo gratis; era talmente stimato che nessuno lo aveva mai sfottuto per il fatto che fosse gay, anzi.
E Roxas, in mezzo a tutta quella fama, se così si poteva considerare, in un primo momento non aveva compreso che cosa potesse trovarci una celebrità in preda all'eroina, un essere che aveva più occhiaie che occhi, più buchi che cellule, in lui, che, quando si erano conosciuti, si limitava a fumare l'eroina e mai si sarebbe sognato di iniettarsela nelle vene come faceva Hayner.
«'Sta sera andremo al Galactika e devi cercare di attaccare bottone con Axel», mormorò Hayner quella sera, sistemandosi il gel per tirarsi i capelli all'indietro. 
«Ma... Ma è sempre circondato da un sacco di gente», tentò di far notare il biondo, guardandosi allo specchio un po' timidamente nella speranza di avere un'aria presentabile per la discoteca. 
Durante il tragitto in autobus Hayner non aveva fatto altro che ripetergli che se fossero riusciti ad entrare nelle grazie di Axel sarebbe stato tutto più facile, date le sue conoscenze il suo innato talento nel procurarsi i soldi.
A Roxas non piaceva approfittarsi della gente in questo modo, proprio per niente. Ma allora l'eroina non si era ancora radicata abbastanza profondamente nella sua vita da costringerlo a cambiare completamente carattere.
Nonostante ciò, decise di farlo per Hayner, che numerose volte lo aveva ospitato nel suo squallido monolocale senza voler nulla in cambio.
Non aveva la più pallida idea di come provarci con un ragazzo, anzi, con un uomo; non aveva mai tentato alcun tipo di approcio con le ragazze, figurarsi con quelli del suo stesso sesso.
La prima parte della serata fu un fiasco totale; Roxas non ebbe il coraggio di avvicinarsi, poiché, proprio come aveva previsto, Axel era in continuamente compagnia di qualcuno, mentre Hayner, dall'altra parte, continuava a maledirlo e a insultarlo per il fatto di non avere le palle di spiaccicare parola.
Successivamente però, come per magia, Axel era riuscito a mettersi in disparte e Roxas si accorse che tra le labbra stringeva una sigaretta, mentre con le mani cercava freneticamente tra le tasche qualcosa con cui accendersela.
Così, ricordandosi che lui si era intascato casualmente l'accendino che Hayner utilizzava per riscaldare l'ero, prese un profondo respiro e si avvicinò all'uomo dai folti capelli rossi, le iridi smeraldine dilatate e le braccia bucate; si schiarì leggermente la voce e gli porse l'accendino che venne accolto dall'altro con un largo sorriso. «Wow, carino, grazie.»
«Sì, ehm, è di un mio amico, cioè piace anche a me», si affrettò a borbottare il minore per evitare di perdere immediatamente il contatto con Axel che, a quella frase, scoppiò a ridere e scosse la testa con aria divertita, accendendosi nel frattempo la sigaretta. «No, dicevo che tu sei stato carino.»
Roxas non era esattamente sicuro del motivo per cui fosse in soggezione. Axel era sicuramente bello, un gran bell'uomo, ma lui non era omosessuale, né bisessuale, o almeno, così credeva; forse semplicemente si sentiva emozionato del fatto che una tale celebrità dell'eroina stesse parlando proprio con lui.
«Ah», mormorò con fare impacciato il biondo, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore; nel frattempo Axel inspirò il fumo a pieni polmoni e continuò a squadrare con attenzione il giovane di fronte a sé. «Mi sbattono in carcere se ti tocco, lo sai?»
Roxas allora diventò paonazzo dall'imbarazzo e si affrettò a scuotere la testa e a gesticolare con le mani. «No, cioè, non volevo... Cioè non volevo nulla!»
Il fulvo scoppiò nuovamente a ridere e nel frattempo fece uscire altro fumo sia dalla bocca che dalle narici. «Scherzavo, tranquillo. O meglio, scherzavo riguardo al fatto che mi possono sbattere in carcere. Tanto non lo saprà nessuno, giusto?», poi fece un sorriso sghembo e buttò la cicca della sigaretta per terra, ignorando di trovarsi nel bel mezzo di una discoteca. «Dove passi la notte?»
Roxas deglutì rumorosamente e cercò di non tirarsi indietro proprio in quel momento. In fondo anche lui consumava l'eroina insieme ad Hayner, nonostante si limitasse a fumarla. «Dormo da un mio amico, credo... Ma posso... Insomma posso farmi dare le chiavi, tanto lui penso rimarrà ancora qui per un paio di ore.»
Axel continuò a sorridere e annuì, seguendo quindi il biondo che cercava con lo sguardo Hayner in mezzo alla pista.
Roxas in realtà non pensava che sarebbe andata a finire esattamente così; non pensava di perdere la verginità con Axel, l'uomo di cui tutti ignoravano il cognome.
Axel quella notte ne aveva voglia e, giustamente, aveva deciso di dargli un'opportunità. E probabilmente sarebbe dovuta finire lì; una scopata e basta, perché Axel, da buon tossicodipendente, faceva solo i propri comodi e Roxas già sentiva gli imprechi che Hayner gli avrebbe lanciato contro per essersi lasciato sfuggire un'occasione d'oro.
Ma così non avvenne.
Roxas non seppe né come, né quando, né perché, ma qualcosa successe. Qualcosa si accese, continuarono a vedersi, e un paio di settimane dopo si misero insieme.
Hayner nel frattempo iniziò a comprare l'ero e venderla, perciò per Axel era anche più facile procurarsela. La prendeva direttamente nel monolocale di Hayner e lasciava i soldi sul tavolo.
Come Hayner aveva previsto, non passò molto tempo che Roxas, a furia di stare con loro, non decise di prendere una siringa in mano.

 






Il senso di ogni giornata di Roxas era uno solo: procurarsi i soldi per pagare l'ero. E se stava per sopraggiungere una crisi, l'avrebbe comprata anche al primo spacciatore per strada, non necessariamente si sarebbe preso la briga di salire da Hayner.
Iniziò con furtarelli piccoli, solitamente trovava sempre qualcuno del circolo ad aiutarlo, magari si approfittava dei vecchi che sedevano sulle panchine lasciando la borsa accanto a loro, oppure fingeva di far parte di qualche stupida assocazione che aiutava i più bisognosi.
Per un periodo riuscì ad avere addirittura un lavoro part-time in un bar, e ricordava bene che durante quelle settimane sia Axel che Hayner furono con lui più gentili e disponibili che mai; successivamente tornò ai piccoli furti e, quando capì che essi non sarebbero bastati, iniziò a rubare soldi in casa. 
Cominciò ad osservare con più attenzione i movimenti dei suoi, controllando dove tenevano gran parte dei soldi; tentò di annullare i sensi di colpa, di giustificarsi con il fatto che lo stava facendo per il proprio benessere, per la propria salute, perché ormai l'ero non era un modo per permettere ad Alice di chiudere gli occhi, ma l'unica maniera per non avere quelle tremende crisi di astinenza.
Iniziò a mentire, ad essere scaltro, ad inventare bugie sempre più grandi ed intricate, a non farsi ingannare dai propri gesti, a non lasciar trapelare alcuna emozione; era disposto a rubare alla sua famiglia pur di accontentare Hayner o Axel.
In fondo Hayner era il suo migliore amico, mentre Axel il suo fidanzato, giusto?
Con il passare del tempo, Roxas comprese che l'unico modo per procurarsi la roba il più velocemente possibile era non solo annullare la realtà attorno a sé, ma anche se stessi.
Tentò svariate volte di scendere in autostrada per regalarsi a qualche uomo con le tasche tintinnanti di monete, ma l'unica volta in cui aveva avuto veramente il coraggio di salire su un'automobile era poi sceso quasi immediatamente in preda ad un acuto attacco di nausea dinnanzi a ciò che gli aveva chiesto l'uomo al volante.
E questo lo aveva fatto arrabbiare da matti: il non essersi annullato ancora abbastanza per procurarsi i soldi. Più soldi aveva, più ero c'era per tutti, e meno litigi si sarebbero creati.
Sì, perché più correvano le settimane più si accumulava lo stress. 
Ogni giorno era la stessa solfa: risveglio traumatico, controllo delle proprie tasche, constatazione di non avere soldi e tutti giù in città a cercare un modo per procurarsi qualcosa. 
E Roxas ormai stava saltando sempre più mattinate di scuola per procurarsi i soldi. 
Hayner aveva la fortuna di star simpatico ai venditori e quindi riusciva sempre a farsi dare qualcosa a credito; Axel era quello che non aveva paura di nulla, mentre lui... Lui doveva trascinarsi ogni giorno giù per le scale di quello squallido monolocale, ripercorrere vie che ormai conosceva a memoria e cercare, cercare e cercare, stando ben attento nel frattempo alla polizia.
Era sempre la stessa storia. E se per caso avevano la fortuna di procurarsi più eroina del solito, si ripromettevano di metterla da parte per i giorni successivi, cosa che, ovviamente, non avveniva mai. Un paio di volte era arrivato alle mani con Hayner per l'eccessiva tensione che si respirava, e un paio di volte Axel aveva fottuto loro la roba per poi svignarsela per una settimana chissà dove.
Ma alla fine con Hayner tutto si risolveva, e Roxas tornava sempre a dormire in quello squallido monolocale perché non sapeva dove altro andare. I suoi non voleva più vederli nonostante lo aspettassero a braccia aperte, e rimanere a casa di Xion per più di due ore, respirare l'aria della realtà, Alice ad occhi spalancati, lo terrorizzava a morte.
E alla fine riapriva sempre la porta ad Axel e passava il tempo a progettare con lui un futuro irraggiungibile; sognavano che un giorno quello schifo sarebbe terminato e si addormentavano con il laccio emostatico ancora legato al braccio.






Suo padre quel pomeriggio stava leggendo in casa un articolo su un ragazzo morto per overdose di eroina, un certo Demyx Allen.
Sorseggiava una tazza di caffè seduto in cucina, mentre la moglie in soggiorno di tanto in tanto lo chiamava per mostrargli una foto particolarmente buffa o dolce di Roxas; stava sfogliando i vecchi album fotografici, a partire dal suo matrimonio, percorrendo poi la nascita del figlio, i suoi primi anni, l'infanzia, il primo giorno di scuola e i pomeriggi spesi nel loro piccolo giardino a giocare sullo scivolo. 
Un sorriso allegro e spensierato che via via andava sbiadendo, lasciando posto ad un'espressione seccata ed irritata di fronte all'obiettivo della macchina fotografica e, altre volte, addirittura la sua ombra confusa, i capelli dorati sfocati, gli occhi blu socchiusi, la divisa scolastica che si mescolava al verde del prato, Roxas che si muoveva scocciato per andarsene prima che la macchina lo inquadrasse.
Nel frattempo quello stesso ragazzo delle foto era seduto sul muretto del quartiere accanto e si stava dondolando le gambe con aria pensierosa, forse anche annoiata. Le iridi blu cobalto rivolte verso il marciapiede, in basso, perché il sole lo infastidiva assai, e le mani intente a giocherellare con una manciata di pietre.
Un'Alice stufa della monotona lezione di sua sorella maggiore.
«Hai da accendere?»
Roxas alzò di poco lo sguardo e vide un ragazzo più grande di lui sul marciapiede, con un paio di pantaloni verde mimetico, le iridi marroni e una sigaretta stretta tra le labbra.
Il biondo scosse la testa. «Non fumo.»
Hayner sbuffò sonoramente con il naso, afferrò la sigaretta con la mano sinistra e se la rimise in tasca. «Sei del circolo?»
Roxas sgranò un poco le iridi, stupito che l'altro avesse proseguito la conversazione; dopodiché inclinò leggermente la nuca verso sinistra. «Ehm... No». Notò poi che Hayner lo stava squadrando con un'espressione scettica e al tempo stesso divertita, quasi trovasse triste il fatto che non facesse parte di quel famigerato circolo, così si affrettò ad aggiungere: «Sono nuovo di qui.»
«Ah!», sbottò allora il ragazzo, battendo le mani. «Sei nuovo, è per questo! Allora non avrai visto bene la città, giusto?»
«Giusto», mentì spudoratamente Roxas, osservando il proprio interlocutore salire sul muretto per prendere posto accanto a lui. «Comunque mi chiamo Hayner. Tu saresti?»
«Roxas.»
Hayner sorrise leggermente e riprese a parlare. «I tuoi ti fanno uscire la sera?»
«Dipende...»
«Se vuoi oggi prendiamo l'autobus insieme. Ti faccio conoscere il circolo.»
«Che circolo?», chiese Roxas, leggermente perplesso. Aveva voglia di fare nuove esperienze, ma, al tempo stesso, l'idea lo intimoriva.
«Gente simpatica.»
«Non saranno... Non saranno drogati?», si azzardò a chiedere il biondo, ottenendo inaspettatamente una reazione piuttosto negativa da parte del maggiore; Hayner corrugò la fronte, lo guardò male, quasi con rabbia, e sputò: «Beh, e anche se fosse? Sono delle stars qui.»
Roxas sbatté ripetutamente le palpebre, confuso dall'improvviso atteggiamento dell'altro. «Delle stars che si uccidono?»
«Quelli stupidi si uccidono», spiegò con più calma Hayner, riprendendo a sorridere. «Devi solo essere abbastanza furbo da non cascarci.»
«Cascare dove?»
«Nell'ero». Hayner scese dal muretto con un balzo e iniziò a camminare lungo il perimetro del marciapiede con fare vago. «Cioè, se ti danno da fumare accetti per essere okay agli occhi del circolo. Per fare bella figura, capisci? Tu allora accetti, anche se ti fa un po' schifo. Basta che non ti fai prendere dalla dipendenza, se no sei nei casini. Io ora faccio così, sono okay agli occhi degli altri senza esagerare. Capito?»
Roxas seguì a fatica le parole di Hayner, quello strano ragionamento che mirava ad essere accettato dagli altri; nonostante ciò, annuì. «Ho capito, bisogna farlo... Solo per il circolo.»
«Esatto!», trillò il più grande con entusiasmo, lieto che il biondo avesse già compreso come funzionassero le cose. «Allora ci vediamo qui verso le dieci?»
Roxas sbatté nuovamente gli occhi; guardò Hayner per una manciata di secondi, l'aria leggermente trasandata che aveva, poi spostò le iridi verso il grigio marciapiede, il muretto su cui era seduto e il sole fastidioso che gli picchiava la nuca. 
Alice si annoia davvero molto della lezione di sua sorella.
Alice decide di chiudere gli occhi.
Alice decide di seguire il Bianconiglio.
«Sì», rispose dopo un po' Roxas. «Sì, ci sarò.»






«Questa notte tanto i miei non torneranno». 
Roxas alzò di scatto la testa e notò che Xion, seduta davanti a lui, aveva finalmente ripreso la parola. Il ragazzo cercò di sorseggiare un po' della bevanda ormai fredda e storse leggermente le labbra.
«Quindi se vuoi restare qui ti posso cedere il loro letto.»
Il biondo appoggiò la testa su una mano con fare pensieroso e continuò a girare il thè con il cucchiaino, incerto su come rispondere senza ferire la corvina.
Come poteva dirle che non voleva avere niente a che fare con la sua vita monotona, piatta, con quella casa così vuota e grigia?
Come poteva dirle che la sua sola presenza lo spaventava?
Come poteva Alice urlare al suo gattino Oreste di andarsene, a sua sorella di levarsi dalle scatole per sempre e oltre? 
Eppure dove altro sarebbe andato?
Non aveva la più pallida idea di dove fosse finito Axel e sicuramente Hayner non gli avrebbe mai aperto dopo quel litigio così violento che avevano avuto. 
Avrebbe potuto cercare qualcuno del circolo.
O vagare tutta la notte, in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa.
Qualsiasi cosa, pur di non restare incastrato in quella casa in compagnia di Xion.
Ma allora perché la cercava sempre, dopo un litigio con Hayner o Axel? Perché suonava sempre il suo campanello, se poi voleva di nuovo chiudere gli occhi e tornare nel suo Paese Delle Meraviglie? Cosa voleva Alice? Voleva accertarsi solo di essere ancora viva? Voleva accarezzare un po' Oreste per ricordarsi di sapere ancosa come si fa, per ricordarsi di avere ancora le mani, il tatto, i sensi?
Ma non serviva annullarsi del tutto per avere l'eroina più facilmente?
Roxas non sapeva perché Xion continuasse ad aprirgli la porta. Non sapeva se lei voleva salvarlo, non sapeva se lui voleva essere salvato.
Probabilmente no.
Roxas schiuse le labbra e fece per inventarsi qualche scusa sciocca per declinare gentilmente l'invito, quando qualcosa vibro nella tasca dei suoi jeans; tirò fuori il proprio cellulare vecchio e malridotto e aprì il messaggio che gli era appena arrivato:
                                                             ''Ho appena avuto della roba, se riesci a venire qui in tempo te ne lascio un po' da parte.

                                                                                                                                                                                                             Hayner.''

Roxas sbatté le palpebre, incredulo, e rilesse il messaggio un paio di volte, ignorando la corvina che nel frattempo stava ancora aspettando una risposta.
Dopodiché Roxas si lasciò sfuggire un allegro sorriso dalla notizia e si alzò rumorosamente dalla sedia, ringraziando mentalmente l'eroina che alla fine, in un modo o nell'altro, metteva sempre in ordine le cose.
Poco importava se per Axel e per Hayner l'eroina veniva prima di lui. In fondo anche per Roxas funzionava così, perciò perché preoccuparsi? Non potevano considerarsi come una grande famiglia religiosa che metteva in primo piano Gesù e poi loro stessi?
«Ho fatto pace con Hayner», mormorò frettolosamente Roxas, afferrando la propria giacca verde appesa ; se la infilò velocemente e fece per aprire la porta, quando il richiamo di Xion lo costrinse a fermare la propria corsa: «Roxas.»
Quest'ultimo sospirò leggermente e guardò la ragazza con la coda dell'occhio, tenendo la mano ancora appoggiata alla maniglia. «Non ti preoccupare, starò bene.»
Xion rimase in silenzio con le iridi abbassate per una manciata di secondi, quasi questa volta toccasse a lei riflettere su quali parole utilizzare; dopodiché rialzò la nuca, e c'era la sorella di Alice che forse tentava per un'ultima volta, quella più disperata e letale, di protrarsi verso Alice come la salvatrice. «Roxas, sono stata io a dire ai tuoi genitori del tuo... Del tuo problema. Sono stata io ad andare da loro, io ho detto che tu...»
Roxas rimase immobile, i muscoli irrigiditi da una marea di emozioni, il cervello completamente svuotato, le iridi puntate verso un punto perso della porta di legno.
C'era l'ero nella sua testa, il pensiero della prossima pera che si sarebbe fatto con Hayner, di un altro buco sul braccio, di passare la notte a cercare Axel che gli avrebbe schioccato un bacio sulle labbra e poi gli avrebbe chiesto se era rimasto qualcosa per lui.
C'era l'eroina ad offuscargli le emozioni, la rabbia che Xion sperava di vedere, sperava di vederlo vivo, sperava di averlo fatto arrabbiare, sperava che restasse solo per parlare con lei, per discutere, per litigare, anche.
Ma c'era l'ero a sfumargli le sensazioni, come un dito posato sulla pittura ancora fresca.
Roxas si voltò finalmente verso la ragazza, verso il gattino Oreste, verso la sorella di Alice, verso i genitori di Wendy e verso i suoi fratelli, verso la vita, la società, la realtà. «Capisco.»
Capisco.
Lo disse piano, semplicemente, senza ira, senza niente.
Lo capiva veramente, dal punto di vista di una ragazza della vita vera. La sorella di Alice le avrebbe dato della dormigliona e avrebbe cercato di svegliarla per proseguire la propria lezione monotona.
Lo capiva.
Lo capiva, ma non lo accettava.
Roxas annuì leggermente con la nuca, come se avesse appena fatto una promessa a se stesso, aprì la porta e scomparve dietro di essa una volta per tutte, nella notte.
Non si voltò più verso Xion; verso Xion che in quel momento aveva la vista appannata dalle lacrime, quelle lacrime che avevano reso confusa la figura di Roxas, i capelli biondi sbiaditi, l'espressione spenta e annoiata, proprio come le più recenti fotografie dell'album di sua madre.
Roxas che cercava di spostarsi dall'obiettivo prima che lo inquadrasse.
Non c'era più nessuno a salvarlo: Alice aveva ormai deciso di farsi tagliare la testa dalla Regina dei Cuori e di rimanere incastrata nel Paese Delle Meraviglie per sempre.
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*A place where the sun is silent: frammento della canzone ''Lullaby of the crucified'', degli Alesana.


*Note di Ev'*

Fortunatamente non è passato molto dall'ultimo aggiornamento, perciò credo di essere piuttosto soddisfatta, nonostante questa storia, lo ammetto, ce l'avevo in mente da un po'.
Inizialmente ero perplessa perché temevo uscisse fuori qualcosa simile a ''Cigarettes'', ma quando le idee hanno iniziato a crearsi con fare più nitido mi sono accorta che, nonostante entrambe possano toccare argomenti forti, sono alla fine molto differenti, soprattutto per i personaggi e il disagio che vivono.
La storia è strutturata in diversi frammenti della vita di Roxas, ovviamente non in ordine cronologico, ad eccezione dell'inizio e della fine che, oltre ad essere uno il proseguimento dell'altro, sono l'ultimo avvenimento.
Roxas è un ragazzo annoiato dalla monotonia che la società gli impone e inizia dunque a trasgredire, prendendo la palla al balzo quando fa la conoscenza di Hayner; il suo intento inizialmente è quello di non allontanarsi eccessivamente dalle proprie origini, ma presto si lascia trascinare e diventa completamente dipendente dall'eroina, a tal punto da esserne schiavo e da mutare completamente carattere.
Ciò che volevo più evidenziare in questa storia è il rapporto dei personaggi tra di loro; Hayner ed Axel utilizzano Roxas secondo i propri comodi e non c'è alcun rapporto sincero tra di loro. Nonostante ciò, Roxas continua a frequentarli perché quello ormai è il suo ''Paese Delle Meraviglie'', anche se nel mondo vero c'è Xion che è disposta a tenedergli una mano, ad aiutarlo in qualsiasi modo ed è l'unica, insieme ai genitori, che tiene davvero a lui.
Lo so, in questo periodo ho la fissa per argomenti del genere, omg.


Se avete letto la mia storia, vi invito caldamente a recensirla, dal momento che tengo molto ad un parere, come sempre d'altronde.
Per il resto, buh... Da queste parti se ne stanno andando tutti a Londra. Spero non infanghino la mia città del cuore.
Spero che voi stiate passando delle piacevoli vacanze estive e che vi stiate rilassando a dovere, che poi è la cosa più importante. Qui il tempo è fantastico perché ogni cinque o sei giorna scoppiano temporali assurdi, awawaw.
Alla prossima!
E.P.R.

   
 
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